La liquidazione dell'attivo costituisce il momento forse più importante di tutta la procedura fallimentare ed il legislatore, coerentemente con la volontà di “privatizzazione” dell'intero processo, ha inteso valorizzare, da una parte, la figura del curatore/manager e, dall'altra, ha sottratto al giudice delegato larga parte dei poteri istituzionalmente attribuitigli fin dalle origini. La riforma ha inteso assicurare la migliore realizzazione del patrimonio fallimentare con particolare attenzione sia alla celerità ed alla duttilità sia al miglior vantaggio economico ritraibile, sganciando la disciplina della liquidazione dalle regole del processo d'esecuzione.
Inquadramento
La liquidazione dell'attivo costituisce il momento forse più importante di tutta la procedura fallimentare ed il legislatore, coerentemente con la volontà di “privatizzazione” dell'intero processo, ha inteso valorizzare, da una parte, la figura del curatore/manager e, dall'altra, ha sottratto al giudice delegato larga parte dei poteri istituzionalmente attribuitigli fin dalle origini. La riforma ha inteso assicurare la migliore realizzazione del patrimonio fallimentare con particolare attenzione sia alla celerità ed alla duttilità sia al miglior vantaggio economico ritraibile, sganciando la disciplina della liquidazione dalle regole del processo d'esecuzione.
Si è così passati da una normativa rigida che affidava la vendita degli immobili al sistema degli incanti e quella dei beni mobili alla scelta tra incanto e trattativa privata, sempre sotto la direzione del giudice delegato, ad una quasi completa de-giurisdizionalizzazione, con una nuova normativa che ha nel suo dna una sostanziale assenza di formalismi e la cui cifra “stilistica” è rappresentata da adeguate forme di pubblicità per la massima informazione e partecipazione di tutti gli interessati, con il sistema delle procedure competitive, che vedono come attore principale il curatore quale unico responsabile dell'intero iter. Il legislatore, sempre nell'ottica di conservazione dei valori aziendali intesi quali creatori di ricchezza, indirizza il curatore verso la preferenza delle vendite dell'intero complesso aziendale o di singoli rami d'azienda, ritenendo residuale le vendite atomistiche soltanto qualora queste ultime si rivelino più proficue per i creditori, prevedendo la possibilità che il prezzo possa essere pagato anche ratealmente.
La natura giuridica delle vendite dei beni
E' certamente radicata nella memoria collettiva la ferma convinzione che la legge fallimentare del 1942 avesse mutuato il sistema delle vendite fallimentari dall'esecuzione individuale con la conseguenza che alle predette vendite si applicassero le relative norme del processo di esecuzione del codice di procedura civile in quanto compatibili. La dottrina unanime (R. Provinciali, Trattato di diritto fallimentare, III, Milano, 1974, 1581 ss.; A. Bonsignori, La liquidazione dell'attivo, in Commentario Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1976, 70 ss.; P. Pajardi, Codice del fallimento, sub art. 105, Milano, 1997 e, da ultimo, ibidem, sub art. 107, Milano, 2013) e la giurisprudenza consolidata (ex multis: Cass., 3 novembre 1981, n. 5784, in Dir. fall., 1982, n II, 361 e, più recentemente, Cass., 10 giugno 2010, n. 14760, in Fall., 2010, 1142, con osservazioni di A. Penta) ritenevano altresì applicabili alle vendite fallimentari le norme del codice civile relative alla vendita forzata (artt. 2919 e ss. c.c.), comprese quelle a trattativa privata, in primis, perché tali vendite venivano effettuate contro la volontà del debitore.
La riforma introdotta con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 ha portato nella procedura fallimentare di liquidazione dell'attivo una rivoluzione copernicana (M. Sandulli, in AA.VV., La riforma della legge fallimentare, sub art. 106, II, Torino, 2006). Il sistema delle vendite competitive è, a tutti gli effetti, una vendita forzata con piena applicazione degli artt. 2919 e ss. c.c., posto che tale vendita comporta (al di là del fatto che avvenga contro la volontà del debitore) la realizzazione coattiva del valore economico del bene, nell'ambito di un procedimento legale nel quale i diritti di tutte le parti sono egualmente garantiti (P. Pajardi – A. Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 601 e ss.); perché è prevista la possibilità che il giudice possa sospendere le operazioni di vendita (art. 108, comma 1, l. fall.) e perché alle vendite consegue un effetto purgativo (art. 108, comma, 2, l. fall.).
