Codice di Procedura Penale art. 11 - Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati (1).Competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati (1). 1. I procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato [60, 61] ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, che secondo le norme di questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d'appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge [1 att.] (2) . 2. Se nel distretto determinato ai sensi del comma 1 il magistrato stesso è venuto ad esercitare le proprie funzioni in un momento successivo a quello del fatto, è competente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d'appello determinato ai sensi del medesimo comma 1. 3. I procedimenti connessi [12] a quelli in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato [60, 61] ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato sono di competenza del medesimo giudice individuato a norma del comma 1. (1) Articolo così sostituito dall'art. 1 l. 2 dicembre 1998, n. 420, con effetto, ai sensi del successivo art. 8 1, dal 17 dicembre 1998, per i procedimenti relativi a reati commessi successivamente alla data di entrata in vigore di detta legge, pubblicata in G.U. 7 dicembre 1998, n. 286. Il testo dell'articolo recitava: «1. I procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, che secondo le norme di questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto in cui il magistrato esercita le sue funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello più vicino, salvo che in tale distretto il magistrato stesso sia venuto successivamente ad esercitare le sue funzioni. In tale ultimo caso è competente il giudice che ha sede nel capoluogo di altro distretto più vicino a quello in cui il magistrato esercitava le sue funzioni al momento del fatto. 2. I procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato sono di competenza del medesimo giudice individuato a norma del comma 1». La Corte cost., con sentenza n. 390 del 1991, aveva dichiarato incostituzionale l'ultimo comma di questo articolo. (2) V. tabella riportata in nota all'art. 1 disp. att. InquadramentoL'art. 11 (novellato nel 1998) disciplina la competenza per i procedimenti riguardanti magistrati (sia come indagati/imputati, sia come persone offese/danneggiate dal reato), stabilendo che, in tali casi, sia competente il giudice ugualmente competente per materia che ha sede nel capoluogo del distretto (diverso da quello dove ha prestato o presta servizio il magistrato coinvolto) di corte d'appello determinato per legge dalla tabella A, allegata all'art. 1 disp. att., che contiene un'attribuzione di competenze « a catena » (così, in dottrina, Amato, 49). Secondo la giurisprudenza costituzionale, la disposizione costituisce un'evidente eccezione al principio generale del giudice naturale, così come individuato dal codice di rito, e trova la sua ratio nell'esigenza di tutelare il diritto di difesa del cittadino imputato e gli interessi del magistrato danneggiato o offeso dal reato, e di garantire la terzietà e l'imparzialità del giudice, eliminando, presso l'opinione pubblica, qualsiasi sospetto di parzialità determinato dal rapporto di colleganza e dalla normale frequentazione tra magistrati operanti in uffici giudiziari del medesimo distretto di corte d'appello, e, quindi, nella necessità di assicurare, in ogni caso, l'imparzialità del giudice, che potrebbe essere compromessa nei casi in cui giudicandi e giudicanti fossero legati da particolari rapporti di comunanza professionale territoriale e, quindi, di frequentazioni quotidiane; peraltro, considerato che « i criteri che regolano tale spostamento sono determinati dalla legge ex ante e, in via astratta, valida per tutte le fattispecie previste, ed escludono in radice qualsiasi effetto remissivo, anche se depurato da margini di discrezionalità, non risulta vulnerato l'art. 25 della Costituzione » (Corte cost. n. 390/1991). Nei casi in cui tale comunanza risulti meramente occasionale e temporanea, sì che non è tanto l'esercente una pari attività giudiziaria nel distretto che si deve giudicare come parte privata (sia essa indagato o parte offesa o danneggiato), quanto il soggetto comune che, solo occasionalmente, ha esercitato o sta esercitando temporaneamente una simile attività, deve prevalere il principio generale della competenza del giudice naturale, precostituito per legge previsto dall'art. 25 Cost., rispetto a quello eccezionale previsto dall'art. 