Codice di Procedura Penale art. 512 - Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione.

Alessandro Trinci

Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione.

1. Il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso della udienza preliminare [422] quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione 1.

1-bis. È sempre consentita la lettura dei verbali relativi all'acquisizione ed alle operazioni di distruzione degli atti di cui all'articolo 240 2.

 

[1] [1] Comma dapprima modificato dall'art. 8 d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., nella l. 7 agosto 1992, n. 356 e successivamente dall'art. 18 l. 7 dicembre 2000, n. 397. Il testo in vigore prima di quest'ultima modifica era il seguente: «1. Il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero e dal giudice nel corso della udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione». Di tale formulazione: - Corte cost., 16 maggio 1994, n. 179, con sentenza interpretativa di rigetto, nel dichiarare infondata una questione di legittimità costituzionale degli artt. 500 comma 2-bis e 512, ha affermato che il presente articolo «non preclude la lettura delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari da prossimi congiunti dell'imputato, citati come testi, che si siano avvalsi al dibattimento della facoltà di non rispondere». - Corte cost., 25 ottobre 2000, n. 440, con sentenza interpretativa di rigetto, nel dichiarare infondata una questione di legittimità costituzionale, ha affermato che: «non è consentito dare lettura delle dichiarazioni in precedenza rese dai prossimi congiunti dell'imputato che in dibattimento si avvalgono della facoltà di astenersi dal deporre a norma dell'articolo 199 codice di procedura penale, in quanto tale situazione non rientra tra le cause di natura oggettiva di impossibilità di formazione della prova in contraddittorio».

Da ultimo la Corte cost. 20 ottobre 2020, n. 218 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non prevede che, alle condizioni ivi stabilite, sia data lettura delle dichiarazioni rese al giudice per le indagini preliminari in sede di interrogatorio di garanzia dall’imputato di un reato collegato a norma dell’art. 371, comma 2, lettera b), che, avendo ricevuto l’avvertimento di cui all’art. 64, comma 3, lettera c), sia stato citato per essere sentito come testimone.

[2] [2] Comma aggiunto dall'art. 2 d.l. 22 settembre 2006, n. 259, conv., con modif., in l. 20 novembre 2006, n. 281. Le parole «, comma 2», che seguivano la parola «284» sono state soppresse in sede di conversione in legge del medesimo decreto.

Inquadramento

L'articolo in esame, in ossequio al principio di non dispersione dei mezzi di prova, consente un eccezionale «ripescaggio» del materiale probatorio raccolto fuori dal contraddittorio dibattimentale di cui, imprevedibilmente, sia divenuta impossibile la ripetizione.

Aspetti generali

La deroga al principio del contraddittorio nella formazione della prova sottesa alla disciplina contenuta nell'art. 512 trova fondamento costituzionale in quella «accertata impossibilità di natura oggettiva » di cui parla il comma 5 dell' art. 111 Cost., di cui la norma in commento costituisce ipotesi paradigmatica (Corte cost., n. 355/2003).

In dottrina, v. Garuti, in Dominioni-Corso-Gaito-Spangher-Dean-Garuti-Mazza, 605.

Trattasi di una previsione eccezionale, insuscettibile di estensione analogica a casi non espressamente disciplinati (Cesari, 11).

Poiché la norma costituzionale richiede che l'impossibilità sia “accertata” ed “oggettiva”, da un lato, si impone la verifica della sussistenza e della portata del fattore impeditivo, mentre dall'altro, occorre che tale fattore sia assimilabile a situazioni di forza maggiore, come il decesso, la grave infermità, la scomparsa, l'inabilità a deporre, ecc., tagliando fuori tutti i casi riconducibili ad opzioni libere e volontarie della fonte di prova di sottrarsi all'esame testimoniale.

Quest'ultima ipotesi, infatti, ricade nei divieti di cui agli artt. 111, comma 4, Cost., art. 526, comma 1-bis, e 6, § 3, lett. d), Cedu, che vietano di fondare una pronuncia di condanna, in misura esclusiva o determinante, sulle dichiarazioni di chi, sottraendosi al contraddittorio, abbia impedito alla difesa di porgli domande.

Si va consolidando in giurisprudenza una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell'art. 512 che, conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, esclude che una sentenza di condanna possa basarsi unicamente o in misura significativa su dichiarazioni acquisite, seppure legittimamente, ai sensi della suddetta norma (Cass. I, n. 14807/2012).

Tuttavia, deve osservarsi che la giurisprudenza interna, recuperando un  orientamento della Corte di Strasburgo (Corte Edu , 15 dicembre 2011, Al Khawaja e Tahery c. Regno Unito;

Corte EDU, 15 dicembre 2015, Schatschaschwili c. Germania), ha ritenuto che una sentenza di condanna che si basi unicamente o in misura determinante su una testimonianza resa in fase di indagini da un soggetto che l'imputato non sia stato in grado di interrogare o far interrogare nel corso del dibattimento, integra una violazione dell'art. 6 Cedu  solo se il pregiudizio così arrecato ai diritti di difesa non sia stato controbilanciato da elementi sufficienti, ovvero da solide garanzie procedurali in grado di assicurare l'equità del processo nel suo insieme (Cass. VI, n. 2296/2013, che ha escluso la violazione dell'art. 6 Cedu in un caso in cui le dichiarazioni rese in sede di indagini, acquisite in dibattimento ex art. 512-bis, non erano risultate indispensabili per sostenere la fondatezza dell'accusa, essendo, quest'ultima, risultata provata alla luce di ulteriori emergenze processuali). 

