Codice di Procedura Penale art. 479 - Questioni civili o amministrative.Questioni civili o amministrative. 1. Fermo quanto previsto dall'articolo 3, qualora la decisione sull'esistenza del reato dipenda dalla risoluzione di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, per la quale sia già in corso un procedimento presso il giudice competente, il giudice penale, se la legge non pone limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa, può disporre la sospensione del dibattimento [3 3, 18 1b, 467, 477; 246 trans.], fino a che la questione non sia stata decisa con sentenza passata in giudicato [324 c.p.c.]. 2. La sospensione è disposta con ordinanza, contro la quale può essere proposto ricorso per cassazione [606]. Il ricorso non ha effetto sospensivo [588 1]. 3. Qualora il giudizio civile o amministrativo non si sia concluso nel termine di un anno, il giudice, anche di ufficio, può revocare l'ordinanza di sospensione. InquadramentoIn relazione alle questioni pregiudiziali, il sistema delineato dal vigente codice di rito prevede la sospensione del giudizio penale soltanto in dipendenza di questioni pregiudiziali civili o amministrative, mai nel caso di pregiudiziali penali: tutte le questioni pregiudiziali di carattere penale devono essere decise, incidenter tantum, dal giudice che procede. Inoltre, contrariamente a quanto prevedeva il codice di rito abrogato, con riferimento alle questioni pregiudiziali civili ed amministrative non esistono più casi di sospensione obbligatoria del processo penale, essendo la sospensione è sempre facoltativa; ne consegue che: a) la sospensione del processo penale è obbligatoria (essendo la questione pregiudiziale rimessa necessariamente alla decisione di un giudice superiore), a pena di nullità, in presenza di: a1) pregiudiziali costituzionali; a2) pregiudiziali comunitarie (nei soli casi in cui la questione è sollevata dinanzi alla Corte di cassazione); b) la sospensione del processo penale è facoltativa in presenza di: b1) pregiudiziali di stato di famiglia o di cittadinanza (per le quali cfr. amplius, sub art. 3); b2) altre pregiudiziali civili (cui fa riferimento l'art. 479); b3) pregiudiziali amministrative; b4) pregiudiziali comunitarie (nei casi in cui la questione sia sollevata dinanzi ad un giudice nazionale contro la cui decisione sia consentito un ulteriore ricorso giurisdizionale di diritto interno). La sospensione del procedimento penale è, pertanto, un mezzo eccezionale cui il giudice, secondo i casi, deve o può fare ricorso soltanto quando la legge espressamente lo prevede, e cioè solo quando la decisione dipenda dalla risoluzione di una questione pregiudiziale costituzionale (o comunitaria, con le predette precisazioni), ovvero dalla risoluzione di una questione civile, amministrativa, di stato o di cittadinanza; in ogni altro caso, il giudice penale è tenuto a risolvere ogni questione pregiudiziale, pur con efficacia non vincolante (cfr., in proposito, Cass. I, n. 503/1998; Cass. V, n. 14972/2005: nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto abnorme il provvedimento con cui il giudice, disposta la trasmissione alla procura della Repubblica degli atti relativi alle dichiarazioni rese da alcuni testimoni, aveva contestualmente sospeso il dibattimento in attesa dell'esito del procedimento per falsa testimonianza). Le “altre” questioni pregiudiziali civili od amministrativeL'art. 479, per i casi in cui la decisione sull'esistenza del reato dipenda dalla risoluzione di una controversia civile od amministrativa di particolare complessità, consente (ma non impone) al giudice penale, se la legge non pone limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa ed il procedimento civile od amministrativo è già pendente, di sospendere il processo, con ordinanza (provvedimento che, ai sensi dell'art. 125, deve, quindi, essere motivato), ricorribile per cassazione (ma il ricorso non ha effetto sospensivo), fino al passaggio in giudicato (cfr. in proposito art. 324 c.p.c.) della sentenza che definisce la questione. La facoltà di sospensione riguarda il solo dibattimento: fuori da questa fase, la questione pregiudiziale dovrebbe essere decisa dal giudice incidentalmente. Si è, peraltro, ritenuto che anche nel rito abbreviato è possibile la sospensione del procedimento, tanto in attesa della risoluzione di questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza (ai sensi dell'art. 3), quanto