11 (Cass. I, n. 7124/2000: in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto che al giudice popolare non si applicano le regole derogatorie della competenza stabilite nel citato art. 11). Ambito oggettivo di applicazioneL'art. 11 ha un ambito di applicazione più ampio di quello dell'art. 41-bis del previgente codice di rito, in quanto le regole di competenza territoriale dettate dalla norma vigente afferiscono ai procedimenti nei quali assume veste di imputato o di persona offesa o danneggiata dal reato (qualità, quest'ultima, cui l'abrogato codice di rito non attribuiva rilievo), un magistrato che eserciti o che abbia esercitato le proprie funzioni nel distretto, ovvero in qualsiasi ufficio giudiziario del distretto; diversamente, le regole dettate dall'art. 41-bis del codice di rito abrogato si riferivano soltanto ai procedimenti nei quali dette qualità fossero assunte da un magistrato esercente le proprie funzioni nel medesimo ufficio, secondo le regole ordinarie di competenza, investito di essi in primo grado, o, al riguardo, competente in grado di appello (Cass. VI, n. 9413/1994, con la precisazione che tali disposizioni, siccome di diritto speciale, non sono suscettibili di interpretazione estensiva). Inizialmente, l'art. 11, comma 3, prevedeva, come eccezione al criterio dello spostamento della competenza territoriale per i procedimenti penali aventi come parte offesa o danneggiata un magistrato, che, per i reati commessi in udienza in danno del magistrato, la competenza dovesse essere determinata secondo le regole generali, ferme restando le norme sull'astensione e ricusazione del giudice, ma la disposizione è stata dichiarata incostituzionale (Corte cost. n. 390/1991, cit.). È sufficiente che il magistrato venga ad esercitare le proprie funzioni nell'ufficio giudiziario che sarebbe competente secondo le regole ordinarie, in qualsiasi momento, anche successivamente al verificarsi del fatto in ordine al quale si procede (Cass. I, n. 28889/2009: fattispecie relativa a competenza in procedimento in cui un giudice di pace aveva esercitato le funzioni, sia pure in via provvisoria, anche dopo la commissione del reato in suo danno). La deroga alle regole ordinarie di attribuzione di competenza per territorio ex art. 11 opera, nel caso in cui il magistrato assuma qualità di soggetto danneggiato dal reato, anche a prescindere dalla circostanza che egli si sia costituito parte civile (Cass. V, n. 46098/2008) . Profili di costituzionalitàLa giurisprudenza costituzionale La giurisprudenza costituzionale ha giudicato infondate: (a) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, censurato, in riferimento agli artt. 3,24,25, comma 1, e 111, comma 2, Cost., nella parte in cui non prevede che la disciplina della competenza per territorio dettata per i procedimenti concernenti i magistrati si applichi anche quando la qualità di indagato, imputato o persona offesa sia assunta da un prossimo congiunto di un magistrato che esercita le funzioni nel distretto di corte d'appello competente secondo le regole ordinarie (Corte cost. n. 432/2008); (b) (manifestamente), la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, nella parte in cui non prevede che la disciplina dettata in materia di competenza territoriale per i procedimenti in cui sia imputato o parte lesa un magistrato si applichi anche ai procedimenti in cui tale veste sia assunta da un collaboratore di cancelleria, quantomeno quando quest'ultimo presti servizio nello stesso ufficio giudiziario cui appartengono i magistrati giudicanti, sollevata in riferimento agli artt. 3,24,101 e 107 Cost. per il lamentato, possibile, pregiudizio dell'imparzialità del giudice, del diritto di difesa e del principio di eguaglianza per disparità di trattamento di situazioni identiche (Corte cost. n. 570/2000); (c) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 comma 1, nella parte in cui non prevede lo spostamento della competenza territoriale nel caso in cui un magistrato, già in servizio nel distretto, assuma la qualità di persona offesa o danneggiata dal reato per fatti commessi successivamente al suo trasferimento, ma riferiti unicamente ed immediatamente all'esercizio delle funzioni che egli ha svolto in quel distretto (Corte cost. n. 381/1999); (d) (manifestamente), la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, sollevata in riferimento agli artt. 3,24 e 111, comma 2, Cost., nella parte in cui non estende la deroga ai criteri di competenza territoriale ex art. 11 