Codice di Procedura Penale art. 629 - Condanne soggette a revisione 1 .Condanne soggette a revisione1. 1. È ammessa [634] in ogni tempo a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna [533 s.] o delle sentenze emesse ai sensi dell'articolo 444, comma 2, o dei decreti penali di condanna [460], divenuti irrevocabili [648], anche se la pena è già stata eseguita [656 s.] o è estinta [171 s. c.p.] 2.
[1] Per un caso di revisione finalizzato all'aggravamento della condanna, si veda l'art. 16-septies d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, conv., con modif., nella l. 15 marzo 1991, n. 82, articolo introdotto dalla l. 13 febbraio 2001, n. 45. [2] Articolo così modificato dall'art. 3 l. 12 giugno 2003, n. 134. InquadramentoLa revisione è mezzo di impugnazione straordinaria che consente, in casi tassativi, di rimuovere gli effetti della cosa giudicata in relazione al sopravvenire di elementi, estranei e diversi da quelli sui quali sia incentrata la decisione definitiva che si intende rimuovere, a prescindere dal fatto che il provvedimento sia stato oggetto di esecuzione, parziale di integrale. La finalità essenziale quella di rimuovere eventuali errori giudiziari che abbiano determinato un pregiudizio alla libertà personale o comunque alla sfera giuridica del condannato. Di fatto, la revisione non è un mezzo di riparazione della sentenza che abbia fatto malgoverno del diritto o del fatto, perché tutto ciò è definitivamente coperto dalla verità formale del giudicato e non è ammissibile una riconsiderazione del diritto o del fatto se non attraverso le impugnazioni ordinarie ma è un mezzo con il quale si risolve la contraddizione tra questa verità formale e la successiva verità reale e emersa da situazioni nuove, non valutate nella sentenza, e che ne denunciano l'ingiustizia, smentiscono cioè in modo evidente la presunzione di verità che l'assiste (Cass. III, n. 12320/1994). Sotto questo aspetto, la dottrina ha rilevato come l'effetto rescindente del rimedio ha rilevanza assorbente tanto da poter essere qualificato in termini di azione di annullamento (Dean). Le sezioni unite hanno peraltro statuito che – da una parte – la finalità dell'istituto deriva dalla necessità dell'eliminazione dell'errore giudiziario in relazione alla "esigenza di altissimo valore etico e sociale, di assicurare, senza limiti di tempo ed anche quando la pena sia stata espiata o sia estinta, la tutela dell'innocente, nell'ambito della più generale garanzia, di espresso rilievo costituzionale, accordata ai diritti inviolabili della personalità" (richiamandosi in ciò a Corte cost. n. 28/1969 che ricollegava tale esigenza all'art. 24 Cost.) e che dall'altra è proprio la specifica funzione di superamento del giudicato, da cui consegue il carattere straordinario dell'impugnazione per revisione, a spiegare i precisi limiti posti dalla legge processuale, la cui ratio è quella di realizzare un equilibrato bilanciamento tra opposti interessi mediante soluzioni normative dalle quali traspare che "la revisione è necessariamente subordinata a condizioni, limitazioni e cautele, nell'intento di contemperarne le finalità con l'interesse fondamentale in ogni ordinamento alla certezza e stabilità delle situazioni giuridiche ed all'intangibilità delle pronunzie giurisdizionali di condanna, che siano passate in giudicato" come affermato dalla stessa Corte Cost. n. 28/1969 (Cass. S.U., n. 624/2001). La finalità della norma è sostanziale: quella di rimuovere eventuali errori giudiziari che abbiano determinato un pregiudizio alla libertà personale o comunque alla sfera giuridica del condannato non essendo peraltro necessario che oggetto della revisione sia l'intero giudicato, residuando alla possibilità che siano impugnati singoli capi della sentenza o, in caso di cumuli di reati ovvero di cumuli soggettivi, singole posizioni. rimanendo la cognizione del giudice vincolata agli specifici motivi fatti valere dal ricorrente.