La natura di vendita coattiva va attribuita non solo alle vendite nelle quali il giudice aggiudica e trasferisce il bene ma anche a quelle che si perfezionano per il tramite del curatore con forme privatistiche, trovando la loro legittimazione, la loro origine qualificante, nel provvedimento autorizzativo del giudice delegato a seguito di controllo e verifica di adeguatezza dell'intera procedura (P. Pajardi, op. cit, sub art. 107, Milano, 2013).
Come è stato fatto giustamente osservare, dopo l'intervento correttivo del 2007, la facoltà (residualmente) lasciata al curatore di affidare la vendita al giudice delegato secondo le norme codicistiche, non può che rafforzare la natura di coattività delle vendite concorsuali, posto che sarebbe davvero incongrua la prospettazione, nel silenzio della legge, di un doppio regime (L. Iannicelli, Le vendite fallimentari: aspetti processuali, in Trattato di diritto fallimentare,diretto da V. Buonocore e A. Bassi, coordinato da G. Capo, F. De Santis e B. Meoli, Padova, 2010, vol. III, 391 e ss.).
Le procedure competitive e la libertà di forme
Benché il modello legale scelto dal legislatore per le vendite sia, per usare un'espressione icastica, a “geometria variabile” e, dunque, improntato alla massima libertà di scelta tra le tante soluzioni astrattamente possibili e sia applicabile, indifferentemente, per tutti i beni, siano essi mobili o immobili, aziende, agglomerati di beni ed universalità di beni (con l'unica eccezione relativa ai diritti nascenti dalla proprietà industriale ed alle opere dell'ingegno, per le quali si dovranno necessariamente applicare le disposizioni previste dalle apposite leggi speciali) non potranno ovviamente mancare alcuni requisiti minimi quali una stima effettuata da operatori esperti (con eccezione per i beni di modesto valore) e un'adeguata pubblicità per consentire a tutti gli interessati di partecipare alle vendite in modo informato e trasparente, confidando che la gara (recte: la competizione) tra più pretendenti possa essere foriera di maggiori ricavi economici.
Maggiore e completa sarà la pubblicità fatta dal curatore maggiore sicuramente sarà la partecipazione attiva di tutti gli interessati.
I sistemi finora utilizzati nelle vendite di beni si possono schematicamente ricondurre ai seguenti tre:
la vendita a trattativa privata: certamente il sistema più rapido, pienamente compatibile con il sistema legale tutte le volte in cui sia previsto lo svolgimento di una gara tra gli offerenti;
la vendita con procedure competitive cd. semplificate: prezzo base maggiorato dalle singole offerte incrementative, con meccanismi semplificati;
la vendita mediante procedura competitiva rigida, sulla falsariga delle vendite giudiziali con e senza incanto: offerte scritte in busta chiusa, con cauzione minima, determinazione dei rilanci minimi, termini di pagamento predefiniti.
La legge prevede, all'art. 105 l. fall., diverse species di cessioni: la vendita dell'azienda, la vendita di rami d'azienda, la vendita di beni e rapporti in blocco e la cessione mediante conferimento.
La vendita dell'azienda
Il carattere residuale delle vendite atomistiche dei beni, giustificabile solo nell'ipotesi in cui assicurino maggiore soddisfazione delle ragioni dei creditori, a favore, invece, della vendita dell'intero complesso aziendale, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco, è definitivamente sancito dall'art. 105 l. fall., anche se va detto che non sempre il disegno del legislatore va di pari passo con la realtà, soprattutto economica, del Paese, la cui spina dorsale è fatta da aziende medio-piccole e piccolissime piuttosto che da aziende medio-grandi per le quali sembrerebbe che la riforma sia stata impostata, anche se il favore dichiaratamente espresso per la conservazione dei valori aziendali ed occupazionali merita tutto il plauso che indubbiamente le è dovuto. La riforma va, dunque, nella direzione di una sempre maggiore valorizzazione dell'impresa in quanto tale piuttosto che dell'imprenditore che diventa surrogabile (particolarmente nel concordato preventivo), implicitamente riconoscendo a tutto campo la valenza positiva del complesso di beni organizzati, prescindendo dalla figura dell'imprenditore (sia individuale sia collettivo) che non ha saputo essere all'altezza del suo compito, cercando di mantenerne intatti, per quanto possibile, i valori intrinseci.