ai magistrati che abbiano cessato di appartenere all'ordine giudiziario, quanto meno per un apprezzabile lasso di tempo successivo alla cessazione: la mancata estensione della predetta deroga è stata ritenuta ragionevole, tenuto anche conto del fatto che le eventuali particolarità di singoli casi possono trovare fisiologica soluzione mediante il ricorso agli istituti dell'astensione e della ricusazione (Corte cost. n. 163/2013). La giurisprudenza di legittimità Sono state giudicate manifestamente infondate dalla giurisprudenza di legittimità: (a) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 (sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.), nella parte in cui non è prevista la deroga alla competenza territoriale nel caso in cui un avvocato assume la qualità di imputato o di persona offesa o danneggiata dal reato in un procedimento penale attribuito alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto in cui l'avvocato esercita stabilmente la sua attività professionale o la esercitava al momento del fatto, poiché rientra nella esclusiva competenza del legislatore individuare le situazioni che possono costituire turbativa della serenità e della imparzialità dei magistrati ed influire, conseguentemente, sulla determinazione della competenza, ed in tale discrezionalità le scelte sono insindacabili se non risultano meramente arbitrarie (Cass. I, n. 595/1996); (b) la questione di legittimità costituzionale degli artt. 11,21,24 e 491 (sollevata in riferimento agli artt. 3,25 e 111 Cost.), nella parte in cui non è prevista la deroga alla competenza territoriale nel caso che i procedimenti connessi a quello riguardante un magistrato siano rimasti nella cognizione dell'ufficio originariamente competente e la relativa eccezione non sia stata proposta prima della conclusione dell'udienza preliminare (Cass. VI, n. 25279/2002); (c) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 (sollevata in riferimento agli artt. 3,24,25,106 e 111 Cost.), nella parte in cui non prevede l'estensione della disciplina derogatoria della competenza territoriale nel caso in cui il difensore e procuratore speciale della parte civile svolga la relativa attività difensionale in relazione ad un procedimento penale attribuito alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto in cui detto avvocato esercita l'attività di giudice onorario (Cass. V, n. 10400/2006); (d) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 (sollevata in riferimento all'art. 3 Cost.), nella parte in cui non estende la deroga alla disciplina della competenza territoriale per il reato commesso successivamente al trasferimento del magistrato in un ufficio giudiziario di altro distretto, quando, tuttavia, i fatti siano riferiti alle funzioni esercitate nel distretto in cui si procede penalmente (Cass. V, n. 26998/2007); (e) la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, sollevata in relazione agli artt. 24, comma 3, e 111 Cost., nella parte in cui non prevede la sua applicabilità anche all'avvocato che assume la qualità di persona sottoposta alle indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiato dal reato in procedimento attribuito ad un giudice di pace che svolge le funzioni di avvocato nel medesimo distretto di Corte di appello, atteso che l'attuazione del principio di imparzialità del giudice di pace, anche in relazione al possibile coinvolgimento degli avvocati in tali funzioni, è assicurata mediante la previsione delle cause di incompatibilità nei commi 1-bis ed 1-ter dell'art. 8 l. n. 374/1991, e che, in materia, è ragionevole la fissazione di criteri distinti per gli avvocati, che possono esercitare le loro funzioni presso tutti gli uffici giudiziari della Repubblica, e per i magistrati (Cass. V, n. 19070/2015). La natura giuridica della competenza ex art. 11La speciale competenza stabilita dall'art. 11 per i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato, ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, ha natura funzionale, e non meramente territoriale, derogando ai normali meccanismi in materia ogni qual volta si verifichi il trasferimento del magistrato nella sede del giudice già individuata in base all'art. 11, comma 1con la conseguenza che l'eventuale incompetenza può essere eccepita o rilevata, anche di ufficio, in qualsiasi stato e grado del procedimento, ai sensi dell'art. 21, comma 1 (Cass. S.U., n. 292/2005; conformi, successivamente, Cass. VI, n. 13182/2012 e Cass. II, n. 30199/2022): essa va valutata nel