Codice di Procedura Penale art. 630 - Casi di revisione 1 .

Vincenzo Tutinelli

Casi di revisione1.

1. La revisione può essere richiesta [634]:

a) se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile [648] del giudice ordinario o di un giudice speciale;

b) se la sentenza o il decreto penale di condanna hanno ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata [395 s. c.p.c.], che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall'articolo 3 ovvero una delle questioni previste dall'articolo 479;

c) se dopo la condanna sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate [434], dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'articolo 631;

d) se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti [476-493-bis c.p.] o in giudizio [367-374 c.p.] o di un altro fatto previsto dalla legge come reato [647].

 

[1] La C. cost., con sentenza del 7 aprile 2011, n. 113, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo «nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo».

Inquadramento

Per quanto riguarda l'inquadramento sistematico e dogmatico della revisione, si rinvia al commento sub art. 629.

Le ipotesi di revisione a favore del condannato sono regolate dalla disposizione in commento che introduce quattro  fattispecie tassative in relazione alla presenza di giudicati incompatibili sugli stessi fatti (lett. a), alla revocazione della sentenza di altro giudice su questione preliminare o pregiudiziale e che abbia costituito presupposto della decisione in sede penale (lett. b), al sopravvenire o alla scoperta di nuove prove decisive ai fini di un proscioglimento ai sensi degli artt. 529, 530 o 531 c.p.p. (lett. c); alla dimostrazione del fatto che la condanna si fonda su falsi o è conseguenza di reato (lett. d).

A tali fattispecie si aggiunge una ipotesi  introdotta da sentenza additiva della Corte Costituzionale (Corte cost. n. 113/2011) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, § 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Tale previsione - tuttavia - ha successivamente portato il legislatore a prevedere una norma ad hoc - introdotta con il d.lgs. n. 150/2022 - costituita dall'art. 628-bis al cui commento si rinvia .

Le situazioni legittimanti: l’inconciliabilità tra giudicati

Coessenziale alla natura del rimedio il fatto che in tanto possa parlarsi di incompatibilità fra giudicati rilevante ai fini della disposizione in parola in quanto si tratti di sentenze rese in procedimenti formalmente diversi anche se derivati dal medesimo procedimento. Ove invece i fatti inconciliabili derivassero dalla medesima sentenza o da sentenze distinte ma coeve, il rimedio invero esperibile sarebbe non la revisione, ma la impugnazione ordinaria (Cass. I, n. 381/1992).

Non sussiste contrasto fra giudicati agli effetti dell'art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti - specie se dipese dalla diversità del rito prescelto nei separati giudizi e dal correlato, diverso regime di utilizzabilità delle prove - dovendosi intendere il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non in termini di mero contrasto di principio tra le decisioni, bensì con riferimento ad un'oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui esse si fondano (Cass. ,VI, n. 16477/2022). In sostanza, si può parlare di inconciliabilità fra giudicati nella misura in cui vi sia un'oggettiva incompatibilità fra fatti storici su cui si fondano i diversi provvedimenti (Cass. II, n. 14785/2017) e non alle divergenti valutazioni in ordine ad elementi normativi della fattispecie, fondate sulla medesima ricostruzione in punto di fatto (Cass. VI, n. 34927/2018). In conseguenza di ciò, si deve far riferimento all'accertamento, operato in via definitiva, del fatto coinvolgente lo specifico ricorrente in ordine alla specifica condotta (Cass. V, n. 7205/2006) irrilevante rimanendone la qualificazione giuridica eventualmente difforme nell'uno o nell'altro provvedimento (Cass., V, n. 2713/2022). Proprio per tale motivo, anche in dottrina, si esclude la possibilità che a legittimare una richiesta di revisione per conflitto tra giudicati possano venire in considerazione decreti penali di condanna ovvero sentenze pronunciata dal giudice civile o amministrativo (al di fuori delle ipotesi di cui alla lett. b della medesima norma) o ancora la sentenza di applicazione pena concordata (salve le ipotesi eccezionali di cui si dirà nel contesto del presente paragrafo) o proveniente dal giudice straniero, di fatto esclusi in relazione alla possibilità di opporre gli accertamenti ivi contenuti, ove presenti, e anche la sentenza di non luogo a procedere o il provvedimento di archiviazione in conseguenza di una possibile revoca o riapertura delle indagini.

