Codice di Procedura Penale art. 525 - Immediatezza della deliberazione.Immediatezza della deliberazione. 1. La sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento [524]. 2. Alla deliberazione concorrono, a pena di nullità assoluta [179], gli stessi giudici che hanno partecipato al dibattimento. Se alla deliberazione devono concorrere i giudici supplenti in sostituzione dei titolari impediti, i provvedimenti già emessi conservano efficacia se non sono espressamente revocati. 3. Salvo quanto previsto dall'articolo 528, la deliberazione non può essere sospesa se non in caso di assoluta impossibilità [615]. La sospensione è disposta dal presidente con ordinanza. InquadramentoLa norma in commento racchiude due principi fondamentali del nostro processo penale, così come era stato immaginato dal legislatore del 1988: il principio di immediatezza della deliberazione e quello di immutabilità del giudice, inteso quest’ultimo come identità della persona fisica del giudice (o dei giudici, in caso di organo collegiale) che ha partecipato al dibattimento con quello che emette la decisione. Si tratta di principi strettamente collegati, ispirati alla ratio di non disperdere il patrimonio cognitivo – costituito da ricordi, impressioni, percezioni – acquisito dal giudice durante l’istruzione dibattimentale, di garantire continuità tra il momento di formazione della prova e quello della decisione, e di assicurare che non vi sia alcuna frattura tra l’acquisizione della prova e la sua valutazione. Il principio della immediatezza della deliberazioneL'art. 525 comma 1 individua innanzitutto il momento in cui deve intervenire il provvedimento che definisce il processo, e cioè subito dopo la chiusura del dibattimento (Leone, Manuale di diritto processuale penale, 533), e cristallizza un principio – quello della immediatezza della deliberazione – che tende ad evitare soluzioni di continuità tra chiusura della discussione, ritiro in camera di consiglio dell'organo giudicante, emissione della decisione. Ciò al fine di garantire la continuità tra il momento della formazione della prova e quello decisionale, aiutando in tal modo a non disperdere le sensazioni che il giudice ricava dalla diretta percezione dell'assunzione della prova. Tuttavia, la realtà quotidiana delle aule di giustizia, sovraffollate e afflitte da ruoli sovraccarichi, ha creato le condizioni per la diffusione di una prassi giudiziaria piuttosto consolidata, ovvero quella di celebrare più dibattimenti nel corso della medesima udienza prima di ritirarsi in camera di consiglio per una decisione per così dire “cumulativa”, prassi criticata in dottrina e considerata da più parti illegittima (Marini, sub art. 525 c.p.p., in Comm. Chiavario V, 490). Di contrario avviso la giurisprudenza, secondo cui se è vero che l'art. 525 comma 1 prescrive che la sentenza debba essere deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento, l'inosservanza di tale previsione non è sanzionata da alcuna nullità; peraltro, il breve differimento della decisione, nell'ambito del medesimo contesto temporale dell'udienza in corso, a seguito della trattazione di altro od altri procedimenti, non è tale da inficiare il principio di immediatezza, nella logica di una decisione adottata, quanto più possibile, nella diretta e contestuale percezione delle risultanze dibattimentali e della discussione (Cass. V, n. 25148/2005). Nell'ambito del medesimo solco interpretativo, si è affermato che in caso di rinvio dell'udienza dibattimentale per la replica del P.m., che non abbia poi esercitato tale facoltà, non costituisce violazione del principio di immediatezza, né concretizza una causa di nullità, la lettura del dispositivo e della contestuale motivazione, effettuata dal giudice monocratico senza prima ritirarsi in camera di consiglio (Cass. V, n. 27894/2016): ciò in quanto ben può il giudice monocratico, proprio perché solo a decidere, avere elaborato la decisione all'esito della conclusione delle parti nel chiuso della sua mente, ed averne scritto la motivazione, riservandosi di darne pubblicazione in udienza in caso di eventuale rinuncia del P.m. alle repliche, ovvero di mutare il proprio convincimento a fronte di nuovi apporti delle parti alla discussione. A diversa conclusione deve invece pervenirsi nel caso in cui vi sia stata una replica delle parti, e, ciò nonostante, il giudice monocratico abbia dato lettura di una sentenza che, evidentemente, non ha tenuto conto delle argomentazioni svolte in quella sede; o nel caso di organo giudicante collegiale, in cui, effettivamente, potrebbero rimanere oscuri il tempo ed il luogo di discussione e di raggiungimento dell'accordo - quanto meno maggioritario - sottostante alla decisione (Cass. IV, n. 43418/2015). Tuttavia non costituisce atto abnorme la lettura in pubblica udienza di un dispositivo preceduto da deliberazione avvenuta in luogo diverso da quello in cui ha avuto luogo il dibattimento, quando il differimento temporale della deliberazione, dovuto alla distanza del luogo scelto come camera di consiglio, sia tanto breve da non inficiarne l'immediatezza, e non risulti violato il principio di segretezza (Cass. IV, n. 13964/2008). Giova infine rilevare che il principio di immediatezza è previsto espressamente per il giudizio di primo grado, e secondo la S.C. non si applica al giudizio di appello, per la natura essenzialmente cartolare di questo, che non imporrebbe di garantire la continuità tra formazione della prova e momento decisionale (Cass. III, n. 4721/2007). Il principio della immutabilità del giudice. Ambito di applicazioneImmutabilità del giudice significa identità fisica tra il giudice che assume la prova e quello che poi decide, ed è una diretta conseguenza del principio di oralità, che governa tutto il processo penale: si vuole cioè che il giudice prenda diretto contatto con la fonte di prova (nel senso di ascoltare direttamente le dichiarazioni delle parti, dei testimoni, dei tecnici), e si vuole assicurare che vi sia identità fisica tra il giudice che assiste all'assunzione della prova e alla discussione, e colui che prende la decisione finale. Il principio di identità