Più recentemente, la Suprema Corte ha chiarito che i presidi di garanzia utili a bilanciare il difetto di contraddittorio possono rinvenirsi non solo nella eventuale presenza di "conferme esterne" al dichiarato, ma anche nella verifica della credibilità dei contenuti accusatori effettuata attraverso il controllo del "rispetto delle garanzie procedurali" che assistono l'acquisizione delle dichiarazioni in fase investigativa (Cass . II, n. 19864/2019). Più in dettaglio, la Corte osserva che la legittima acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni rese in fase investigativa da persona successivamente divenuta irreperibile richiede: a) l'accertamento rigoroso della irreperibilità, attraverso l'effettuazione di ricerche da effettuare sia sul territorio nazionale, che sul territorio estero, attraverso il ricorso a tutti gli strumenti di ricerca disponibili; b) la verifica della "ragione dell'allontanamento", funzionale alla doverosa esclusione della riconducibilità dello stesso alla volontà di sottrarsi al contraddittorio; c) la valutazione della imprevedibilità dell'irreperibilità nella fase investigativa, dato che la eventuale prevedibilità impone l'attivazione del contraddittorio incidentale; d) la verifica che le dichiarazioni siano state raccolte con il rispetto di "adeguate garanzie procedurali", o in alternativa, la verifica dell'esistenza di elementi di conferma esterna ai contenuti accusatori.

Ancor più di recente, la Suprema Corte ha statuito che le modalità di raccolta delle dichiarazioni predibattimentali acquisite devono rassicurare circa la genuinità delle informazioni ed escludere rischi di suggestione o eteroinduzione; inoltre, le dichiarazioni devono essere compatibili con i dati di contesto, tra i quali possono essere incluse anche le dichiarazioni dei testi "indiretti", che hanno percepito in ambiente extraprocessuale le dichiarazioni accusatorie della fonte primaria contenute nelle dichiarazioni acquisite (Cass. II, n. 15492/2020). In relazione a quest'ultimo aspetto, la Corte ha precisato che ciò che corrobora la credibilità della dichiarazione predibattimentale "diretta" non è il contenuto omologo e derivato della dichiarazione de relato, inevitabilmente confirmatoria di informazione provenienti dalla medesima sorgente di conoscenza, quanto la circostanza che il dichiarante assente abbia riferito ad altri i contenuti accusatori introdotti nel fascicolo del dibattimento attraverso l'art. 512.

Su questo solco si sono collocate altre pronunce che hanno ammesso la possibilità di utilizzare le precedenti dichiarazioni del testimone sottrattosi al contraddittorio, purché corroborate da altri elementi ai sensi dell'art. 192, comma 3.

Si è osservato, però, che a rigore, l'art. 526, comma 1-bis, vieterebbe tout court di impiegare, in qualsiasi modo, le suddette dichiarazioni per fondare una statuizione di colpevolezza (Busetto, 53).

È stato inoltre rilevato che l'interpretazione offerta dai giudici di Strasburgo e ripresa dalle decisioni interne rischia di rivelarsi priva di contenuto e non selettiva, ove non si definisca in quali casi una prova assunta prima e fuori del dibattimento, ovvero non in contraddittorio, assuma carattere determinante ai fini dell'affermazione di responsabilità (Beltrani, 6-7). Invero, le più recenti decisioni della Corte Edu, pur in difetto di una consapevole affermazione di principio in tal senso, sembrano nei fatti reclamare addirittura l'autosufficienza, ai fini dell'affermazione di responsabilità, degli “elementi ulteriori”, rendendo in concreto inutile la valorizzazione della prova predibattimentale (cui potrebbe al più essere attribuita valenza ai fini della prova di una circostanza aggravante o della gravità del fatto-reato ex art. 133 c.p. ma non ai fini della prova del suo verificarsi) (cfr. Corte EDU, 12 ottobre 2017, Cafagna c/Italia). Al contrario, come vedremo meglio oltre, la giurisprudenza interna continua a ritenere rispettosa dei principi affermati dalla Corte Edu l'affermazione di responsabilità fondata su una prova non assunta in contraddittorio e su ulteriori “elementi di prova”, senza precisare se questi ultimi possano avere carattere accessorio, e non essere a loro volta autonomamente determinanti.

Va detto che ad avviso della Suprema Corte i limiti enucleati dalla giurisprudenza europea all'utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali non operano nei casi in cui tali dichiarazioni siano state recuperate non già, o non solo, per accertata irripetibilità, ma con il consenso espresso dell'imputato, o almeno in parte su tale base (Cass. n. II, 22/2022). Si è infatti osservato che le garanzie del giusto processo di cui all'art. 6 Cedu sono, a determinate condizioni, rinunciabili. Secondo la giurisprudenza convenzionale, in particolare, né il testo né lo spirito dell'articolo citato impediscono ad una persona di rinunciare spontaneamente (in tutto o in parte), in maniera espressa o tacita, alle garanzie di un giusto processo (Corte EDU, 30 novembre 2000, Kwiatkowska c. Italia), ma la rinuncia può, tuttavia, essere considerata convenzionalmente valida ed efficace soltanto se risulti inequivocabile, se sia assistita da un minimo di garanzie proporzionate alla sua rilevanza e se non risulti in contrasto con alcun interesse pubblico di rilievo (Corte EDU, Grande Camera, 25 febbraio 1992, Pfeifer e Plankl c. Austria; Corte EDU, Grande Camera, 18 ottobre 2006, Hermi c. Italia; Corte EDU, Grande Camera, 20 ottobre 2015, Dvorski c. Croazia). Più nello specifico, la Suprema Corte ritiene che la rinuncia al diritto di esaminare un testimone possa desumersi dalla prestazione del consenso all'acquisizione delle dichiarazioni accusatorie formulate dal testimone nelle fasi precedenti al dibattimento; inoltre, si ritiene che tale consenso non sia in contrasto con alcun interesse pubblico di rilievo, che tale decisione sia assistita da un minimo di garanzie proporzionate alla sua rilevanza se l'imputato abbia avuto la possibilità di determinarsi liberamente e senza coercizioni alla prestazione del predetto consenso e se lo stesso abbia avuto la facoltà di far esaminare in contraddittorio gli ulteriori testimoni di accusa, e che si tratti di una decisione consapevole ed informata quando viene assunta con l'ausilio di un difensore.