La vendita del complesso aziendale, che potrà contemplare anche i beni immobili, dovrà essere fatta a mente del combinato disposto degli artt. 107 l. fall. e 2556 c.c., nel rispetto ed in esecuzione del programma di liquidazione approvato dal comitato dei creditori con l'indicazione delle modalità di vendita secondo le regole codicistiche/pubblicistiche piuttosto che secondo procedure competitive di natura prettamente negoziale caratterizzate da trasparenza e pubblicità sia in relazione alla stima effettuata sia in relazione alle modalità attuative della competizione stessa. Le previste forme di pubblicità, in assenza di specifici regolamenti ministeriali, potranno trovare un modello di riferimento nel combinato disposto degli artt. 490 c.p.c. e 173-ter disp. att. c.p.c. relativo alla pubblicità su internet.
Il contratto di cessione dovrà rispettare le prescrizioni codicistiche per le imprese soggette a registrazione, che prevedono la forma scritta ad probationem, salva l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto. Infine l'atto pubblico o la scrittura privata autenticata sono richieste anche ad substantiam, unitamente alla necessaria iscrizione nel competente registro delle imprese a cura del notaio rogante o autenticante nel termine di 30 giorni. Un'ultima precisazione riguarda il fatto che l'effetto traslativo non avviene in conseguenza di un provvedimento giudiziale quale un decreto di trasferimento ma in virtù dello stesso contratto di natura privatistica nel quale centrale diventa la figura del notaio, quale garante di legalità anche in relazione alla trasparenza ed all'informazione dell'intera operazione. L'intervento del giudice è infatti limitato, ai sensi dell'art. 108, comma 2, l. fall., conclusasi l'operazione ed incamerato il prezzo, all'ordine di cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo.
Ad adiuvandum la cessione il legislatore ha previsto che i privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, conservino la loro validità e il loro grado a favore del cessionario (art. 105, comma 7, l. fall.). Sempre nell'ottica di favorire le vendite unitarie con modalità quanto più flessibili è stato anche previsto, oltre alla rateazione del versamento del prezzo (art. 107, comma 1, l. fall.), anche il suo pagamento mediante l'accollo dei debiti concorsuali, all'unica condizione che non sia alterata la graduazione dei crediti, cioè la par condicio creditorum (art. 105, comma 9, l. fall.) Il legislatore ha risolto molto positivamente forse il principale problema legato all'acquisto di un'azienda decotta, vale a dire il vincolo di solidarietà previsto dall'art. 2560, comma 2, c.c., stabilendo in modo chiaro, con l'art. 105, comma 4, l. fall., che, salva diversa pattuizione tra le parti (curatore e cessionario), è esclusa la responsabilità dell'acquirente per i debiti relativi all'azienda ceduta, sorti prima del trasferimento.
La vendita di rami d'azienda
La nozione di ramo d'azienda ricomprende, ai sensi dell'art. 2112 c.c., ogni entità economica organizzata in maniera stabile che, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità; detta circostanza presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e funzionalmente esistente, e non solo una struttura produttiva creata in occasione del trasferimento (Cass., 10 ottobre 2014, n. 21503, in Riv. it. dir. lav., 2015, II, 3, con nota di Biagiotti; Cass., 14 novembre 2011, n. 23808; Cass., 6 giugno 2007, n. 13270, in Mass. giur. lav., 2007, 879, con nota di Inglese). Il significato profondo di ramo d'azienda va dunque ricercato nel concetto di entità economica organizzata in maniera stabile che abbia una propria autonomia ed indipendenza, in grado di continuare a svolgere la medesima attività economica che svolgeva prima del trasferimento. Nel caso di vendita di ramo d'azienda, nulla muta rispetto a quanto già segnalato nel paragrafo precedente poiché l'art. 105, comma 2, l. fall., disciplina nello stesso modo sia la vendita di azienda sia di ramo d'azienda, in conformità, appunto, a quanto stabilito dagli artt. 107 l. fall. e 2556 c.c.
La vendita di beni e rapporti in blocco
Quale forma residuale e gradata, il legislatore ha previsto la possibilità di cedere le attività e le passività dell'azienda o dei suoi rami, nonché di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco. Realisticamente, il legislatore ha riconosciuto che il cessionario dell'azienda potrebbe avere anche interesse a rilevare tutte o parte delle passività pregresse, rifacendosi ad esperienze di matrice bancaria ed, in particolare, all'art. 90 del T.U.B. in materia di liquidazione coatta amministrativa degli istituti di credito. Nella pratica il riferimento è agli “sportelli” (comprensivi di debiti, crediti e personale), allo scopo di agevolare la liquidazione dell'azienda bancaria e conservarne la produttività attraverso la continuazione dell'attività.