tra giudici deliberanti e giudici partecipanti all'istruttoria ha portata generale e si applica anche all'appello ordinario (Cass. V, n. 17982/2018), ai procedimenti in camera di consiglio, nel senso che l'organo deliberante deve coincidere con quello che ha trattato per ultimo la fase camerale del procedimento (Cass. II, n. 15702/2021; Cass. IV, n. 38122/2014); in tali termini esso si applica all'esecuzione penale (Cass. I, n. 20351/2014), al procedimento di sorveglianza (Cass. I, n. 17146/2016), all'udienza preliminare (Cass. V, n. 11938/2010), ai procedimenti d'impugnazione cautelare (Cass. III, n. 43803/2008; Cass. III, n. 14755/2004); al procedimento camerale di prevenzione (Cass. I, n. 43882/2005); ai casi di appello in camera di consiglio, qual è l'appello avverso la sentenza resa dal giudice del rito abbreviato, laddove la trattazione e la decisione debbono essere svolte dal medesimo collegio (Cass. V, n. 48510/2013). Quanto al giudizio di revisione, l'immutabilità del giudice è espressamente prevista dall'art. 637, che richiama l'art. 525. Il principio, invece, non opera: a) nel giudizio abbreviato semplice (cioè senza integrazione probatoria), sia perché l'art. 442 non richiama l'art. 525, sia perché questa disposizione si riferisce ad una deliberazione emessa all'esito di un dibattimento caratterizzato per essere la sede di formazione della prova (Cass. II, n. 32367/2013). Tuttavia, qualora il mutamento del giudice si verifichi dopo che sia stata accolta una richiesta di giudizio abbreviato, deve ritenersi preclusa, dinanzi al nuovo giudice, una richiesta di applicazione di pena concordata (Cass. III, n. 30416/2016); b) in materia di misure cautelari personali nella fase del giudizio: ha infatti precisato la S.C. che, per quanto sia preferibile che la richiesta di adozione, modifica o revoca di una misura coercitiva nella fase del giudizio sia esaminata e decisa dallo stesso giudice investito della cognizione nel merito del processo, ciò non è strettamente necessario (Cass. S.U., n. 26/2000). L'eventuale diversità di composizione dell'organo, collegiale o monocratico, designato nei casi, modi e termini previsti dalle leggi dell'ordinamento giudiziario, che decide in ordine ad alcuna di tali richieste in materia cautelare, non incide sulla legittimità dei relativi provvedimenti, stante il principio di tassatività delle nullità e la mancanza di una specifica previsione di tale diversità come causa di nullità, o la sua riconducibilità ad alcuna delle ipotesi di nullità di ordine generale previste dall'art. 178, comma 1, lett. a), che sono tutte connesse alla violazione di norme concernenti la capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi secondo le norme dell'ordinamento giudiziario (S.U. cit.). Tornando sul punto, in materia di aggravamento della misura cautelare, la S.C. ha ulteriormente chiarito che la richiesta del P.M. di aggravamento della misura cautelare in corso di giudizio, innesta un autonomo procedimento, nell'ambito del quale non assumono rilevanza le prove acquisite nel dibattimento, ma quelle relative al sub-procedimento cautelare, rispetto al quale il mutamento della persona del giudice non determina alcuna frattura tra l'acquisizione della prova e la sua valutazione (Cass. V, n. 8930/2016). Da ultimo, la S.C. ha precisato che la richiesta di adozione, modifica o revoca di una misura coercitiva formulata nel corso del giudizio deve essere esaminata e decisa dal giudice investito della cognizione del processo, ma non necessariamente nella medesima composizione fisica dei magistrati componenti l'organo giudicante che sta conducendo il dibattimento; il principio di immutabilità del giudice è riferito solo alla deliberazione della sentenza (Cass. II, n. 28854/2018); c) in relazione alla definizione delle scansioni procedimentali del giudizio, qual è la decisione incidentale sulla ammissibilità di un rito alternativo (Cass. V, n. 30416/2016); o alla deliberazione sulla sospensione del dibattimento per concedere il termine di legge onde valutare l'accesso al patteggiamento allargato (Cass. III, n. 44393/2010), o quando il mutamento del giudice interviene immediatamente dopo la verifica della regolare costituzione delle parti e la deliberazione dell'esclusione della già costituita parte civile (Cass. II, n. 11997/2010); d) in tema di udienza preliminare, per il caso dell'incidente probatorio disposto dal giudice che sia persona fisica diversa da quello dell'udienza preliminare: l'incidente probatorio costituisce atto in sé destinato ad essere esaminato da un giudice diverso da quello che lo assume (Cass. V, n. 11938/2010); e) in relazione alle indagini preliminari, atteso che in questa fase non vengono adottati provvedimenti di carattere decisorio inerenti alla responsabilità dell'indagato (si pensi ad es. ai provvedimenti di autorizzazione o proroga delle intercettazioni); va tuttavia segnalata un'isolata pronuncia secondo la quale il principio di immutabilità del giudice si applica anche all'ordinanza di archiviazione emessa all'esito del procedimento camerale ex art. 409 (Cass. II, n. 49293/2004).
f) in relazione al procedimento di estradizione per l'estero (Cass. VI, n. 41635/2007), e al procedimento di mandato di arresto europeo (Cass. VI, n. 25879/2008). Conformemente alla sua ratio, il principio di immutabilità torna operante nel caso di giudizio abbreviato subordinato ad integrazione probatoria richiesta dall'imputato, ma limitatamente alle fasi della trattazione e della deliberazione della sentenza, e non invece per quella inerente alla decisione incidentale sull'ammissione del rito, e delle sue modalità di svolgimento (Cass. III, n. 37100/2015). Anche in tal caso, come nel rito ordinario, i provvedimenti sull'ammissione della prova adottati dal giudice diversamente composto conservan o efficacia se no n espressamente revocati o modificati (Cass. V, n. 847/2021). Nello stesso alveo ermeneutico si inserisce l'orientamento secondo cui il giudice può utilizzare per la decisione la perizia disposta dal giudice precedente, purché assunta innanzi a sé mediante l'esame del perito e il deposito della relazione (Cass. III, n. 