Codice Penale art. 11 - Rinnovamento del giudizio.

Alessandro Trinci

Rinnovamento del giudizio.

[I]. Nel caso indicato nell'articolo 6, il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato, anche se sia stato giudicato all'estero [138, 201 1].

[II]. Nei casi indicati negli articoli 7, 8, 9 e 10, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all'estero, è giudicato nuovamente nello Stato [138, 201 1], qualora il ministro di grazia e giustizia (1) ne faccia richiesta [128, 129, 313 4; 342 c.p.p.; 1080 1 c. nav.].

(1) V. sub art. 8.

Inquadramento

La norma in esame attribuisce al giudice nazionale la giurisdizione per i fatti commessi in Italia, a prescindere che siano stati già giudicati all'estero (principio di sovranità).

Per i fatti commessi all'estero e ivi già giudicati, la giurisdizione nazionale è condizionata dalla richiesta di giudizio avanzata dal Ministro della giustizia (principio di universalità della legge penale).

Il ne bis in idem internazionale

La potestà punitiva dello Stato non incontra ostacoli nel fatto che il reo sia già stato condannato o assolto all'estero con sentenza definitiva, in quanto nell'ordinamento giuridico italiano non vige il principio del ne bis in idem internazionale (Cass. I, n. 29664/2014; Cass. II, n. 40553/2013, che ha escluso l'applicabilità dell'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, essendo stata la condanna emessa in Croazia ed avendo quel Paese sottoscritto il trattato di adesione all'Unione europea in data 9 dicembre 2011 con decorrenza dal 1° luglio 2013, data successiva alla celebrazione del processo in Italia). In tal caso è comunque necessario che il Ministro della Giustizia formuli richiesta di rinnovamento del giudizio nello Stato ai sensi dell'art. 11, comma 2, c.p. alla cui efficacia non osta una pregressa richiesta di riconoscimento della sentenza straniera ex art. 12, comma 2 (Cass. I, n. 24795/2018).

Ad oggi, infatti, non sembra esistere un principio di diritto internazionale generalmente riconosciuto che imponga agli Stati di applicare nei reciproci rapporti una regola come quella vigente sul piano interno ai sensi dell'art. 649 c.p.p. (Marinucci-Dolcini, Corso, 320; Cass. III, n. 21997/2018, che in relazione ad un reato commesso nel territorio nazionale da un cittadino soggetto anche alla giurisdizione ecclesiastica della Santa Sede – con cui non vigono accordi idonei a derogare alla disciplina di cui all'art. 11 – ha ritenuto che il processo canonico innanzi agli organi della giurisdizione ecclesiastica non precluda la rinnovazione del giudizio in Italia per i medesimi fatti).

Per quanto riguarda gli Stati aderenti agli Accordi di Schengen (accordi incorporati nel quadro dell'Unione europea in forza del Trattato di Amsterdam, che ha allegato al Tue il Protocollo sull'integrazione dell'acquis di Schengen), l'art. 54 Convenzione del 19 giugno 1990 (ratifica dall'Italia con l. 30 settembre 1993, n. 388) prevede che « una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un'altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato contraente di condanna, non possa più essere eseguita ». In tal senso pare legittimo parlare di riconoscimento del principio del ne bis in idem europeo (Cass. I, n. 28299/2004; Cass. I, n. 13558/1998).

Non è, quindi, ostativa alla celebrazione del giudizio, in base all'art. 54 Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen, la precedente condanna riportata per lo stesso fatto in uno Stato aderente alla suddetta Convenzione, quando la relativa pena non sia stata eseguita, né sia in corso di esecuzione, anche se sia ancora eseguibile (Cass. VI, n. 32609/2006).

A seguito della entrata in vigore, il 12 dicembre 2008, dell'accordo tra l'Unione europea, la Comunità europea e la Confederazione svizzera, riguardante l'associazione della Confederazione Svizzera all'attuazione, all'applicazione e allo sviluppo dell'acquis di Schengen, devono essere applicate anche in relazione a tale Stato le statuizioni stabilite nella Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen ed in particolare l'art. 54 che introduce il principio del ne bis in idem (Cass. IV, n. 49706/2009).

Sul piano dell'integrazione europea devono essere ricordate anche la Convenzione di Bruxelles del 13 novembre 1991 sull'esecuzione delle condanne penali e la Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987 sul riconoscimento del ne bis in idem. Quest'ultima Convenzione è stata ratificata dall'Italia con l. 16 ottobre 1989, n. 350, ma non è ancora entrata in vigore sul piano internazionale, non essendo avvenuto il deposito degli strumenti di ratifica, di accettazione o di approvazione da parte di tutti gli Stati membri delle Comunità europee alla data dell'apertura della firma, così come previsto dall'art. 6, comma 2, Convenzione. La predetta Convenzione trova, quindi, applicazione solo nelle relazioni tra l'Italia e gli altri Stati membri che hanno finora depositato gli strumenti di ratifica (Cass. VI, n. 5617/1994).

