Codice di Procedura Penale art. 494 - Dichiarazioni spontanee dell'imputato.Dichiarazioni spontanee dell'imputato. 1. Esaurita l'esposizione introduttiva [493], il presidente informa l'imputato che egli ha facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento [489, 523 5] le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione e non intralcino l'istruzione dibattimentale [496 s.]. Se nel corso delle dichiarazioni l'imputato non si attiene all'oggetto dell'imputazione, il presidente lo ammonisce e, se l'imputato persiste, gli toglie la parola. 2. L'ausiliario [126] riproduce integralmente le dichiarazioni rese a norma del comma 1, salvo che il giudice disponga che il verbale sia redatto in forma riassuntiva [140]. InquadramentoIn un processo improntato ai principi di oralità (art. 2 dir. 2 l. del.) e del contraddittorio (art. 111 Cost.), le dichiarazioni rese in dibattimento dalle parti private assumono rilevanza fondamentale. La possibile partecipazione dell'imputato al procedimento penale si articola attraverso una composita serie di « contatti » (con il p.m. ed il g.i.p., nel corso della fase delle indagini preliminari; con il g.u.p., nel corso dell'udienza preliminare; con il giudice, nel corso del dibattimento): a) l'interrogatorio, che è reso nel corso delle indagini preliminari, è regolato, in generale, dagli artt. 64-66, e può essere assunto dal p.m. (direttamente — artt. 294, comma 6, 364, 374-375, 388, 415-bis, comma 3— ovvero attraverso la polizia giudiziaria delegata — art. 370 —) o dal G.i.p. (artt. 294, 299, comma 3-ter, 391, 421, 422, comma 3); b) le spontanee dichiarazioni, regolate per la fase dibattimentale dall'art. 494, ma consentite anche nel corso delle indagini preliminari: non può, ovviamente, mai essere negata all'incolpato la facoltà di aggiungere, alle risposte rese in sede di interrogatorio, quant'altro egli ritenga utile a sua difesa, in relazione agli addebiti che gli sono mossi (v., in particolare, art. 350, comma 7); c) l'esame in dibattimento, regolato dagli artt. 208 s. e 503 (richiamati dall'art. 559, comma 3 per il dibattimento che si svolge dinanzi al giudice monocratico). Costituisce un mezzo di difesa (se richiesto dallo stesso imputato), ovvero un mezzo di prova (se richiesto dalle altre parti), ed è subordinato, in considerazione di tale sua natura ambivalente, rispettivamente, alla richiesta oppure al consenso dell'imputato, al fine di consentire allo stesso di determinarsi liberamente, secondo la migliore convenienza, tenuto conto delle possibili conseguenze (favorevoli o sfavorevoli) che possono derivarne: « la subordinazione dell'esame dell'imputato alla sua richiesta od al suo consenso assicura la conservazione del suo stato e della sua posizione in seno al dibattimento ed impedisce che egli si trasformi in un testimone volontario, fermo restando che non è affatto tenuto a discolparsi e che l'accusa deve provare la sua colpevolezza » (Corte cost. n. 221/1991); d) le dichiarazioni conclusive, che l'imputato ha facoltà di rendere all'esito della discussione, ottenendo la parola per ultimo, se la domandi (art. 523, comma 5). Le altre parti private possono essere esaminate in qualità di testimoni o di parti; il giudice può ammettere anche le stesse (come si ritiene possibile per i testimoni: Cass. V, n. 7536/1993) a rendere dichiarazioni spontanee integrative delle risposte date alle domande e pertinenti al tema di prova, sia nel corso dell'esame incrociato, sia in un momento successivo, ed in entrambi i casi può legittimamente utilizzare le dichiarazioni in tale modo rese ai fini della formazione del proprio convincimento. Le stesse parti potrebbero presentare, in ogni stato del dibattimento, memorie scritte ex art. 121, e sarebbe illogico precludere loro analoga facoltà sol perché esercitata oralmente. Le dichiarazioni spontanee dell'imputatoAl termine dell'indicazione dei fatti che le parti intendono provare e delle richieste di ammissione delle prove, il giudice deve informare l'imputato che quest'ultimo ha facoltà di rendere, in ogni stato del dibattimento, le dichiarazioni che ritiene più opportune (art. 494, comma 1). L'avvertimento deve essere rivolto all'imputato (che, in tal modo, è messo in condizione di esercitare immediatamente la facoltà) all'esito delle esposizioni introduttive, e prima della decisione sulle istanze istruttorie. L'esercizio della facoltà presuppone la presenza fisica dell'imputato in udienza (è stato ritenuto legittimo il provvedimento del giudice di merito di rigetto dell'istanza di rendere dichiarazioni spontanee in videoconferenza, avanzata da un imputato contumace residente all'estero: Cass. fer., n. 35729/2013), ed incontra due limiti: a) le dichiarazioni devono riferirsi all'oggetto dell'imputazione... b)... e non devono intralciare l'istruzione dibattimentale. Con riguardo al primo limite, si prevede (art. 494, comma 1, ult. parte) che, se nel corso delle suddette dichiarazioni l'imputato non si attiene all'oggetto dell'imputazione, il