in pendenza di giudizio su altre questioni pregiudiziali civili o amministrative di particolare complessità, come previsto dall'art. 479, atteso che non può ritenersi vincolante la lettera di tale articolo, la quale fa riferimento solo alla sospensione del dibattimento, considerato che detta sospensione non è finalizzata ad operare sul momento dell'acquisizione probatoria, ma su quello della decisione: invero, proprio dalla decisione pregiudiziale di altro giudice, il giudice penale attende la possibilità di acquisire, non ulteriori dati probatori, quanto elementi indispensabili al fine di pervenire ad una corretta soluzione (Cass. V, n. 13780/2002). In difetto di impugnazione, la sospensione del procedimento penale, anche se disposta fuori dei limiti consentiti, produce i suoi effetti propri, tra cui la sospensione del corso della prescrizione (cfr. Cass. S.U., n. 10849/1991). L'esistenza di una controversia La necessità dell'« esistenza di una controversia » impone che si sia verificato un contrasto tra le parti in ordine ad una questione pregiudiziale civile od amministrativa e che, pertanto, abbiano avuto luogo, quantomeno, le esposizioni introduttive, le sole che possono rendere evidenti, al giudice penale, sia il contrasto tra le parti, sia i termini di esso; anche in relazione ai casi di cui all'art. 479 (come per quelli di cui all'art. 3), l'onere della prova della pendenza del procedimento civile od amministrativo avente ad oggetto la questione pregiudiziale grava sulla parte che chiede la sospensione del processo penale (Cass. V, n. 8607/2012). La giurisprudenza ha evidenziato che la sospensione facoltativa del dibattimento, prevista dall'art. 479, non può essere disposta sulla base dell'esistenza di un mero contrasto tra le parti su una questione civile (od amministrativa), ma presuppone che sia già in corso una controversia davanti al giudice competente e che risulti la serietà dei termini concreti della questione da risolversi in altra sede (Cass. II, n. 31057/2003: nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto corretto il rigetto dell'istanza di sospensione del dibattimento da parte del giudice di merito, in quanto, dopo il provvedimento di denuncia di nuova opera, nessuna delle parti aveva dato inizio al giudizio a cognizione piena). L'assenza di limiti probatori riguardanti la posizione soggettiva controversa Tra le condizioni per la sospensione del dibattimento, l'art. 479, comma 1, pone quella dell'assenza di limitazioni legali alla prova della posizione soggettiva (diritto soggettivo od anche interesse legittimo) controversa: la ratio di tale previsione risiede nell'esigenza che il processo penale porti all'accertamento di una verità storica, con esclusione di accertamenti fondati su presunzioni legali. La giurisprudenza di merito (Trib. Pesaro, 23 novembre 1989, n. 381) ha chiarito che il sistema del nuovo codice di rito, quale si evince dai principi codificati negli artt. 3 e 479, non consente più in modo assoluto la sospensione del giudizio penale in attesa della risoluzione di una controversia tributaria, e ciò anche in ragione del principio codificato nell'art. 193 circa i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili. Invero, l'art. 192, comma 2, codifica il principio secondo il quale l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi, a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti: ne consegue che le presunzioni legali e gli oneri probatori tipici del diritto tributario restano estranei al processo ed al giudizio penale, nel quale possono accedere soltanto se l'inferenza cui gli stessi conducono ubbidisce ai criteri della logica. La particolare complessità della controversia La necessità della « particolare complessità » della controversia civile o amministrativa da cui dipende la decisione sull'esistenza del reato, mira a scongiurare superflue stasi processuali, che possono verificarsi nei casi in cui il giudice che procede possa risolvere agevolmente la questione pregiudiziale e pervenire agevolmente alla decisione; il relativo onere probatorio incombe sulla parte privata interessata (Cass. V, n. 8607/2012, per la quale l'imputato che richieda la sospensione del dibattimento in attesa della definizione del processo instaurato contro la dichiarazione di fallimento, è tenuto — allo scopo di consentire al giudice penale di valutare l'opportunità dell'esercizio del proprio potere discrezionale sul