Codice di Procedura Penale art. 522 - Nullità della sentenza per difetto di contestazione.Nullità della sentenza per difetto di contestazione. 1. L'inosservanza delle disposizioni previste in questo capo è causa di nullità [177 s., 604]. 2. La sentenza di condanna [533] pronunciata per un fatto nuovo, per un reato concorrente o per una circostanza aggravante senza che siano state osservate le disposizioni degli articoli precedenti è nulla soltanto nella parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente o alla circostanza aggravante. InquadramentoL'articolo in esame prevede che la violazione delle previsioni contenute negli artt. 516-521-bis integra una nullità parziale della sentenza nella parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente o alla circostanza aggravante. Aspetti generaliL'art. 521, comma 1, ricollega una nullità sia alla violazione del procedimento delineato per le nuove contestazioni, quanto al mancato rispetto della regola di correlazione tra accusa e sentenza. Si ha quindi una nullità quando il pubblico ministero modifica l'addebito a norma dell'art. 516, ma, in realtà, introduce nell'imputazione un fatto nuovo, ovvero, qualora il fatto riconfigurato ai sensi dell'art. 517 non sia qualificabile come reato connesso a quello per cui si procede o non lo sia in forza di uno dei vincoli previsti dall'art. 12, comma 1, lett. b), o, infine, qualora venga contestato un fatto nuovo ex art. 519 senza il consenso dell'imputato o l'autorizzazione del giudice (Rafaraci, 396). Si ha, altresì, nullità quando il giudice pronuncia sentenza per un fatto diverso da quello enunciato nell'imputazione senza osservare le disposizioni dell'art. 521, comma 2. A fronte di chi (Cordero, 464) ritiene priva di autonomo valore precettivo la disposizione in esame, che non farebbe altro che ribadire quanto già prescritto dall'art. 178, comma 1, lett. b) e c), sembra preferibile l'opinione di chi (Rafaraci, 377) vi ravvisa una specifica comminatoria di nullità in relazione alle violazioni non inquadrabili nell'art. 178. Violazione delle norme sulle contestazioniLe nullità derivanti dalle violazioni delle regole previste dagli artt. 516 ss. ricadono sotto specie diverse. Infatti, mentre le violazioni delle norme che fissano i presupposti per la modifica dell'imputazione (art. 516, 517 e 518 c.p.p.) integrano delle nullità assolute (art. 179, comma 1), in quanto sono attinenti all'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale (art. 178, comma 1, lett. b) (Rafaraci, 397), le violazioni delle previsioni relative ai diritti delle parti in seguito all'intervento sull'accusa (artt. 519 e 520 c.p.p.) integrano una nullità a regime intermedio, ai sensi degli artt. 178, comma 1, lett. c), e 180. Più in dettaglio, ricorre la suddetta nullità qualora, dopo la modifica del fatto, l'imputato non sia sitato informato della facoltà di chiedere un termine a difesa ovvero, nonostante la richiesta, tale termine non sia stato concesso o sia stato concesso in misura inferiore al termine di comparizione (Rafaraci, 400). Analoga patologia si verifica ove la persona offesa non sia stata citata per la successiva udienza o non sia stata citata nel rispetto del termine dilatorio fissato dall'art. 519, comma 3 (Rafaraci, 401). È stata, invece, ravvisata la nullità assoluta degli atti di contestazione compiuti in contrasto con le disposizioni dell'art. 520 c.p.p., sul rilievo che debba ritenersi omessa la citazione dell'imputato contumace o assente al quale non venga notificato affatto o non venga notificato nel rispetto del termine di comparizione il verbale che contiene l'imputazione riformulata dal pubblico ministero nel corso del dibattimento o al quale venga notificato un verbale privo della descrizione del fatto o delle indicazioni circa il luogo o la data della successiva udienza ovvero al quale non venga concesso un termine per preparare la difesa almeno pari a quello di comparizione (Rafaraci, 399). Com'è stato sottolineato dalla dottrina, l'eventuale nullità dell'addebito riconfigurato