giudice lo ammonisce e, se l'imputato persiste, gli toglie la parola. Con riguardo al secondo, spetta al giudice stabilire quale è il momento più opportuno per l'esercizio della suddetta facoltà, quando l'imputato ne abbia fatto richiesta. Le spontanee dichiarazioni costituiscono uno strumento di autodifesa (pur non potendosi, in fatto, escludere che possano avere una vera e propria valenza confessoria o che, comunque, possano derivarne elementi di prova a carico dell'imputato), e sono rese dall'imputato liberamente (salvi i limiti sopra indicati), senza domande né contestazioni delle parti o del giudice. Tuttavia, non è preclusa al giudice la facoltà di richiedere all'imputato precisazioni o chiarimenti in ordine al significato ed alla portata di eventuali dichiarazioni oscure od equivoche, ovvero di sollecitare dichiarazioni su alcuni punti (in funzione di stimolo alla collaborazione dell'imputato per l'accertamento dei fatti che gli sono contestati), fermo restando l'insindacabile diritto dell'imputato di non accogliere la sollecitazione, senza che possa derivarne a suo carico alcuna conseguenza sfavorevole (Beltrani 388). Nel medesimo senso, in giurisprudenza, Cass. V, n. 2929/2019. La giurisprudenza ha ritenuto che le dichiarazioni difensive dell'imputato sono rimesse al potere discrezionale dello stesso (poiché egli, in quanto titolare dello ius dicendi et postulandi, può articolare come meglio crede la sua difesa, sottoponendosi o meno ad esame e/o rilasciando dichiarazioni spontanee in qualsiasi momento del dibattimento), e, pertanto, non grava sul giudice di merito alcun obbligo di acquisizione di dichiarazioni eventualmente rese dallo stesso imputato in altro processo connesso, in quanto egli ben avrebbe potuto direttamente difendersi innanzi al predetto giudice (Cass. V, n. 4384/1999). Gli effetti delle spontanee dichiarazioniLe dichiarazioni rese spontaneamente dall'imputato possono legittimare: a) la revoca dell'ordinanza di ammissione delle prove; b) l'esercizio, da parte del giudice, del potere di indicare alle parti temi nuovi o più ampi; c) l'ammissione d'ufficio di nuove prove (ex art. 507). Al contrario, esse non legittimano le parti a richiedere, dopo l'effettuazione delle richieste di prova (art. 493), l'ammissione di nuovi mezzi di prova, ma, al più, a sollecitare l'esercizio da parte del giudice dei poteri d'ufficio. Deve ritenersi legittima, in caso di rifiuto dell'imputato di sottoporsi all'esame dibattimentale, la lettura dei verbali contenenti le dichiarazioni spontanee da questi in precedenza rese dinanzi al Tribunale del riesame (Cass. III, n. 17391/2011: la S.C. ha precisato che il recupero delle dichiarazioni — nella specie confessorie — rese nel corso dell'udienza dinanzi al tribunale del riesame è in linea con il precetto normativo di cui all'art. 513, comma 1), così come la volontaria assenza dell'imputato all'udienza dibattimentale fissata per l'assunzione del suo esame legittima il giudice a dare lettura delle dichiarazioni già rese nelle indagini preliminari, in applicazione dell'art. 513, comma 1; peraltro, la mancata rinnovazione di tale atto durante la prosecuzione dell'istruttoria non determina alcuna nullità ex art. 178, comma 1, lett. c) o, comunque, una concreta menomazione del diritto di difesa, atteso che egli può avvalersi della facoltà di rendere dichiarazioni spontanee e di domandare per ultimo la parola in sede di discussione (Cass. I, n. 31624/2014). CasisticaAmmissibilità o meno nel corso della discussione conclusiva. Si è posto il problema dell'ammissibilità o meno di spontanee dichiarazioni dell'imputato nel corso della discussione conclusiva: la giurisprudenza ha, in proposito, affermato che la facoltà dell'imputato di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all'oggetto dell'imputazione, va coordinata con la previsione del comma sesto dell'art. 523, secondo cui l'interruzione della discussione può essere giustificata solo dall'assoluta necessità di assunzione di nuove prove, talché, non essendo assimilabili le dichiarazioni spontanee dell'imputato a nuove prove, deve escludersi la facoltà dello stesso imputato di rendere dette dichiarazioni, (anche attraverso un memoriale in forma scritta indirizzato al giudice: Cass. V, n. 12603/2017), fermo restando il suo diritto di avere la parola per ultimo, se lo richiede (Cass. II, n. 31624/2014; Cass. III, 16677/2021). Dichiarazioni spontanee rese dall’imputato in appello prima della discussione Secondo la giurisprudenza, le dichiarazioni spontanee rese, ai sensi dell'art. 494, in appello prima della discussione dall'imputato sottrattosi al contraddittorio, non sono idonee a confutare il quadro probatorio complessivamente considerato, non potendo essere equiparate alle dichiarazioni rese in sede di esame, né utilizzate come prove a carico di terzi (Cass. II, n. 30653/2020). BibliografiaBeltrani, Il dibattimento penale monocratico, Torino, 2003; Plotino, Il dibattimento nel nuovo codice di procedura penale, Milano, 1996. |