Sul tema dell’utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali si è pronunciata anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, stabilendo che l’art. 8, par. 1, Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016 (sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, in combinato disposto con gli articoli 47, par. 2, e 48, par. 2, Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea) va interpretato nel senso che “esso osta all’applicazione di una normativa nazionale che consente a un giudice nazionale, qualora non sia possibile esaminare un testimone a carico nella fase giudiziale di un procedimento penale, di fondare la sua decisione di colpevolezza o innocenza dell’imputato sulla deposizione di detto testimone ottenuta in occasione di un’audizione condotta dinanzi a un giudice nel corso della fase predibattimentale di tale procedimento, ma senza la partecipazione dell’imputato o del suo difensore, a meno che sussista un motivo serio che giustifichi la mancata comparizione del testimone nella fase giudiziale del procedimento penale, che la deposizione di tale testimone non costituisca il fondamento unico o decisivo della condanna dell’imputato e che sussistano elementi di compensazione sufficienti per controbilanciare le difficoltà causate a tale imputato e alla sua difesa a seguito della presa in considerazione di detta deposizione” (CGUE, 8 dicembre 2022, causa C-348/21).

Irripetibilità

Perché possa darsi lettura in dibattimento di verbali contenenti sommarie informazioni testimoniali sono necessarie due condizioni:

a) l'irripetibilità dell'atto in dibattimento in dipendenza di una situazione non ordinariamente superabile;

b) l'imprevedibilità, al momento in cui l'atto è stato assunto, della situazione che lo ha reso non ripetibile in dibattimento.

Mentre l'irripetibilità ex art. 431 è intrinseca e strutturalmente congenita all'atto, quella prevista dall'art. 512 è una irripetibilità sopravvenuta ed estrinseca che può essere determinata solo da fattori esterni all'atto (Frigo, in Chiavario, IV, 723).

Avuto riguardo al chiaro tenore letterale della norma e al suo carattere eccezionale rispetto al principio dell'oralità del processo, ad integrare la prima condizione non è sufficiente la mera difficoltà di ripetizione dell'atto, in quanto ciò comporterebbe una estensione della deroga oltre i limiti compatibili con le linee fondamentali del processo accusatorio, ma occorre una impossibilità assoluta (Cass. I, n. 13765/1999).

Ciò comporta che il giudice deve verificare l'esperibilità di soluzioni processuali alternative, come l'esame a domicilio, la rogatoria internazionale o l'accompagnamento coattivo (Ferrua, 180).

Tra le situazioni che configurano un'ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddittorio fra le parti, vanno ricomprese il decesso (anche presunto exartt. 58 ss. c.c.), l'infermità mentale (Cass. I, n. 19511/2010, che vi ha ricondotto la sindrome di Ganser; C. Cost., n. 20/1995, che vi ha ricondotto la patologia determinante nel teste un'assoluta amnesia sui fatti del giudizio; Cass. III, n. 40195/2007, che vi ha ricondotto il blocco psicologico-emotivo) e l'irripetibilità della fonte (Cass. II, n. 4290/2003).

Più in dettaglio, per quando riguarda l'irreperibilità, ad integrare la predetta ipotesi non è sufficiente l'infruttuoso espletamento delle ricerche previste dall'art. 159, ma è necessario che il giudice compia tutti gli accertamenti congrui alla peculiare situazione personale del dichiarante, quale risultante dagli atti, dalle deduzioni specifiche eventualmente effettuate dalle parti, nonché dall'esito dell'istruttoria svolta nel corso del giudizio, ovvero dia conto, con motivazione non apparente e non manifestamente illogica o contraddittoria, dell'apprezzamento compiuto sulla ragionevole impossibilità di svolgere ulteriori ed efficaci ricerche del dichiarante (Cass. VI, n. 16445/2014, che ha ritenuto insufficiente la ricerca dei due testimoni, che erano stati agevolmente reperiti per l'udienza precedente rispetto a quella nella quale era stata disposta l'acquisizione delle loro dichiarazioni, benché, già allora, risultasse avvenuto il presunto mutamento di abitazione di uno dei due e fosse stato reperito l'altro al domicilio ove successivamente era stato indicato come «sconosciuto»).

Deve escludersi che costituisca idonea prova dell'irreperibilità una verifica burocratica, che prenda semplicemente atto del difetto di notificazione o che si limiti alle risultanze anagrafiche (Cass. VI, n. 18150/2003).

