Codice Civile art. 2043 - Risarcimento per fatto illecito.

Francesco Agnino

Risarcimento per fatto illecito.

[I]. Qualunque fatto doloso o colposo [1176], che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno [7, 10, 129-bis, 840, 844, 872 2, 935 2, 939 3, 948, 949, 1440, 1494 2, 2395, 2504-quater, 2600, 2818, 2947; 185 2, 198 c.p.; 22 ss. c.p.p.; 55, 60, 64 2, 96, 278 c.p.c.]  12.

 

[1] In tema di responsabilità per danno da prodotto difettoso v. art. 114 d.lg. 6 settembre 2005, n. 206; in tema di danno ambientale v. art. 300 d.lg. 3 aprile 2006, n. 152; in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile v. gli artt. 170-172 d.lg. 7 settembre 2005, n. 209.

[2] Per la responsabilità civile della struttura e dell'esercente la professione sanitaria, v. art. 7 l. 8 marzo 2017, n. 24

Inquadramento

Il disposto dell'art. 2043 individua il fondamento della responsabilità extracontrattuale in qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto.

Data la genericità dell'espressione, la disposizione citata è considerata dalla dottrina una sorta di clausola generale dell'ordinamento, realizzata attraverso la c.d. atipicità dell'illecito civile (Alpa-Bessone, 30). Sarà l'autorità giudiziaria, infatti, a decidere se, tenuto conto del divenire della società, con le sue mutevoli scale di valori ed esigenze, un dato comportamento può ritenersi lesivo o meno della regola base di convivenza pacifica appena vista, verificando, altresì, la sussistenza di tutti gli elementi strutturali individuati dall'art. 2043.

Dal dettato letterale della norma, infatti, emergono gli elementi fondamentali per far sorgere la responsabilità extracontrattuale, ossia: il fatto illecito, il danno ingiusto, il nesso di causalità (giuridica e materiale) tra il fatto e il danno, la colpevolezza dell'agente e l'imputabilità del fatto lesivo.

Al ricorrere di ogni requisito legale, spetterà sempre al giudice quantificare l'ammontare dovuto, considerato che l'art. 2059 legittima il danneggiato a pretendere il risarcimento delle conseguenze negative, anche di tipo non patrimoniale.

Il fatto illecito

Il primo elemento che caratterizza la responsabilità aquiliana è il fatto illecito, ovverosia qualunque fatto, atto o comportamento umano doloso o colposo (cioè tenuto con l'intenzione di nuocere ovvero con imprudenza, disattenzione, imperizia) in grado di cagionare ad altri un danno ingiusto.

Nella nozione di fatto illecito possono farsi rientrare sia le condotte commissive che omissive, purché riconducibili, secondo il nesso di causalità, all'evento dannoso ed esista un vero e proprio obbligo giuridico di impedire lo stesso.

Come già affermato, a differenza dell'ordinamento penale dove vige la tipicità dei fatti illeciti, nell'ordinamento civile l'illecito è atipico, nel senso che ogni violazione del principio del neminem laedere in grado di provocare un danno ingiusto (corrispondente ad una lesione di un diritto o di un interesse protetto dall'ordinamento) ad altri va risarcita. Spetterà pertanto al giudice individuare, di volta in volta, se un fatto, sulla base degli elementi strutturali individuati dall'art. 2043, può ritenersi idoneo ad integrare la responsabilità aquiliana ex art. 2043.

Il generale precetto del neminem laedere, previsto e sanzionato dall'art. 2043, opera pienamente tutte le volte in cui i terzi — a causa delle particolari modalità di svolgimento del rapporto e delle condotte assunte da terzi soggetti siano ragionevolmente indotti, sulla base di specifici rapporti pregressi, a fare affidamento su di una determinata situazione giuridica.

