Codice di Procedura Penale art. 475 - Allontanamento coattivo dell'imputato.Allontanamento coattivo dell'imputato. 1. L'imputato che, dopo essere stato ammonito, persiste nel comportarsi in modo da impedire il regolare svolgimento dell'udienza, è allontanato dall'aula con ordinanza del presidente [470]. 2. L'imputato allontanato [420-quinquies] si considera presente ed è rappresentato dal difensore [420-ter, 477 3, 545, 585 2b]. 3. L'imputato allontanato può essere riammesso nell'aula di udienza, in ogni momento, anche di ufficio. Qualora l'imputato debba essere nuovamente allontanato, il giudice può disporre con la stessa ordinanza che sia espulso dall'aula, con divieto di partecipare ulteriormente al dibattimento, se non per rendere le dichiarazioni previste dagli articoli 503 e 523, comma 5. InquadramentoIl diritto dell'imputato alla presenza in aula d'udienza può essere compresso soltanto per rilevanti ragioni di ordine pubblico e per consentire l'ordinata celebrazione del dibattimento. Le restrizioni vanno necessariamente adottate con particolare cautela, onde evitare che esse impediscano l'esercizio del diritto di difesa: per tale ragione, il legislatore ha analiticamente previsto e disciplinato le varie situazioni nelle quali è possibile allontanare od espellere l'imputato dall'aula di udienza e le sanzioni disciplinari di volta in volta applicabili, escludendo, in materia, la competenza del P.M., poiché la possibilità, per una delle parti, di impedire all'altra la partecipazione al dibattimento avrebbe gravemente alterato la parità tra le parti contrapposte (al P.M. compete, pertanto, unicamente l'esercizio, in assenza del giudice, dei poteri di disciplina dell'udienza ex art. 470 comma 1) (così, in dottrina, Beltrani, 151; D'Andria, 38). La competenzaL'art. 475 attribuisce la competenza in ordine al provvedimento di primo allontanamento al presidente del collegio (o al giudice monocratico), cui è conseguentemente logico attribuire la competenza anche per il previo ammonimento; la disposizione nulla dice sulla competenza in ordine alla riammissione, con ciò lasciando implicitamente ritenere che essa spetti allo stesso organo che aveva disposto l'allontanamento; diversamente, l'art. 475, comma 3, stabilisce che competente a disporre il secondo allontanamento e l'eventuale espulsione è « il giudice » ovvero, nel rito collegiale, il collegio, e non il presidente di quest'ultimo. Le sanzioniTra le sanzioni che il giudice può applicare all'imputato, ai sensi dell'art. 475, si distinguono: a) ammonimento: alla prima turbativa l'imputato viene ammonito dal giudice a non continuare nel suo atteggiamento; il provvedimento è reso oralmente e senza formalità (ma va verbalizzato); b) primo allontanamento: se l'imputato persiste, può essere allontanato dall'aula, con ordinanza (e, quindi, con motivazione); l'imputato allontanato può, peraltro, essere riammesso in aula, anche d'ufficio, in ogni momento; c) secondo allontanamento: se l'imputato già allontanato e poi riammesso in aula, dopo la riammissione, continui a turbare il regolare svolgimento dell'udienza, può con ordinanza essere nuovamente allontanato; d) espulsione: nei casi più gravi, l'imputato già allontanato e poi riammesso in aula, che, dopo la riammissione, continui a turbare il regolare svolgimento dell'udienza, può essere espulso dall'aula, con divieto di partecipare ulteriormente al dibattimento: la dottrina ritiene che l'espulsione non sia revocabile, poiché l'art. 475 prevede la riammissione in aula soltanto per l'imputato allontanato (Beltrani, 152). Se il dibattimento si articola in più udienze, i predetti provvedimenti disciplinari hanno efficacia per tutte le successive udienze, fino all'eventuale riammissione, nei casi in cui essa è consentita. La giurisprudenza di legittimità, sia pur con riguardo alla disciplina contenuta nell'abrogato codice di rito del 1930 (peraltro, analoga a quella vigente) aveva fugato i dubbi all'epoca insorti (e mai più riproposti) sulla legittimità costituzionale della previsione dell'allontanamento coattivo dell'imputato dall'aula di udienza per ragioni disciplinari: si era, in proposito, osservato che la disciplina muove dall'intento di contemperare le diverse esigenze di tutti i soggetti processuali, e che l'allontanamento (od espulsione) dell'imputato dall'aula costituisce la logica conseguenza di una condotta volontariamente assunta dall'imputato medesimo; il provvedimento disciplinare in oggetto, d'altro canto, non incide sul concreto esercizio del diritto di difesa, perché l'effettiva esplicazione di tale diritto viene affidata al difensore, che rappresenta, ad ogni effetto, l'imputato, e soprattutto perché la sanzione disciplinare non fa venir meno il diritto dell'imputato stesso di esercitare, qualora egli ne faccia richiesta, determinate facoltà a lui personalmente riservate (Cass. III, n. 6372/1973; Cass. I, n. 1003/1986). La disciplinaLa disciplina dettata dalla disposizione in commento mira a consentire al giudice un'adeguata graduazione (sotto un duplice profilo, qualitativo — scelta della specie della sanzione disciplinare più opportuna, caso per caso —, e quantitativo — durata di