18516/2011; Cass. IV, n. 10713/2000), principio peraltro applicabile anche alla trascrizione peritale dei risultati delle intercettazioni (Cass. I, n. 26700/2009). Mentre l'inosservanza del principio di immediatezza non comporta alcuna sanzione, l'inosservanza del principio di immutabilità del giudice è causa di nullità della sentenza, ai sensi degli artt. 178 comma 1 lett. a), e 525 comma 2: trattasi di nullità assoluta ed insanabile, rilevabile anche di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ed anche per la prima volta nel giudizio di cassazione o di rinvio (Cass. V., n. 6432/2015; Cass. III, n. 12234/2014; Cass. VI, n. 31418/2004). Gli interventi della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della CassazioneIl principio di immutabilità del giudice è riferito solo alla deliberazione della decisione, in quanto destinato a garantire che il giudizio sulla responsabilità dell'imputato sia espresso, nel rispetto dei principi di oralità, immediatezza e contraddittorio cui si ispira il processo penale, dalle stesse persone fisiche che hanno preso parte al dibattimento, presenziato all'assunzione delle prove, e assistito alla discussione (Cass. I, n. 5064/2006). Con sentenza n. 132/2019, la Corte costituzionale si è occupata del tema, nel giudizio di costituzionalità degli artt. 511,525 comma 2, e 526 comma 1 c.p.p., in relazione all'art. 111 Cost., essendo stata chiamata a valutare se detti articoli siano costituzionalmente illegittimi in relazione all'art. 111 Cost. ove interpretati nel senso che ad ogni mutamento della persona fisica di un giudice, la prova possa ritenersi legittimamente assunta solo se i testimoni già sentiti nel dibattimento, depongano nuovamente in aula davanti al giudice- persona fisica che deve deliberare sulle medesime circostanze, o se invece ciò debba avvenire solo allorquando non siano violati i principi costituzionali della effettività e della ragionevole durata del processo. La Corte, pur dichiarando inammissibile la questione, non ha potuto fare a meno di sottolineare la incongruità dell'attuale disciplina, così come interpretata nel diritto vivente, sollecitando l'adozione di rimedi strutturali in grado di ovviare ad inconvenienti quali l'eventualità che la nuova escussione del testimone si risolva nella mera conferma delle dichiarazioni già rese tempo addietro dal testimone stesso (il quale avrà una memoria assai meno vivida dei fatti sui quali aveva allora deposto); il giudice non possa quindi trarre dal contatto diretto con il testimone alcun beneficio addizionale in termini di formazione del proprio convincimento, rispetto a quanto già emerge dalle trascrizioni delle sue precedenti dichiarazioni (comunque acquisibili al fascicolo dibattimentale ai sensi dell'art. 511, comma 2, una volta che il teste venga risentito); la eccessiva dilatazione dei tempi processuali, che produce costi significativi in termini di ragionevole durata del processo e di efficiente amministrazione della giustizia penale. Laddove non sia possibile concentrare temporalmente i dibattimenti, ha osservato la Corte, potrebbero prevedersi legislativamente delle ragionevoli deroghe alla regola dell'identità tra giudice avanti al quale si forma la prova e giudice che decide, considerato che il diritto della parte alla nuova audizione di fronte al nuovo giudice o al mutato collegio non è assoluto ma modulabile entro limiti di ragionevolezza dal legislatore, il quale ha la possibilità di introdurre presidi normativi volti a prevenire il possibile uso strumentale e dilatorio del diritto in questione. Tali ragionevoli eccezioni potrebbero essere comunque compensate con la videoregistrazione delle prove dichiarative, quanto meno nei dibattimenti più complessi, e con la possibilità per il giudice di disporre, su istanza di parte o d'ufficio, la riconvocazione del testimone davanti a sé per la richiesta di ulteriori chiarimenti o l'indicazione di nuovi temi di prova, ai sensi dell'art. 506 (Corte cost., n. 132/2019). All'indomani della sentenza della Corte costituzionale, che ha messo in luce le criticità del sistema così come era andato delineandosi nella prassi giudiziaria, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. S.U.n. 41736/2019), le quali hanno proceduto a puntualizzare la corretta interpretazione della norma nell'ambito delle diverse letture, più o meno restrittive, sino a quel momento praticate, sistematizzando la previsione di nullità rispetto alle iniziative delle parti e ai poteri del giudice in ordine alla prova. I principi enucleati dalle S.U. sono i seguenti: 1. Il principio di immutabilità di cui all'art. 525 richiede che il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza sia non solo lo stesso che ha assunto la prova ma anche quello che l'ha ammessa, fermo restando che i provvedimenti sull'ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto conservano efficacia se non espressamente modificati o revocati. 2. L'intervenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere sia prove nuove sia, indicandone specificamente le ragioni, la rinnovazione di quelle già assunte dal giudice di originaria composizione, fermi restando i poteri di valutazione del giudice di cui agli artt. 190 e 495 c.p.p., anche con riguardo alla non manifesta superfluità della rinnovazione stessa. 3. In caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento del giudice, il consenso delle parti alla lettura degli atti già assunti dal giudice di originaria composizione non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non richiesta, non ammessa o non più possibile. 