L'obbligo giuridico di impedire l'evento può nascere oltre che da una norma di legge o da una clausola contrattuale, anche da una specifica situazione che esiga una determinata attività a tutela di un diritto altrui, fattispecie configurabile quando il soggetto obbligato, pur consapevole del pericolo cui è esposta la situazione giuridica soggettiva vantata dal terzo, si astenga dall'intervenire per impedire che la situazione di pericolo si traduca in una concreta lesione.

Alla luce della progressiva evoluzione della giurisprudenza sulla risarcibilità del danno, nel solco del più ampio riconoscimento delle posizioni soggettive sotto il profilo risarcitorio (Cass. n. 8827/2003; Cass. n. 8828/2003; Cass. n. 26972/2008), assume rilievo essenziale — non solo quindi in relazione alla risarcibilità del danno non patrimoniale ma anche, e prima ancora, ai fini della configurabilità dell'azione di responsabilità extracontrattuale — l'indagine tesa a verificare se il diritto oggetto di lesione sia riconducibile a quelli meritevoli di tutela in quanto protetti dall'ordinamento giuridico.

Il danno ingiusto

Non ogni fatto che possa arrecare danno, ovviamente, genera l'obbligo del risarcimento, ma soltanto un danno “ingiusto”, in contrasto cioè con un dovere giuridico.

L'interpretazione evolutiva della giurisprudenza (Cass. n. 500/1999) ha ampliato negli anni la nozione di «ingiustizia del danno», dilatando così i confini della responsabilità extracontrattuale, aldilà della sola funzione sanzionatoria della violazione dei precetti preesistenti nell'ordinamento giuridico, coincidente con la lesione dei diritti soggettivi assoluti, e ricomprendendovi (soprattutto attraverso l'individuazione dei valori essenziali sanciti dalla Costituzione suscettibili di diventare situazioni soggettive protette) qualsiasi condotta colpevole di aver determinato un danno ingiusto ad una posizione di interesse giuridicamente apprezzabile e meritevole di tutela da parte dell'ordinamento, sia sotto il profilo del danno patrimoniale che non patrimoniale (lesione di un diritto di credito da parte di soggetto diverso del debitore, danno per l'uccisione di un soggetto, lesione dei valori esistenziali dell'individuo, ecc.).

Secondo quanto affermato dal consolidato indirizzo della giurisprudenza, l'ingiustizia del danno va intesa nella duplice accezione di danno prodotto non iure, cioè in assenza di cause giustificative del fatto dannoso, e contra ius, vale a dire lesivo di una posizione o di un interesse tutelati dall'ordinamento (Cass. n. 500/1999), giacché entrambe, nella loro sintesi, sono espressione di quella valutazione “bifasica” di comparazione degli interessi del danneggiante e del danneggiato che porta alla qualificazione di un danno come ingiusto.

Deve, in ogni caso, sottolinearsi come il danno ingiusto è escluso nel caso in cui sussista una causa di giustificazione, come lo stato di necessità (art. 2045) e la legittima difesa (art. 2044). 

Il danno causato dall'evasione fiscale, allorché questa integri gli estremi di un reato commesso da persona diversa dal contribuente e non altrimenti obbligata nei confronti dell'erario, può coincidere sia con il tributo evaso, sia con ulteriori pregiudizi, ma nella prima di tali ipotesi il risarcimento sarà dovuto a condizione che l'erario alleghi e dimostri la perdita del credito o la ragionevole probabilità della sua infruttuosa esazione; ne consegue che, nel giudizio di danno promosso dall'erario nei confronti di persona diversa dal contribuente, cui venga ascritto di avere concausato la perdita del credito erariale, spetta all'amministrazione provare l'esistenza del credito, la perdita di esso ed il nesso causale tra la lesione del credito e la condotta del convenuto, mentre spetta al convenuto dimostrare che la perdita del credito sia avvenuta per negligenza dell'amministrazione, negligenza che rientra nella previsione di cui all'art. 1227, comma 1, c.c. (Cass. S. U., n. 29862/2022).