Non viene in gioco quindi alcun profilo di inconciliabilità tra diversi esiti processuali in separati giudizi che abbiano colpito diversi concorrenti nel medesimo reato(Cass. I, 6273/2009) a meno che il fatto sia in scindibile, come ad esempio nelle ipotesi di concorso in falsità (Cass. V, n. 7205/2006); ovvero quando il concorrente sia stato assolto per insussistenza del fatto (Cass. V, n. 27013/2007) o qualora - per effetto dell'assoluzione dei coimputati - risulti l'impossibilità di configurare un sodalizio criminale composto da un numero di partecipi inferiore a quello previsto "ex lege" (Cass,. II, n. 24324/2022).

Nemmeno rilevano le diverse valutazioni riguardanti l'attendibilità del medesimo collaboratore di giustizia essendo tale difformità conseguenza dell'applicazione del criterio legale di valutazione fissato dall'art. 192, comma 3 (Cass. VI, n. 16458/2014).

Nemmeno risulta rilevante alcun aspetto che possa riguardare una difforme interpretazione di norma processuale (Cass. II, n. 25110/2009).

Ancora, nell'ambito del medesimo procedimento, la scelta insindacabile del Pubblico Ministero di non proporre impugnazione contro il proscioglimento nel merito di uno degli stessi non determina alcun effetto preclusivo ai fini dell'impugnazione della sentenza assolutoria nei confronti dell'altro coimputato (Cass. II, n. 32033/2019).

Con specifico riferimento poi alla possibilità di revisione della sentenza di patteggiamento, di regola si ritiene inammissibile l'istanza di revisione ex art. 630, comma 1, lett. a), in quanto si tratta di provvedimento pronunciato all'esito di una procedura priva della ricostruzione probatoria del fatto e dell'accertamento della responsabilità penale dell'autore (Cass. I, n. 4417/2017) è stata ritenuta sussistente la presenza di conflitti rilevanti fra giudicati in tutti i casi in cui sopraggiungano al patteggiamento elementi tali da dimostrare la sussistenza di cause di proscioglimento dell'interessato secondo il parametro di giudizio dell'art. 129 (Cass., V, 12096/2021), come ad esempio nel caso di insussistenza del fatto a carico dei consociati nel delitto associativo quando, per effetto di tale ulteriore accertamento, il novero degli associati sia inferiore alle tre persone (Cass. I, n. 40815/2010).

Segue . la revoca della sentenza civile o amministrativa pregiudiziale

Si tratta dell’ipotesi in cui la sentenza o il decreto penale di condanna abbiano ritenuto la sussistenza del reato a carico del condannato in conseguenza di una sentenza del giudice civile o amministrativo, successivamente revocata, che abbia deciso una delle questioni pregiudiziali previste dall’art. 3 ovvero una delle questioni previste dall’art. 479 (controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza ovvero controversie civili o amministrative di particolare complessità per le quali sia già in corso un procedimento presso il giudice competente e aventi efficacia di giudicato nel procedimento penale).

È fattispecie di rarissima applicazione e, fra l’altro, resta problematica l’ipotesi in cui la sentenza civile e amministrativa, poi revocata, sia stata emessa in un parallelo giudizio senza che il processo penale sia stato sospeso.

È stata tuttavia riconosciuta la rilevanza della sopravvenuta deliberazione di insindacabilità delle opinioni espresse da un parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni, emessa dalla Camera dei deputati, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna conseguente a tali dichiarazioni (Cass V, 1756/2004). Tuttavia, la Corte ha ritenuto che tale fattispecie rientrasse nel novero delle nuove prove e non in una estensione in bonam partem della ipotesi di cui alla lettera b) della disposizione in commento.

Segue . Nuove prove

In via generale e astratta, per prove nuove rilevanti a norma dell'art. 630 lett. c) c.p.p. ai fini dell'ammissibilità della relativa istanza devono intendersi non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente (Cass., I, 10343/2021), purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice, e indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato, rilevante solo ai fini del diritto alla riparazione dell'errore giudiziario (Cass. S.U., n. 624/2002;Cass. V, n. 26478/2015).