4. La facoltà per le parti di richiedere, in caso di mutamento del giudice, la rinnovazione degli esami testimoniali presuppone la necessaria previa indicazione, da parte delle stesse, dei soggetti da riesaminare nella lista ritualmente depositata di cui all'art. 468 c.p.p. Entrando nel dettaglio, è stato innanzitutto affermato in via generale che per il principio di immutabilità di cui all'art. 525, il giudice che procede alla deliberazione finale deve essere lo stesso che ha disposto l'ammissione della prova; tuttavia, i provvedimenti in tema di ammissione della prova adottati dal giudice precedente, si intendono confermati se non espressamente modificati o revocati. Più in particolare, la formulazione dell'art. 525, comma 2, prima parte, evidenzia inequivocabilmente che, in virtù del principio di immutabilità del giudice, l'intero “dibattimento” deve svolgersi dinanzi al giudice nella composizione che provvederà alla deliberazione conclusiva. Ne consegue che il principio non è violato solo allorchè il giudice diversamente composto si sia limitato al compimento di attività od all'emissione di provvedimenti destinati ad avere luogo prima del dibattimento, quali, ad es.: - gli atti urgenti previsti dall'art. 467; - l'autorizzazione alla citazione di testi ex art. 468; - la verifica della regolare costituzione delle parti ex art. 484, con connessa eventuale rinnovazione della citazione ex art. 143 disp. att. c.p.p., oppure la constatazione dell'assenza dell'imputato ex art. 484 comma 2 bis, 420-bis, 420-quater e 420-quinquies c.p.p., od, infine, il rinvio del dibattimento nei casi di impedimento, riconosciuto legittimo, dell'imputato o del difensore ex art. 484 comma 2 bis e 420-ter (Cass. S.U. n. 41736/2019 ). A sèguito del mutamento della composizione del giudice, il procedimento regredisce alla fase degli atti preliminari al dibattimento, che precede la nuova dichiarazione di apertura del dibattimento ex art. 492 e pertanto — ferma restando l'improponibilità di questioni preliminari in precedenza non sollevate — il giudice, nella composizione sopravvenuta, ha il potere di valutare ex novo le questioni tempestivamente proposte dalle parti e decise dal giudice diversamente composto (Cass. S.U., n. 41736/2019). Mutamento dell’organo giudicante e rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale: il c.d. consenso delle partiCome sopra precisato, nel caso di mutamento dell'organo giudicante, è obbligatoria la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale (salvo che ricorrano i casi previsti dall'art. 190 bis , Cass. I, n. 48710/2016), ma tale rinnovazione riguarda solo le prove orali assunte nel corso del procedimento, essendo le prove documentali precostituite inidonee ad incidere sulla ratio del principio di immutabilità, ideato in relazione all'oralità dell'istruttoria penale (Cass. II, n. 16626/2007). SI è in particolare affermato che non viola il principio di immutabilità del giudice e non costituisce, pertanto, causa di nullità della sentenza, l'assunzione di prove documentali ad opera di un giudice diverso da quello che ne ha disposto l'acquisizione, poiché le prove documentali, in quanto precostituite, non necessitano di un formale provvedimento di rinnovazione del dibattimento e di loro acquisizione (Cass. I, n. 44413/2017). Quanto alle perizie, non vi è la nullità prevista dall'art. 525, comma 2, per il caso di non corrispondenza fra i giudici che adottano la deliberazione e quelli che hanno partecipato al dibattimento qualora, dopo che sia stata espletata l'audizione del perito, intervenga modifica nella composizione dell'organo giudicante, davanti al quale, tuttavia, venga rinnovata l'ordinanza ammissiva della perizia, ed espletata una nuova audizione del perito: tale nullità è configurabile solo quando risulti dagli atti di causa che sia stato impedito alle parti di celebrare un nuovo dibattimento e che, quindi, la rinnovazione del dibattimento sia stata deliberatamente rifiutata od esclusa (Cass. IV, n. 41372/2018). Quanto alle concrete modalità della rinnovazione stessa, esse sono lasciate alla determinazione delle parti processuali, poiché nel codice non si rinviene alcuna norma in argomento, né vi sono formule sacramentali, la cui obbligatorietà sia sanzionata attraverso il sistema delle nullità, in caso di mancata scansione delle previste cadenze procedimentali, per rinnovare il dibattimento. La dottrina, in argomento, è divisa: da un lato coloro i quali, in un'ottica particolarmente garantista, sostengono che la rinnovazione del dibattimento comporti l'integrale ripetizione di tutte le prove (orali) già formatesi dinanzi al precedente giudice (Caianiello , Mutamento del giudice dibattimentale e rinnovazione del giudizio); dall'altro coloro i quali, in un'ottica che valorizza i principi di ragionevole durata del processo e di economia processuale, sostengono l'inutilità di reiterare dinanzi al nuovo giudice atti a contenuto probatorio formatisi nel rispetto del contraddittorio delle parti, e validamente confluiti nel fascicolo dibattimentale (Fassone, Il giudizio): si osserva infatti che un tale regime non è previsto per i verbali delle prove formatesi anteriormente alla fase processuale (si pensi agli atti dell'incidente probatorio o addirittura a quelli provenienti da altro procedimento). In definitiva, la questione riguarda la portata della rinnovazione, ovvero se sia necessaria una integrale ripetizione delle prove orali già acquisite, o se sia sufficiente la mera lettura degli atti che ad esse si riferiscono. L'orientamento dottrinale che per lungo tempo ha dominato, trovando anche il favore della giurisprudenza, era quello più garantista, seppure con qualche temperamento: in caso di rinnovazione del dibattimento a causa del mutamento della persona del giudice monocratico o della composizione del giudice collegiale, si sosteneva che le prove orali raccolte dal primo giudice non fossero utilizzabili per la decisione mediante semplice lettura dei verbali ad esse relativi e senza ripetere l'esame del dichiarante, quando questo poteva avere luogo e fosse stato richiesto da una delle parti; tuttavia, se le parti vi consentivano, tali prove potevano essere utilizzate per la decisione mediante la semplice lettura dei verbali che ad esse si riferivano. In altri termini, nella interpretazione corrente dell'art. 525 c.p.p., era riconosciuta alle parti la facoltà di prestare il consenso alla utilizzazione delle prove orali raccolte dinanzi al giudice diversamente composto mediante lettura dei verbali ad esse relativi, così evitandosene la ripetizione dinanzi al giudice sopravvenuto. Le S.U. – con la sentenza n. 41736/2019 più volte citata – hanno inciso in maniera