In materia di espropriazione per pubblica utilità, qualora venga accolta la domanda giudiziale di retrocessione proposta dal privato espropriato, con determinazione del relativo prezzo, l'effetto reale del trasferimento della proprietà si determina  ex nunc  nel momento del passaggio in giudicato della sentenza che accoglie tale domanda e a prescindere dal pagamento del relativo prezzo. Ne consegue che, ove il privato espropriato sia rimasto nel possesso del bene durante lo svolgimento della procedura di espropriazione e del successivo giudizio di retrocessione, il mancato pagamento, da parte sua, del prezzo stabilito in sentenza costituisce inadempimento, ma non impedisce il venire meno del carattere abusivo di tale occupazione ai fini del risarcimento del danno spettante alla Pubblica Amministrazione (Cass. n. 9304/2023).

In tema di risarcimento del danno non patrimoniale subìto dalle persone giuridiche, il pregiudizio arrecato ai diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all'immagine e alla reputazione commerciale, non costituendo un mero danno-evento, e cioè in re ipsa, deve essere oggetto di allegazione e di prova, anche tramite presunzioni semplici (Cass. n. 19551/2023, in applicazione del principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che – pur ritenendo lesive dell'immagine della società attrice le numerose mail inviate da un dipendente licenziato ad interlocutori istituzionali, lamentando l'adozione di comportamenti non etici da parte dell'ente datoriale – aveva rigettato la domanda risarcitoria, difettando l'allegazione del danno conseguenza, anche con il ricorso a presunzioni semplici, per mancanza di elementi dai quali ricavare che gli interlocutori istituzionali della società avessero avuto effettiva contezza delle recriminazioni dell'ex dipendente, con conseguente pregiudizio per l'immagine societaria, quali affari o relazioni commerciali non conclusi in conseguenza della condotta diffamatoria realizzata).

Ed ancora, il danno alla reputazione commerciale derivante da attività di concorrenza sleale confusoria non può ritenersi sussistente in re ipsa , ma va allegato e dimostrato da parte del danneggiato (Cass. n. 21586/2023).

Il nesso causale

Nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, un ruolo essenziale è rappresentato dal nesso di causalità. Per far sorgere in capo al soggetto agente l'obbligo del risarcimento del danno, è necessario infatti che lo stesso sia causalmente riconducibile al fatto illecito, ovvero che sussista un rapporto di causa-effetto tale che l'evento dannoso possa dirsi provocato dal fatto compiuto (Cass. n. 7026/2001; Cass. n. 12431/2001; Cass. n. 2037/2000).

Ai fini dell'accertamento dell'insorgere dell'obbligazione risarcitoria, il nesso di causalità va esaminato sotto un duplice profilo: quello della causalità materiale, ossia della sussistenza di un collegamento tra la condotta illecita e l'evento dannoso, e quello della causalità giuridica, ovvero dell'accertamento di un collegamento giuridico tra l'evento lesivo e le sue conseguenze dannose, allo scopo di delimitare il contenuto della stessa obbligazione risarcitoria.

Con riferimento alla causalità giuridica, l'art. 1223 (esteso alla responsabilità extracontrattuale dall'art. 2056) stabilisce che il danno risarcibile deve essere la conseguenza diretta e immediata della condotta illecita, mentre per quanto concerne la causalità materiale, non vi è una precisa disposizione nel codice civile, per cui si fa riferimento alle teorie sviluppate in ambito penalistico (teoria della causalità adeguata; della sussunzione sotto leggi scientifiche o statistiche, ecc.).

Infatti, relativamente a tale ultimo aspetto, la Cassazione ha avuto modo di affermare che in tema di responsabilità civile extracontrattuale, il nesso causale tra la condotta illecita ed il danno è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 c.p., in base al quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla scorta del quale, all'interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano — ad una valutazione ex ante — del tutto inverosimili. Ne consegue che, ai fini della riconducibilità dell'evento dannoso ad un determinato fatto o comportamento, non è sufficiente che tra l'antecedente ed il dato consequenziale sussista un rapporto di sequenza temporale, essendo invece necessario che tale rapporto integri gli estremi di una sequenza possibile, alla stregua di un calcolo di regolarità statistica, per cui l'evento appaia come una conseguenza non imprevedibile dell'antecedente (Cass. n. 12923/2015; Cass. n. 15991/2011; Cass. n. 26042/2010).

