Codice di Procedura Penale art. 739 - Divieto di estradizione e di nuovo procedimento.Divieto di estradizione e di nuovo procedimento. 1. Nei casi di riconoscimento ai fini dell'esecuzione della sentenza straniera [734, 735], salvo che si tratti dell'esecuzione di una confisca, il condannato non può essere estradato né sottoposto di nuovo a procedimento penale nello Stato per lo stesso fatto [649], neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze. InquadramentoIl principio del ne bis in idem, previsto nell'art. 649, comma 1 è esteso anche alla sentenza riconosciuta ai fini della sua esecuzione nello Stato, in base all'art. 731, e salvo che riguardi l'esecuzione di una confisca. Ciò comporta non solo il divieto di nuovo procedimento penale nello Stato, neppure se questo viene diversamente considerato « per il titolo, il grado e le circostanze », ma anche il divieto di estradizione per lo stesso fatto, in relazione all'art. 705, comma 1; la disposizione non è in contrasto con l'art. 11, comma 1, c.p., il quale impone la rinnovazione del giudizio anche se il soggetto è stato già giudicato all'estero, in ordine ai reati commessi o considerati commessi all'interno del territorio dello Stato, ex art. 6 c.p. La necessità della rinnovazione del giudizio è una circostanza insormontabile al riconoscimento della sentenza penale straniera ai sensi dell'art. 733, lett. f) e g) (Pisani, 1022). Il ne bis in idem internazionale, ex art. 11 c.p. non deriva dal riconoscimento di qualsiasi giudicato straniero, ma dal riconoscimento, per l’esecuzione, di una condanna. Il principio del ne bis in idem e la sua rilevanza in base alle convenzioni internazionaliLa disciplina sulla estradizione introdotta dall'art. 705 stabilisce che, in mancanza di convenzione o in presenza di non diverse previsioni pattizie, la Corte d'appello pronuncia sentenza favorevole all'estradizione se non è in corso procedimento penale o non è stata emessa sentenza irrevocabile per lo stesso fatto nei confronti della stessa persona. Questa disposizione, recepita nella Conv. europea di estradizione del 1957 (art. 9) e richiamata anche nella disciplina sul MAE, strutturata sul ne bis in idem estradizionale, non impedisce un doppio processo in assenza, qualora non sussistano divieti sul punto o salvo che la presenza del soggetto sia condizione necessaria per il giudizio, ovvero consente di procedere nei confronti della persona che faccia ingresso anche volontario nello Stato richiedente. Alcune convenzioni tuttavia, come la Conv. sul riciclaggio, (art. 18, lett. e) e le riserve apposte da molti Stati alla Conv. europea di assistenza giudiziaria del 1959, prevedono il rifiuto di cooperazione qualora nello Stato richiedente sia stata pronunciata sentenza irrevocabile nei confronti della stessa persona e per gli stessi fatti in relazione ai quali viene domandata la collaborazione. La rilevanza del principio del ne bis in idem può derivare, dalle convenzioni internazionali, come la Conv. europea sul valore internazionale delle sentenze penali, (artt. 53-55), e dalla Conv. europea sul trasferimento delle persone condannate, fermo restando che le stesse possono acquistare efficacia nell'ordinamento interno solo attraverso le necessarie norme di adattamento (Corte cost. n. 69/1976). Nell'Accordo Italia- Svizzera del 1998 (art. 5 Aimp) e nell'Accordo tra l'UE e il Giappone relativo alla assistenza giudiziaria penale del 2010, il diniego di cooperazione si rapporta al fatto che « la persona oggetto di indagini o azioni penali o altri procedimenti, compresi procedimenti giudiziari, per i quali sia richiesta assistenza nello Stato richiedente, sia stata assolta o condannata con sentenza definitiva per gli stessi fatti in uno Stato membro o in Giappone» (art. 11, comma 1, lett. d) (Vigoni, 11). A seguito della entrata in vigore il 12 dicembre 2008 dell'accordo tra l'Unione europea, la Comunità europea e la Confederazione svizzera, riguardante l'associazione della