sensibile sul punto, correggendo un'interpretazione evidentemente errata della norma, e ciò anche al fine di porre rimedio alle distorsioni che tale interpretazione aveva causato in termini di irragionevole allungamento dei tempi processuali (atteso che il consenso, il più delle volte, non veniva prestato): esse partono innanzitutto dalla constatazione che l'art. 525, comma 2, prima parte, evidenzia come l'intero dibattimento debba svolgersi dinanzi al giudice nella composizione che provvederà alla deliberazione conclusiva, pena la sanzione di nullità assoluta di tutta l'attività svolta. La sanzione della nullità assoluta - prevista espressamente – dimostra che il consenso eventualmente prestato dalle parti alla violazione del principio di immutabilità è del tutto ininfluente ed irrilevante, posto che ai sensi dell'art. 179 comma 2 c.p.p., sono insanabili e sono rilevate d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento le nullità definite assolute da specifiche disposizioni di legge. È così definitivamente superata la problematica relativa al c.d. consenso, alla sua natura, al suo eventuale rifiuto, alla sua revocabilità o irrevocabilità, alle forme attraverso le quali esso può manifestarsi; la S.C. ha in merito precisato che: il consenso delle parti alla lettura ex art. 511, comma 2, degli atti assunti dal collegio in diversa composizione, a sèguito di rinnovazione del dibattimento, non è necessario con riguardo agli esami testimoniali la cui ripetizione non abbia avuto luogo perché non chiesta, non ammessa, o non più possibile. Non è neppure necessario, precisano ancora le S.U., che il giudice, nella diversa composizione sopravvenuta, rinnovi formalmente l'ordinanza ammissiva delle prove richieste dalle parti, perché i provvedimenti in precedenza emessi dal giudice diversamente composto e non espressamente revocati o modificati, conservano efficacia. Trattasi dell'esplicazione di un principio generale di conservazione degli atti giuridici, mirante a soddisfare l'esigenza di rilievo costituzionale (art. 111 Cost.) di contenere, per quanto possibile, i tempi di durata del processo, evitando lo svolgersi di attività superflue. Esso è evincibile dallo stesso art. 525, comma 2, ultima parte, applicabile per via analogica all'ipotesi della rinnovazione del dibattimento, il quale prevede che “se alla deliberazione devono concorrere i giudici supplenti in sostituzione dei titolari impediti, i provvedimenti già emessi conservano efficacia se non sono espressamente revocati”; e dall'art. 42, comma 2, c.p.p. in materia di ricusazione, a norma del quale “il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o di ricusazione dichiara se ed in quale parte gli atti compiuti dal giudice astenutosi o ricusato conservano efficacia”: se tale principio di conservazione vale nel caso di giudice mutato perché “suspectus”, a maggior ragione deve valere in caso di rinnovazione del dibattimento per mutamento della composizione del giudice in origine legittimamente composto. La garanzia dell'immutabilità del giudice attribuisce alle parti il diritto, non di vedere inutilmente reiterati, pedissequamente e senza alcun beneficio processuale, attività già svolte e provvedimenti già emessi, con immotivata dilazione dei tempi di definizione del processo cui la parte può in astratto avere di fatto un interesse che, tuttavia, l'ordinamento non legittima e non tutela, bensì di poter nuovamente esercitare, a seguito del mutamento della composizione del giudice, le facoltà previste dalle norme suindicate, ad es. chiedendo di presentare nuove richieste di prova, che andranno ordinariamente valutate. A tal fine deve riconoscersi alle parti – in particolare in quei casi in cui la necessità della rinnovazione del dibattimento non sia stata prevista ed anticipata, ma si sia palesata solo in udienza - la concessione di un breve termine onde consentire l'eventuale presentazione di una nuova lista ai sensi dell'art. 468 (Cass. S.U., n. 41736/2019). Le nuove richieste di provaL'ordinanza ammissiva delle prove non va dunque formalmente rinnovata ove condivisa anche dal giudice nella composizione sopravvenuta, poiché conserva efficacia se non espressamente revocata o modificata. Tuttavia, a seguito del mutamento della composizione del giudice, le parti potranno esercitare nuovamente le facoltà loro attribuite dagli artt. 468 e 493 c.p.p., ovvero potranno presentare nuove richieste di prova che andranno ordinariamente valutate dal nuovo giudice. Il principio è stato recentemente ribadito dalla S.C. la quale ha affermato che, in occasione del mutamento del giudice, la difesa può anche chiedere l'ammissione di nuovi testi, che verrà valutata ai sensi degli artt. 495 comma 1 e 190 comma 1 c.p.p., purché detti testi siano inseriti in una lista tempestivamente depositata almeno sette giorni prima dell'udienza dinanzi al nuovo giudice, anche se in precedenza la difesa non aveva presentato alcuna lista (Cass. II, n. 23516/2024). Il problema si pone in particolare con riferimento agli esami già svolti dinanzi al giudice diversamente composto, rispetto ai quali le Sezioni unite, con la già citata sentenza Cass. S.U. n. 41736/2019, hanno affermato che: · L'ammissione di qualsiasi prova, quindi anche della reiterazione dell'esame del dichiarante già escusso dinanzi al giudice diversamente composto, può essere disposta solo su richiesta formulata ai sensi dell'art. 493 c.p.p. dalle parti, nonché d'ufficio, nei limiti consentiti dall'art. 507 c.p.p. · La facoltà di chiedere la rinnovazione degli esami testimoniali può essere esercitata solo da chi aveva indicato il soggetto da riesaminare nella propria lista ritualmente depositata ex art. 468 c.p.p. · La richiesta di riesame del testimone avanzata dalla parte che non lo aveva originariamente inserito nella propria lista, può valere come mera sollecitazione all'esercizio dei poteri officiosi del giudice ex art. 507 c.p.p. · Tuttavia, la parte che non aveva originariamente indicato nella propria lista il testimone che intende riesaminare, può chiedere un termine per presentare una nuova lista che lo contenga, indicando altresì le circostanze sulle