Codice di Procedura Penale art. 529 - Sentenza di non doversi procedere.Sentenza di non doversi procedere. 1. Se l'azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita [336 s., 649], il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere indicandone la causa nel dispositivo [345; 254 trans.]. 2. Il giudice provvede nello stesso modo quando la prova dell'esistenza di una condizione di procedibilità è insufficiente o contraddittoria (1). (1) Per i reati di competenza del giudice di pace, v. l'art. 34, d.lg. 28 agosto 2000, n. 274. InquadramentoLa sezione I del capo II del libro VIII è dedicata alla sentenza di proscioglimento dibattimentale. Agli artt. 529, 530 e 531 sono quindi riprodotte una serie di formule terminative della sentenza di proscioglimento dibattimentale, in ossequio alla tradizione codicistica italiana di offrire al giudice la possibilità di una scelta il più possibile aderente al caso concreto. Tale opzione di tecnica legislativa va certamente condivisa, in quanto tiene conto dei riflessi che la decisione penale può avere in altre sedi, civili o amministrative, e inoltre favorisce una migliore comprensione del suo contenuto da parte della pubblica opinione. Le formule di proscioglimento già previste nel codice Rocco sono state quindi riprodotte quasi tutte, ad eccezione di quella di proscioglimento per perdono giudiziale; costituisce invece una novità del codice del 1988 l’introduzione della formula di proscioglimento “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” (MARZADURI, Sub art. 529 c.p.p) La sentenza di non doversi procedere per mancanza di una condizione di procedibilitàNell’ambito delle sentenze di proscioglimento si distinguono quelle di assoluzionee quelle di non doversi procedere, e nell’ambito di queste ultime quelle di non doversi procedere per estinzione del reato e di non doversi procedere per mancanza di una condizione di procedibilità, ovvero perché l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita. Tali sentenze, previste dalla norma in commento, sono sentenze meramente processuali, che non presentano delibazioni di merito della vicenda, ma conseguono ad un processo male instaurato (Cordero), tant’è che sono preliminari ed assorbenti su ogni proscioglimento di merito. L'art. 529 dispone che sia pronunziata sentenza di non doversi procedere (diversa dalla sentenza di non luogo a procedere prevista dall'art. 425) quando l'azione penale non avrebbe dovuto essere iniziata o proseguita, ed altresì quando vi è prova insufficiente o contraddittoria circa la sussistenza di una condizione di procedibilità Nel caso in cui la condizione di procedibilità fosse in origine mancante (oppure la prova della sua originaria esistenza sia insufficiente o contraddittoria, v. infra) deve essere pronunziata sentenza di non doversi procedere perché l'azione penale non avrebbe dovuto essere iniziata. Nel caso in cui la condizione di procedibilità fosse originariamente presente, ma risulti successivamente venuta meno, la formula di proscioglimento sarà: a) non doversi procedere perché l’azione penale non poteva essere iniziata, ove la condizione di procedibilità sia venuta meno prima del’eserciziodell’azione penale. b) non doversi procedere perché l’azione penale non poteva essere proseguita, ove la condizione di procedibilità sia venuta meno dopo l’esercizio dell’azione penale e dunque nel corso giudizio. In ogni caso il giudice dovrà indicare la causa della improcedibilità nel dispositivo, ma l'omissione o l'errore commesso in tale indicazione non è sanzionato da alcuna nullità. Le condizioni di procedibilità in senso strettoLe condizioni di procedibilità in senso stretto sono: - la querela e l'istanza della persona offesa o dei suoi rappresentanti, quando previste dalla legge; - la richiesta di procedimento del Ministro della giustizia, quando prevista dalla legge; - l'autorizzazione a procedere del Ministro della giustizia, della Corte Costituzionale e dei due Rami del Parlamento, quando previste dalla legge. Con riferimento, in particolare, alla querela, la S.C. ha affermato che - in tema di contestazione suppletiva di un reato procedibile a querela della persona offesa - l'originaria assenza dell'istanza di punizione non preclude al giudice di pronunciarsi sul merito della imputazione qualora la condizione di procedibilità intervenga successivamente, entro il termine previsto dall'art. 