Al proposito, le Sezioni Unite hanno particolarmente rimarcato come la precipua funzione della revisione si ricolleghi alla necessità di sacrificare il rigore delle forme alle esigenze insopprimibili della verità e della giustizia reale non ricollegabile tanto all'interesse del singolo ma piuttosto all'interesse pubblico e superiore alla riparazione degli errori giudiziari, facendo prevalere la giustizia sostanziale sulla giustizia formale. Infatti, la valenza costituzionale dell'istituto, perseguendosi con la revisione la rimozione di una condanna ingiusta, a parere della Corte non può consentire che l'esperibilità di tale mezzo straordinario di impugnazione resti condizionata, pur nel quadro di un assetto normativo informato ai principi del processo accusatorio il cui cardine è rappresentato — ai fini che qui assumono un incondizionato rilevo — dalle regole che sanciscono l'esercizio del diritto alla prova, all'osservanza, ad opera delle parti, delle regole concernenti l'ammissione e l'acquisizione della prova stessa. In sostanza — aggiunge la Corte — tra il giudizio di cognizione ed il giudizio di revisione non può, infatti, essere istituito un vero e proprio rapporto di continuità non potendosi il giudizio di revisione, senza precludere la possibilità di un'effettiva rimozione di una condanna ingiusta, ricollegarsi — se non nei limiti derivanti dalle tipizzazioni delle vie di accesso al mezzo straordinario di impugnazione — alla decisione da cui è scaturita la statuizione ed alla motivazione giustificativa della relativa condanna. Inoltre, l'estensione ad opera della riforma dell'88 degli epiloghi cui può approdare il rimedio della revisione rappresenta un varco che — proprio in funzione della scomparsa di regole di giudizio rigorosamente canonizzate, la sostituzione dell'“evidenza” con la “dimostrazione” — porta a ritenere legittima l'utilizzazione di tutti gli strumenti volti a infrangere la capacità di resistenza del giudicato.

 In applicazione di tali principi, dopo una prima incertezza in particolare della sesta sezione (Cass. VI, n. 32384/2003; Cass. VI, n. 18338/2003; Cass. VI, n. 25680/2003), deve ritenersi ormai stabilmente acquisito il principio per cui risultano ammissibili e rilevanti anche mezzi di prova che l'imputato avrebbe già potuto indicare come integrazione probatoria nella richiesta di giudizio abbreviato (Cass. VI, n. 10593/2018). Va tuttavia segnalato che su posizioni diverse si attestano le Sezioni Unite rispetto a norma assai similare riguardante la revocazione della confisca nel giudizio di prevenzione (art. 28 d.lgs. n. 159/2011) avendo le medesime SS UU affermato che che, in tema di confisca di prevenzione, la prova nuova, rilevante ai fini della revocazione della misura ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 159, è sia quella sopravvenuta alla conclusione del procedimento di prevenzione, essendosi formata dopo di essa, sia quella preesistente ma incolpevolmente scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, mentre non lo è quella deducibile e non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento, salvo che l'interessato dimostri l'impossibilità di tempestiva deduzione per forza maggiore (Cass., S.U., 43668/2022).