quali il nuovo esame deve vertere. · Il giudice nella composizione sopravvenuta, a sua volta, deve riassumere solo le prove dichiarative che siano : a) non vietate dalla legge; b) non manifestamente superflue; c) non irrilevanti. Premesso che la rilevanza degli esami è in re ipsa (ove s'intenda procedere alla successiva declaratoria di utilizzabilità ex art. 511 c.p.p.) e i casi di prova già ammessa ma vietata dalla legge sono residuali, l'ipotesi più importante è quella della non manifesta superfluità della ripetizione della prova: anche in caso di rinnovazione del dibattimento, al giudice è attribuito il potere-dovere di valutare, ai sensi degli artt. 495 comma 1 e 190 comma 1 c.p.p., l'eventuale manifesta superfluità della reiterazione degli esami in precedenza svolti dinanzi al giudice diversamente composto, e conseguentemente non ammetterli. Potrà ritenersi non manifestamente superfluo il nuovo esame del teste laddove le parti si siano avvalse del potere di indicare nuove circostanze su cui escuterlo, o di indicare profili non sufficientemente chiariti nella precedente deposizione, purchè rilevanti ai fini della decisione; o laddove abbiano allegato elementi dai quali desumere la inattendibilità del teste, cosicchè appaia necessario il suo riesame. Potrà ritenersi manifestamente superfluo il nuovo esame del teste, e quindi non essere ammesso, quando dovrebbe vertere sulle stesse circostanze già oggetto del precedente esame; o quando il teste, nel precedente esame, aveva palesato un cattivo ricordo dei fatti, o aveva chiesto di consultare gli atti a sua firma in aiuto alla memoria, o il riesame debba avvenire a distanza di molto tempo dai fatti a sua conoscenza. In conclusione, il giudice – anche nel caso di rinnovazione del dibattimento – conserva in toto il potere di delibazione in ordine all'ammissione delle prove, con l'unico limite che, ove abbia ammesso la richiesta reiterazione della prova dichiarativa, purchè non vietata dalla legge, e non manifestamente superflua od irrilevante, dovrà assumerla secondo le ordinarie modalità, potendo disporre la lettura dei verbali delle precedenti dichiarazioni solo dopo lo svolgimento del nuovo esame. In definitiva, i verbali di dichiarazioni rese dai testimoni in dibattimento dinanzi a giudice in composizione successivamente mutata, che legittimamente permangono nel fascicolo del dibattimento a seguito del predetto mutamento della composizione del giudice, possono essere utilizzati ai fini della decisione previa lettura ex art. 511 c.p.p., seguendo due strade: - soltanto dopo il nuovo esame della persona che le ha rese, se chiesto, ammesso ed ancora possibile, ai sensi dell'art. 511, comma 2; - anche senza la previa rinnovazione dell'esame, ove questo non abbia luogo perché non chiesto, non ammesso o non più possibile. Il c.d. consenso delle parti alla lettura ex art. 511, comma 2, c.p.p. degli atti assunti dal collegio in diversa composizione: · non è necessario, quando la ripetizione dell'esame non abbia avuto luogo in difetto della richiesta di rinnovazione della parte che ne aveva domandato l'ammissione, oppure perché la ripetizione non sia stata ammessa o non sia più possibile; · è privo di rilievo, ex artt. 525, comma 2, prima parte, e 179 c.p.p. (che comminano espressamente la sanzione di nullità assoluta), quando la ripetizione dell'esame sia stata chiesta dalla parte legittimata ex art. 468 c.p.p. ed ammessa dal nuovo giudice, ma il nuovo esame non sia stato assunto, pur essendo tuttora possibile, ed in suo luogo sia stata disposta la lettura delle dichiarazioni in precedenza rese dal dichiarante dinanzi al giudice diversamente composto (S.U. cit.). I verbali delle dichiarazioni precedentemente raccolte non debbono essere stralciati dal fascicolo per il dibattimento di cui fanno parte integrante, in quanto attengono alla documentazione di un'attività validamente compiuta (Corte cost. n. 17/1994); ciò comporta anche che, ove in sede di rinnovazione il soggetto esaminato confermi le precedenti dichiarazioni e le parti non ritengano di chiedergli chiarimenti o di formulare nuove domande e contestazioni, è legittimo utilizzare "per relationem" il contenuto materiale di tali precedenti dichiarazioni (Cass. V, n. 52229/2014). Analogamente, tali verbali, non essendo viziati da inutilizzabilità patologica, possono essere legittimamente utilizzati, in sede di rinnovata assunzione dell'esame testimoniale, ai fini delle contestazioni previste dagli artt. 500 e 503, non diversamente da quanto dispone l'art. 238, comma 4 per le dichiarazioni rese in altri procedimenti; inoltre, in caso di sopravvenuta impossibilità di ripetizione dell'atto istruttorio, potranno essere senz'altro utilizzati per la decisione, facendo essi già parte del contenuto del fascicolo per il dibattimento a disposizione del nuovo giudice (Cass. V, n. 23015/2017). La c.d. riforma Cartabia (d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150)Con il d.lgs. n. 150/2022 (attuativo della legge delega n. 134 /2021) il legislatore si è proposto un'organica riforma del processo penale con alcuni obbiettivi di fondo, tra cui quello di accelerare i tempi processuali; di inserire nel sistema un'organica discplina della giustizia riparativa; di rivedere l'intero sistema sanzionatorio. Il decreto delegato, in relazione al tema del mutamento del giudice, riprende pedissequamente la legge delega, prevedendo l'inserimento, nell'art. 495 c.p.p., dopo il comma 4-bis, di un comma 4 – ter del seguente tenore: «4- ter. Se il giudice muta nel corso del dibattimento, la parte che vi ha interesse ha diritto di ottenere l'esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, salvo che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. In ogni caso, la rinnovazione dell'esame può essere disposta quando il giudice la ritenga necessaria sulla base di specifiche esigenze.» In sede di commento alla legge delega è stato osservato che il legislatore delegante ha in parte recepito ed in parte superato gli equilibri individuati dalla giurisprudenza di legittimità: da un lato si prevede che la riassunzione della prova dichiarativa debba avvenire su