Per quanto riguarda, invece, le  ricerche del testimone tramite il recapito telefonico dallo stesso fornito , la Suprema Corte ha chiarito che tale attività non è necessaria ai fini della completezza degli adempimenti prescritti per assicurare la presenza in udienza del testimone se non vi sono elementi per ritenere che il soggetto ricercato utilizzasse effettivamente l'utenza telefonica disponibile nel periodo di svolgimento delle ricerche ( Cass. III, n. 495/2022 ).

Se si tratta di cittadino straniero, l'obbligo di effettuare ricerche, anche all'estero, va necessariamente correlato all'esistenza di precisi elementi di collegamento tra tale soggetto e il paese di origine, desumibili dagli atti o allegati dall'interessato, in assenza dei quali dette ricerche avrebbero carattere esplorativo e si risolverebbero, in mancanza di qualsiasi altro elemento, in un'attivazione meramente formale di difficile realizzazione, e pertanto non esigibile secondo canoni di ragionevolezza (Cass. III, n. 12927/2022).

Poiché l'irreperibilità è di per sé una situazione “neutra”, nel senso che le sue cause potrebbero essere le più diverse e affatto indipendenti dal processo nel cui ambito assume rilievo, il giudice deve escludere che la irreperibilità del teste sia la conseguenza di una scelta del dichiarante per sottrarsi all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore, scelta che deve essere volontaria e libera da influenze esterne che la rendano non spontanea (artt. 526, comma 1-bis, 111, comma 4, Cost. e 6Cedu). Per indirizzare il giudice di merito nella valutazione ad esso riservata, la giurisprudenza della Suprema Corte ha messo in rilievo l'utilizzo di “indici sintomatici”, quale l'avvenuta citazione del teste per l'udienza, « nel senso che l'irreperibilità sopravvenuta a tale notizia può certamente assumere il connotato della libera scelta di sottrarsi all'esame », « invece l'irreperibilità sopravvenuta, non correlata a elementi che denotino una manifestazione di volontà esplicita in relazione all'obbligo di testimoniare e non correlata ad una citazione a giudizio, non può essere considerata presuntivamente come volontaria scelta di sottrarsi all'esame dell'imputato » (Cass. II, n. 43331/2007).

Ai fini dell'operatività del divieto di provare la colpevolezza dell'imputato sulla base, unicamente o in misura determinante, di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'esame da parte dell'imputato o del suo difensore (art. 526, comma 1-bis), non è necessaria la prova di una specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio, ma è sufficiente — in conformità ai principi convenzionali (art. 6 Cedu) — la volontarietà della assenza del teste, determinata da una qualsiasi libera scelta, non inficiata da elementi esterni (Cass. S.U. , n. 27918/2010; Cass. III, n. 3068/2016).

Qualora risulti impossibile accertare i fattori impeditivi del confronto dibattimentale, cui è subordinato il divieto di utilizzazione, si ritiene non operante la preclusione di cui all'art. 526, comma 1-bis (Cass. III, n. 12634/2010). Tuttavia, in una successiva decisione, la Suprema Corte ha ritenuto che l'utilizzazione, previa lettura, delle dichiarazioni predibattimentali di un soggetto divenuto successivamente irreperibile, in funzione di provare la colpevolezza dell'imputato presuppone, da parte del giudice, un rigoroso accertamento sulla causa dell'irreperibilità, in modo da escludere che essa dipenda dalla volontà di sottrarsi all'esame dibattimentale (Cass. VI, n. 12374/2013, che ha annullato la decisione del giudice di merito che aveva acquisito ed utilizzato la dichiarazione predibattimentale, sul presupposto che non erano state individuate le ragioni dell'irreperibilità del testimone).

Non può essere equiparato alla volontaria sottrazione all'esame ex art. 526, comma 1-bis, il suicidio del dichiarante, in quanto la suddetta norma presuppone, in ogni caso, la potenziale attuabilità dell'audizione (Cass. I, n. 13967/2015; Cass. I, n. 2596/2002).

Dopo alcune oscillazioni di dottrina e giurisprudenza (anche costituzionale), è ormai consolidata la conclusione che l'art. 512 non consente di dare lettura delle dichiarazioni rese in precedenza dai prossimi congiunti dell'imputato che in dibattimento si siano avvalsi della facoltà di astenersi dal deporre a norma dell'art. 199, in quanto tale situazione non rientra tra le cause di natura oggettiva di impossibilità di formazione della prova in contraddittorio prevista dalla nuova normativa (Cass. V, n. 1721/2016;Cass. II, n. 9588/2004; Corte cost. n. 440/2000).

Diversa è la conclusione per quanto riguarda gli imputati diversi dal prossimo congiunto del teste astenutosi. Infatti, poiché la facoltà di astensione prevista dall'art. 199 non si estende anche a quella parte della testimonianza concernente soggetti diversi dal prossimo congiunto del testimone, le dichiarazioni rese da quest'ultimo nel corso delle indagini preliminari e riferibili a soggetti diversi dal congiunto imputato sono acquisibili nel dibattimento, in caso di rifiuto di deporre, ai sensi dell'art. 512, essendo imprevedibile un rifiuto di ribadire una testimonianza precedentemente resa (Cass. I, n. 2963/2005).

Imprevedibilità

Oltre all'impossibilità di ripetere l'atto in dibattimento, occorre anche accertare che tale impedimento fosse imprevedibile al momento in cui fu compiuto l'atto.

Il requisito in esame ha lo scopo di evitare che siano eluse le regole sull'incidente probatorio, soprattutto da parte del pubblico ministero. Infatti, se vi è la possibilità che il testimone non possa essere in futuro escusso in dibattimento, è diritto-dovere per il pubblico ministero procedente di richiedere l'incidente probatorio, in modo che la prova sia assunta con metodo dialettico (Cordero, 719).