In tal modo i rapporti facenti capo al singolo “sportello” vengono considerati in modo unitario, quasi un patrimonio della sede ai soli fini del trasferimento (L. Panzani, La vendita dell'azienda nel fallimento, in Fallimento e altre procedure concorsuali, (diretto da) G. Fauceglia e L. Panzani, Torino, 2009, vol. 2, 1242). Nel caso di cessione delle attività e delle passività dell'azienda o dei suoi rami, nonché di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco, il legislatore della riforma ha previsto, forse in modo inappropriato, l'esclusione della responsabilità dell'alienante prevista dall'art. 2560, comma 1, c.c., prescindendo totalmente dal consenso (eventualmente) espresso dai creditori. Il riferimento al predetto articolo 2560 c.c., infatti, appare fuorviante perché le vendite in blocco, così come la cessione di attività e di passività, nulla hanno a che vedere con la cessione d'azienda o di rami d'azienda ai quali si deve applicare una disciplina di favore e, sotto molti aspetti, ampiamente derogativa rispetto alla disciplina comune delle vendite ed, in primis, proprio con riferimento alla responsabilità solidale tra cedente e cessionario sconosciuta, come appena detto, alla disciplina comune.
Tale (inappropriato) riferimento legislativo sembrerebbe giustificarsi solamente ove si ponga mente al fatto che il legislatore abbia voluto sottolineare in maniera “plastica” il suo interesse a costruire un percorso liquidatorio variegato e flessibile ma, nello stesso tempo, escludendo in modo chiaro ogni tipo di responsabilità della procedura fallimentare in assenza di assenso esplicito dei creditori, applicando per analogia la normativa prevista per al cessione d'azienda.
Crediti e contratti in corso di esecuzione – I rapporti di lavoro
Nessuna particolarità di rilievo va segnalata in tema di cessione di crediti dalla procedura fallimentare al cessionario, dovendosi integralmente applicare l'art. 105, comma 6, l. fall., che richiama in toto l'art. 2559 c.c. (con alcune varianti solo lessicali), precisando, pertanto, che la cessione dei crediti relativi alle aziende cedute, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione, ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese e che, tuttavia, il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede al cedente.
Tali disposizioni si applicano, di tutta evidenza, a contratti che siano stati eseguiti dall'imprenditore e nei confronti del quale il terzo abbia, dunque, un debito (ad esempio l'imprenditore ha venduto merci con pagamento differito o, più, semplicemente, merci che non siano ancora state pagate). Anche in tema di cessione dei crediti, dunque, il legislatore applica il (più) favorevole regime previsto per semplificare le formalità necessarie a rendere opponibili le cessioni di tali crediti ai terzi, in deroga alla disciplina comune che richiede, invece, la notifica al debitore ceduto o l'accettazione da parte di questi, in applicazione degli arti. 1265 e 2914, n. 2) c.c., prevedendo una sorta di notifica collettiva: l'iscrizione del trasferimento dell'azienda nel registro delle imprese. Da tale momento la (eventuale) cessione dei crediti (che, dunque, non ha effetto automatico, ma deve essere oggetto d'una espressa pattuizione tra cedente e cessionario) relativi all'azienda ceduta ha effetto nei confronti dei terzi anche in assenza di notifica al debitore o di sua accettazione (G.F. Campobasso, Diritto commerciale - Diritto dell'impresa, Torino, 2013, vol. 1, 156).
Ai contratti pendenti (e solo a quelli che non hanno carattere personale) si dovrà applicare lo stesso regime agevolativo previsto dall'art. 2558 c.c. per facilitare il mantenimento dell'unità economica dell'azienda. In assenza di pattuizioni diverse, infatti, l'acquirente subentra automaticamente nei contratti in corso d'esecuzione con fornitori, lavoratori, clienti, locatori, concedenti, ecc., con il temperamento previsto dall'art. 2558, comma 2, c.c. che prevede la possibilità per il contraente ceduto di recedere dal contratto entro tre mesi dal trasferimento, se sussiste una giusta causa. Naturalmente, tale normativa si applicherà solo nel caso in cui il curatore non abbia optato per il loro scioglimento ai sensi dell'art. 72 l. fall.