richiesta di parte; dall'altro, sembra che il legislatore delegante abbia delineato un diverso assetto dei poteri del (“nuovo”) giudice sulla valutazione dell'ammissibilità di tale richiesta di prova poiché tale valutazione – in assenza di indicazioni di segno diverso nella legge delega – pare dover essere operata alla stregua degli ordinari criteri di ammissione delle prove. In altre parole, vi sarebbe un allargamento del perimetro del diritto alla rinnovazione perché, stando al criterio di delega, peraltro recepito nel decreto attuativo, non sussisterebbe un dovere delle parti di indicare specificamente le ragioni della richiesta di rinnovazione; né sussisterebbe – per il giudice – il potere di ammettere solo le prove che risultino non manifestamente superflue. Ciò ampliarebbe – rispetto agli approdi giurisprudenziali raggiunti dalle Sezioni Unite – il perimetro del diritto delle parti ad ottenere la riassunzione della prova (Natale, 28). La portata di tale intervento è però limitata nei casi in cui la prova dichiarativa di cui si chiede la riassunzione sia stata precedentemente assunta – nel contraddittorio con le stesse parti – e documentata con videoregistrazione; in questo caso, il diritto alla riassunzione della prova è più limitato, potendo il giudice ammettere la reiterazione dell'atto istruttorio «solo quando lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze». La disposizione è stata aspramente criticata da parte dell'avvocatura, la quale ha osservato che corollario del principio di immediatezza è che la persona sottoposta a processo possa interrogare e far interrogare i testimoni dinanzi al giudice della decisone, e che la prova videoregistrata non può essere assimilata alla prova raccolta davanti al nuovo giudice, poiché diverse e nuove sono in ogni caso le dinamiche che si determinano in una “nuova” testimonianza, sia con riferimento all'atteggiamento delle parti che con riferimento alla percezione del giudicante (Riforma Cartabia e decreti delegati, in www.camere penali.it) . Forti perplessità sono state espresse anche in relazione al fatto che non sia stata regolata la modalità attraverso la quale il nuovo giudice dovrebbe prendere cognizione della prova precedentemente formatasi: in altri termini, la visione dell'atto videoregistrato potrebbe avvenire anche non in pubblica udienza, e dunque senza le garanzie assicurate dall'assunzione della prova nel contraddittorio delle parti. Quanto all'ambito temporale di applicazione, l'art. 93-bis l. 199 del 20 dicembre 2022, stabilisce espressamente che la disposizione di cui all'art. 495 co. 4-ter c.p.p. non si applica quando è chiesta la rinnovazione dell'esame di una persona che ha reso le precedenti dichiarazioni in data anteriore al 1° gennaio 2023; in altri termini, la nuova disciplina si applicherà alle testimonianze rese in giudizio dopo tale data. La sospensione della deliberazioneLa deliberazione ha inizio con il ritiro del giudice in camera di consiglio, e termina con il rientro in aula e la lettura del dispositivo della sentenza, o della sentenza stessa, ove contestualmente motivata (Dalia-Ferraioli, 608). La predisposizione della sentenza in camera di consiglio risponde ad un'esigenza di segretezza, e all'opportunità che la decisione venga alla luce in un clima sereno, e in un ambiente che garantisca al giudicante la necessaria indipendenza e ponderazione (Galati– Zappalà', Gli Atti). Non dovrebbe esservi soluzione di continuità tra la formale chiusura del dibattimento pronunciata dal giudice o dal presidente del Collegio giudicante e la pubblicazione del provvedimento che definisce il processo, senza possibilità di rinvio nemmeno orario; tuttavia non è prevista alcuna sanzione di nullità a presidio di tale disposizione, che in genere è rigorosamente rispettata. Sono espressamente previste due eccezioni: 1) la sospensione della deliberazione per la necessità di dare lettura del verbale di udienza redatto con la stenotipia ovvero di ascoltare o visionare riproduzioni fonografiche o audiovisive di atti dibattimentali (art. 528); 2) la sospensione per assoluta impossibilità di procedere alla deliberazione (art. 525 comma 3). Con riferimento al punto sub 1), la deliberazione può essere sospesa allorché l'organo giudicante abbia necessità di leggere il verbale stenotipato dell'udienza, o di ascoltare o prendere visione di documenti videofonoregistrati, secondo il disposto dell'art. 528. Con riferimento al punto sub 2), trattasi di un'ipotesi eccezionale, derivante dalla impossibilità, obiettiva ed assoluta, di procedere oltre con la deliberazione, il che non può ravvisarsi nella mera lunga durata della deliberazione medesima, ma deve consistere in circostanze obiettivamente apprezzabili, come può accadere ad esempio allorché il giudice monocratico od un componente del collegio sia colto da malore (Cass. II, n. 25222/2019), oppure l'autorità di pubblica sicurezza imponga l'evacuazione dei locali utilizzati per la deliberazione, o ancora si verifichino incidenti insuperabili, come un incendio o un allagamento dei locali ove la deliberazione è in corso. Secondo la giurisprudenza, rientra nell'ipotesi sub 2) anche il caso in cui l'organo giudicante si trovi nella impossibilità di formarsi un convincimento a causa della contraddittorietà e/o lacunosità del materiale probatorio agli atti, con conseguente necessità di sospendere la deliberazione per svolgere ulteriori e nuovi accertamenti, allo scopo di dissipare dubbi e colmare vuoti istruttori; in tal caso non si ha un provvedimento definitorio del processo, ma un provvedimento interlocutorio, con il quale viene disposta la assunzione di nuove prove (Cass. III, n. 7886/2012): il giudizio viene sostanzialmente rimesso sul ruolo, le parti riconvocate, l'istruttoria dibattimentale riaperta per l'assunzione della nuova prova, che può non essere l'ultima. La sospensione della deliberazione della sentenza per assoluta impossibilità determinata dall'esigenza di assumere nuove prove è dunque una categoria di elaborazione giurisprudenziale, che fonda su una interpretazione ed applicazione del combinato disposto degli artt. 525 comma 3 e 507 