Codice Penale art. 9 - Delitto comune del cittadino all'estero.Delitto comune del cittadino all'estero. [I]. Il cittadino, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce [la pena di morte o] 1 l'ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima [112, 2011], sempre che si trovi nel territorio dello Stato [42]. [II]. Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del ministro di grazia e giustizia 2 [127-129; 342 c.p.p.], ovvero a istanza [130; 341 c.p.p.] o a querela [120-126; 336-340 c.p.p.] della persona offesa. [III]. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del ministro di grazia e giustizia [128, 129; 342 c.p.p.], sempre che l'estradizione [13; 697 c.p.p.] di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto 3. [IV]. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, la richiesta del Ministro della giustizia o l'istanza o la querela della persona offesa non sono necessarie per i delitti previsti dagli articoli 320,321, 346-bis, 648 e 648-ter.1.45
[1] Per i delitti previsti nel codice penale e in altre leggi diverse da quelle militari di guerra, la pena di morte è stata soppressa e sostituita con l'ergastolo: d.lg.lt. 10 agosto 1944, n. 224 e d.lg. 22 gennaio 1948, n. 21. Per i delitti previsti dalle leggi militari di guerra, la pena di morte è stata abolita e sostituita con quella «massima prevista dal codice penale» (l. 13 ottobre 1994, n. 589). V. ora anche art. 274 Cost., come modificato dall'art. 1, l. cost. 2 ottobre 2007, n. 1. V. inoltre la l. 15 ottobre 2008 n. 179, di ratifica del Protocollo n. 13 del 3 maggio 2002 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, relativo all'abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza. [3] Comma così modificato dall'art. 5, comma 1, l. 29 settembre 2000, n. 300, che ha sostituito alle parole «a danno di uno Stato estero» le parole «a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero». V. sub art. 322-ter . [4] Le parole «, 648 e 648-ter.1» sono state aggiunte dopo la parola «346-bis», dall'art. 1, comma 1, lett. a), del d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195. [5] Comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. a), l. 9 gennaio 2019, n. 3, in vigore dal 31 gennaio 2019. InquadramentoLa norma in esame disciplina le ipotesi in cui il cittadino italiano viene punito in Italia per un delitto comune commesso all'estero a danno dello Stato italiano o di altro cittadino italiano (principio della personalità passiva) ovvero a danno di uno Stato estero, delle Comunità europee o di uno straniero (principio di nazionalità). Aspetti generaliIl fondamento della punibilità del cittadino che abbia commesso un delitto comune all'estero varia a seconda degli interessi lesi dalla condotta criminosa. Quando il delitto è stato commesso in danno dello Stato italiano o di un cittadino italiano, l'applicazione della legge penale italiana trova giustificazione in quanto legge protettiva degli interessi offesi (principio della personalità passiva), mentre quando il delitto è stato commesso in danno di uno Stato estero o di uno straniero, la legge penale italiana opera in quanto legge del reo (principio della personalità attiva o di nazionalità). Delitto comune, ai sensi dell'art. 9, è qualsiasi delitto diverso da quelli indicati negli artt. 7 e 8. Presupposti di punibilitàLa legge penale italiana non si applica alle contravvenzioni e ai delitti comuni commessi dal cittadino all'estero quando si tratta di fattispecie punite con la sola multa. Quando si tratta di delitti puniti con pena detentiva, la misura della sanzione incide sulle condizioni di applicazione della legge italiana (art. 9, comma 2). Se per il reato è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è sufficiente che il reo si trovi sul territorio dello Stato. Se, invece, la pena prevista è la reclusione inferiore nel minimo a tre anni, è necessaria la richiesta del Ministro della giustizia oppure, in alternativa, quando l'offeso è un privato, la richiesta di procedimento da parte della persona offesa oppure, in alternativa all'istanza, la querela, se si tratta di delitto perseguibile a querela (Cass. I, n. 4144/1992). L'istanza di procedimento non è legata all'uso di formule sacramentali ed è valida anche se sia stata proposta contro ignoti, giacche, per la sua validità, è