Confederazione svizzera all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'"acquis" di Schengen , devono essere applicate anche in relazione a tale Stato le statuizioni stabilite nella Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen ed in particolare l'art. 54 che introduce il principio del "ne bis in idem". (Cass., IV, n. 49706/2009). Il principio del ne bis in idem ha trovato, dunque, una sua valorizzazione nella fase dell'esecuzione della sentenza penale straniera. Decisiva ai fini della ricezione dell'istituto è stata l'approvazione del d.lgs. n. 161/2010, che prevede l'attuazione della decisione quadro 2008/909/Gai relativa alla applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea; in caso di richiesta (passiva) di esecuzione, la Corte d'appello potrà rifiutare il riconoscimento della sentenza di condanna a carico di persona che abbia la cittadinanza italiana o sia qui residente, domiciliata o oggetto di provvedimento di espulsione verso l'Italia e che si trovi nel territorio dello Stato, qualora risulti che la stessa « è stata giudicata in via definitiva per gli stessi fatti da uno degli Stati membri dell'Unione europea purché...la pena sia stata già eseguita ovvero sia in corso di esecuzione ovvero non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato che ha emesso la condanna » (art. 13, comma 1, lett. c). I motivi di rifiuto si estendono poi al caso in cui « i fatti per i quali la trasmissione dall'estero è stata chiesta potevano essere giudicati in Italia e si sia già verificata la prescrizione del reato o della pena » (art. 13, comma 1, lett. d). Inoltre il rifiuto potrà basarsi sul fatto che sia « stata pronunciata, in Italia, sentenza di non luogo a procedere, salvo che sussistano i presupposti di cui all'art. 434 per la revoca della sentenza ». In tema di estradizione, l'art. 9 della Conv. europea di estradizione, nel riconoscere il divieto del «ne bis in idem», prevede l'inestradabilità quando sussista una sentenza definitiva emessa nei confronti dell'estradando nello Stato richiesto ma non contempla l'ipotesi che una tale sentenza sia stata emessa in uno Stato terzo (Cass. VI, n. 3747/2014); in caso di reato commesso nel territorio nazionale da un cittadino appartenente ad uno Stato con cui non vigono accordi idonei a derogare alla disciplina dell'art. 11 c.p., il processo celebrato in quello Stato non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per i medesimi fatti, non essendo il principio del «ne bis in idem» principio generale del diritto internazionale, come tale applicabile nell'ordinamento interno (Cass. I, n. 29664/2014; Cass. II, n. 40553/2013). E' comunque rilevabile d'ufficio la violazione del principio secondo cui lo Stato di esecuzione non può dare alla sentenza straniera un'esecuzione parziale o diversa da quella concordata in via generale, trattandosi di una regola inderogabile, posta a tutela del principio di sovranità dello Stato di condanna, che impone l'attivazione del meccanismo di consultazione tra lo Stato di emissione e quello di esecuzione, al fine di pervenire ad un accordo sull'esecuzione della pena. (Cass., VI,n. 47445/2019); il principio del "ne bis in idem europeo", sancito dall'art. 54 della Convenzione di "Schengen", opera in presenza di più fatti, che hanno dato luogo a procedimenti penali in due stati contraenti, i quali siano inscindibilmente collegati sotto il profilo materiale ed indipendentemente dalla qualificazione giuridica dei fatti medesimi, mentre non assume rilievo l'esistenza tra gli stessi di un nesso meramente soggettivo costituito dall'unitarietà del disegno criminoso. (Cass., VI cit,). Lo spazio giudiziario europeo e la giurisprudenza della Corte di Giustizia in particolareLa configurazione di uno spazio giudiziario europeo, ha portato la giurisprudenza a ritenere la rilevanza penale della condotta tenuta in Italia, equiparandola a quella tenuta in parte in Italia e in parte in altro Stato aderente al Trattato, ammettendo