124 c.p. (Cass. V, n. 29205/2016). Sempre in argomento, la giurisprudenza ha affermato che il proscioglimento per mancanza di querela è più favorevole della declaratoria di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione (Cass. II, n. 3722/2015), ed è idoneo a fondare il divieto di secondo giudizio fino alla proposizione della querela medesima (Cass. IV, n. 31446/2008); inoltre, prevale anche sulla declaratoria di estinzione del reato per morte dell'imputato, giacché la mancanza di una condizione di procedibilità osta a qualsiasi altra indagine in fatto (Cass. S.U., n. 49783/2009). Infine, la sentenza che dichiara l'improcedibilità per mancanza di querela non può condannare l'imputato al pagamento delle spese di giudizio, perché questa statuizione di condanna presuppone la soccombenza (Cass. II, n. 34884/2008). Dalla natura meramente processuale della sentenza di non doversi procedere per difetto di querela, deriva altresì che, in caso di "reformatio in peius " di siffatta sentenza, il giudice di appello, che abbia ritenuto il reato di violenza sessuale precedibile d'ufficio in forza della connessione con il reato di cui all'art. 610 c.p., non ha l'obbligo di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale delle dichiarazioni della persona offesa ritenuta pienamente attendibile in primo grado, seppure con riferimento ad altri capi d'imputazione, diversi rispetto a quello oggetto della sentenza di condanna pronunciata in appello: è infatti evidente che il proscioglimento in primo grado, essendo dovuto a motivi procedurali (difetto di querela), è in tal caso avvenuto senza alcuna specifica valutazione delle dichiarazioni testimoniali della P.O. raccolte nel corso del processo (Cass. III, n. 7369/2017). La richiesta di procedimento di cui all'art. 9, comma 3, c.p., anche se connotata da una larga discrezionalità, riveste natura giuridica di atto amministrativo e non di atto politico, in quanto non inerisce all'esercizio della direzione suprema degli affari dello Stato nè concerne la formulazione in via generale e al massimo livello dell'indirizzo politico e programmatico del Governo, conseguendo invece essa ad una scelta vincolata al perseguimento dei fini determinati di politica criminale; ne deriva che l'esercizio del potere di firma di tale provvedimento può essere delegato dal Ministro della giustizia ad un dirigente o ad altro funzionario dell'articolazione ministeriale competente in materia (Cass. V, n. 13525/2016). In tema di autorizzazione a procedere nei confronti di membro del Parlamento, la necessità della stessa non è esclusa dal consenso dell'interessato all'atto da compiere, essendo la garanzia prevista dall'art. 68 Cost. posta a tutela della Camera di appartenenza e non già del singolo parlamentare, il quale, quindi, non può validamente rinunciarvi (Cass. III, n. 11170/2008) La richiesta, l'istanza e l'autorizzazione a procedere sono irrevocabili, mentre il diritto di querela è rinunziabile. Le altre cause di improcedibilitàAccanto alle condizioni di procedibilità come sopra individuate vi sono poi altre specifiche situazioni che di fatto si traducono in cause di improcedibilità, e precisamente: - L'errore sulla identità fisica della persona (art. 68 ) - L'esistenza di un segreto di Stato - La presenza del cittadino sul territorio dello Stato nel caso di delitto comune commesso all'estero - Il rifiuto dell'estradizione verso l'estero o il rifiuto dello Stato estero di accettare l'estradizione concessa - Il vincolo di precedente giudicato, e la litispendenza con altro giudizio previamente instaurato - La mancata riapertura delle indagini, con riferimento a procedimento precedentemente archiviato (art. 414) - Il caso dell'imputato irreversibilmente incapace (art. 72 bis). Dall'errore sulla identità fisica dell'imputato va tenuta distinta l'ipotesi della difficoltà od incertezza di attribuire all'imputato le sue esatte generalità, riconducibile all'art. 66, che non pregiudica il compimento di alcun atto da parte dell'autorità procedente e comporta, in caso di accertata erronea attribuzione, la correzione del provvedimento emanato ex art. 130 (Cass. I, n.14046/2014). Con riferimento al se greto di Stato, la S.C. ha precisato che l'opposizione da parte dell'imputato del segreto di Stato, confermato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, comporta il divieto di utilizzo in sede processuale delle