sufficiente che essa indichi il fatto delittuoso per il quale si chiede la punizione dell'autore dello stesso anche se non sia noto, spettando poi all'autorità giudiziaria l'identificazione del reo (Cass. II, n. 457/1970). Inoltre, l'istanza proposta per un determinato reato è, al pari della querela, valida ed efficace per la perseguibilità di altro reato ritenuto dal giudice, diverso da quello qualificato e segnalato dall'istante, essendo compito del giudice dare l'esatto nomen iuris al fatto delittuoso per il quale si chiede la punizione (Cass. II, n. 457/1970). Per i delitti contro le Comunità europee, uno Stato estero od uno straniero, indipendentemente dalla misura della pena detentiva, è necessaria la richiesta ministeriale ed occorre che l'estradizione del reo non sia stata concessa od accettata dallo Stato in cui è stato commesso il delitto (art. 9, comma 3). Alcuni autori, per ragioni di coerenza del sistema, hanno ritenuto che, in aggiunta alla richiesta di procedimento, occorra anche la querela della persona offesa (per i delitti la cui punibilità è subordinata a tale condizione), perché la predetta condizione è necessaria per i delitti politici (art. 8, comma 2) (Vinciguerra, Diritto, 394). Diversamente, per quanto riguarda l'istanza della persona offesa, dato che la simmetrica ipotesi di cui all'art. 10, comma 2 (delitto comune dello straniero commesso all'estero in danno di Stato estero o di straniero) non fa riferimento alcuno all'istanza della persona offesa. Si è osservato, al riguardo, che nelle ipotesi di delitti in danno di Stato o cittadino esteri si ha un maggior coinvolgimento dei rapporti internazionali, di talché l'istanza non è necessaria in quanto si è voluto riservare il potere di impulso all'autorità governativa, istituzionalmente competente a tenere detti rapporti » (S. Vinciguerra, Diritto, 394). Si discute in dottrina se occorra anche la c.d. doppia incriminabilità o punibilità bilaterale, cioè la previsione del fatto come delitto non solo da parte dell'ordinamento italiano, ma anche nell'ordinamento dello Stato ove fu commesso (per la soluzione positiva si vedano (Marinucci-Dolcini, Corso, I, 316; contra Vinciguerra, Diritto, 395; A. Pagliaro, PG, 152; Mantovani, PG, 912). Il criterio della penaNon è chiaro se la pena detentiva possa radicare la giurisdizione del giudice italiano anche quando la norma la prevede in alternativa alla multa. A favore della soluzione positiva si è osservato che « la previsione della multa esprime una valutazione alternativa (e astratta) di gravità minore, che non esclude la gravità maggiore espressa sempre in astratto nella reclusione, su cui si fondano validità ed efficacia della norma penale» (Vinciguerra, Diritto, 391). La giurisprudenza ritiene che l'eventuale applicazione in concreto della pena pecuniaria, comminata in alternativa a quella detentiva, non faccia venire meno la condizione prevista dall'art. 9, in quanto la pena restrittiva della libertà personale, dalla legge considerata per rendere perseguibile il delitto comune commesso dal cittadino all'estero, è quella astrattamente stabilita dal codice e non quella in concreto comminata (Cass. IV, n. 1179/1994). Va chiarito che le pene previste dal codice penale valgono ad attribuire al giudice italiano la giurisdizione in merito ai reati commessi all'estero anche quando si tratta di fattispecie di competenza del giudice di pace, poiché, ferma restando l'applicabilità dei meccanismi di conversione delle pene edittali previsti dal d.lgs. n. 274/2000, per quanto concerne tutti gli altri effetti penali deve farsi esclusivo riferimento alle pene edittali stabilite dal codice penale (Cass. IV, n. 36344/2010). La presenza del reo nel territorio dello StatoSi tratta di un presupposto per procedere nei confronti del cittadino che all'estero abbia commesso un reato punito con l'ergastolo o con la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni. Da punto di vista dogmatico, parte della dottrina la ritiene una condizione di punibilità, cioè un elemento della fattispecie esterno al fatto, ma legato a quest'ultimo al punto da svolgere la funzione di requisito necessario per la punibilità del reato (Mantovani, 910; C. Fiore-S. Fiore, Diritto, 99). La giurisprudenza, invece, la ritiene una condizione di procedibilità (Cass. I, n. 2955/2005). Tale soluzione