Sicché, nell'accertamento della responsabilità civile il primo presupposto da verificare è l'esistenza del nesso eziologico tra quello che s'assume essere il comportamento potenzialmente dannoso ed il danno che si assume esserne derivato. Una volta verificato che il nesso non sussiste non ha più rilevanza né l'accertamento di un'eventuale colpa, né l'accertamento di una eventuale responsabilità cd. speciale (escluso, nella specie, il risarcimento in favore dei parenti di un fumatore morto a causa di tumore, atteso che il giudice del merito aveva fatto corretta applicazione del principio della "causa prossima di rilievo" costituito nella fattispecie da un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo di soggetto dotato di capacità di agire, quale, appunto, la scelta di fumare nonostante la notoria nocività del fumo (Cass.  n. 11272/2018).

Il concorso di concause naturali

Secondo un orientamento della giurisprudenza, se alla produzione dell'evento di danno concorrono la condotta dell'uomo e cause naturali o pregresse, il responsabile non può pretendere nessuna riduzione di responsabilità, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può esservi solo tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una condotta umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile (Cass. n. 7577/2007). Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo «concausale» di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio «semplificato», tale da condurre «ipso facto» ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del «quantum» risarcitorio" (Cass. n. 5991/2011). Tale orientamento non è condiviso da altra pronuncia (Cass. n. 975/2009) secondo cui qualora la produzione di un evento dannoso sia riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato da preesistente situazione patologica del paziente, il giudice deve procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause, onde attribuire all'autore della condotta dannosa la parte di responsabilità correlativa, così da lasciare a carico del danneggiato il peso del danno alla cui produzione ha concorso a determinare il suo stato personale (Cass. n. 12516/2016).

La colpevolezza

Ennesimo requisito dell'illecito aquiliano è quello della colpevolezza, ossia del nesso psichico che ricollega la condotta all'agente.

Ai fini della configurazione della responsabilità extracontrattuale l'art. 2043 distingue, gli elementi della colpa e del dolo, senza fornire, peraltro, nessuna definizione.

A tal fine, pertanto, tornano utili le definizioni fornite dalla disciplina penalistica (v. art. 43 c.p.) secondo la quale l'evento doloso è quello previsto e voluto dal soggetto come conseguenza della propria azione o omissione; mentre l'evento colposo è quello non voluto dall'agente, ancorché previsto, che si verifica per negligenza, imprudenza e imperizia (c.d. colpa generica) ovvero per violazione di specifiche regole di condotta (c.d. colpa specifica).

Orbene, va al riguardo anzitutto ribadito che con riferimento a differenti fattispecie (Cass. n. 18304/2014), così come in ambito contrattuale anche ai fini della configurabilità della responsabilità extracontrattuale la colpa si sostanzia nell'inosservanza di leggi, regolamenti, regole e discipline nonché nell'obiettiva violazione degli aspetti della diligenza, della prudenza e della perizia, al cui rispetto il soggetto deve improntare la propria condotta (anche) nei rapporti della vita comune di relazione.

La giurisprudenza di legittimità ha già avuto più volte modo di porre in rilievo che il debitore è di regola tenuto ad una normale perizia, commisurata alla natura dell'attività esercitata (secondo una misura obiettiva che prescinde dalle concrete capacità del soggetto, sicché deve escludersi che ove privo delle necessarie cognizioni tecniche il debitore rimanga esentato dall'adempiere l'obbligazione con la perizia adeguata alla natura dell'attività esercitata); mentre una diversa misura di perizia è dovuta in relazione alla qualifica professionale del debitore, in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri dello specifico settore di attività (con riferimento al professionista, ed in particolare allo specialista, Cass. n. 22222/2014).