punto — a fornire allegazioni non solo in ordine all'esistenza della procedura in sede civile, ma anche in ordine alla serietà della questione sollevata, atteso che costituisce presupposto, normativamente postulato, dall'invocata sospensione la complessità del giudizio instaurato in sede civile o amministrativa). La discrezionalità del giudice L'esercizio della facoltà discrezionale del giudice penale di sospendere il dibattimento, qualora la decisione sull'esistenza del reato dipenda dalla risoluzione di una controversia civile od amministrativa per la quale sia già in corso un procedimento presso il giudice competente, presuppone non soltanto la conoscenza dell'esistenza della causa (civile od amministrativa), ma anche quella dei termini nei quali la controversia si svolge, poiché solo in tal modo il giudice è in condizione di valutare la serietà della controversia (Cass. V, n. 3670/1992: fattispecie in tema di bancarotta fraudolenta, in cui la difesa aveva provato l'esistenza del giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento, ma non le ragioni del giudizio, e la S.C. ha precisato che, nell'eventualità in cui la dichiarazione di fallimento fosse in sede civile, soccorreva il rimedio della revisione, ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. b). Si è anche precisato che « la sospensione del dibattimento, prevista dall'art. 479 per la definizione della questione pregiudiziale, è ispirata ad esigenze di celerità ed economia, sicché ad essa può farsi luogo solo in presenza di determinate condizioni, la cui mancanza comporta l'irrilevanza della pregiudiziale e l'obbligo di procedere. La prima di tali condizioni, costituita dalla “particolare complessità” della controversia civile o amministrativa da cui dipende la decisione sull'esistenza del reato, è dettata allo scopo di scongiurare superflue stasi processuali, verificabili allorquando il giudice che procede possa pervenire agevolmente alla decisione, risolvendo anche la questione pregiudiziale. Il giudice è tenuto, pertanto, a motivare la sussistenza del requisito della particolare complessità della suddetta questione » (Cass. V, n. 1305/1993, anch'essa relativa ad una fattispecie di bancarotta fraudolenta, nella quale la S.C. ha annullato l'ordinanza di sospensione, in quanto adottata prima dell'inizio del dibattimento, senza, perciò, saggiare l'indefettibile aspetto della pregiudiziale; nel medesimo senso, sempre in tema di bancarotta, Cass. V, n. 31074/2001). Ne consegue che, come già osservato in relazione all'art. 3, il giudice dovrà tenere conto della « non manifesta infondatezza » della questione, comparando i benefici derivanti dall'attesa della decisione civile od amministrativa sulla questione pregiudiziale (che eviterebbe il possibile contrasto di giudicati) con i costi derivanti dal tempo necessario perché la relativa sentenza divenga irrevocabile (con il rischio di una lunga paralisi del processo penale). In concreto, anche in questo caso la decisione potrà risultare opportuna quando il giudice penale ritenga possibile che entro breve tempo (valutato anche lo stato del processo civile od amministrativo) sia possibile avere la decisione irrevocabile; al contrario, la sospensione potrà risultare inopportuna quando il giudice penale ritenga che la questione pregiudiziale possa essere risolta incidentalmente con basso rischio di un possibile contrasto di giudicati, oppure quando ritenga inopportuna una stasi prolungata del processo penale, ove il giudicato civile od amministrativo sia lontano dal formarsi. La giurisprudenza di merito (Trib. Pordenone, 19 luglio 1991, Z.), in linea con il predetto orientamento, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 479 nella parte in cui consente la sospensione del processo solo allorché la risoluzione della controversia civile sia “di particolare complessità”, ma non quando appaia “fondata” o “seria”, dato che una controversia in tanto può dirsi complessa, cioè robusta e consistente, in quanto abbia possibilità di essere accolta, e quindi sia seria. Il provvedimento di rigettoLa motivazione ed impugnazione La richiesta di sospensione del dibattimento ai sensi dell'art. 479, pur essendo oggetto di valutazione discrezionale, obbliga il giudice a fornire puntuale motivazione delle ragioni per le quali ritenga superfluo attendere l'esito del giudizio civile o amministrativo dalla cui risoluzione può dipendere la decisione