ha il pregio di evitare alcuni inconvenienti. In primo luogo, l'esercizio dell'azione penale non è impedito dal successivo verificarsi della condizione (art. 345 c.p.p.), la cui mancanza non ha pertanto efficacia preclusiva, mentre un proscioglimento nel merito con sentenza irrevocabile per difetto della condizione di punibilità consentirebbe al colpevole di beneficiare del divieto di un nuovo processo (art. 649 c.p.p.). Inoltre, la prescrizione del reato decorre dal momento della sua commissione e non dal momento dell'ingresso del reo nel territorio dello Stato, come avverrebbe, invece, se la presenza del reo fosse una condizione di punibilità (art. 158, comma 2). La presenza del reo può essere volontaria, involontaria o addirittura contro la sua volontà, come nel caso in cui egli sia estradato in Italia. La presenza del reo in Italia non deve permanere per tutta la durata del processo essendo sufficiente che sussista al momento dell'esercizio dell'azione penale, a nulla rilevando l'eventuale allontanamento in un momento successivo (Cass. II, n. 23304/2008). La presenza del reo, inoltre, può essere anche occasionale o brevissima, come in caso di transito; tuttavia, si ritiene che debba possedere un minimo di consistenza tale da giustificare l'allarme sociale che ne è la ragione giustificatrice (allarme sociale che verrebbe meno, ad esempio, nel caso di presenza del reo su aeromobile non italiano che attraversa lo spazio aereo italiano senza far scalo sul territorio nazionale) (Vinciguerra, Diritto, 392). La formulazione letterale dell'art. 9 non consente di stabilire con certezza se la presenza del reo, espressamente richiesta dal primo comma, valga anche come condizione per procedere in ordine ai delitti di cui al capoverso. Alcuni autori ritengono che la presenza del reo dovrebbe aggiungersi alle altre condizioni di procedibilità previste dal capoverso perché più tenue è l'offesa oggetto di tutela e maggiori debbono essere le condizioni che subordinano la procedibilità per quel reato (Fiandaca-Musco, Diritto, 134). Altra parte della dottrina sostiene, invece, che l'art. 9 preveda l'impulso di parte per i procedimenti relativi ai reati meno gravi e la procedibilità d'ufficio per i reati più gravi, subordinandola alla presenza del reo nel territorio dello Stato, condizione che non vale per i delitti di cui al secondo comma (Vinciguerra, Diritto, 393). La giurisprudenza, dal canto suo, sostiene che la condizione della presenza del reo sul territorio nazionale, posta dal primo comma, è a maggior ragione richiesta per i delitti previsti dal secondo comma, che rispetto a quelli previsti dal primo comma sono di minor gravità, con la conseguenza che il termine per la richiesta di procedimento è quello di tre anni dal giorno in cui il colpevole si trova nel territorio dello Stato e non già quello di tre mesi dal giorno in cui l'autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce reato (Cass. IV, n. 10743/1991). Anche il comma 3 dell'art. 9 non richiede la presenza del reo nel territorio dello Stato. Tuttavia, taluni autori la ritengono necessaria in ragione della previsione di cui all'art. 10, comma 2 (delitto comune dello straniero commesso all'estero in danno delle Comunità europee, di Stato estero o di stranieri), per ragioni di parità di trattamento (Vinciguerra, Diritto, 393). Del resto, il requisito dell'estradizione non concessa dall'Italia o non accettata dallo Stato in cui il delitto fu commesso lascia supporre che il reo si trovi in Italia. La richiesta del Ministro della giustiziaSi tratta di una condizione necessaria per procedere in ordine ai delitti puniti con la reclusione inferiore nel minimo a tre anni e per i delitti contro le Comunità europee, uno Stato estero od uno straniero. Trattandosi di una condizione di procedibilità, il termine di decorrenza della prescrizione va computato dalla data del commesso reato (Cass. II, n. 6806/2013). La richiesta di procedimento — al pari del rifiuto di dar corso ad una rogatoria dall'estero o per l'estero e del decreto di estradizione — seppure connotata da una larga discrezionalità, riveste natura giuridica di atto amministrativo, sottoposto all'obbligo di motivazione e alla gerarchia delle fonti normative e perciò suscettibile di sindacato da parte del giudice amministrativo per i tipici vizi di