Atteso che la diligenza deve valutarsi avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata (art. 1176, comma 2), così come al professionista (e a fortiori allo specialista) anche al prestatore d'opera e al lavoratore subordinato è richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività da espletare (Cass. n. 12995/2006) e allo standard professionale della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità, giacché chi assume un'obbligazione nella qualità di specialista, o una obbligazione che presuppone una tale qualità, è tenuto alla perizia che è normale della categoria (Cass. n. 8826/2007).

In altri termini, l'impegno (non solo dal professionista, e a fortiori dallo specialista, ma anche) dal prestatore d'opera e dal lavoratore subordinato dovuto, se si profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attività professionale o lavorativa esercitata, giacché il medesimo deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale o lavorativa della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità (Cass. n. 2222/2014; Cass. n. 17143/2012).

Si è affermato che in presenza dell'elemento soggettivo della colpa, se il contenuto della missiva e la sua diffusione, nonché lo svolgimento delle indagini penali coinvolgenti, oltre che il presunto autore, anche la presunta vittima (quale persona offesa), provocano la lesione della sfera personale di quest'ultima, si è in presenza di danno ingiusto risarcibile ai sensi dell'art. 2043.( Cass., n. 5958/2016, fattispecie relativa all'invio di uno scritto in forma anonima al tribunale dei minorenni in cui uno zio denunciava abusi sessuali subiti dalla nipote per opera del padre, cognato dell'uomo; la ragazza citava in giudizio l'autore supposto dello scritto per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa delle accuse inveritiere).

Riparto dell'onere della prova

In tema di responsabilità aquiliana, la prova del nesso eziologico tra condotta ed evento di danno grava sul danneggiato, e ciò tanto che, dell'evento, si lamenti la mancata riconduzione alla condotta sub specie di unica causa determinante, sia che, della stessa, si predichi la (pur ridotta, ma pur sempre parimenti rilevante ex art. 41 c.p.) efficienza concausale (Cass. III, n. 10244/2015).

In assenza di tale adempimento probatorio, al giudice è preclusa la valutazione equitativa del danno in mancanza della prova del nesso causale, posto che può «farsi ricorso alla liquidazione in via equitativa, allorché sussistano i presupposti di cui all'art. 1226, solo a condizione che l'esistenza del danno sia comunque dimostrata, sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione» (Cass. n. 3367/2015; Cass. n. 2197/2016; Trib. Monza II, 5 maggio 2016 n. 1228).

In tutte le ipotesi in cui l'accertamento della responsabilità penale è stato ormai compiuto con esito positivo o negativo e risulta cristallizzato in una pronuncia definitiva di condanna (come può accadere nella prima delle due fattispecie contemplate dall'art. 622 c.p.p.) o di proscioglimento (come senz'altro accade nella seconda fattispecie contemplata dal medesimo art. 622 c.p.p. , nonché nelle altre ipotesi di scostamento dalla regola dell'accessorietà dell'azione civile innestata sul tronco del processo penale), il giudice investito della cognizione sulla domanda civile risarcitoria (sia esso lo stesso giudice penale che ha pronunciato il proscioglimento sia esso il giudice civile competente per il merito all'esito della fase rescindente svoltasi dinanzi alla Corte di legittimità) non è chiamato ad accertare, neppure in via meramente incidentale, se si sia integrata la fattispecie tipica contemplata dalla norma incriminatrice in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato e se da essa siano derivate conseguenze dannose, patrimoniali o non patrimoniali (art.185 c.p.); egli è invece chiamato ad accertare se si sia integrata la diversa fattispecie atipica dell'illecito civile in tutti i suoi elementi costitutivi ex art. 2043 c.c. (Cass. n. 30496/2022).