notizie coperte da segreto, e impone al giudice procedente di emettere sentenza di non doversi procedere, ai sensi dell'art. 41, comma 3, l. 3 agosto 2007, n. 124, solo quando l'acquisizione di tali notizie sia ritenuta essenziale per la definizione del processo (Cass. VI, n. 1198/2015). In materia di trasferimento fraudolento di valori, previsto dall'art. 12-quinquies d.l. n. 306/1992, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 356/1992, commesso dal cittadino all'estero, la giurisprudenza ha affermato che esso è punito secondo la legge italiana solo se l'autore del reato si trova nel territorio dello Stato e qualora il Ministro della giustizia abbia proposto richiesta in tal senso. In particolare, il difetto di procedibilità deve costituire oggetto di specifica eccezione da parte dell'interessato (Cass. V, n. 40278/2016). In relazione, più in generale, al tema della estradizione dall'estero, l'art. 721 stabilisce il principio di specialità della estradizione, nel senso che "la persona estradata non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o misura di sicurezza ne' assoggettata ad altra misura restrittiva della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna, diverso da quello per il quale l'estradizione è stata concessa", salvo che in alcune ipotesi derogatorie specificamente indicate. La S.C. ha in proposito affermato che il principio di specialità previsto dall'art. 14, § 1, della Convenzione europea di estradizione si configura come condizione di procedibilità la cui mancanza ostacola l'esercizio dell'azione penale, e, nel caso in cui il procedimento sia iniziato anteriormente alla estradizione, impedisce la prosecuzione di quest'ultimo . In applicazione del principio è stato escluso che nei confronti dell'imputato, estradato per il solo reato di cessione di sostanze stupefacenti, potesse essere proseguito il processo, iniziato anteriormente alla estradizione, per il reato di contrabbando commesso in precedenza (Cass .II, n. 39353/2008). Analogamente, in relazione alla Convenzione delle Nazioni Unite del 20 dicembre 1998, la violazione del principio di specialità determina, in riferimento a fatti punibili con pena detentiva, anteriori e diversi da quelli per i quali è stata concessa l'estradizione, una vera e propria preclusione all'esercizio dell'azione penale, da intendersi quale limite alla possibilità di giudicare l'imputato per i suddetti fatti (Cass. II, n. 3706/2016). Per quanto attiene alla facoltà di rifiutare l'estradizione del cittadino italiano, essa può essere esercitata esclusivamente dal Ministro della Giustizia, quale autorità politica, ma non anche dall'autorità giudiziaria, in quanto trattasi di scelta attinente alla dimensione politica della cooperazione tra Stati (Cass. VI, n. 43170/2014). In ordine alla declaratoria di proscioglimento per divieto di un secondo giudizio, sono intervenute le S.U., affermando che non può essere nuovamente promossa l'azione penale per un fatto e contro una persona per la quale un processo per lo stesso fatto già sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.m.; ne consegue che nel procedimento eventualmente duplicato dev'essere disposta l'archiviazione oppure, se l'azione penale è stata esercitata, dev'essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. La non procedibilità consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal P.m., ma riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza (Cass. S.U. n. 34655/2005). Allorchè invece i due procedimenti per lo stesso fatto e a carico della stessa persona, pendano avanti ad uffici diversi, anche ricadenti nella medesima sede giudiziaria (nella specie, tribunale e giudice di pace), con riferimento all'azione penale esercitata nel secondo procedimento non opera la preclusione del "ne bis in idem". Si è infatti precisato che la non procedibilità riguarda le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici "egualmente competenti", e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali è incompetente. Ciò per l'ovvia ragione che l'ordinamento appresta rimedi specifici (quelli previsti dall'art. 28) per l'ipotesi che due procedimenti, aventi il medesimo oggetto e riguardanti lo stesso imputato, siano pendenti dinanzi ad "uffici diversi", sicché non ricorre la necessità - per ovvie ragioni di economicità e di tutela degli interessi dell'accusato - di fare applicazione del