essa, determinabile attraverso la possibilità di riammettere, anche d'ufficio, in ogni momento, l'imputato in aula —) delle possibili sanzioni disciplinari, per adeguare le stesse all'entità ed alla gravità della turbativa dell'udienza. L'imputato allontanato e quello espulso (in ordine al quale l'art. 475, comma 2, nulla dice, poiché egli non è altro che un imputato allontanato per la seconda volta dall'aula) sono considerati legalmente presenti: la loro rappresentanza processuale è attribuita al difensore, che non potrà, tuttavia, surrogarsi all'imputato con riguardo al compimento dei cosiddetti atti personalissimi, sia di carattere processuale (richiesta di riti alternativi, ove consentita; ricezione della contestazione suppletiva; accettazione della remissione della querela) che sostanziale (rinunzia all'amnistia oppure alla prescrizione); per il compimento di tali atti, sarà necessaria la riammissione temporanea dell'imputato in aula. L'imputato (allontanato od espulso) deve, inoltre, essere riammesso in aula per rendere l'esame (art. 503) o le dichiarazioni conclusive all'esito della discussione (art. 523, comma 5); nel silenzio dell'art. 475, e per evitare inaccettabili compressioni del diritto di difesa, si è ritenuto che egli debba necessariamente essere riammesso temporaneamente per partecipare alle attività di istruzione dibattimentale che esigano la sua presenza (confronti, ricognizioni, ispezioni), oltre che per rendere spontanee dichiarazioni (ex art. 494) (Beltrani, 152). Inoltre, a norma dell'art. 545, comma 3, la pubblicazione della sentenza in udienza mediante lettura del dispositivo equivale alla notifica anche per la parte che deve considerarsi presente: ne consegue che all'imputato espulso deve applicarsi la previsione di cui all'art. 475, la quale, sebbene prevista solo per l'imputato allontanato, a fortiori deve valere anche per quello espulso, in quanto l'espulsione rappresenta una sanzione più grave dell'allontanamento (Cass. V, n. 758/2000). I provvedimenti di allontanamento e di espulsione non sono autonomamente impugnabili, ma possono essere oggetto di gravame unitamente alla sentenza che definisce il giudizio, ai sensi dell'art. 586 (Fidelbo, 1709). Casistica Deve intendersi processualmente rappresentato dal difensore, l'imputato, cittadino extracomunitario, espulso dal territorio dello Stato a seguito di provvedimento prefettizio adottato a norma dell'art. 13 d.lgs. n. 286/1998, in quanto tale condizione è assimilabile a quella dell'imputato coattivamente allontanato dal giudice nel caso previsto dall'art. 475, comma 2 (Cass. III, n. 47071/2007: la S.C. ha precisato che la rappresentanza processuale del difensore, sebbene prevista per il solo imputato allontanato, vale a fortiori anche per l'imputato espulso, in quanto l'espulsione rappresenta una sanzione più grave rispetto all'allontanamento). Le intemperanze delle parti private diverse dall'imputato, dei difensori e del p.m.Il codice di rito vigente non contiene alcuna disciplina per il caso in cui siano le altre parti private (diverse dall'imputato) a turbare l'ordinato svolgimento dell'udienza: non sembra, tuttavia, dubbio che, per tale ipotesi, debba analogicamente trovare applicazione la disciplina dettata dall'art. 475, poiché il diverso trattamento di situazioni indiscutibilmente uguali non potrebbe trovare alcuna ragionevole giustificazione (in tal senso, in dottrina, cfr. Cordero, 546; Plotino, 60). Il problema si pone anche per le eventuali intemperanze dei difensori (solo in parte disciplinate dagli artt. 470, 491 comma 3, 493, comma 4, 504, 523, commi 3 e 4) e del P.M.: la dottrina (Beltrani, 153) ha evidenziato che la materia è troppo delicata (per la decisiva interferenza di ogni eventuale sanzione sul concreto esercizio del diritto di difesa) perché le evidenti lacune legislative possano essere colmate dall'interprete in via analogica (anche se, potrebbe, forse sostenersi l'illegittimità costituzionale dell'art. 475, per violazione dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., nella parte in cui non consente, rispettivamente, l'ammonimento, l'allontanamento o l'espulsione del difensore — che andrebbe necessariamente sostituito con altro difensore nominato dalla parte privata rappresentata, o d'ufficio — o del P.M. — che potrebbe, più agevolmente, essere sostituito da altro P.M. designato dall'ufficio di appartenenza — che turbi gravemente, con le proprie intemperanze e con la reiterata inosservanza delle disposizioni di disciplina dell'udienza impartite dal giudice o dal presidente, l'ordinato svolgersi dell'udienza stessa). BibliografiaAprile- Silvestri, Il giudizio dibattimentale, Milano, 2006; Beltrani, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003; D'Andria, Sub art. 475, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da Lattanzi- Lupo, VI, Agg. 2003-2007, (artt. 465-567), a cura di D'Andria- Fidelbo- Gallucci, Milano, 2008, 38; Fidelbo, Sub art. 475, in Conso- Grevi, Commentario breve al codice di procedura penale, Padova, 2005, 1705; Plotino, Il dibattimento nel nuovo codice di procedura penale, Milano, 1996; P. P. Rivello, Il dibattimento nel processo penale, Torino, 1997. |