legittimità propri del procedimento amministrativo. Tale provvedimento, infatti, non può essere definito come atto politico, in quanto non inerisce all'esercizio della direzione suprema degli affari dello Stato né concerne la formulazione in via generale e al massimo livello dell'indirizzo politico e programmatico del Governo, conseguendo, invece, essa ad una scelta vincolata al perseguimento dei fini determinati di politica criminale e connotata altresì dal requisito dell'irretrattabilità. Ne consegue che l'esercizio del potere di firma di tale provvedimento può essere delegato dal Ministro della Giustizia al dirigente dell'articolazione ministeriale competente in materia — direttore generale o capo dipartimento — secondo le specifiche direttive dell'organo di vertice politico (ad esempio, quella di informare il Ministro della natura e del contenuto del singolo atto) (Cass. V, n. 13525/2016). A norma dell'art. 128, comma 1, la richiesta ministeriale deve essere adottata entro tre mesi dal giorno in cui l'autorità ha avuto conoscenza del fatto che costituisce reato. Il suddetto termine non è applicabile, invece, ai reati per la cui punibilità è necessaria la presenza del colpevole nel territorio dello Stato; per questi reati è, infatti, applicabile il comma 2 dell'art. 128, che prevede il distinto ed autonomo termine, completamente sganciato dalla notizia del fatto, di tre anni a decorrere dall'inizio di detta presenza (Cass. I, n. 3375/2002). L'estradizione negata o non accettataPer i delitti contro le Comunità europee, uno Stato estero od uno straniero, oltre alla richiesta ministeriale, occorre anche che l'estradizione del reo non sia stata concessa od accettata dallo Stato in cui è stato commesso il delitto (art. 9, comma 3). Non occorre, tuttavia, che prima della richiesta ministeriale di procedimento sia stata esperita con esito negativo la procedura di estradizione, essendo sufficiente che a quest'ultima non si sia fatto luogo (Cass. I, n. 2957/1987). La giurisprudenza ha chiarito che la condizione di procedibilità relativa all'estradizione è realizzata anche quando l'autorità giudiziaria estera, non avvalendosi della facoltà di chiedere l'estradizione, trasmetta all'autorità giudiziaria italiana tutti gli atti di indagine compiuti e chieda di dare seguito alla procedura penale in Italia (Cass. II, n. 16353/2016). Le deroghe all'art. 9 c.pUna deroga alla disciplina del codice si ha per i delitti di sfruttamento della prostituzione. Infatti, l'art. 3, comma 4, l. 20 febbraio 1958, n. 75 prevede che il reclutamento a fini di prostituzione, l'induzione ed il lenocinio in luogo pubblico o aperto al pubblico od a mezzo di pubblicità commessi all'estero dal cittadino sono puniti in base alla legge italiana, « in quanto le convenzioni internazionali lo prevedano ». L' art. 9 della Convenzione di New York del 21 marzo 1950 (ratificata con l. 23 novembre 1966, n. 1173) prevede che il cittadino di uno Stato che non ammette l'estradizione dei propri cittadini, il quale si trova nel proprio Stato dopo aver commesso all'estero un delitto di prostituzione, deve esservi perseguito. La punizione dei delitti di prostituzione commessi dal cittadino all'estero è subordinata unicamente alla presenza del reo nel territorio dello Stato. Altre ipotesi di deroga codicistica sono contente nell'art. 14 c.p.mil.p., per i reati commessi all'estero da persone soggette alla legge penale militare e nell'art. 22 del Trattato lateranense firmato a Roma l'11 febbraio 1929 (e ratificato con l. 27 maggio 1929, n. 810), con riferimento ai delitti da chiunque commessi nel territorio della Città del Vaticano. La disciplina dell'art. 9 è derogata in tema di mandato di arresto europeo, per gli Stati membri, dal regime introdotto dalla l. 22 aprile 2005, n. 69, che segna i limiti per l'esercizio della potestà punitiva da parte dello Stato membro di emissione (art. 19, lett. c). Ne consegue che una volta intervenuto il mandato di arresto europeo cessa la possibile giurisdizione italiana sul delitto compiuto all'estero dal cittadino e si interrompe il periodo valutabile ai fini della prescrizione (Cass. VI, n. 39777/2014). Altra deroga è prevista dall'art. 604 , che consente l'applicazione degli artt. 