Peraltro, i n caso di proposizione di domanda di risarcimento dei danni da  fauna  selvatica la scelta tra l'applicazione dell'art. 2043 c.c. o dell'art. 2052 c.c. non attiene alla qualificazione giuridica della domanda bensì al riparto dell'onere della prova, con la conseguenza che non si forma il giudicato interno, perché il giudicato sostanziale non si forma sugli errores in procedendo (Cass. n. 17253/2024).

Prescrizione del diritto e danni latenti

Nel caso di danni a decorso occulto la prescrizione inizia a decorrere quando il danneggiato, con l'uso dell'ordinaria diligenza, possa avvedersi: a) dell'esistenza del danno; b) della sua riconducibilità causale al fatto illecito del terzo.

Invero per la giurisprudenza (Cass. n. 8645/2016; Cass. n. 2645/2003; Cass. n. 12287/2004; Cass. n. 10493/2006) la prescrizione del diritto al risarcimento del danno per aver contratto una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l'ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, dal momento che fino a che non sia conoscibile la causa del contagio, la malattia, sofferta come fatalità non imputabile a un terzo, non è idonea in sé a concretizzare il «fatto» che l'art. 2947, comma 1 individua quale esordio della prescrizione.

In termini più precisi si è rilevato che Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio da emotrasfusioni una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre dal giorno in cui tale malattia venga percepita - o possa essere percepita usando l'ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche - quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo. Incorre, pertanto, in un errore di sussunzione e, dunque, nella falsa applicazione dell' art. 2935, il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita o, comunque, conseguibile, da parte del paziente, pur in difetto di informazioni idonee a consentirgli di collegare causalmente la propria patologia alla trasfusione. (Cass. n. 24164/2019,  nella specie, la S.C. ha ritenuto che per un paziente privo di conoscenze mediche la mera diagnosi di positività al virus HCV non integrasse, in difetto di ulteriori informazioni fornite da personale sanitario, consapevolezza e percezione della riconducibilità causale della patologia epatica alla trasfusione).

Sotto altro aspetto, pur presupponendo un rapporto contrattuale (la norma si colloca nell'ambito della disciplina del contratto d'appalto), la fattispecie delineata dall'art. 1669 c.c. ne supera i confini e si configura come ipotesi di responsabilità extracontrattuale, che esige l'accertamento del contributo causale del soggetto passivo all'attività da cui è disceso il danno (Cass. n. 23470/2023).

Cosicché l'obbligazione derivante dalla legge persegue finalità di ordine pubblico, atte alla conservazione e funzionalità degli edifici destinati per loro natura a lunga durata, a tutela dell'incolumità personale e della sicurezza dei cittadini e, quindi, di interessi generali inderogabili.

Nonostante la sua collocazione sistematica, dunque, il bene giuridico alla cui tutela tende la norma in esame trascende il rapporto negoziale in base al quale l'immobile sia pervenuto nella sfera di dominio di un soggetto diverso dal costruttore e che - in ragione della rovina, dell'evidente pericolo di rovina o dei gravi difetti dell'opera - abbia subito un pregiudizio. Sussiste un rapporto di specialità tra l'art. 2043 c.c. (genus) e l'art. 1669 c.c. (species).

Tuttavia, poiché la responsabilità ex art. 1669 c.c. è speciale rispetto a quella prevista dalla norma generale di cui all'art. 2043 c.c., l'applicazione dell'art. 2043 c.c. può essere invocata soltanto ove non ricorrano i presupposti oggettivi e soggettivi dell'azione di responsabilità previsti dall'art. 1669 c.c., e non già al fine di superare i limiti temporali entro cui l'ordinamento positivo appresta la tutela specifica, ovvero senza poter "aggirare" il peculiare regime di prescrizione e decadenza che connota l'azione speciale (Cass. n. 31301/2023).