La revisione sfavorevole al condannatoVi sono tuttavia fattispecie previste da norme speciali di revisione in peius: in particolare, l'ipotesi di cui all'art. 10, l. n. 304/1982, relativa alla possibilità di revisione della sentenza emessa nei confronti di chi avesse beneficiato, per effetto di dichiarazioni false o reticenti, dell'attenuante o delle cause di non punibilità previste dalla medesima legge nella parallela previsione di cui all'art. 8, comma 3, 4 e 5, e 16-septies d.l. n. 152/1991, conv., con modif., dalla l. n. 203/1991 e poi ulteriormente integrato con la l. n. 45/2001 che, in materia di criminalità organizzata di stampo mafioso, prevedono la possibilità di una revisione ai danni di quei soggetti che, sulla base di dichiarazioni false o reticenti, avessero ottenuto la concessione delle attenuanti previste dalla citata legge ovvero nei confronti del collaboratore di giustizia che, nei 10 anni successivi al passaggio in giudicato della pronuncia, avesse commesso un delitto per il quale sia previsto l'arresto obbligatorio in flagranza da cui potesse desumersi la permanenza del soggetto nel circuito criminale. Provvedimenti impugnabiliAmmessa in ogni tempo, a favore dei condannati e nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna, delle sentenze di applicazione pena (per effetto dell'intervento della l. 12 giugno 2003, n. 134) e dei decreti penali. Riguardando l'art. 629 soltanto le pronunce di condanna e di applicazione pena, costituiva orientamento maggioritario quello per cui l'istituto della revisione non potesse essere esteso alle sentenze di proscioglimento o (ex plurimis, Cass. V, n. 15973/2004). Tale orientamento aveva portata generale ed era applicato anche con riferimento alle pronunce che avessero provveduto in maniera pregiudizievole per l'imputato in ordine alle richieste della parte civile (Cass. II, n. 53678/2017; Cass. III, n. 24155/2011; contra Cass. V, n. 46707/2016). Tale orientamento è stato però oggetto di rivisitazione da parte delle sezioni unite della Corte (Cass. S.U., n. 6141/2019) che ha esplicitamente esteso la possibilità di esperire il rimedio della revisione avverso le sentenze dichiarative della estinzione del reato per prescrizione che contestualmente confermino le statuizioni civili. Deve ritenersi quindi superato il precedente negativo orientamento (fondato sulla ritenuta decisività della mancanza di effetti penali ricollegabili alla sentenza) in conseguenza del fatto che il dato letterale della norma in esame si limita a far riferimento genericamente alle sentenze di condanna, con la conseguenza che rimane rilevante anche una sentenza di condanna pronunciata in sede penale, seppure limitata a condanna in ordine alla responsabilità civile derivante da reato trattandosi di accertamento reso comunque in sede penale. Rimane invece inammissibile l'istanza di revisione della sentenza che, dichiarando l'estinzione del reato per prescrizione o amnistia, non abbia provveduto in maniera pregiudizievole per l'imputato in ordine alla richiesta di condanna avanzata dalla parte civile ( Cass., V, n. 24920/2022 ). Da escludersi Invece l'esperibilità del rimedio in oggetto nei confronti delle sentenze di non luogo a procedere (in quanto per tali provvedimenti vi è un regime completamente separato che comunque ne permette la revoca), delle ordinanze, da qualunque giudice emesse ( Cass. V, n. 1534/1991 ); delle sentenze pronunciate dai giudici speciali (anche in conseguenza della disciplina specifica ad esse riservata), delle sentenze straniere riconosciute in Italia (anche se rimane aperto il problema delle eventuali fattispecie in cui gli accordi internazionali non regolino specificamente la possibilità di impugnare tali provvedimenti), dei provvedimenti applicativi di misure di prevenzione ( Cass. I, n. 21858/2006 ; Cass. S.U. , n. 18/1997 ) sul presupposto che, per detti provvedimenti, il legislatore ha previsto uno specifico regime di revocabilità nell' art. 7, comma 2, l. n. 1423/1956 e successive modifiche. E' stata ritenuta manifestamente infondata l'eccezione di illegittimità costituzionale relativa alla mancata previsione, tra i provvedimenti impugnabili, del decreto di archiviazione o, ancora, della sentenza favorevole all'estradizione (Cass. n. 29687/2022). Per quanto riguarda le misure di prevenzione, deve oggi farsi riferimento all'istituto previsto dall'art. 11 comma 2 d.lgs. n. 159/2011. Controversa la possibilità di far valere la sopravvenuta abolitio criminis. Parte della giurisprudenza ammette tale rimedio in alternativa alla richiesta di revoca ex art. 673 c.p.p. indirizzata al giudice dell'esecuzione sempre che sussistano i presupposti della revisione medesima (Cass. V, n. 5899/2006. Nella specie, il condannato aveva avanzato l'istanza di revisione della condanna per emissione di assegno a vuoto, nel frattempo depenalizzato, deducendo l'estraneità ai fatti). Altra parte della giurisprudenza afferma che – in caso di abrogazione della norma incriminatrice o depenalizzazione l'interessato possa chiedere al giudice dell'esecuzione la revoca della relativa sentenza o decreto ai sensi dell'art. 673 c.p.p. e che l'istituto di revisione, previsto per le decisioni irrevocabili, risulti inammissibile (Cass. V, n. 1012/2000). Va segnalata comunque la possibilità che vi siano dei provvedimenti certamente non autonomamente suscettibili di revisione ma che di fatto vengono travolti in caso di accoglimento. Ciò avviene ad es. in relazione alla confisca ex art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, disposta con sentenza definitiva di condanna per i reati che la prevedono. Essa non può essere revocata dal giudice dell'esecuzione quando siano emersi nuovi elementi di prova ma che viene ad essere travolta in caso di accoglimento della revisione avente ad oggetto l'accertamento giudiziale su cui la misura di sicurezza si fonda (Cass., VI, 29200/2021) . Quanto ai profili di eventuale incompatibilità del giudice derivanti da precedenti pronunce sul medesimo oggetto, si rinvia alla trattazione relativa agli artt. 34 e ss. Segnalando comunque che non sussiste alcuna incompatibilità per il giudice che, dopo avere pronunciato ordinanza di inammissibilità della revisione, venga chiamato a decidere su un'altra richiesta di revisione concernente lo stesso soggetto e la medesima sentenza (Cass., V, 44685/2021). 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