Al giudice è quindi richiesto di formulare un giudizio prognostico postumo sulla prevedibilità dell'evento che ha reso impossibile la rinnovazione dibattimentale dell'atto. Tale valutazione va compiuta ex ante, avuto riguardo non a mere possibilità o evenienze astratte ed ipotetiche, ma sulla base di conoscenze concrete, di cui la parte interessata poteva disporre fino alla scadenza del termine entro il quale avrebbe potuto chiedere l'incidente probatorio (Cass. I, n. 3135/2021Cass. VI, n. 21312/2018; Cass. II, n. 49007/2014). Ciò che occorre stabile è se tali conoscenze rendevano probabile, secondo l'id quod plerumque accidit, vale a dire secondo il corso ordinario dei fatti, l'intervento di fattori incidenti negativamente sulla ripetibilità dell'atto stesso (Cass. I, n. 5168/1995).

Il giudizio deve essere sorretto da una motivazione che sia logica ed adeguata e che, sotto questi profili, è soggetta al controllo di legittimità (Cass. I, n. 45862/2011; Cass. III, n. 23282/2004, che ha ritenuto illogica e carente la motivazione del giudice di merito, per il quale la mera nazionalità extracomunitaria delle testimoni ed il fatto che le stesse fossero dedite alla prostituzione erano sufficienti a prevedere la loro irreperibilità, in quanto il giudice non ha considerato la circostanza che le testimoni, dopo l'esame da parte degli organi di polizia giudiziaria, erano state ricoverate presso una struttura protetta della polizia giudiziaria).

Il parametro della imprevedibilità presuppone che la prova non sia ripetibile in contraddittorio per evenienze non imputabili alle parti. Ne consegue che un accertamento distruttivo, come un'analisi che modifica in modo irreversibile le cose che ne sono oggetto, non può transitare nel fascicolo dibattimentale ai sensi dell'art. 512. In questo caso, infatti, occorre applicare la disciplina di cui agli artt. 360 e 117 disp. att. (Cass. I, n. 11886/2002).

Come già detto sopra, se il pubblico ministero ritiene probabile la futura irreperibilità del dichiarante, deve sollecitarne l'esame con l'incidente probatorio. Tuttavia, qualora tale richiesta venga respinta, deve ritenersi integrato il presupposto per la successiva acquisizione dibattimentale delle dichiarazioni ex art. 512, perché il provvedimento reiettivo del giudice dimostra che non era prevedibile la successiva irripetibilità del testimone (Cass. I, n. 8004/1995).

All'ipotesi in cui le parti non si siano attivate per promuovere la procedura dell'incidente probatorio, deve equipararsi il caso in cui la procedura sia stata attivata con ingiustificato ritardo, tanto da non aver più potuto trovare attuazione. Viceversa, qualora ci sia stata una tempestiva iniziativa delle parti, l'irripetibilità comunque verificatasi non impedisce la successiva lettura degli atti di indagine (Cesari, 185).

Se la morte costituisce indubbiamente il principale fattore di impossibilità sopravvenuta di ripetizione della prova, l'età anagrafica avanzata del dichiarante non rende prevedibile tale impossibilità al momento delle indagini (Cass. IV, n. 24688/2016; Cass. VI, n. 11905/2013), trattandosi di un fatto neutro, se non accompagnato da ulteriori elementi specifici che facciano apparire come imminente il decesso. Allo stesso modo per l'improvviso peggioramento di una patologia preesistente, anche di natura psichica, in assenza di fattori prognostici (Cass. I, n. 24249/2004).

In merito alla morte del querelante la Suprema Corte ha più volte statuito che si tratta di una ipotesi di impossibilità di natura oggettiva che consente l'acquisizione dell'istanza punitiva ai sensi dell'art. 512 e l'utilizzabilità a fini probatori, senza che ciò determini una violazione dell'art. 6 CEDU qualora la sentenza di condanna si fondi in modo esclusivo o significativo sulla querela, in quanto la sopravvenuta morte del dichiarante non può essere collegata all'intento di sottrarsi al contraddittorio dibattimentale (Cass. VI, n. 6846/2016; Cass. II, n. 51416/2013).

Va detto che sul tema si è pronunciata anche la Corte EDU, ritenendo legittima una condanna inflitta da parte di una Corte bulgara a due imputati accusati di violenza sessuale di gruppo, la cui principale prova a carico era costituita dalle dichiarazioni rese dalla vittima, deceduta a causa di un tumore prima dell'inizio del processo. La Corte di Strasburgo ha osservato che la morte della vittima costituiva una strong reason per non sentire a dibattimento la persona offesa e per acquisire, come prova a carico dei due imputati, le dichiarazione che la stessa aveva fatto durante l'indagine; inoltre, la condanna dei due imputati si era fondata su un insieme di prove rispetto alle quali le dichiarazioni della vittima costituivano solo uno degli elementi a carico. Nella sentenza i giudici europei osservano infine che i ricorrenti avevano avuto adeguate garanzie procedurali per controbilanciare gli handicaps derivanti dall'ammissione delle dichiarazioni della persona offesa e ciò aveva garantito che il processo, complessivamente giudicato, potesse considerarsi “giusto” ai sensi dell’art. 6 della Convenzione (Corte EDU V, 7 giugno 2018, n. 35132).