sull'esistenza del reato (Cass. III, n. 17528/2010: nel caso di specie il giudice, investito della richiesta, l'aveva implicitamente rigettata, dichiarando aperto il dibattimento). Il regime d'impugnazione Anche in relazione all'art. 479 (come già per l'art. 3) la giurisprudenza precisa che l'ordinanza emessa in dibattimento, con la quale viene respinta la richiesta di sospensione del processo, non è autonomamente impugnabile, e deve essere impugnata insieme alla sentenza, secondo il principio generale fissato dall'art. 586: la possibilità di impugnare autonomamente la sospensione del dibattimento, in attesa della decisione di una questione pregiudiziale civile o amministrativa, prevista dall'art. 479, comma 2, non è, infatti, estensibile all'ipotesi in cui la sospensione sia rifiutata (Cass. V, n. 6136/1999; Cass. III, n. 1095/1996, che, in applicazione del principio, ha ritenuto non autonomamente impugnabile l'ordinanza emessa in dibattimento con la quale era stata respinta la richiesta di sospensione del processo a causa della pendenza della procedura di sanatoria di un illecito urbanistico). La revoca della sospensioneAi sensi dell'art. 479, comma 3, il giudice può revocare, anche d'ufficio, l'ordinanza di sospensione del dibattimento in attesa della risoluzione della controversia pregiudiziale civile od amministrativa, nei casi in cui il giudizio civile od amministrativo non si sia concluso entro il termine di un anno (Cass. V, n. 8046/1998, relativa ad un caso in cui il giudice di merito, alla scadenza dell'anno, aveva revocato l'ordinanza di sospensione del dibattimento in attesa delle decisione della questione pregiudiziale riguardante la dichiarazione di fallimento, e si era assunto l'onere di risolvere direttamente la questione dell'assoggettabilità dell'imputato al fallimento). Proprio in relazione alla facoltà di revocare la sospensione se il giudizio civile od amministrativo non si sia concluso entro un anno, deve ritenersi che il giudice possa ex ante negare la sospensione ove egli ritenga improbabile la conclusione del diverso giudizio entro quel termine; in verità, i tempi ordinari della giustizia civile ed amministrativa rendono del tutto utopistica l'evenienza dell'irrevocabilità della decisione conclusiva entro un termine così ristretto, e ciò, in linea di massima, orienterà il giudice penale a negare la sospensione, onde evitare paralisi troppo lunghe del giudizio (Beltrani, 178). L'efficacia della sentenza “pregiudicante”La tematica dell'efficacia nel processo penale della sentenza pregiudicante è stato affrontata in assoluta prevalenza con riferimento all'efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento (e successive vicende). L'orientamento giurisprudenziale meno recente riteneva che, nel processo penale, le sentenze che definiscono i giudizi civili od amministrativi aventi ad oggetto questioni pregiudiziali non hanno efficacia di giudicato, in difetto di previsione analoga a quella contenuta nell'art. 3 per le sole pregiudiziali di stato di famiglia o di cittadinanza: tali decisioni dovranno, pertanto, essere valutate nel processo penale ex artt. 187 e 192, comma 3, soltanto ai fini della prova del fatto in esse accertato, alla stregua di ogni altro materiale probatorio utilizzabile (Cass. V, n. 3950/1991; Cass. V, n. 15803/2007). È, peraltro, ormai dominante il contrario orientamento, a parere del quale il giudice penale, investito del giudizio relativo a reati di bancarotta ex artt. 216 e seguenti R.D. 16 marzo 1942, n. 267, non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento, quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza dell'impresa e ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste per la fallibilità dell'imprenditore (Cass. S.U., n. 19601/2008: in applicazione del principio, le Sezioni unite hanno ritenuto che le modifiche apportate all'art. 1 r.d. n. 267/1942 dal d.lgs. n. 5/2006 e dal d.lgs. n. 169/2007, non esercitavano influenza ai sensi dell'art. 2 c.p. sui procedimenti penali in corso; conformi in linea di principio, pur se in riferimento ad applicazioni diverse, Cass. V, n. 9279/2009 e n. 40404/2009). Si è ritenuto che l'autorità giudiziaria ordinaria non ha il potere di valutare la conformità a legge di un arret di un'altra giurisdizione (nella specie, si trattava di una sentenza del tribunale amministrativo regionale coperta da giudicato), in quanto il cittadino — pena la vanificazione