Un discorso più articolato va fatto per i contratti di lavoro perché l'art. 105, comma 3, l. fall. prevede che nell'ambito delle consultazioni sindacali relative al trasferimento d'azienda, il curatore, l'acquirente e i rappresentanti dei lavoratori possono convenire il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell'acquirente e le ulteriori modifiche del rapporto di lavoro consentite dalle norme vigenti. Tale disposizione deroga sicuramente a quella generale dettata dall'art. 2112 c.c. che prevede la continuazione dei rapporti di lavoro in capo all'acquirente con la conservazione a favore dei lavoratori di tutti i diritti che ne derivano, con vincolo di solidarietà tra alienante ed acquirente per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Tali due disposizioni vanno, tuttavia, coordinate anche con l'art. 2119, comma 2, c.c. che prevede che non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto di lavoro il fallimento dell'imprenditore o la liquidazione coatta amministrativa dell'azienda, per cui spetterà al curatore procedere, se lo riterrà, al licenziamento dei lavoratori. Parallelamente, in applicazione dell'art. 47 della l. 428/1990, anche il trasferimento d'azienda non costituisce, di per sé, motivo di licenziamento. Ne deriva, come logica conseguenza, che in presenza dei limiti dimensionali (impresa con più di 15 lavoratori) e dell'accordo sindacale previsti dalla predetta legge, in caso di vendita concorsuale, non si applicherà l'art. 2112 c.c.
In assenza, invece, dei requisiti dimensionali o di accordi sindacali specifici, l'acquirente dell'azienda sarà solidalmente responsabile salva la sua liberazione con le procedure di cui agli artt. 410 e 411 c.p.c., ove il lavoratore vi consenta (per una disamina puntuale dei riflessi sui rapporti di lavoro, vedasi: A. Caiafa, Affitto, vendita e conferimento dell'azienda, in L. Ghia – C. Piccininni – F. Severini (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, Torino, 2010, vol. III, 175 e ss.).
Nuovi scenari: la cessione mediante conferimento
Di assoluta novità, sempre nell'ottica di conservazione del going concern, è la previsione contenuta nell'art. 105, comma 8, l. fall. che autorizza il curatore alla liquidazione anche mediante il conferimento in una o più società, eventualmente anche in una newco, dell'azienda o di rami d'azienda ovvero di beni o crediti, con i relativi rapporti contrattuali in corso, esclusa la responsabilità dell'alienante ai sensi del già visto art. 2560 c.c., osservate le disposizioni inderogabili contenute nella sezione II del capo VI della l. fall., in commento. Le motivazioni per cui possa, in astratto, essere più conveniente l'utilizzazione di tale (nuovo) veicolo si possono agevolmente così riassumere:
l'esercizio provvisorio dell'impresa (così spesso sottoutilizzato) genera sempre spese (ingenti) in prededuzione che, in caso d'insuccesso dell'operazione, riducono drasticamente il patrimonio (residuo) della procedura;
l'affitto d'azienda sconta il “peccato originale” relativo allo scarso interesse dell'affittuario ad investire nell'azienda affittata ed eseguire le opere di manutenzione, cercando, all'opposto, di comprimerne il valore per abbassare il prezzo in sede di vendita competitiva;
la gestione dell'azienda per il tramite di una società controllata dalla stessa procedura (spesso unipersonale), permette l'interruzione dell'eventuale attività non redditizia (cosa impossibile in caso di affitto) e consente al curatore di poter nominare manager esperti del settore per la sua amministrazione (laddove il curatore è sempre un professionista);
la nuova società, certamente più e meglio della procedura fallimentare, avrà la possibilità di accedere al credito ed a nuova finanza.
Va da sé che il conferimento in società per la successiva alienazione delle partecipazioni sociali comporterà ex lege l'inapplicabilità dell'art. 2560 c.c., con esclusione della responsabilità dell'alienante (di modo che la nuova società parta “pulita”, non porti con sé altre passività se non quelle eventualmente conferite), e dovrà avvenire nel (rigoroso) rispetto delle disposizioni inderogabili previste dalle legge ed, in primis, la necessità di esperire per la successiva vendita delle partecipazioni le procedure competitive di cui all'art. 107 l. fall.