principio della preclusione processuale. Tra l'altro, diversamente opinando, si rischierebbe di infrangere il complesso sistema procedurale apprestato dal legislatore per la salvaguardia degli ambiti di giurisdizione riconosciuti a ciascun giudice, sostituendolo arbitrariamente con quello della priorità della procedura (Cass. V, n. 10037/2017). Ai fini della preclusione connessa al principio del "ne bis in idem", l'identità del fatto sussiste solo quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, da considerare in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona; ne consegue che il divieto in questione può operare anche ove tra i fatti già irrevocabilmente giudicati e quelli ancora da giudicare ricorra un'ipotesi di concorso formale di reati (Cass. I, n. 39746/2016). Peraltro, la violazione del principio del "ne bis in idem" è sottratta all'onere devolutivo e può essere rilevata anche d'ufficio in applicazione del disposto di previsioni di norme di rango sovralegislativo, rilevanti ex art. 117 Cost., quali l'art. 4 Prot. n. 7 della Convenzione EDU e l'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che sanciscono il diritto della persona a non essere "perseguita" o "condannata" due volte per lo stesso fatto (Cass. II, n. 35126/2019, in fattispecie in cui la litispendenza relativa alla stessa contestazione era stata dedotta in sede di discussione nel giudizio di appello). Il difetto di autorizzazione alla riapertura delle indagini, oltre a determinare l'inutilizzabilità degli atti d'indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione, preclude l'esercizio dell'azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero: in difetto di detta autorizzazione, l'azione penale è da ritenere inficiata da nullità assoluta ai sensi dell'art. 179, comma I, concernendo l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale e, quando sia chiesto dal P.M. il decreto di rinvio a giudizio, il G.i.p. deve emettere sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 comma 1, con la formula "perché l'azione penale non doveva essere iniziata" (Cass. I, n. 45971/2012). La parte civile è priva di interesse a proporre impugnazione avverso una tale sentenza, trattandosi di pronuncia penale meramente processuale priva di idoneità ad arrecare vantaggio al proponente ai fini dell'azione civilistica (Cass.II, n. 34724/2014). Quanto all'istituto di cui all'art. 72 bis, introdotto dalla l. n. 103/2017, con la detta riforma è stata configurata la capacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo come una sorta di condizione di procedibilità, la cui mancanza, ove sia accertata come irreversibile, impone la definizione del procedimento penale, potendo l'azione penale essere nuovamente esercitata solo ove l'incapacità della persona da giudicare venga meno, o sia provato che sia stata dichiarata in modo erroneo (Cass., III, n. 23790/2019). Insufficienza o contraddittorietà della prova circa l’esistenza di una condizione di procedibilitàL'art. 529 comma 2 introduce la regola di giudizio dell'equivalenza della prova insufficiente o contraddittoria rispetto alla prova positiva della mancanza di una condizione di procedibilità (Chiavario, La riforma del processo penale ): si tratta di un'importante innovazione del nuovo codice, non prevista nel codice di procedura del 1930; l'insufficienza e la contraddittorietà dovranno riferirsi esclusivamente a situazioni di fatto, come ad es. l'incertezza sulla data di presentazione della querela (Massa). L'onere della prova spetta in linea generale al pubblico ministero, mentre sull'imputato grava un onere di allegazione qualora egli contesti la tempestività della condizione di procedibilità, e secondo parte della dottrina tale onere di allegazione, se non osservato, consentirebbe di affermare la tempestività della condizione di procedibilità (Spangher , 2881); non mancano tuttavia prospettazioni di diverso segno, più attente al principio di favore per l'imputato che a quello di favore per il querelante. Qualora invece sia documentata l'esistenza della condizione di procedibilità ed altresì la sua tempestività, se previsto un termine, l'insufficienza o contraddittorietà della prova può derivare esclusivamente dal contenuto testuale dei documenti rappresentativi della condizione oppure dalla condotta tenuta dalle persone offese. Con specifico riferimento alle richieste del Ministro della