Al decesso del dichiarante è stata assimilata, ai fini dell'operatività della norma in esame, la condizione di salute che gli impedisca di essere esaminato al dibattimento. Identica è infatti la ratio, costituita dal fatto che l'esame dibattimentale non si può svolgere non per volontà della vittima, ma per circostanze obbiettive ed imprevedibili, le quali, anche con riferimento a quanto previsto dall'art. 111, comma 5, Cost., costituiscono una deroga al generale principio dell'assunzione della prova in contraddittorio (Cass. II, n. 2232/2018).

Anche l'evasione dallo stato di detenzione domiciliare di un soggetto sottoposto a programma di protezione, perché collaboratore di giustizia, è da considerare evento eccezionale e imprevedibile, dato che l'attualità della collaborazione, dalla quale l'imputato può solo ricevere benefici in termini sanzionatori, è circostanza tale da far presumere che egli non rinunci ad essi con il sottrarsi al programma in corso (Cass. VI, n. 23192/2001).

Il giudizio prognostico di irreperibilità del testimone appare assai diabolico nei casi in cui il dichiarante vive in condizioni di precarietà. La giurisprudenza tende ad escludere che la mera condizione di cittadino extracomunitario privo del permesso di soggiorno e/o l'esercizio del meretricio siano sufficienti, di per sé, a rendere prevedibile l'allontanamento dal territorio nazionale e l'assenza dal dibattimento (Cass. III, n. 38342/2013; Cass. III, n. 12038/2015).

Viceversa, si è ritenuta estremamente probabile, se non certa, la futura impossibilità di reperimento del testimone nel caso di dichiarazioni predibattimentali rese da una cittadina extracomunitaria, dedita alla prostituzione, non in regola con il permesso di soggiorno, che aveva fornito agli inquirenti solo un domicilio intrinsecamente precario ed un recapito telefonico parimenti precario (Cass. VI, n. 14550/2004).

Non costituisce, invece, "fatto o circostanza imprevedibile" il volontario allontanamento dall'Italia del dichiarante straniero che vi dimori stabilmente, trattandosi di evenienza fisiologica che ricade nell'ambito applicativo della diversa fattispecie di cui all'art. 512-bis (Cass. III, n. 4563/2017).

Se le dichiarazioni predibattimentali del teste straniero sono state acquisite a causa della sua sopravvenuta irreperibilità, l'imputato ha diritto alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, al fine di dimostrare che il dichiarante è nuovamente reperibile, purché abbia dedotto specificamente tale fatto e la prova di ciò sia sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado (Cass. III, n. 4563/2017).

Atti leggibili

L'art. 512, alle condizioni viste sopra, consente il recupero mediante lettura, a richiesta di parte, degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso dell'udienza preliminare.

Trattandosi di una previsione eccezionale, l'elenco degli atti “recuperabili” tramite lettura deve considerarsi tassativo e insuscettibile di integrazione analogica (Cesari, 217).

Così è stata esclusa la possibilità di dare lettura ex art. 512 all'interrogatorio reso dall'indagato al giudice per le indagini preliminari ai sensi dell'art. 294 (Cass. VI, n. 3388/2002). Sul punto, però, è recentemente intervenuta la Corte costituzionale che ha giudicato "irragionevole" una disciplina che consenta la lettura, per irripetibilità, degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori e dal giudice nel corso dell'udienza preliminare, e non anche degli atti assunti dal giudice per le indagini preliminari nell'interrogatorio di garanzia dell'imputato di reato collegato, qualora quest’ultimo, ritualmente avvertito ai sensi dell’art. 64, lett. c), abbia rilasciato dichiarazioni per le quali sia stato poi citato per essere sentito come testimone “assistito” in dibattimento (Corte cost., n. 218/2020).

Tuttavia, per atti «assunti» devono intendersi non soltanto gli atti formati a seguito di attività diretta delle predette autorità, ma anche gli atti semplicemente ricevuti dalle stesse, quale è una spontanea dichiarazione di querela. Ne consegue che anche il verbale di querela può essere acquisito mediante lettura se, per fatti o circostanze imprevedibili, risulti impossibile la ripetizione del contenuto dell'atto da parte del suo autore (Cass. V, n. 51711/2014).

La relazione di servizio proveniente dalla polizia giudiziaria e finalizzata alla comunicazione della notizia di reato può essere acquisita al fascicolo del dibattimento qualora non esiste più la possibilità di rinnovazione dell'atto attraverso l'audizione del verbalizzante come atto irripetibile (Cass. IV, n. 23305/2015). Analogamente, la comunicazione della notizia di reato contenente dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa nei confronti dell'imputato, qualora per circostanze obiettive l'atto debba essere qualificato come irripetibile per esserne venuta meno la possibilità di rinnovazione attraverso l'audizione del dichiarante (Cass. VI, n. 44970/2008).

L'inclusione degli atti del difensore fra quelli indicati dall'art. 512 consente di dare lettura anche alle dichiarazioni rilasciate al legale in sede di indagini difensive a norma dell'art. 391-bis in caso di decesso del dichiarante (Cass. III, n. 40194/2007).

Particolare menzione merita il verbale di riconoscimento fotografico compiuto nel corso delle indagini preliminari, che può essere acquisito quando la ricognizione diventa impossibile (ad esempio per morte del ricognitore) e che la giurisprudenza ritiene prova pienamente utilizzabile ed idonea a fondare l'affermazione di penale responsabilità, anche se non seguita da una formale ricognizione dibattimentale, purché, attraverso l'acquisizione dell'album fotografico, il giudicante sia posto in grado di apprezzare compiutamente l'affidabilità del risultato probatorio, verificando in particolare il numero e la qualità delle fotografie sottoposte al dichiarante e le caratteristiche fisionomiche sia della persona riconosciuta che delle altre (Cass. II, n. 28391/2017).