Altra norma che fonda, sul piano europeo, un divieto di doppio giudizio si rinviene nell'art. 50 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, secondo il quale «nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge ».

La Cedu ha chiarito che il sistema del c.d. doppio binario sanzionatorio (sanzioni amministrative e sanzioni penali) vigente in Italia in materia di abusi di mercato (abuso di informazioni privilegiate e manipolazione di mercato) è in contrasto con il principio del ne bis in idem sancito all'art. 4 Protocollo 7 della Carta europea dei diritti dell'uomo (Corte Edu, II, n. 18640/2014).

Con riferimento alla collaborazione tra Stati in materia penale, va sottolineato che le disposizioni di cui agli artt. 8 e 9 della Convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 e resa esecutiva in Italia con l. 30 gennaio 1961, n. 300, e l'art. 2 della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 e resa esecutiva in Italia con l. 23 febbraio 1961, n. 215, non hanno derogato all'art. 11 c.p. in relazione al principio del ne bis in idem, di talché non sussiste un divieto per il giudice italiano a giudicare nuovamente un fatto che ha formato oggetto di un procedimento penale in uno degli Stati aderenti alle suddette convenzioni, perché le medesime riguardano soltanto l'estradizione e l'assistenza giudiziaria in materia penale (Cass. VI, n. 621/1993).

Deve, inoltre, osservarsi che le convenzioni e gli accordi internazionali che obbligano gli Stati aderenti all'applicazione dei principi ivi stabiliti non sono immediatamente applicabili negli ordinamenti interni, ma richiedono l'adozione di norme nazionali che, in attuazione di quelle pattizie, modifichino quelle di diritto interno incompatibili. In questo senso, l'art. 14, n. 7 del Patto sui diritti civili e politici di New York del 1966 (reso esecutivo in Italia con l. 25 ottobre 1977, n. 881), laddove sancisce il principio del ne bis in idem, è stato interpretato come impegno di carattere programmatico, in relazione alla disposizione di cui all'art. 2, n. 2 dello stesso Patto, e quindi non direttamente applicabile senza le necessarie norme interne di esecuzione (Cass. I, n. 6049/1988).

Sul piano del coordinamento delle legislazioni penali, anche dal punto di vista del ne bis in idem, assumono particolare rilevanza gli artt. 53 e 54 della Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudizi repressivi, adottata a L'Aja il 28 maggio 1970 (resa esecutiva in Italia con l. 16 maggio 1977, n. 305). Tuttavia, è stato ritenuto che essi non siano espressione di un principio generale di diritti consuetudinario internazionale generalmente riconosciuto e che anzi gli ordinamenti della maggior parte degli Stati moderni si ispirino al principio di territorialità ed obbligatorietà della legge penale con conseguente possibilità di rinnovamento del giudizio senza efficacia preclusiva del processo già svoltosi all'estero (Corte cost., n. 282/1983;Corte cost., n. 69/1976).

Va, infine, segnalato che in futuro i rischi di un ne bis in idem europeo dovrebbero essere scongiurati dall'avvio di consultazioni tra gli Stati membri per la concentrazione dei procedimenti paralleli in un solo Stato membro, come previsto dalla decisione quadro 2009/948/ Gai del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all'esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali.

Nel dare attuazione alla suddetta decisione, il d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 29 affida al Procuratore generale presso la Corte d'Appello il ruolo di dominus delle consultazioni dirette alla concentrazione dei procedimenti. Un ruolo centrale nella dinamica di possibile risoluzione del conflitto è affidato al Ministro della giustizia e ad Eurojust. Non sono previste, invece, disposizioni atte regolare la posizione della difesa nel procedimento incidentale e dunque gli spazi per i diritti dell'accusato dovranno essere ricavati dai principi generale del nostro modello processuale.

Il principio di sovranità è stato affermato dalla giurisprudenza anche in tema di responsabilità amministrativa degli enti. Si è infatti affermato che nell'ipotesi di reato commesso nel territorio dello Stato da cittadino italiano, la celebrazione del processo all'estero, in difetto di una specifica convenzione con lo Stato estero che escluda l'esercizio della giurisdizione italiana, non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per gli stessi fatti (Cass. VI, n. 11442/2016).