dei suoi diritti civili — non può essere privato della facoltà di fare affidamento sugli strumenti della tutela giurisdizionale posti a sua disposizione dall'ordinamento (Cass. III, n. 54/1996, in fattispecie riguardante la configurabilità del reato di costruzione senza concessione edilizia, nella quale era stato disposto un provvedimento di sequestro, nonostante l'esistenza di una pronunzia definitiva del T.A.R. che affermava la legittimità della costruzione; l'orientamento può ritenersi ormai consolidato, essendo stato successivamente ribadito da Cass. III, n. 39707/2003, per la quale, in materia edilizia, il potere del giudice penale di accertare la conformità alla legge ed agli strumenti urbanistici di una costruzione edilizia, e conseguentemente di valutare la legittimità di eventuali provvedimenti amministrativi concessori o autorizzatori, trova un limite nei provvedimenti giurisdizionali del giudice amministrativo passati in giudicato che abbiano espressamente affermato la legittimità della concessione o dell'autorizzazione edilizia ed il conseguente diritto del cittadino alla realizzazione dell'opera — nel caso di specie, peraltro, la S.C. ha evidenziato che le sentenze amministrative invocate dal ricorrente si erano limitate, la prima, a pronunciare un annullamento per mero difetto di motivazione; la seconda, un annullamento per mancata acquisizione di un parere obbligatorio). Si è anche osservato che il giudice penale non ha giurisdizione quando un fatto costituente illecito amministrativo venga portato alla sua cognizione senza connessione oggettiva con il fatto-reato da accertare, ossia senza che risulti necessario, ai fini della cognizione penale, stabilire preventivamente se il fatto sanzionato in via amministrativa sia stato commesso (Cass. I, n. 31662/2004: nel caso di specie, la S.C. ha escluso la giurisdizione del giudice penale sull'accertamento delle violazioni amministrative del codice della strada, relative all'omessa comunicazione dei dati anagrafici alle altre persone coinvolte in un incidente ed alla mancata regolazione della velocità dell'auto, commesse da un imputato per i delitti di omissione di soccorso e simulazione del furto della propria auto, ritenendo insussistente la connessione tra i reati e gli illeciti amministrativi). Le differenze tra le discipline di cui agli artt. 3 e 479Vanno poste in risalto le più significative differenze tra la disciplina di cui all'art. 3 e quella di cui all'art. 479, che pur riguardano situazioni concettualmente analoghe: a) l'art. 3 riguarda le sole questioni pregiudiziali di stato di famiglia o di cittadinanza, mentre l'art. 479 ha un campo di applicazione più ampio; b) l'art. 3 si applica quando le questioni pregiudiziali anzidette condizionino tout court la decisione (e, quindi, riguardino sia elementi costitutivi sia elementi accidentali del reato, sia qualunque conseguenza sanzionatoria — in relazione alla pena principale oppure alle pene accessorie —, od anche inerente all'applicazione di misure di sicurezza), laddove l'art. 479 attribuisce rilevanza alle sole questioni pregiudiziali che condizionino la decisione sull'esistenza del reato (e, quindi, siano inerenti unicamente ad un elemento costitutivo di esso, e non anche, ad esempio, ad un elemento circostanziale, oppure a conseguenze ulteriori del reato stesso); c) la disciplina dettata dall'art. 3 trova applicazione in ogni fase del procedimento penale, mentre quella dettata dall'art. 479 trova applicazione solo nel corso del dibattimento. In proposito, la Corte costituzionale (Corte cost. n. 229/1991), ha affermato che, nel nuovo sistema processuale, non possono essere considerate analoghe, ai fini dell'esistenza di irragionevoli disparità di disciplina, la disciplina della fase preliminare e quella del dibattimento, poiché la prima soltanto è congegnata, nel suo regine ordinario, come procedimento « allo stato degli atti », e che con tale impostazione appare coerente il carattere eccezionale del potere del giudice di sospendere il processo per ragioni di pregiudizialità; per tale ragione, è stata ritenuta la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3, comma 1 (sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.), nella parte in cui non consentono la sospensione del processo fino al passaggio in giudicato della sentenza civile od amministrativa che definisce una questione pregiudiziale di stato diversa da quelle