La cessione di crediti, di azioni revocatorie e di quote. Mandato a riscuotere
La norma di cui all'art. 106 l. fall. appare molto flessibile, permettendo la cessione di crediti della più svariata natura, ivi compresi, com'è ormai prassi costante, crediti tributari, in ragione delle lungaggini legate alla loro liquidazione da parte dell'Erario. Sono certamente cedibili sia i crediti futuri (a patto che siano determinati o determinabili) sia quelli contestati, unitamente alle relative azioni di accertamento e di condanna. Considerata la natura del cedente, appare incompatibile con la procedura fallimentare la cessione pro solvendo, così come deve ritenersi preferibile l'esclusione convenzionale della garanzia sull'esistenza del credito in forza dell'art. 1266 c.c. (L. Panzani, La vendita dell'azienda nel fallimento, in Fallimento e altre procedure concorsuali, (diretto da) G. Fauceglia e L. Panzani, Torino, 2009, vol. 2, 1251).
In alternativa alla cessione, il curatore potrà stipulare contratti di mandato per la riscossione, a tutto vantaggio della celerità della procedura. Infine, molto opportunamente, il legislatore della riforma ha previsto la possibilità di cessione di tutte le azioni revocatorie, a patto che esse siano già pendenti al momento della cessione (al fine di evitare azioni di natura meramente speculativa), intendendosi per azioni revocatorie concorsuali tutte quelle previste dagli artt. 64, 65, 66 e, naturalmente, 67 l. fall. (ivi comprese, dunque, anche le azioni revocatorie ordinarie di cui all'art. 2901 c.c.).
Infine, in tema di vendita di quote di società a responsabilità limitata, va dato atto di alcune criticità. L'art. 106, comma 2, l. fall., rinvia espressamente all'art. 2471 c.c. sull'espropriazione delle quote, con la precisazione che, in caso di fallimento, al posto del pignoramento, si dovrà notificare (alla società) ed iscrivere la sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese e procedere inventariazione delle quote medesime (che tiene luogo del pignoramento). Avvenuta l'espropriazione, bisognerà distinguere tra quote liberamente trasferibili e quote che, invece, presentano vincoli al trasferimento.
Nel primo caso, molto semplicemente, si applicheranno gli artt. 2469 e 2470 c.c. che andranno coordinati con l'art. 107 l. fall.: stima delle quote e adozioni di appropriate procedure competitive, garantendo la massima informazione e partecipazione degli interessati. Nel caso in cui, invece, esistano impedimenti o vincoli al trasferimento delle quote espropriate, in assenza di accordo tra curatore e società, la vendita avrà luogo all'incanto da parte del giudice delegato. Nel caso (statisticamente peraltro remoto) di vincoli assoluti d'intrasferibilità, si dovrà previamente esercitare il diritto di recesso, previsto dallo stesso art. 2469 c.c. Un'ultima annotazione riguarda il problema dell'applicabilità o meno dell'art. 2471 c.c. anche alle azioni di società per azioni, tenuto conto che il titolo dell'art. 106 l. fall. include, genericamente, anche la cessione di “azioni”.
La dottrina maggioritaria ritiene che l'art. 2471 c.c. abbia portata generale, applicandosi, dunque, anche alle azioni con clausola di gradimento o prelazione (R. Fontana e Salvo Leuzzi, La liquidazione dell'attivo. La vendita dell'azienda. Vendita di beni mobili e immobili, in Fallimento e concordato fallimentare, Torino, 2016, t. II, 2333 e ss.; G. Minutoli, Art. 106 l. fall., in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova, 2014, 1451; P. Pajardi, Codice del fallimento, (a cura di) M. Bocchiola – A. Paluchowski, subart. 106 l. fall., Milano, 2013, 1337).
Riferimenti
Normativi
art. 105,106 e 107 l. fall.
art. 2555,2556,2558,2559,2560 c.c.
Giurisprudenza
Cass., 10 ottobre 2014, n. 21503
Cass., 14 novembre 2011, n. 23808
Cass., 10 giugno 2010, n. 14760
Bibliografia
M. SANDULLI, in AA.VV., La riforma della legge fallimentare, sub art. 106, II, Torino, 2006;
P. PAJARDI – A. PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008;
F. Campobasso, Diritto commerciale - Diritto dell'impresa, Torino, 2013, vol. 1;
A. Caiafa, Affitto, vendita e conferimento dell'azienda, in L. Ghia – C. Piccininni – F. Severini (diretto da), Trattato delle procedure concorsuali, Torino, 2010.
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Sommario
Le procedure competitive e la libertà di forme
La vendita dell'azienda
La vendita di rami d'azienda
Crediti e contratti in corso di esecuzione – I rapporti di lavoro
La cessione di crediti, di azioni revocatorie e di quote. Mandato a riscuotere