Il comma 1-bis dell'art. 512 consente di dare lettura del verbale di distruzione dei documenti formati mediante intercettazioni illegali o raccolta illegale di informazioni di cui all'art. 240, comma 2. Si tratta di un'ipotesi del tutto atipica di irripetibilità sopravvenuta, non determinata da un evento imprevedibile, essendo tale distruzione imposta dalla legge, ma neanche dipendente dalla natura dell'elemento di prova che si rende necessario acquisire tramite la lettura. La ratio va ravvisata nello scopo di mantenere una, pur labile, traccia del corpo del reato, rappresentato dalle conversazioni illecite che sono state distrutte (Corbetta, 6538). Il verbale di distruzione deve limitarsi a dare atto dell'avvenuta intercettazione o detenzione o acquisizione illecita dei documenti, dei supporti e degli atti di all'art. 240, comma 2, nonché delle modalità e dei mezzi usati, senza alcun riferimento al contenuto degli stessi.

Secondo la dottrina, la previsione in oggetto è stata impropriamente collocata all'interno dell'art. 512, ravvisandosi, in tal caso, un'ipotesi di irripetibilità originaria non sopravvenuta (Corbetta, 6538; Garuti, 596).

Fra gli atti acquisibili ex art. 512 c.p.p., la giurisprudenza ammette anche la consulenza tecnica del Pubblico Ministero qualora si verifichi il decesso del consulente tecnico prima del suo esame (Cass. II, n. 28503/2019). Tuttavia, si ritiene che sussista il diritto dell'imputato alla acquisizione, quale prova contraria, della propria consulenza di parte che abbia ad oggetto analoghi aspetti (ma forse sarebbe sufficiente anche il solo esame del tecnico della difesa). Si osserva, in particolare, che ai fini dell'operatività del peculiare meccanismo acquisitivo delineato dall'art. 512 c.p.p. rileva non tanto la tipologia dell'accertamento tecnico compiuto, cioè se ripetibile o meno, ma la provenienza dello stesso da un soggetto la cui morte preclude la possibilità di rinnovare la specifica attività tecnica compiuta nell'ambito del procedimento penale, attività i cui esiti, anche dopo l'acquisizione dell'atto in cui sono cristallizzati e al di là dell'impossibilità di interloquire con l'autore dell'accertamento svolto, non si sottraggono al confronto con prospettazioni diverse, nell'ambito della normale dialettica dibattimentale. La decisione richiamata ritiene che il diritto alla prova contraria, in tema di perizia e consulenza tecnica, possa ritenersi indirettamente confermato dalla giurisprudenza della Sezioni Unite che, nella recente pronuncia n. 14426/2019, hanno attribuito a detti accertamenti la natura di prova dichiarativa, con il conseguente obbligo per il giudice di appello che intenda riformare la decisione assolutoria di primo grado di procedere alla rinnovazioneex art. 603, comma 3-bis, c.p.p.; così che può ritenersi avere, anche le Sezioni Unite, richiamato con riferimento agli accertamenti tecnici i parametri tipici della prova dichiarativa che comprendono quale fondamento essenziale il diritto alla prova contraria declinato dagli artt. 111, comma 3, Cost. e 6, lett. d), CEDU.

Procedimento

Poiché l'art. 512 consente di recuperare atti di indagine sconosciuti al giudicante, la lettura per sopravvenuta irripetibilità è disposta dal giudice su richiesta di parte (con esclusione quindi della persona offesa non costituita parte civile e degli enti ed associazioni ex art. 91), dovendosi escludere la possibilità di una iniziativa officiosa (Buzzelli, 169).

La parte che richiede la lettura dibattimentale per sopravvenuta impossibilità di ripetizione ha l'onere di provare sia il carattere dell'imprevedibilità sia quello oggettivo dell'impossibilità di assumere l'esame testimoniale (Cass. II, n. 29949/2009).

L'istanza va discussa nel contraddittorio delle parti e il giudice può valutarla liberamente, senza essere vincolato alle ragioni esposte dalla parte a sostegno della richiesta, la quale può essere accolta o respinta anche per motivi diversi da quelli prospettati, purché con decisione che sia adeguatamente motivata (Cass. I, n. 10026/2000; Cass. III, n. 7231/1998).

In ordine al contenuto della motivazione la Suprema Corte ha chiarito che il giudice che intende acquisire le dichiarazioni ex art. 512 deve dar conto con motivazione adeguata e logica della impossibilità della loro ripetizione, con riguardo alla fattispecie concreta (Cass. III, n. 4732/2018 che ha ritenuto non adeguatamente motivata la decisione della Corte di Appello di acquisire le sommarie informazioni di un soggetto asserendo che il suo esame testimoniale era divenuto impossibile a causa del ricovero per un periodo indeterminato con diagnosi di schizofrenia paranoica, sindrome anemica, come documentato da certificato medico). E proprio al fine di assicurare il godimento effettivo del diritto ex art. 6 CEDU, la giurisprudenza della Corte EDU ha recentemente affermato che "è necessario che gli organi nazionali procedano a un controllo minuzioso delle ragioni addotte per giustificare l'incapacità del testimone di assistere al processo, tenuto conto della situazione particolare dell'interessato e ponendo in essere tutte le misure positive per permettere all'accusato di interrogare o far interrogare i testimoni a carico" (Corte EDU, 12 ottobre 2017, Cafagna c/Italia).