concernenti lo stato di famiglia o di cittadinanza; d) la sentenza civile che decide la questione pregiudiziale di stato di famiglia o di cittadinanza ha, nel processo penale, efficacia di giudicato, mentre quella che decide un'altra questione pregiudiziale civile od amministrativa sarà liberamente valutabile da parte del giudice penale come una fonte di prova (ma senza efficacia di giudicato); e) l'ordinanza che sospende il dibattimento ai sensi dell'art. 3 non è revocabile per effetto del decorso dell'anno, quella che lo sospende ai sensi dell'art. 479. Segue . CasisticaReati fallimentari La giurisprudenza è ferma nel ritenere che l'ambito di applicabilità dell'art. 3 è più limitato rispetto a quello del corrispondente art. 19 del codice di rito abrogato, poiché il primo restringe la pregiudizialità ai soli casi di controversie sullo « stato di famiglia o di cittadinanza », con esclusione di quelle riguardanti lo « status » di fallito: ne consegue che, qualora sia sollevata questione di pregiudizialità del procedimento civile avente ad oggetto questioni di stato relative alla posizione di soggetti sottoposti a procedure concorsuali, la sospensione del processo penale è solo facoltativa ed è consentita se ricorrono le condizioni di cui all'art. 479, che consente, in concreto, la sospensione del processo penale in tutti i casi in cui l'opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento presenti aspetti tali da farne presumere l'accoglimento, e che, al contrario, dovrà essere negata quando l'opposizione appaia di facile soluzione, pretestuosa, e quindi non seria né complessa (Cass. V, n. 1845/1992, e Cass. n. 9441/1996). Reati edilizi Con riguardo ai reati edilizi, la sospensione dell'azione penale finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria, era direttamente imposta dall'art. 22 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 (oggi, art. 45 d.P.R. n. 380/2001, T.U. edilizia), sicché il provvedimento del giudice che dispone tale sospensione ha solo carattere dichiarativo. Si è osservato che l'inutile decorso del termine di sessanta giorni dalla data di presentazione della domanda di sanatoria edilizia determina il formarsi del silenzio-rifiuto della p.a. competente, con conseguente cessazione dell'obbligo del giudice penale di disporre la sospensione del procedimento, pur permanendo il potere dell'autorità amministrativa di rilasciare tardivamente la concessione in sanatoria ove essa accerti, oltre tale termine, l'esistenza dei relativi presupposti (Cass. III, n. 17954/2008). Secondo la giurisprudenza, infine, la semplice proposizione del ricorso al giudice amministrativo avverso il diniego del nulla osta in sanatoria di un abuso urbanistico o paesaggistico non comporta l'obbligo di sospensione del processo penale, atteso che la risoluzione del giudizio amministrativo non esplica effetti sulla sussistenza del reato ma solo sulla sua possibile estinzione, che consegue, comunque, ad una rinnovata valutazione da parte dell'autorità competente (Cass. III, n. 15752/2020). BibliografiaAmbrosetti, I riflessi penalistici derivanti dalla modifica della nozione di piccolo imprenditore nella legge fallimentare al vaglio delle sezioni unite, in Cass. pen. 2008, 3592; Aprile- Silvestri, Il giudizio dibattimentale, Milano, 2006; Beltrani, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003; Carreri, Ancora sulla pregiudiziale fallimentare e sui rapporti tra processo penale e sentenza dichiarativa di fallimento opposta, in Cass. pen. 1992, 187; Corvi, Questioni pregiudiziali e processo penale, Padova, 2007; Dean, Sulla sospensione del procedimento di riesame a seguito di incidente di costituzionalità, in Giur. it. 1997, 350; Marzaduri, voce Questioni pregiudiziali (dir. proc. pen.), in Enc. dir., VI Agg., Milano, 2002, 921; Morello, Il nuovo processo penale. Parte generale, Padova, 2000; Paola, voce Questioni pregiudiziali, in Dig. d. pen., X, Torino, 1995, 603; Plotino, Il dibattimento nel nuovo codice di procedura penale, Milano, 1996; Proto, La Corte di Cassazione frena gli effetti della nuova disciplina della pregiudizialità, in Cass. pen. 1991, II, 455; Rivello, Il dibattimento nel processo penale, Torino, 1997; Rivello, voce Sospensione del processo, in Dig. d. pen., XIV, Torino, 1999, 482; Scarcella, Reati di bancarotta e (in)sindacabilità in sede penale della sentenza dichiarativa di fallimento, in Dir. pen. e proc. 2009, 482. |