momento in cui viene emesso il decreto che dispone il giudizio, sicché, ove legittimamente ritenuta, eventuali successive modifiche delle condizioni soggettive delle parti private che la determinano non influiscono su di essa, in ossequio al principio, essenzialmente di economia processuale, della "perpetuatio iurisdictionis" (Cass. II, n. 30199/2022). Il contrario orientamento che riconduceva la speciale competenza stabilita dall'art. 11, per i procedimenti riguardanti i magistrati, alla competenza per territorio, e riteneva, conseguentemente, che essa non potesse essere eccepita o rilevata dopo il termine di cui all'art. 491: così Cass. VI, n. 25279/2002), che sembrava ormai superato, è stato ribadito da Cass. V, n. 53218/2018, che ne ha ritenuto la rilevabilità entro i termini di cui all'art. 21, comma 2, c.p.p. Va, peraltro, ricordato che anche la giurisprudenza costituzionale ha ricondotto la competenza ex art. 11 alla competenza per territorio, ritenendo non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 11, censurato, in riferimento agli artt. 3,24,101 e 107 Cost., nella parte in cui non prevede che, in caso di tardiva conoscenza della qualità di magistrato, l'eccezione di incompetenza possa essere sollevata oltre il termine stabilito dall'art. 21, comma 2 (conclusione dell'udienza preliminare) (Corte cost. n. 349/2000). Per la natura della competenza della corte d'appello per il giudizio di revisione conseguente all'accoglimento del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza di inammissibilità della richiesta si rinvia sub art. 634. Ambito soggettivo di applicazioneLa deroga agli ordinari criteri di attribuzione della competenza per territorio, stabilita dall'art. 11 per i procedimenti riguardanti magistrati, si applica anche ai giudici di sorveglianza (Cass. I, n. 32009/2000), nonché, tra i magistrati non togati: (a) agli esperti delle sezioni agrarie dei tribunali, che sono membri necessari dell'organo giudicante ed esercitano, pertanto, le funzioni di cui sono investiti non in via suppletiva e saltuaria, ma piena e continuativa (Cass. I, n. 4307/1999); (b) agli esperti che compongono il tribunale di sorveglianza (Cass. I, n. 16713/2008); (c) ai componenti privati chiamati a far parte del tribunale per i minorenni (Cass. I, n. 3481/2000); (d) ai giudici di pace, atteso il carattere non episodico (pur se limitato al periodo di tempo indicato nel decreto di nomina) dell'esercizio della giurisdizione ed il loro inserimento tra gli organi deputati all'amministrazione della giustizia, ex art. 1, comma 1, r.d. n. 12/1941, c.d. Ord. giudiz. (Cass. I, n. 28889/2009, in fattispecie nella quale la persona offesa aveva esercitato funzioni di giudice di pace nel locus commissi delicti, prima e dopo il fatto, ma non al momento della sua commissione: la S.C. ha osservato che l'avere esercitato in loco funzioni di giudice di pace, dopo la commissione del fatto, legittimava lo spostamento di competenza ex art. 11, in quanto « da un lato, la regola di determinazione della competenza è originaria, e ha riguardo, perciò, all'esercizio dell'azione penale e alla instaurazione del procedimento; dall'altro, come appare palese dal coordinamento logico del comma 1 con il comma 2 dell'art. 11, è sufficiente a determinare lo spostamento di competenza il fatto che la parte venga ad esercitare le funzioni di magistrato nel medesimo ufficio giudiziario in un qualsiasi momento successivo al fatto per cui si procede », ed è assolutamente irrilevante, ai fini della determinazione della competenza ex art. 11, la circostanza che, all'atto della declaratoria di incompetenza, la parte avesse dismesso le suddette funzioni; nel medesimo senso, con riguardo ai giudici di pace in tirocinio, Trib. Bassano del Grappa, 7 febbraio 2003, inedita); (e) ai magistrati onorari il cui incarico sia connotato dalla stabilità, e cioè dalla continuatività riconosciuta formalmente per un arco temporale significativo, in quanto questa, essendo sufficiente a radicarlo istituzionalmente nel plesso territoriale di riferimento, potrebbe ingenerare il sospetto, stante il rapporto di colleganza e di normale frequentazione tra magistrati della medesima circoscrizione, di un non imparziale esercizio della giurisdizione dei suoi confronti (Cass. S.U., n. 292/2005: fattispecie relativa a processo nel quale un vice-pretore onorario aveva assunto la qualità di persona offesa dal reato e per il quale, in applicazione del principio sopra enunciato, la S.C. ha ritenuto