Una volta accolta la richiesta, la lettura deve essere effettiva, posto che la possibilità di indicare gli atti utilizzabili per la decisione in luogo della loro lettura è prevista solo nell'art. 511 (Garuti, 605).

Tuttavia, si registrano decisioni che consentono al giudice, in mancanza di una richiesta di lettura, di acquisire gli atti divenuti irripetibili, previa specifica indicazione (Cass. VI, n. 159/2000).

Sanzioni

La giurisprudenza ha affermato che l'illegittima o illogica valutazione della situazione di sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell'atto non comporta una nullità di ordine generale ed assoluto, atteso la tassatività della categoria, ma, al più, potrebbe dar luogo ad una nullità di ordine relativo, che, attenendo alla prova, renderebbe applicabile il disposto dell'art. 185, n. 4, che preclude espressamente la invalidità degli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo (Cass. II, n. 12705/1998).

Secondo la dottrina, invece, la violazione delle regole contenute nell'art. 512 dovrebbe comportare la inutilizzabilità delle dichiarazioni di cui è stata data lettura, in quanto assunte in violazione dei presupposti indicati nella suddetta norma (Nobili, Art. 512, in Chiavario, II, 1989, 409).

In ogni caso, gli atti di indagine sottoposti a lettura devono essere legittimamente formati, in quanto il meccanismo di recupero di cui all'art. 512 non consente di sanare eventuali vizi (Nobili, 428).

Riforma della sentenza di assoluzione e prova orale irripetibile

Nel vecchio assetto normativo, precedente alla novella del 2017, la Suprema Corte aveva ritenuto preclusa la possibilità di una riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado, fondata su una diversa valutazione delle dichiarazioni ritenute decisive, nei casi di impossibilità di procedere alla necessaria rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa per irreperibilità, infermità o decesso del soggetto da esaminare, fermo restando il dovere del giudice di accertare sia la effettiva sussistenza della causa preclusiva alla nuova audizione, sia che la sottrazione all'esame non dipenda né dalla volontà di favorire l'imputato né da condotte illecite di terzi, essendo in tali casi legittimo fondare il proprio convincimento sulle precedenti dichiarazioni assunte (Cass. S.U., n. 27620/2016).

Dopo tale pronuncia il quadro normativo è mutato più volte. Il comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p., introdotto dalla l. n. 103/2017 (c.d. riforma Orlando), prevedeva che, in caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dovesse disporre la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale.

Si è ritenuto che a tale obbligo di rinnovazione sia estranea una preclusione assoluta all'overturning sfavorevole per l'ipotesi che la rinnovazione dell'esame del dichiarante sia divenuta impossibile (a causa del suo decesso), potendo l'obbligo di rinnovazione essere soddisfatto attraverso la lettura di atti predibattimentali ex art. 512.

Di qui l'osservazione che la preclusione per il giudice di appello alla riforma della sentenza di assoluzione si tradurrebbe in una sorta di “regola di esclusione probatoria”, che non trova alcun riscontro nella disciplina positiva, ivi compresa quella di cui alla l. n. 103/2017, né è prevista o imposta dall'art. 111, comma 5, Cost., nell'interpretazione che ammette la deroga al principio del contraddittorio per i casi di accertata impossibilità oggettiva, riferibili a “fatti indipendenti dalla volontà del dichiarante”, tra i quali rientra la morte dello stesso.

Del resto, come già segnalato, la possibilità di una deroga al principio del contraddittorio viene ammessa anche dalla Corte EDU, che in varie pronunce ha interpretato in modo più flessibile la regola basata sulla “prova sola o determinante”, tale da far ritenere, nell'interpretazione del diritto vivente, compatibile con le garanzie convenzionali la condanna fondata su dichiarazioni decisive assunte in via unilaterale, ogni volta che il sacrificio del diritto di difesa (ovvero l'impossibilità di interrogare direttamente il teste fondamentale) sia bilanciato da “adeguate garanzie procedurali”.

Tutto ciò ha indotto la Suprema Corte ad un revirement, affermando che la riforma, in grado di appello, della sentenza di assoluzione non è preclusa nel caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva sia divenuta impossibile per decesso del dichiarante. La Corte ha tuttavia precisato che la relativa decisione deve presentare una motivazione rafforzata sulla base di elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, acquisibili dal giudice anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all'art. 603, comma 3, ivi compresa la possibilità di lettura delle dichiarazioni predibattimentali già rese dal suddetto deceduto (Cass. S.U., n. 11586/2021).

Il comma 3-bis dell'art. 603 è stato successivamente modificato dal d.lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia), che ha limitato la rinnovazione della prova dichiarativa in appello ai casi di prove assunte in udienza nel corso del giudizio dibattimentale di primo grado o all'esito di integrazione probatoria disposta nel giudizio abbreviato a norma degli art. 438, comma 5, e 441, comma 5.

Bibliografia

V. sub Artt. 511 e 511-bis; Busetto, Il dibattimento penale. Quattro fotogrammi tra rito ordinario e sistema del giudice di pace, Trento, 2012; Cesari, L'irripetibilità sopravvenuta degli atti di indagine, Milano, 1999; Ferrua, Il “giusto processo”, Bologna, 2005; Beltrani, Lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione. La condanna di Strasburgo per l’assenza di confronto, in Il Penalista, 28 marzo 2018.

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