nel corso del dibattimento o dei successivi atti di contestazione si estende alla sentenza, a norma dell'art. 185, comma 1, se il giudice omette di rilevarla prima della deliberazione (Cordero, 454). Non si è mancato, a tale proposito, di precisare che mentre la declaratoria di nullità dell'imputazione riconfigurata nel corso della fase dibattimentale impone al giudice di trasmettere gli atti all'ufficio del pubblico ministero a norma dell'art. 521, comma 3, la declaratoria di nullità di uno qualsiasi degli atti compiuti dopo la modifica dell'addebito determina, invece, la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, secondo le disposizioni dell'art. 185, comma 3 (Rafaraci, 379 e 391). Si determina la nullità speciale contemplata dall'art. 522, comma 1, c.p. anche se non vengono osservate le disposizioni dettate dagli artt. 516, comma 1-bis, 517, comma 1-bis, e 521-bis c.p.p. in materia di composizione monocratica o collegiale del tribunale. Il difetto di composizione del tribunale, che il legislatore tiene ben distinto dal difetto di competenza del giudice, infatti, non costituisce un'anomalia ricompresa tra le nullità d'ordine generale, non potendosi considerare alla stregua di un vizio attinente alla capacità del giudice per espressa previsione dell'art. 33, comma 3. Difetto di correlazione e nullità della sentenzaLa nullità per difetto di correlazione implica che il giudice si sia pronunciato su un fatto diverso da quello enunciato nell'imputazione senza osservare le disposizioni dell'art. 521, comma 2. Tale anomalia viene annoverata tra le cause di nullità a regime intermedio, ritenendo che il difetto di correlazione incida sull'assistenza, sulla rappresentanza e sull'intervento dell'imputato, ma non determini l'omessa citazione a giudizio di quest'ultimo (Cass. VI, n. 31436/2012). Ne consegue che il vizio, in quanto verificatosi in primo grado, può essere dedotto fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo, mentre non può essere dedotto per la prima volta in sede di legittimità. Se, invece, il vizio è stato commesso nella sentenza d'appello, può essere rilevato d'ufficio dalla Corte di Cassazione (Cass. VI, n. 12620/2010). In caso di condanna pronunciata riconoscendo una circostanza aggravante mai contestata, neppure in fatto, si è ritenuto che la sentenza, nella parte relativa a tale statuizione, sia affetta da una nullità assoluta, come tale insanabile e rilevabile dal giudice in ogni stato e grado del procedimento, risultando violata una disposizione concernente l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale (Cass. V, n. 11412/2021). Poiché il principio di correlazione ha lo scopo di garantire il contraddittorio sul contenuto dell'accusa e, quindi, l'esercizio effettivo del diritto di difesa dell'imputato, la giurisprudenza ritiene che non sia configurabile una sua violazione in astratto, prescindendo dalla natura dell'addebito specificamente formulato nell'imputazione e dalle possibilità di difesa che all'imputato sono state concretamente offerte dal reale sviluppo della dialettica processuale (Cass. V, n. 2074/2008). Così, ad esempio, è stata esclusa la violazione del principio di correlazione in un caso in cui nell'imputazione risultava una data del commesso reato diversa da quella effettiva, ma dagli atti emergeva il tempo di consumazione del reato e l'imputato aveva avuto modo di difendersi e di conoscere tutti i termini della contestazione mossagli (Cass. II, n. 17879/2014). La diversità fra la data del fatto indicata nella contestazione e quella ritenuta nella sentenza di condanna è stata, invece, ritenuta causa di nullità ai sensi dell'art. 522 in un caso in cui l'imputato, sulla base della originaria contestazione, si era difeso adducendo come alibi il suo stato di detenzione all'epoca del fatto (Cass. V, n. 28853/2004). Analogamente, ai fini della contestazione di una circostanza aggravante non è indispensabile una formula specifica espressa con enunciazione letterale, né l'indicazione della disposizione di legge che la