l'applicabilità della regola derogatoria; nel medesimo senso, con riguardo ai vice-procuratori onorari, Cass. I, n. 40145/2009). Sempre con riferimento ai magistrati onorari, si è anche chiarito, in generale, che, ai fini dell'operatività della regola derogatoria alla competenza territoriale nei procedimenti in cui un magistrato onorario assume la qualità di indagato, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, occorre avere riguardo, allorché il magistrato abbia cessato di esercitare le funzioni nel luogo in cui il reato è stato commesso, al momento in cui è intervenuto l'atto formale di revoca da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, e non a quello, diverso, in cui, di fatto, sia cessato l'esercizio delle funzioni nel predetto luogo (Cass. I, n. 40145/2009; Cass. II, n. 23311/2022, quest'ultima riguardante un giudice di pace); con riguardo ai giudici conciliatori, ma in applicazione di una ratio suscettibile di più generale applicazione, si è anche evidenziato che, ai fini dello spostamento di competenza previsto dall'art. 11, comma 1, è sufficiente che il magistrato coinvolto eserciti od abbia esercitato (al momento del fatto-reato) le funzioni in questione, non occorrendo che egli sia concretamente ed organicamente addetto all'ufficio al quale, secondo i criteri ordinari, spetterebbe la cognizione in primo od in secondo grado del procedimento (Cass. I, n. 4685/1995). Le esclusioni Al contrario, la deroga prevista dall'art. 11 non si applica: (a) ai magistrati della corte di cassazione, trattandosi di ufficio giudiziario avente competenza nazionale (Cass. VI, n. 30760/2009); (b) ai magistrati che svolgono attività di assistente di studio presso sedi istituzionali, ad es., presso la Corte costituzionale, perché, in tal caso, non è configurabile l'efficacia pregiudizievole per l'imparzialità della decisione delle frequentazioni quotidiane tra giudicandi e giudicanti, in assenza di particolari rapporti di comunanza professionale territoriale, e quindi di frequentazioni quotidiane (Cass. V, n. 31721/2004); (c) ai giudici popolari, poiché, allorquando la comunanza con l'ambiente giudiziario del luogo risulta meramente occasionale e temporanea, sì che non è tanto l'esercente una pari attività giudiziaria nel distretto che si deve giudicare come parte privata (sia essa indagato o parte offesa o danneggiato), quanto il soggetto comune che, solo occasionalmente, ha esercitato o sta esercitando temporaneamente una simile attività, deve prevalere il principio generale della competenza del giudice naturale precostituito per legge previsto dall'art. 25 Cost., rispetto a quello eccezionale previsto dall'art. 11 (Cass. I, n. 4788/1999); (d) ai casi nei quali un magistrato onorario svolga funzioni di difensore di una delle parti, senza essere parte egli stesso (Cass. V, n. 10400/2006); (e) ai magistrati amministrativi (Cass. VI, n. 2874/2003): (f) ai giudici tributari, che “sono giudici speciali e non certo magistrati onorari”, come già chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 64/2008 (Cass. VI, n. 46616/2016). (g) ai magistrati militari, attesa la completa separatezza ed autonomia delle due giurisdizioni (Cass. I, n. 52136/2019). Segue . Ambito soggettivo di applicazione
Applicabilità anche in appello La disciplina dettata dall'art. 11 si applica anche nel caso in cui un magistrato, addetto alla corte di appello, sia imputato o persona offesa (o danneggiata) da un reato in ordine al quale la stessa corte di appello è chiamata a decidere; e ciò ancorché il giudizio di primo grado sia stato regolarmente celebrato davanti al giudice naturale, individuato secondo le regole generali, non sussistendo, a quel momento, per il magistrato interessato, le condizioni indicate dalla citata disposizione (Cass. I, n. 3766/1999). Inapplicabilità in fase esecutiva Sul presupposto che la disciplina stabilita dall'art. 11 ha natura eccezionale, limitata alle ipotesi in cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, si è ritenuto che essa è riferita soltanto alla fase delle indagini preliminari ed al procedimento di cognizione, e non ammette interpretazioni estensive o analogiche, che ne consentano l'applicazione anche nella fase esecutiva (Cass. I, n. 55084/2016: in applicazione del principio, la S.C. ha annullato l'ordinanza di affidamento in prova al servizio sociale, che aveva individuato la competenza del magistrato di sorveglianza ai sensi dell'art. 11; conforme Cass. I, n. 25387/2019, che in applicazione