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 609-undecies quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano ovvero in danno di cittadino italiano, ovvero da cittadino straniero in concorso con cittadino italiano. In quest'ultima ipotesi il cittadino straniero è punibile quando si tratta di delitto per il quale è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e quando vi è stata richiesta del Ministro di giustizia. La giurisprudenza ha chiarito che ai fini della procedibilità dei reati sessuali, commessi all'estero da un cittadino italiano ai danni di un cittadino straniero prima dell'entrata in vigore della l. 3 agosto 1998, n. 269, è necessaria la richiesta del Ministro della giustizia prevista dall'art. 9, non potendo trovare applicazione il novellato art. 604 in quanto norma più sfavorevole (Cass. III, n. 24653/2009). Va escluso che il reato commesso all'estero possa rientrare nella giurisdizione del giudice italiano per il solo fatto che sia legato dal vincolo della continuazione con altro reato commesso in Italia, trattandosi di ipotesi non compresa tra quelle che, ai sensi degli artt. da 7 a 10 c.p., comportano deroga al principio di territorialità sul quale si basa la giurisdizione dello Stato italiano (Cass. III, n. 2986/2016). Deroghe più recenti sono state introdotte nel 2019 e nel 2021. Quanto alla prima, la l. n. 3/2019, al fine di adeguare la nostra legislazione agli impegni assunti dall'Italia con la ratifica (eseguita con la l. 28 giugno 2012, n. 110) della Convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d'Europa del 1999, ha previsto che non sia necessaria la richiesta del Ministro della giustizia o l'stanza o la querela della persona offesa per punire il cittadino che abbia commesso in territorio estero i delitti di cui agli artt. 320, 321 e 346-bis. La previsione trova giustificazione nel fatto che per tali fattispecie la pena edittale minima è inferiore ai tre anni di reclusione, di talché, per punire il colpevole, in mancanza di questa previsione, sarebbero stati necessari gli ulteriori presupposti di punibilità previsti dal capoverso dell'art. 9. Deve, tuttavia, osservarsi che gli artt. 320 e 321, in relazione alle ipotesi di cui all'art. 319, prevedono una pena minima superiore ai tre anni di reclusione, di talché rispetto a tali fattispecie la novella non era necessaria. La previsione di una pena minima non inferiore ai tre anni di reclusione spiega, invece, perché analogo intervento di adeguamento della norma alla fonte convenzionale non sia stato operato per gli altri delitti contro la pubblica amministrazione. Venendo alla seconda ipotesi, il d.lgs. n. 195/2021, a l fine di dare attuazione alla direttiva UE 2018/1673 del 23 ottobre 2018 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale, ha aggiunto i delitti di cui agli artt. 648 e 648-ter.1 al novero di quelli per i quali, se commessi all'estero da cittadino italiano, la punibilità in Italia non è condizionata alla richiesta del Ministro della giustizia (l'istanza o la querela della persona offesa non sarebbero comunque efficaci trattandosi di delitti procedibili d'ufficio che offendono interessi pubblicistici). Deve osservarsi che, trattandosi di delitti per i quali è prevista una pena minima superiore ai tre anni di reclusione, non vi era necessità di una previsione espressa operando la regola generale di cui al primo comma della disposizione in commento. Profili processualiCompetenza per connessione Accertata la giurisdizione italiana ai sensi dell'art. 9 per i reati commessi all'estero, la competenza per connessione opera anche tra i predetti reati e quelli commessi in Italia (Cass. I, n. 14666/2008). Riparazione per ingiusta detenzione Sussiste il diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione anche nella ipotesi di illegittimità della custodia cautelare applicata per un reato commesso all'estero, improcedibile per mancanza della richiesta del Ministro della giustizia (Cass. IV, n. 42022/2006). Sindacato sulla cittadinanza Ai fini della punibilità per reati commessi dal cittadino all'estero, al giudice penale non è consentito alcun sindacato, neanche in via incidentale, sulle ragioni di acquisto e di perdita della cittadinanza che avvengono secondo i casi e con le modalità prescritte dalla legge speciale in materia (Cass. I, n. 3699/1990). 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Treccani, XVIII, Roma, 1990, 1. |