I reati commessi all'estero

Il capoverso dell'art. 11 consente un nuovo giudizio nello Stato italiano del cittadino o dello straniero già giudicato all'estero per reati ivi commessi su richiesta del Ministro della giustizia.

La valutazione ministeriale riguarda l'opportunità e la convenienza politica di perseguire penalmente certi fatti, in quanto si ritiene che la sentenza penale straniera sia insufficiente a soddisfare gli interessi dello Stato (Vinciguerra, Diritto, 410).

La richiesta del Ministro di giustizia di rinnovamento del giudizio ex art. 11, comma 2, a differenza delle richieste dello stesso Ministro previste dagli artt. 8, 9 e 10, ha una funzione precipuamente processuale, oltre che nella natura anche nei fini, essendo predisposta a superare il divieto del bis in idem determinato dal sopravvenire di una sentenza irrevocabile straniera, e non è soggetta al termine di tre anni dall'inizio della permanenza dell'imputato nel territorio dello Stato, previsto dall'art. 128, comma 2, (Cass. I, n. 24795/2018).

La richiesta ministeriale, non essendo soggetta a termine, può essere formulata anche in via preventiva ed in previsione del passaggio in giudicato della sentenza straniera (Cass. I, n. 6602/1987).

La richiesta di rinnovamento del giudizio presuppone e assorbe la richiesta di procedimento e viceversa. Tuttavia, i due atti assolvono a funzioni diverse e diverse sono le ragioni di opportunità politica sottese. Quindi, se nel corso del procedimento penale italiano passa in giudicato la sentenza penale straniera, occorre una specifica richiesta di rinnovamento del giudizio, perché la precedente richiesta ministeriale di procedimento non ha potuto valutare la sentenza straniera che ancora non esisteva (Cass. VI, n. 15475/1990; in dottrina, Vinciguerra, Diritto, 410).

Va precisato che il reo può dirsi “giudicato” quando all'estero è stata emessa nei suoi confronti una sentenza, di condanna o di proscioglimento, non più soggetta ad impugnazione (Cass. I, n. 372/1971), mentre non costituisce “giudicato” il provvedimento di archiviazione (Cass. VI, n. 15475/1990).

L'autorità giudiziaria procedente che viene a conoscenza della sentenza penale straniera deve darne immediata notizia al Ministro della giustizia per metterlo in condizione di chiedere il rinnovamento del giudizio o il riconoscimento della sentenza penale straniera o di soprassedere ad entrambe (Cass. II, n. 859/1966). In attesa della richiesta, il procedimento italiano dovrebbe essere sospeso (salvi gli atti urgenti) e, se la richiesta non venisse presentata, dovrebbe concludersi con il proscioglimento per difetto della condizione di procedibilità ai sensi dell'art. 345 c.p.p.

Poiché la clausola della doppia incriminabilità, richiesta per l'estradizione, non è prevista nell'art. 11, si ritiene sufficiente che il fatto sia previsto come reato dalla legge italiana, e non anche da quella dello Stato estero nel quale si svolge l'attività giudiziaria (Cass. II, n. 2860/1991; in dottrina, Vinciguerra, Diritto, 412).

La dottrina ritiene che sia irrilevante sia l'esito del giudizio straniero (poiché anche la sentenza di assoluzione non preclude l'applicazione della legge penale italiana) sia l'avvenuta esecuzione, in tutto o in parte, della pena irrogata (Mantovani, Diritto, 914). Tuttavia, la pena e la custodia cautelare sofferte all'estero devono essere scomputate dalla pena eventualmente inflitta in Italia (artt. 137 e 138)

Va, infine, osservato che al rinnovamento del giudizio è alternativo il riconoscimento ai fini dell'esecuzione della sentenza penale straniera. Infatti, salvo che si tratti dell'esecuzione di una confisca, il condannato all'estero non può essere sottoposto a nuovo procedimento penale nello Stato per lo stesso fatto ai sensi dell'art. 739 c.p.p., neppure se il fatto viene diversamente qualificato per il titolo, o diversamente valutato per il grado o per le circostanze.

Bibliografia

Barberini, Il principio del ne bis in idem internazionale, in Cass. pen., 1999, 1788; Chiavario, La compatibilità del ne bis in idem previsto dall'art. 11 co. 1 c.p. con il diritto internazionale generalmente riconosciuto, in Giur. cost., 1967, 301; Esposito, Gli effetti internazionali della garanzia del ne bis in idem nell'ambito comunitario, in Dir. e giust., 1992, 472; Plastina, Il ne bis in idem si sensi dell'art. 54 della convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen: la Cassazione si pronuncia ancora sui limiti del nuovo giudizio, in Cass. pen., 2008, 1061. V. anche sub art. 9.

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