prevede, essendo sufficiente che l'imputato sia posto nelle condizioni di espletare pienamente la difesa sugli elementi di fatto integranti l'aggravante (Cass. IV, n. 38588/2008; cfr. anche Cass. S.U., n. 18/2000). Altresì, qualora il capo di imputazione comprenda sia l'ipotesi omissiva sia quella commissiva, nessuna violazione del principio di cui all'art. 521 c.p. ha luogo quando le ricostruzioni, in primo grado e in appello, si mantengano nei limiti della contestazione (Cass. IV, n. 24058/2004). Ancora, l'indicazione non corretta o mancante delle norme di legge violate assume rilievo secondario ai fini della contestazione del fatto (o dell'aggravante), ove il capo d'imputazione ne contenga tutti gli elementi naturalistici, oggettivi o soggettivi, che rilevano ai fini della tipicità del reato, anche circostanziato (Cass. IV, n. 6821/1999). La Suprema Corte a composizione riunita ha infatti chiarito che ai fini della contestazione dell'accusa, ciò che rileva è la compiuta descrizione del fatto, non l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (Cass. S.U., n. 18/2000). Il capoverso dell'art. 522 circoscrive la nullità della sentenza di condanna emessa per un fatto nuovo, per un reato concorrente o per una circostanza aggravante contestati senza l'osservanza degli artt. 516, 517 e 518, comma 2 soltanto alla parte relativa al fatto nuovo, al reato concorrente o alla circostanza aggravante. L'omesso riferimento all'art. 516 si spiega col fatto che in quel caso, trattandosi della modificazione del fatto oggetto dell'imputazione, l'invalidità relativa all'unica contestazione interessa necessariamente l'intera sentenza (Marini, in Chiavario, V, 1990, 482). Si è precisato, altresì, che è nulla in parte qua per difetto di contestazione la sentenza di condanna con la quale venga ritenuta l'abitualità a delinquere, se questa non sia stata contestata all'imputato con l'enunciazione non solo della recidiva reiterata ma anche di tutti gli ulteriori elementi, indicati dall'art. 133 c.p., sui quali l'accusa intende fondare la sua richiesta (Cass. IV, n. 17623/2009). In presenza di una condanna pronunciata per fatto diverso da quello contestato, il giudice d'appello non può limitarsi a ordinare la trasmissione degli atti al pubblico ministero, pena la formazione di una preclusione processuale dovuta al passaggio in giudicato della decisione del primo giudice che non abbia rilevato il vizio, ma deve annullare la decisione impugnata e, contestualmente, emettere ordinanza con la quale dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero (Cass. I, n. 18509/2010). In mancanza di detto duplice provvedimento da parte del giudice d'appello, il quale ha, invece, assolto l'imputato dal reato ascrittogli come contestato, ordinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero per il prosieguo, spetterà alla Corte di Cassazione l'annullamento senza rinvio, con conseguente trasmissione degli atti al pubblico ministero procedente (Cass. IV, n. 18135/2010). Peraltro, se il giudice d'appello dichiara la nullità della sentenza di primo grado per erronea qualificazione giuridica del fatto, rinviando gli atti al pubblico ministero perché si proceda ad un nuovo giudizio, è tenuto ad accertare che il fatto sia diverso da quello contestato, senza poterne verificare in tale ipotesi la fondatezza, in quanto sottrarrebbe all'imputato un grado di giudizio, violandone pertanto in maniera irreparabile il diritto di difesa (Cass. VI, n. 14595/2010). Nell'ambito del giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria, non è consentito al pubblico ministero di procedere a modificazioni dell'imputazione o a contestazioni suppletive, in quanto l'art. 441, nel richiamare le disposizioni previste per l'udienza preliminare, esclude l'applicazione dell'art. 423, con la conseguenza che la violazione della predetta norma determina un'ipotesi di nullità a regime intermedio della sentenza pronunciata all'esito di tale giudizio (Cass. IV, n. 3758/2014). BibliografiaV. sub artt. 516, 518, 519, 520, 521, 521-bis. |