giustizia ed alle autorizzazioni a procedere, l'insufficienza o contraddittorietà della prova può derivare da una carenza di corrispondenza tra il fatto per cui la richiesta o autorizzazione è concessa e il fatto per cui si procede, oppure da errori essenziali di forma o di sostanza contenuti nel documento, come ad esempio una richiesta priva di sottoscrizione o carente di parti sostanziali. Con riferimento alle querele ed istanze della persona offesa, invece, l'insufficienza o contraddittorietà della prova può derivare da un comportamento contraddittorio tenuto dalla persona offesa prima della querela, interpretabile come rinunzia tacita al diritto di querela, oppure dalla incompleta prova della qualità e dei poteri del querelante o istante o del suo rappresentante, curatore o procuratore speciale. In presenza di tali vizi essenziali del provvedimento, o della qualità del querelante o istante o loro rappresentante, o dell'atto attributivo di poteri di querela o istanza, o dell'esistenza del diritto di querela o istanza, deve essere pronunziata sentenza di non doversi procedere perché l'azione penale non avrebbe dovuto essere iniziata. Le fattispecie poste all'attenzione della S.C. hanno riguardato sostanzialmente il tema della tempestività della querela, ed in proposito è costante l'orientamento secondo cui l'onere della prova dell'intempestività della querela incombe a chi lo deduce, sicché l'eventuale situazione di incertezza va risolta a favore del querelante (Cass. VI, n. 35122/2003). Il principio è stato anche di recente ribadito, affermandosi che, in presenza di un quadro di incertezza, deve ritenersi tempestiva la proposizione della condizione di procedibilità, poiché il decorso del termine di cui all'art. 124 c.p. importa decadenza, e le decadenze vanno accertate secondo criteri rigorosi, non potendo ritenersi intervenute in base a semplici supposizioni, prive di adeguato supporto probatorio (Cass. VI, n. 4380/2015). Si è anche precisato che la mancata acquisizione, "ab initio", al fascicolo delle indagini preliminari della prova dell'effettiva sussistenza della querela non comporta l'invalidità o l'inutilizzabilità degli atti compiuti e del conseguente esercizio dell'azione penale, in quanto i documenti necessari alla verifica della procedibilità possono essere acquisiti in ogni stato e grado del giudizio di merito, senza che ne derivi un nocumento al diritto di difesa, potendo l'imputato chiedere l'immediata declaratoria di improcedibilità ai sensi dell'art. 129, comma 1e dovendo il giudice verificare, in tal caso, se la condizione di procedibilità sussista effettivamente (Cass., III, n. 16470/2020). La prova dell'esistenza delle condizioni di procedibilità diverse da querela, istanza, richiesta di procedimento e autorizzazione a procedere, si trae da fonti assai eterogenee, dal momento che la prova della pena prevista dalla legge italiana ai fini degli artt. 9 e 10 c.p., consiste nella vigenza della legge; la prova del rifiuto di concedere o accettare l'estradizione consiste nella pendenza del procedimento estradizionale oppure nella sentenza contraria all'estradizione, oppure nel decreto ministeriale di rifiuto della richiesta estradizionale o, ancora, nel provvedimento dello Stato estero di non accettazione dell'estradizione concessa; la prova della presenza dell'imputato sul territorio dello Stato (Cordero, 418) dipende da accertamenti di merito da svolgersi in relazione alla circostanza, mentre la prova del vincolo di precedente giudicato o litispendenza o riapertura non autorizzata delle indagini preliminari dipendono dai relativi documenti. Ne consegue che non può configurarsi alcuna ipotesi di insufficienza o contraddittorietà della prova con riferimento alla sanzione penale prevista dalla legge italiana (artt. 9 e 10 c.p.), né in relazione alla carenza di estradizione, né al vincolo di precedente giudicato o alla litispendenza o alla riapertura non autorizzata delle indagini preliminari, mentre può, in teoria, configurarsi in relazione alla presenza dell'imputato sul territorio dello Stato, laddove egli risulti, nonostante adeguate ed approfondite ricerche, irreperibile, fermo restando il dovere dell'organo giudicante di valutare, in concreto, se tale irreperibilità possa riferirsi ad un'effettiva assenza dal territorio dello Stato e non sia piuttosto ascrivibile alla volontà dell'imputato di occultare la