Quanto ai profili effettuali, ai fini dell'esito positivo del giudizio di revisione, la prova nuova deve condurre all'accertamento — in termini di ragionevole sicurezza — di un fatto la cui dimostrazione evidenzi come il compendio probatorio originario non sia più in grado di sostenere l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio (Cass. II, n. 18765/2018). In sostanza, ai fini della revisione della sentenza di condanna, la risoluzione del giudicato non può avere come presupposto una diversa valutazione del dedotto o una inedita disamina del deducibile, bensì l'emergenza di nuovi elementi estranei e diversi da quelli definiti nel processo (Cass. VI, n. 28267/2017). Non può quindi mai costituire nuova prova la testimonianza la cui ammissione sia richiesta al fine di ottenere una diversa e nuova valutazione delle prove già apprezzate con la sentenza di condanna (Cass., 14547/2022). Per la stessa ragione, esulano dal novero delle nuove prove rilevanti ai fini dell'ammissibilità le pronunce in ordine all'attendibilità di un testimone di accusa in diverso procedimento riguardante fatti analoghi (Cass. III, n. 49959/2009); la pura e semplice ritrattazione del teste di accusa essendo necessari specifici elementi di prova che avvalorino la falsità della deposizione non denunciabile come reato di calunnia (Cass. III, n. 5026/2010); la prova dell'inattendibilità del collaboratore di giustizia che non travolga lo specifico fatto e i ritenuti riscontri (Cass. I, 11261/2009), le dichiarazioni liberatorie del terzo, del coimputato o di un soggetto che debba essere esaminato ai sensi dell'art. 197-bis, dovendo tali dichiarazioni essere valutate “unitamente agli altri elementi che ne confermano l'attendibilità” (art. 192, comma 3), e non potendo perciò costituire, pertanto, da sole, “prova nuova” agli effetti della richiesta di revisione, bensì mero elemento probatorio integrativo di quelli confermativi (Cass. VI, n. 36804/2021). Con riguardo alle prove dichiarative, infatti, è stato ritenuto che, affinché una deposizione testimoniale possa considerarsi « prova nuova », occorre che essa sia idonea a smentire ab imis l'impianto accusatorio , dovendosi, altresì, porre in rilievo le ragioni della sua sopravvenienza dopo il giudicato (Cass. VI, n. 14591/2007. In sostanza, quando le nuove testimonianza offerte dal condannato abbiano natura speculare e contraria rispetto a quelle già acquisite e consacrate nel giudicato penale, saggiare mediante comparazione la resistenza di queste ultime rispetto alle prime (Cass. IV, n. 24291/2005). In sostanza, la valutazione giudiziale delle nuove prove di cui all'art. 630, lett. c), (costituite, nella specie, da testimonianze), non può prescindere dal complesso degli elementi — processualmente utilizzabili — già accertati nel giudizio precedente alla revisione, al fine di saggiarne e compararne la resistenza rispetto alle prove sopravvenute o scoperte dopo la condanna, con la conseguenza che, qualora l'acquisizione di queste ultime non abbia disarticolato il ragionamento seguito dai primi giudici, ma lo abbia anzi confermato, è ammissibile la motivazione “per relationem” alla sentenza oggetto di ricorso (Cass. V, n. 38276/2016). Nel contesto delle c.d. nuove prove, rilevanti ai fini dell'ammissibilità del giudizio di revisione, non possono essere annoverate invece le mere dichiarazioni liberatorie di un coimputato ove non siano supportate da ulteriori elementi che ne confermino l'attendibilità (Cass. II, n. 4150/2015) ovvero richieste aventi carattere meramente esplorativo (Cass. I, n. 44591/2018; Cass. V, n. 24070/2016). Allo steso modo, il giudizio di inattendibilità di un testimone, reso in un procedimento diverso da quello in cui è intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna, non costituisce una prova nuova tale da condurre all'ammissibilità di una richiesta di revisione, in quanto solo la dimostrazione della falsità delle prove testimoniali su cui è fondato il giudicato di condanna può essere utilizzata come supporto di una richiesta di revisione (Cass,. II, n. 2151/2021) .

L'individuazione di un diverso responsabile del delitto per il quale l'imputato venne definitivamente condannato, assume la qualità di prova nuova, legittimante la revisione del processo, laddove sia avvenuta mediante sentenza passata in giudicato, che quindi escluda la validità di quello precedentemente formatosi (Cass. I, n. 31610/2004). Per le stesse ragioni, la nullità della sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale ordinario nei confronti di un soggetto che, successivamente, è risultato essere minorenne all'epoca dei fatti, non è deducibile nella fase esecutiva, mentre la revisione è ammissibile solo in presenza di nuovi elementi idonei a comprovare che il condannato, al momento dei fatti, fosse un minore infraquattordicenne, perciò non imputabile (Cass. V, n. 28627/2017).

Deve escludersi anche la possibilità di far valere mutamenti di giurisprudenza - in particolare delle sezioni unite - successivi al formarsi del giudicato. E' stata coerentemente esclusa la possibilità di far  valere come ipotesi di revisione la inutilizzabilità sopravvenuta delle intercettazioni poste a fondamento della decisione derivante dal mutamento giurisprudenziale di cui alle S..U. "Cavallo" del 2019, successivo all'irrevocabilità della sentenza, trattandosi del risultato di un'evoluzione esegetica, conducente ad una rivalutazione delle prove già assunte, inidoneo a travolgere il giudicato (Cass., VI, 19249/2022).