La medesima conclusione vale per l'ipotesi in cui difettino i presupposti soggettivi, ossia la legittimazione attiva per la qualità dei soggetti pretendenti (diversi dai committenti o suoi aventi causa), necessaria allo scopo di esperire l'azione di cui all'art. 1669 c.c.: in tal caso, non ricorre un concorso di norme, sicché non sono integrati dei validi motivi per precludere la facoltà del danneggiato di spiegare l'azione generale di cui all'art. 2043 c.c. (Cass. n. 27385/2023)

La liquidazione del danno

In materia di espropriazione per pubblica utilità, qualora venga accolta la domanda giudiziale di retrocessione proposta dal privato espropriato, con determinazione del relativo prezzo, l'effetto reale del trasferimento della proprietà si determina  ex nunc  nel momento del passaggio in giudicato della sentenza che accoglie tale domanda e a prescindere dal pagamento del relativo prezzo. Ne consegue che, ove il privato espropriato sia rimasto nel possesso del bene durante lo svolgimento della procedura di espropriazione e del successivo giudizio di retrocessione, il mancato pagamento, da parte sua, del prezzo stabilito in sentenza costituisce inadempimento, ma non impedisce il venire meno del carattere abusivo di tale occupazione ai fini del risarcimento del danno spettante alla Pubblica Amministrazione (Cass. n. 9304/2023).

In tema di risarcimento del danno da illecito extracontrattuale, è stato statuito che, se la liquidazione viene effettuata con riferimento al valore del bene perduto dal danneggiato all'epoca del fatto illecito (Cass. n. 12284/2016), espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione monetaria intervenuta fino alla data della decisione definitiva, è dovuto anche il danno da ritardo e, cioè, il lucro cessante provocato dal ritardato pagamento della suddetta somma, che deve essere provato dal creditore  (Cass. n. 12288/2016).

In tema di responsabilità extracontrattuale da fatto illecito, sulla somma riconosciuta al danneggiato a titolo di risarcimento occorre che si consideri, oltre alla svalutazione monetaria (che costituisce un danno emergente), anche il nocumento finanziario subito a causa della mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento (quale lucro cessante). Qualora tale danno sia liquidato con la tecnica degli interessi, questi non vanno calcolati né sulla somma originaria, né sulla rivalutazione al momento della liquidazione, ma debbono computarsi o sulla somma originaria via via rivalutata anno per anno ovvero sulla somma originaria rivalutata in base ad un indice medio, con decorrenza sempre dal giorno in cui si è verificato l'evento dannoso (Cass. n. 8766/2018).

Tuttavia, la prova può essere data e riconosciuta dal Giudice secondo criteri presuntivi ed equitativi e, quindi, anche mediante l'attribuzione degli interessi.

Se, quindi, il Giudice adotta, come criterio di risarcimento del danno da ritardato adempimento, quello degli interessi, fissandone il tasso, mentre è escluso che questi ultimi possano essere calcolati alla data dell'illecito sulla somma liquidata per il capitale, rivalutata definitivamente, è consentito, invece, effettuare il calcolo con riferimento ai singoli momenti (da determinarsi in concreto secondo le circostanze del caso) con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente in base agli indici prescelti di rivalutazione monetaria ovvero ad un indice medio.

Si è precisato che affinché il principio di integralità del risarcimento possa dirsi effettivo, non si può non precisare come l'ampiezza della retribuzione media (dell'attività lavorativa precedentemente svolta) e che costituisce la base di calcolo per la determinazione del danno futuro da perdita della capacità lavorativa, deve essere tale da comprendere non solo la componente fissa della retribuzione, ma anche tutti i relativi accessori e i probabili aumenti retributivi. La determinazione del danno futuro, infatti, essendo un danno, sì accertato in giudizio, ma che spiegherà i propri effetti lesivi in un secondo momento, non può che essere effettuata in via prognostica (Cass. n. 1607/2024).

Sotto altro aspetto, nella liquidazione del danno non patrimoniale, il giudice, secondo la giurisprudenza, deve procedere con valutazione equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto (Cass. n. 10996/2003; Cass. n. 8599/2001; Cass. n. 4733/2001; Cass. n. 4801/1999; Cass. n. 1474/1996). La fattispecie astratta dell'«illecito aquiliano» si compone di tre elementi essenziali, costituiti dalla condotta illecita (colposa o dolosa), dal danno e dal nesso causale tra la prima ed il secondo.