c.p.p., peraltro particolarmente contrastata dalla dottrina, secondo cui la regressione al dibattimento non è consentita, tanto più per fini istruttori; al contrario, è proprio nella logica accusatoria che ispira l'intero processo penale, che il giudice esca dalla camera di consiglio con il “verdetto”, bastino oppure no le prove raccolte alla miglior decisione possibile (Cordero, Codice). Per ulteriori approfondimenti vedi sub art. 507. La sospensione della deliberazione viene adottata con ordinanza del giudice monocratico o del presidente del Collegio, e opera fino a che la lettura o presa visione dei verbali e degli audiovisivi sia esaurita, o la condizione d'assoluta impossibilità a proseguire la deliberazione sia cessata, dopodichè la deliberazione riprende con le stesse modalità (per il caso di sospensione al fine di assunzione di nuove prove ex art. 507, vedi però infra). In linea di principio, non vi è motivo di consentire alle parti ed ai loro difensori nuove interlocuzioni, né è prevista una ordinanza presidenziale, o altro provvedimento formale, di cessazione della sospensione, sicché deve ritenersi che la deliberazione possa riprendere con la mera verbalizzazione dell'intervenuta cessazione del motivo di sospensione, e del nuovo ritiro dell'organo giudicante nella camera di consiglio. Conseguenze della sospensione Secondo la giurisprudenza, non è prevista alcuna sanzione di nullità con riferimento al procedimento di sospensione della deliberazione, né per quanto attiene alle ragioni di sospensione, né con riferimento alle forme dell'ordinanza presidenziale ed alla sua cronologia, né per quanto attiene al periodo di tempo durante il quale la sospensione si colloca (Cass. III, n. 4721/2007). Nel corso del periodo di sospensione, i giudici chiamati alla deliberazione possono dare luogo ad altre attività giudiziarie non afferenti allo stesso processo, mentre non è ammessa alcuna attività relativa al medesimo giudizio, diversa da quella che abbia fondato la sospensione, fino a che la deliberazione non sia ripresa ed esaurita. Diversamente, nel caso in cui la sospensione sia stata disposta per l'assunzione di nuove prove ex art. 507, il dibattimento è stato riaperto per consentire tale assunzione, sicché deve farsi luogo a nuova discussione, nuova dichiarazione di chiusura del dibattimento, nuovo inizio della deliberazione: la deliberazione che riprendesse, dopo l’assunzione di una nuova prova, senza consentire alle parti in sede di nuova discussione il contraddittorio sulla nuova prova assunta, condurrebbe alla pronunzia di sentenza viziata da nullità di ordine generale. CasisticaLa S.C. ha precisato che non è nullo l'interrogatorio di garanzia ex art.294 qualora ad esso proceda un giudice diverso, come persona fisica, da quello che ha applicato la misura cautelare, poiché non sussiste alcuna disposizione che imponga - a pena di nullità - che il giudice che procede all'interrogatorio in questione sia lo stesso giudice persona fisica che ha emesso la misura; inoltre, il principio di immutabilità del giudice è previsto dall'art. 525 comma 2, solo con riferimento alla necessaria identità della persona fisica del giudice o dei giudici che hanno partecipato al dibattimento, ma non può estendersi per analogia (in assenza della identità di ratio) anche alle attività svolte nel corso delle indagini preliminari, tanto più per quelle che non hanno contenuto decisorio (Cass. I, n. 41951/2016). L'acquisizione degli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale, come la querela, non costituisce un atto istruttorio, sicché in caso di mutamento del giudice o della composizione del collegio, non vi è necessità di ripetere l'acquisizione (Cass. III, n. 11542/2014); Se il difensore di un imputato ha svolto la discussione dinanzi ad un collegio, è nulla la sentenza che sia stata pronunziata da collegio diversamente composto innanzi al quale abbia svolto la discussione l'altro difensore dello stesso imputato (Cass. V, n. 649/2012). Quanto al procedimento camerale di prevenzione, l'immutabilità del giudice deve essere assicurata nelle fasi della trattazione e della discussione della causa, mentre, ai fini della decisione, possono essere utilizzati atti precedentemente ammessi o acquisiti innanzi al giudice in diversa composizione (Cass. V, n. 48094/2019). L'immutabilità del giudice di cui all'art. 525 comma 2 c.p.p., essendo espressione di un principio generale, si estende anche alle decisioni assunte nei giudizi di impugnazione cautelare, e quindi anche al procedimento camerale dinanzi al Tribunale per il riesame: (Cass. I, n. 13599/2017). Il principio, affermato dalla giurisprudenza civile di legittimità, secondo cui il mutamento non prevedibile della precedente e consolidata interpretazione di una norma processuale da parte della Corte di cassazione non si applica in pregiudizio della parte che abbia incolpevolmente confidato nella precedente interpretazione (cd. "overruling") non può essere invocato con riferimento ai principi affermati dalla sentenza Cass. S.U. n. 41736/2019 in tema di immutabilità del giudice ex art. 525, comma 2, , che ha semplicemente puntualizzato la corretta interpretazione della norma nell'ambito delle diverse letture, più o meno restrittive, sino ad allora praticate, sistematizzando la previsione di nullità rispetto alle iniziative delle parti e ai poteri del giudice in ordine alla prova (Cass. V, n. 12747/2020). Nel caso di rinnovazione del dibattimento dovuta a mutamento della persona fisica del giudice, l'eventuale inutilizzabilità delle dichiarazioni acquisite nella precedente fase dibattimentale, per la cui lettura sia mancato il consenso delle parti, dev'essere eccepita con il primo atto mediante il quale si abbia la possibilità di farlo, essendo da escludere la sua rilevabilità in ogni stato e grado del procedimento: è pertanto inammissibile tale motivo di ricorso dedotto per la prima volta in sede di giudizio di legittimità (Cass. III, n. 39596/2024). BibliografiaGrilli, Il dibattimento penale, Padova 2007; Natale, Il giudice di cognizione di fronte alla cd. “riforma Cartabia”, in www.questionegiustizia.it, , n. 4/2021 |