così la continuazione (Cass. I, 2 dicembre 1998, Nocera; in dottrina v. Paglia, 1263, mentre in senso contrario, Cass. VI, n. 44830/2004, che nega il ne bis in idem in relazione a reati commessi in parte in Italia, e Cass. VI, n. 12098/2008, che nega l'applicazione del divieto per diversità del fatto in relazione al delitto di banda armata in Italia con struttura organizzativa all'estero). La giurisprudenza ha tuttavia ribadito (v. infra) che il ne bis in idem non costituisce né principio né consuetudine di carattere internazionale pur se la Corte costituzionale ha precisato che il principio deve ritenersi comunque un principio tendenziale, cui si ispira oggi l'ordinamento internazionale, e risponde del resto ad evidenti ragioni di garanzia del singolo di fronte alle concorrenti potestà punitive degli Stati ( Corte cost. n. 58/1997). Con la sentenza in data 11 febbraio 2003, la Corte di giustizia UE ha affermato sul principio preclusivo di un secondo giudizio sullo stesso fatto, che anche la definizione del procedimento penale con provvedimento diverso dalla sentenza (ma pur sempre definitivo) costituisce elemento preclusivo per un nuovo giudizio; (Corte giust. UE, 11 febbraio 2003, Hussein-Gozutok e Klaus Brugger, estinzione dell'azione penale a seguito di patteggiamento; in dottrina v. Selvaggi, 100). Il divieto deve essere osservato anche a fronte di sentenze definitive che applichino la prescrizione purché sussista l'accertamento dei fatti (Corte giust. UE, 28 settembre 2006, causa C-467/04, Gasparini); anche la sentenza di assoluzione per insufficienza di prove è stata individuata a fondamento del ne bis in idem (Corte giust. UE, 28 settembre 2006, causa C-150/05, Van Straaten), come la sentenza di condanna a pena condizionalmente sospesa (Corte giust. UE, 18 luglio 2007, causa C-288/05, Kretzinger). L'art. 54 è stato ritenuto applicabile anche alle sentenze che non possano essere eseguite perché rese in absentia, da doversi parificare, se definitive, alle sentenze emesse in presentia, in quanto l'art. 54 non è subordinato alla armonizzazione o al ravvicinamento delle diverse legislazioni interne in materia di contumacia (Corte giust. UE, 11 dicembre 2008, causa C-297/07, Bourquain). L'effetto preclusivo opera anche se il fatto venga diversamente considerato per il titolo, per il grado e le circostanze. La giurisprudenza ha ritenuto che l'espressione stesso fatto vada riferita all'evento in senso naturalistico e non al fatto reato in senso giuridico, anche perché la configurazione giuridica dei reati muta a causa delle differenze fra legislazioni (Cass. VI, n. 12098/2004; Cass. I, n. 28299/2004; Cass. III, n. 46368/2008; sulla nozione di stessa fatto si vedano anche Corte giust. UE, 9 marzo 2006, causa C- 436/04, Van Esbroek; Corte giust. UE, 18 luglio 2007, causa C-367/05, Kraaijenbrink; e sulla nozione di « stessi fatti » in relazione al motivo di rifiuto di esecuzione del Mae di cui all'art. 3, n. 2, Decisione quadro 2002/584/Gai, Corte giust. UE, 16 novembre 2010, causa C- 261/09, Mantello). L'art. 54 si configura propriamente come limite autoimposto convenzionalmente alla possibilità, per lo Stato, di rinnovare il giudizio, nel quadro dell'accettazione, da parte di ciascuno Stato contraente, del principio della parificazione della sentenza emessa da altro Stato contraente a quella pronunciata da altra autorità giudiziaria. Non è preclusivo del giudizio in Italia per i medesimi fatti un provvedimento rapportabile a una decisione di archiviazione emessa dall'autorità giudiziaria straniera (Cass. II, n. 22566/2014); in particolare l'avvenuta archiviazione in Italia di un procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti sui quali è fondata la domanda dello Stato richiedente non costituisce di per sé causa ostativa alla concessione dell'estradizione ai sensi dell'art. 9 della Convenzione di Parigi del 1957 (Cass. VI, n. 3923/2015); comunque essa opera nel caso in cui il provvedimento