Questi sono, dunque, i tre elementi le cui circostanze sono suscettibili di incidere sulla aestimatio del danno; mentre il luogo dove il danneggiato abitualmente vive, e presumibilmente spenderà od investirà il risarcimento a lui spettante, è invece un elemento esterno e successivo alla fattispecie dell'illecito.

Il criterio della realtà socioeconomica ove vive il danneggiato — pur condiviso da una decisione di legittimità, che ha ritenuto «non errato» tenerne conto nella liquidazione del danno non patrimoniale da morte del congiunto (Cass. n. 1637/2000) — non appare fondato in diritto.

L'accoglimento della domanda di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., proposta dal creditore nei confronti del terzo acquirente di un bene dal suo debitore in forza di un atto di disposizione assoggettabile a revocatoria, presuppone: 1) che l'atto dispositivo del patrimonio del debitore sia revocabile ai sensi dell'art. 2901 c.c.; 2) che, dopo la sua stipulazione, il terzo abbia compiuto atti elusivi, in modo totale o parziale, della garanzia patrimoniale; 3) che il fatto del terzo sia connotato da un'originaria posizione di illiceità concorrente con quella del debitore ("consilium fraudis") ovvero da una posizione di illiceità autonoma; 4) che sussista in concreto un "eventus damni" causato dal fatto illecito del terzo. Il danno che può ottenere chi eserciti utilmente la c.d. revocatoria risarcitoria è esclusivamente quello che consegue al venir meno della possibilità di esercitare utilmente l'”actio pauliana” e la sua quantificazione deve essere commisurata alla utilità che il creditore danneggiato dall'atto elusivo dell'acquirente del bene (che l'abbia a sua volta ceduto a terzi) avrebbe potuto conseguire in difetto di tale attività elusiva (Cass. n. 24196/2023, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che aveva riconosciuto a titolo risarcitorio il valore commerciale del bene al momento della rivendita, senza considerare i costi, relativi alla liberazione dalle ipoteche, che avevano accresciuto il valore di rivendita).

La determinazione del giudice competente

Nelle cause in cui sia parte un'amministrazione dello Stato, qualora l'obbligazione dedotta in giudizio abbia origine da un fatto illecito, ai fini dell'individuazione del giudice competente per territorio, ai sensi dell'art. 6 r.d. n. 1611/1933, e art. 25  c.p.c., il forum delicti concorre, in via alternativa, con il forum destinatae solutionis, da determinarsi in base alle norme di contabilità pubblica (art. 54 r.d. n. 2440/1923; art. 278, lett. d, artt. 287 e 407 r.d. n. 827/1924), e cioè il luogo in cui ha sede l'ufficio di tesoreria tenuto ad effettuare il pagamento, che è quello della provincia in cui il creditore è domiciliato (Cass. n. 2737/2015).

L'inadempimento della Pubblica Amministrazione rispetto alle regole tecniche e alla diligenza nella gestione e manutenzione dei suoi beni può essere portato davanti al giudice ordinario da un privato. Questa azione legale può essere volta sia a ottenere una condanna al silenzio, sia a richiedere il risarcimento di danni patrimoniali. Tale richiesta non coinvolge scelte autoritarie dell'amministrazione, ma riguarda un'attività soggetta al principio del  neminem laedere . La richiesta dei querelanti, che lamentano l'inerzia della Pubblica Amministrazione nel non procedere con i necessari lavori di consolidamento di un tratto stradale rimasto instabile dopo interventi di sicurezza su un ponte, si fonda su un presunto diritto soggettivo che rientra tra le tutele garantite dall' art. 2043 c.c. , quindi rientra nell'ambito di competenza del giudice ordinario (Cass. S.U. n. 24096/2024).

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