del principio, ha annullato senza rinvio l'ordinanza di concessione della detenzione domiciliare nella parte in cui individuava ai sensi dell'art. 11 il magistrato di sorveglianza competente a concedere ogni autorizzazione). Inapplicabilità nella fase di prevenzione La regola declinata dall'art. 11, comma 3, che estende la disciplina derogatoria della competenza per i reati nei quali sia parte un magistrato anche ai procedimenti connessi a quelli in cui il magistrato assume una delle qualità di cui al comma 1 del medesimo articolo, non trova applicazione nel procedimento di prevenzione, in quanto, in tale ipotesi, la competenza si radica, in stretta correlazione con il criterio dell'attualità della pericolosità sociale, nel luogo in cui, al momento della decisione, la pericolosità si manifesti (Cass. V, n. 3241/2020: fattispecie relativa a misura di prevenzione applicata a persona imputata di corruzione in concorso nel procedimento penale con un magistrato). La disciplinaLa concreta operatività della disciplina dettata dall'art. 11 è subordinata alla condizione che il magistrato, nel procedimento penale, abbia assunto formalmente la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato (Cass. VI, n. 35218/2008: nella specie, la Corte ha escluso l'applicabilità dell'art. 11 in un caso nel quale il reato di minaccia nei confronti del magistrato, emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale, non risultava essere stato contestato formalmente attraverso la procedura delle nuove contestazioni; Cass. II, n. 36365/2013; Cass. sez. fer., n. 35729/2013, in fattispecie nella quale la S.C. ha escluso che ricorressero gli estremi per applicare l'art. 11 in un procedimento per frode fiscale relativa ad una società quotata in borsa in cui risultavano azionisti magistrati del medesimo distretto, che, però, non avevano formalmente mai assunto la qualifica di danneggiati del reato). Tuttavia, è stata ritenuta non abnorme la sentenza che, rilevata la potenziale qualità di danneggiato dal reato di un magistrato del medesimo ufficio giudiziario di appartenenza del giudice procedente, aveva dichiarato l'incompetenza funzionale ai sensi dell'art. 11, in quanto la decisione assunta non si pone fuori dal sistema né determina la stasi del procedimento, potendo il giudice dichiarato competente sollevare conflitto negativo di competenza (Cass. III, n. 4368/2012). CasisticaQuasi-reati Mirando a garantire l'imparzialità del giudice, la deroga di cui all'art. 11 si applica anche con riferimento ai procedimenti relativi ai cosiddetti “quasi-reati”, ex artt. 49 e 115 c.p. (Cass. I, n. 4823/1993: fattispecie relativa a risoluzione di conflitto di competenza in ordine all'applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata nei confronti di persona a carico della quale era ipotizzato un fatto di istigazione non accolta a commettere il delitto di cui all'art. 575 c.p. ai danni di un magistrato). Si è precisato che la disciplina dettata dall'art. 11 presuppone, per la sua applicazione, che venga contestato, a carico o in danno del magistrato, un fatto di rilevanza penale (anche se ne conseguano soltanto misure di sicurezza, come nei casi previsti dagli artt. 49 e 115 c.p.), e non può essere estesa ai casi in cui la condotta del magistrato, fuori dall'ipotesi di concorso, abbia inconsapevolmente fornito l'occasione o il mezzo per l'azione criminosa da altri commessa e non rivolta contro di lui, o addirittura abbia materialmente realizzato il reato per errore determinato dal colpevole (Cass. I, n. 667/1999: fattispecie relativa a contestazione, a carico di curatore fallimentare, di truffa realizzata mediante induzione in errore del giudice delegato e di abuso di ufficio, posto materialmente in essere dal giudice medesimo per effetto dell'inganno ordito dall'imputato). Reati edilizi In tema di reati edilizi, la circostanza che un magistrato conviva in rapporto di coniugio con il proprietario esclusivo di immobile sottostante quello oggetto dei lavori abusivi non è idonea a determinare la qualità di parte danneggiata, stante la non configurabilità dell’interesse concreto ed attuale richiesto per potere esercitare l’azione civile nel processo penale (Cass. III, n. 5818/2008). Sequestro probatorio In tema di sequestro probatorio operato dalla p.g., si è ritenuto che la competenza per territorio per la convalida prevista dall'art. 355 comma 2, attribuita al p.m. del luogo dove il sequestro è stato eseguito, non subisce deroghe neppure quando è