Con riferimento — poi — all'introduzione di nuovi metodi scientifici che possano essere rilevanti ai fini della valutazione dei reperti raccolti ed utilizzati ai fini della decisione, spetta al giudice stabilire se il nuovo metodo scientifico posto a base della richiesta, necessariamente scoperto e sperimentato successivamente a quello applicato nel processo ormai definito, sia in concreto produttivo di effetti diversi rispetto a quelli già ottenuti e se i risultati così conseguiti, da soli o insieme con le prove già valutate, possano determinare una diversa decisione rispetto a quella, già intervenuta, di condanna (Cass., IV, n. 28724/2021, Cass., V, n. 34515/2021). In relazione a tale principio, quindi, sono stati ritenuti irrilevanti diverse valutazioni tecnico scientifiche di dati già valutati, in quanto queste ultime si tradurrebbero in una mera « rilettura » di un medesimo dato di fatto già processualmente accertato in via definitiva (Cass. V, n. 44682/2021) o l'affermarsi di eventuali protocolli, anche assunti in sede internazionale, relativi alle modalità di svolgimento della prova testimoniale (Cass. IV, n. 3446/2014). Al proposito, va però specificato che rimane comunque ammissibile la presentazione di una istanza da parte del difensore al giudice dell'esecuzione, cui sia stato conferito mandato per compiere attività investigativa preventiva, di autorizzazione al prelievo di campioni da indumenti in giudiziale sequestro, finalizzata alla richiesta di revisione, a nulla rilevando l'eventuale irripetibilità dell'atto di indagine tecnica da compiere sui campioni medesimi, la cui utilizzabilità e rilevanza ai fini del giudizio è demandata al giudice della revisione (Cass. I, n. 13623/2017).

Pacificamente esclusa la rilevanza del sopravvenire di nuovi fatti storici, quale il sopravvenire di provvedimenti, quali ad esempio. il sopravvenuto rilascio della concessione edilizia in sanatoria (Cass. III, n. 28530/2018). È stata tuttavia riconosciuta la rilevanza della sopravvenuta deliberazione di insindacabilità delle opinioni espresse da un parlamentare nell'esercizio delle sue funzioni, emessa dalla Camera dei deputati, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna conseguente a tali dichiarazioni (Cass V, 1756/2004).

Parimenti esclusa la rilevanza — ai fini che qui interessano — del sopravvenire di modifiche normative quale ad es. l'introduzione di una legge penale più favorevole al condannato (Cass. V, n. 388/1993), fermo restando che l'abrogazione della legge penale incriminatrice determinerebbe l'applicabilità del diverso istituto previsto dall'art. 673.

Quanto infine ai profili afferenti le condizioni di procedibilità e segnatamente la querela, costituisce "prova nuova", rilevante ex art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., quella - sopravvenuta alla sentenza di condanna o scoperta successivamente ovvero non acquisita nel precedente giudizio o acquisita, ma non valutata neanche implicitamente - che ha ad oggetto un fatto dimostrativo della procedibilità a querela (non presentata) del reato per cui è intervenuta condanna irrevocabile, ma non la mera rilevazione della mancanza della condizione di procedibilità richiesta dal reato per cui è stata pronunziala condanna definitiva (Cass., n.  8997/2022).

Segue . Falsità in atti o altro reato successivamente accertati

Il riferimento alla ipotesi in cui la condanna sia stata emessa in conseguenza di falsità in atti o in giudizio, ovvero di un altro fatto previsto dalla legge come reato, introduce effetti conseguenti all'accertamento di reati (subornazione di testimoni, corruzione del giudice, abuso d'ufficio o di qualsiasi tipo di reato avente rilevanza causale sulla decisione, vista l'ampia formulazione del dettato normativo) a loro volta accertati con sentenza divenuta definitiva. Significativi appaiono al proposito i dubbi avanzati in dottrina in ordine alla potenziale sovrapposizione tra la fattispecie in esame e quella regolata dalla lett. a) della medesima previsione normativa, posto che in entrambi i casi il fenomeno sottostante è comunque corrispondente al conflitto fra giudicati.

La c.d. revisione europea

Il conflitto tra il giudicato raggiunto nel diritto interno e le pronunce in ordine alla medesima specifica questione processuale o sostanziale pronunciate dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo non erano regolamentati nel diritto interno all'atto della pubblicazione del c.p.p. del 1988.

Come visto, la Corte Costituzionale aveva posto rimedio a tale mancanza introducendo una specifica ipotesi in tal senso tramite sentenza additiva (Corte cost. n. 113/2011) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 630 c.p.p., nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, § 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo. Tale previsione - tuttavia - ha successivamente portato il legislatore a prevedere una norma ad hoc - introdotta con il d.lgs. n. 150/2022 - costituita dall'art. 628-bis al cui commento si rinvia.

Bibliografia

Callari, La revisione “parziale” della condanna irrevocabile tra assetto tradizionale e sfide della “modernità” giuridica, Giur. Cost. 2019, 529; Casiraghi, La rescissione del giudicato: molte questioni interpretative sul tappeto, Riv. it. dir. e proc. pen., 2018, 207; Logli, Riflessi processuali del caso Contrada, Riv. it. dir. e proc. pen., 2018, 239.V. art. 629.

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