dell'autorità straniera estingua definitivamente l'azione penale (Cass. II, n. 4115/2014). La Corte di cassazione pronunciandosi su una domanda di estradizione avanzata dalla Turchia, ha riconosciuto la sussistenza del ne bis in idem in base all'art. 50 della Carta di Nizza, in un caso in cui l'estradando risultava essere stato già giudicato e condannato da un Paese terzo rispetto alla procedura di estradizione, ma membro dell'Unione europea e riconosciuto la sussistenza delle condizioni per rifiutare l'estradizione richiesta dalla Turchia per il concreto rischio di trattamenti degradanti nelle carceri e di forti limitazioni dei diritti della difesa, in violazione dei diritti fondamentali della persona e del giusto processo (Cass. VI. n. 54467/2016). La Corte di giustizia dell'Unione europea, ha anche tenuto a precisare la differenza tra tale caso che riguarda il mancato versamento di ritenute alla fonte relative all'imposta sul reddito e la sentenza Åklagaren del 26 marzo 2013 (C-617/10) che verteva sugli obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto. In quest'ultimo caso in relazione all'avvio in Svezia di un procedimento penale per frode fiscale malgrado fosse già stata inflitta una sovrattassa per gli stessi fatti di falsa dichiarazione, ha stabilito che la norma della Carta non osta a che uno Stato membro imponga “per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di Iva, una combinazione di sovrattasse e sanzioni penali”, affermando, però, che se la sovrattassa ha natura penale, ai sensi dell'art. 50 della Carta, e la pronuncia che l'ha comminata ha carattere definitivo, la norma della Carta “osta a che procedimenti penali per gli stessi fatti siano avviati nei confronti di una stessa persona”. Rimangono comunque aperti i problemi interpretativi riferiti all'art. 4 del Protocollo n. 7 e derivanti dalle letture della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte di giustizia europea che solo in parte coincidono, insieme al percorso in itinere della esatta delimitazione del concetto di “materia penale” operato dalla giurisprudenza, ricostruzione, anch'essa non sempre univoca (In dottrina, v. Di Bitonto, 1335; Vozza). Sul piano delle affermazioni generali, in tema di estradizione la Corte di Cassazione (Cass. VI, n. 54467/2016), affrontando il tema del divieto di sottoporre una seconda volta a sanzione penale per i medesimi fatti, in uno degli Stati UE, un soggetto che sia stato già condannato definitivamente in un altro Paese europeo, ha, tra l'altro, stabilito che sussiste ne bis in idem nel caso in cui l'estradando risulti già giudicato e condannato da un Paese che sia terzo rispetto alla procedura di estradizione, ma membro dell'Unione Europea, poiché, in base all'art. 50 della Carta di Nizza, ciò che rileva rispetto alla procedura di estradizione è che la sentenza sia stata emessa da uno Stato appartenente all'Unione, nel cui ambito il diritto a non essere giudicato per la seconda volta deve essere fatto rispettare da ogni giudice nazionale che dell'Unione europea faccia parte. L'art. 50 CDFUE, viene collocato tra i diritti fondamentali dell'Unione Europea e configurato come garanzia generale da invocare. Si vedano, ex plurimis anche in tema di estradizione passiva e sul medesimo fatto, Cass., VI , n. 27384/2022 ; Cass., V, n. 18020/2022. BibliografiaDe Amicis, in Cooperazione giudiziaria penale, a cura di Marandola, Milano, 278 e ss.; Diotallevi, sub art. 739, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, diretta da Lattanzi-Lupo, Milano, , V, 2020, 1143 e ss.; Paglia, Ne bis in idem e continuazione: nuove prospettive processuali penali internazionali, in Giur. it. 1999, 1263; Pisani, Francesco Carrara e il ne bis in idem internazionale, in Riv. dir. it. 2005, 1022; Selvaggi, La procedura giudiziaria che estingue l'azione penale esclude il nuovo giudizio di un altro Stato europeo, in Guida dir. 2003, n. 9, 100; Vigoni, Novità sovranazionali, in Proc. pen. giustizia 2011, 11. |