propria presenza onde bloccare l'esercizio dell'azione penale nei suoi confronti. È stato anche osservato in dottrina che – pur facendo riferimento l'art. 529 comma 2 alle sole situazioni di insufficienza o contraddittorietà della prova della esistenza di una condizione di procedibilità –il principio in esso contenuto deve ritenersi applicabile anche al caso di mancanza assoluta della prova dell'esistenza della condizione di procedibilità (EPIDENDIO). La sentenza di proscioglimento deve inoltre essere pronunziata, dal giudice competente pur non costituendo statuizione di pieno merito, e se pronunziata dal giudice incompetente è abnorme (Cass. II, n. 31469/2014); va pronunciata in contraddittorio e non può essere adottata de plano, ovvero senza fissare udienza (Cass.S.U., n. 12283/2005), e. in ogni caso, nessuna statuizione di merito è ammessa, nemmeno con riferimento alla falsità di atti e documenti (Cass. V, n. 20734/2010). La decadenza della condizione di procedibilitàLaddove sia stata fornita la prova della esistenza e tempestività, ove previsto un termine, della condizione di procedibilità, può verificarsi che essa venga meno nel corso del procedimento o del processo. Le richieste del Ministro della giustizia e le autorizzazioni a procedere sono irrevocabili per espressa disposizione di legge. Altrettanto dicasi per l'istanza di procedimento, che è retta dalle medesime disposizioni applicabili alla richiesta del Ministro della giustizia, ad eccezione delle sole norme che presiedono alle condizioni di capacità e rappresentanza della persona offesa ed alle modalità di presentazione dell'istanza, per le quali la legge rinvia alla disciplina della querela. Quanto alla querela, con salvezza dei casi in cui essa è irrevocabile, la morte del querelante non ne determina la decadenza; la remissione della querela, se accettata, determina invece l'estinzione del reato. Il vincolo derivante da precedente giudicato o litispendenza, come pure da riapertura non autorizzata delle indagini preliminari, preesiste all'esercizio dell'azione penale e non muta la propria natura nel corso del giudizio. Pertanto, la sentenza di non doversi procedere ai sensi dell'art. 529 perché l'azione penale non avrebbe dovuto essere proseguita appare applicabile esclusivamente in cui vengano meno le condizioni di procedibilità previste in relazione ai delitti comuni commessi all'estero dai cittadini italiani o dagli stranieri, nei casi in cui la legge ne prevede la punibilità (cfr. artt. 9 e 10 c.p.), e all’ipotesi del rifiuto di concedere o accettare l'estradizione verso lo Stato estero dove il delitto è stato commesso. Per questo motivo, se nel corso del processo l'imputato si allontani dal territorio italiano, o la pena minima sia ridotta al di sotto dei tre anni di reclusione, oppure l'estradizione verso l'estero sia concessa ed accettata, dovrà pronunziarsi sentenza di non doversi procedere perché l'azione penale non avrebbe dovuto essere proseguita. CasisticaSe vi è pendenza presso la medesima sede giudiziaria di un processo per gli stessi fatti e nei confronti degli stessi imputati, il giudice del dibattimento relativo al processo instaurato da ultimo, investito della litispendenza, deve statuire sul punto e non può, invece, sospendere il processo, che va definito con sentenza di improcedibilità (Cass. V, n. 37670/2012). La sentenza che dichiara l'improcedibilità per mancanza di querela non può condannare l'imputato al pagamento delle spese di giudizio, perché questa statuizione di condanna presuppone la soccombenza (Cass. IV, n. 15187/2018). Va tuttavia riconosciuto alla parte civile l'interesse ad impugnare ai fini civili la sentenza di proscioglimento per difetto di querela a seguito della riqualificazione giuridica del fatto, allorché dalla diversa ed originaria contestazione, relativa ad un reato procedibile d'ufficio, derivi per la parte civile, la possibilità di ottenere sia l'accertamento nel giudizio penale, con efficacia di giudicato, della responsabilità per fatto illecito dell'imputato, sia una differente quantificazione del danno da risarcire, tenuto conto della diversa gravità del reato e dell'entità del pregiudizio sofferto dalla vittima (Cass. II, n. 29323/2019, in fattispecie in tema di estorsione, riqualificata dal giudice di primo grado come esercizio arbitrario delle proprie ragioni). BibliografiaCordero, Procedura penale, Milano 2012. |