coinvolto, nelle indagini, un magistrato in relazione al quale operi, ai fini dell'attribuzione della competenza, l'art. 11 (Cass. V, n. 38991/2013). Intercettazioni In caso di separazione processuale disposta ex art. 11, sono utilizzabili gli esiti delle intercettazioni disposte nel procedimento originario, prima della separazione in relazione alla medesima notizia di reato (Cass. VI, n. 35060/2010); si è precisato che il regime derogatorio previsto dall'art. 11 trova applicazione anche per l'individuazione del giudice competente a decidere sulla richiesta di distruzione, a tutela della riservatezza della documentazione riguardante le intercettazioni, non più necessaria per il procedimento, ai sensi dell'art. 269, comma 2 (Cass. III, n. 46349/2008). La competenza territoriale in caso di trasferimento del magistrato coinvoltoNel caso in cui la corte di cassazione, annullando con rinvio la sentenza relativa al procedimento nel quale sia coinvolto un magistrato, individui il giudice competente, non essendo a conoscenza del fatto che, nel frattempo, il magistrato stesso era stato trasferito in un ufficio giudiziario del distretto della corte d'appello individuata quale giudice del rinvio, la competenza spetta alla corte d'appello individuata, a seguito di tale trasferimento, ai sensi dell'art. 11 (Cass. I, n. 17807/2008: in motivazione, la S.C. ha osservato che il mancato coordinamento tra l'art. 11, norma che intende garantire i basilari valori di imparzialità, trasparenza e terzietà del giudice, e l'art. 627, non è di ostacolo ad una interpretazione sistematica e logica che consenta di introdurre un'eccezione, normativamente prevista quale regola generale, alla regola attributiva di competenza per il giudizio di rinvio). I procedimenti connessiLa sussistenza di una causa di connessione tra più fatti, alcuni dei quali contestati in concorso con un magistrato, attribuisce al giudice cui spetta la cognizione dei reati ascritti al magistrato anche la competenza per le imputazioni riguardanti esclusivamente altri indagati, in forza della previsione di cui all'art. 11, comma 3 (Cass. VI, n. 46244/2012). La speciale competenza stabilita dall'art. 11, comma 3, per i procedimenti connessi a quello riguardante magistrati ha natura di competenza per territorio ed è, pertanto, rilevabile, ai sensi dell'art. 21, comma 2, prima della conclusione della udienza preliminare o, se questa manchi, entro il termine previsto dall'art. 491, comma 1 (Cass. V, n. 26563/2014). Superato il contrario e risalente orientamento, la giurisprudenza è, ormai, orientata nel senso che, ai fini della determinazione della competenza relativa a procedimenti connessi a quelli riguardanti magistrati, si applicano le regole ordinarie, e non invece la disposizione di cui all'art. 11, comma 3, quando il procedimento connesso è ancora in fase di indagini e quello relativo ad appartenenti all'ordine giudiziario è stato definito con archiviazione, perché tale vicenda determina il venir meno del rapporto di connessione (Cass. II, n. 13296/2014 e Cass. V, n. 42854/2014: in entrambi i casi, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che, una volta intervenuta l'archiviazione del procedimento riguardante magistrati, il procedimento connesso doveva essere trattato dall'A.G. competente secondo le regole ordinarie). A conclusioni diverse deve giungersi nel caso in cui, dopo l'esercizio dell'azione penale in ordine a tutti i reati connessi, il g.u.p., all'esito dell'udienza preliminare, pronunci sentenza di non luogo a procedere in ordine a quello, tra i reati connessi, in forza del quale egli sia stato individuato quale giudice competente ex art. 11: in questo caso, il g.u.p. non potrebbe, infatti, declinare la propria competenza in ordine agli altri reati connessi. BibliografiaAmato, Disciplina estesa alla fase delle indagini ma senza rilievo per i giudizi in corso, in Guida dir. 1998, n. 49, 49; Giostra, Competenza per i reati commessi da magistrati ignoti?, in Cass. pen. 1995, 1265; Macchia, Sub art. 11, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da Lattanzi- Lupo, I, Agg. 2003-2007, Soggetti (artt. 1-108), a cura di Aprile- Bronzo- Cantone-Ciani- De Leo-Gargiulo-Macchia, Milano, 2008, 37; Santalucia, La connessione tra procedimenti riguardanti i magistrati, in Giur. it. 2001, 1239; Santoriello, La Consulta promuove la nuova disciplina in tema di competenza per procedimenti penali riguardanti soggetti appartenenti all'ordine giudiziario, in Giur. cost. 1999, 2932. |