Codice Penale art. 18 - Denominazione e classificazione delle pene principali.Denominazione e classificazione delle pene principali. [I]. Sotto la denominazione di pene detentive o restrittive della libertà personale [3 coord.] la legge comprende: l'ergastolo, la reclusione e l'arresto. [II]. Sotto la denominazione di pene pecuniarie la legge comprende: la multa e l'ammenda. InquadramentoL'art. 18 contiene l'indicazione delle pene detentive (ergastolo, reclusione, arresto) e delle pene pecuniarie (multa ed ammenda), e va letto necessariamente in unione agli artt. 17 e 39 (cui si rinvia), che, rispettivamente, indicano le pene principali previste per delitti e contravvenzioni, e distinguono queste ultime dai primi. Le pene detentive, pur incidendo sul medesimo bene (la libertà personale del condannato) si distinguono in relazione alla tendenziale perpetuità (ergastolo) od alla temporaneità (reclusione, arresto), ed al tipo di reato cui conseguono (delitto per l'ergastolo e la reclusione, contravvenzione per l'arresto); quelle pecuniarie si distinguono unicamente in relazione al tipo di reato cui conseguono (delitto per la multa, contravvenzione per l'ammenda). Le pene detentive “brevi” (reclusione, arresto) possono essere sostituite dalle sanzioni della semidetenzione, della libertà controllata e della pena pecuniaria di specie corrispondente (cfr., rispettivamente, artt. 55,56,57 l. n. 689/1981). Con l'intento di restituire effettività alla pena pecuniaria, il d.lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia) ha introdotto una nuova disciplina dell'esecuzione della multa e dell'ammenda che vede protagonista il pubblico ministero (art. 660 c.p.p.) e ha previsto che in caso di mancato pagamento nei termini, la pena pecuniaria sia convertita in semilibertà sostitutiva, in lavoro di pubblica utilità sostitutivo o in detenzione domiciliare sostitutiva. La conversione in semilibertà sostitutiva è esclusa quando il mancato pagamento sia dovuto all'insolvibilità del condannato (artt. 102 e 103 l. n. 689/1981). Le pene detentive “brevi” (reclusione e arresto fino a quattro anni) possono essere sostituite dalle pene della semilibertà, della detenzione domiciliare, del lavoro di pubblica utilità e della pena pecuniaria di specie corrispondente (cfr., rispettivamente, artt. 53,55,56,56-bis, 56-quater l. n. 689/1981, come modificata dal d.lgs. n. 150/2022 , c.d. riforma Cartabia). Per la pena pecuniaria sostitutiva sono previste regole analoghe a quelle dettate per la pena pecuniaria quale sanzione principale in tema di esecuzione e conversione per mancato pagamento (art. 71 l. n. 689/1981, come modificata dal d.lgs. n. 150/2022 , c.d. riforma Cartabia). La natura penale della sanzione nella giurisprudenza della Corte EduUn consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte Edu ritiene che tre siano i criteri cui occorre fare ricorso per determinare se, a prescindere dal mero nomen juris, si sia, o meno, al cospetto di “un’accusa penale”, e se, correlativamente, sia stata inflitta, o meno, una “sanzione penale”; Tali regole, comunemente note come i “criteri di Engel” (da Corte Edu, 8 giugno 1976, sentenza Engel ed altri c. Paesi Bassi), sono: 1. la qualificazione data dal sistema giuridico dello Stato convenuto all'illecito contestato: questa indicazione ha, peraltro, un valore meramente formale, e non è valida in assoluto, perché la Corte Edu deve valutare la correttezza di tale qualificazione anche in considerazione di altri indici sintomatici del carattere penale dell'accusa; 2. la natura sostanziale dell'illecito commesso: la Corte Edu deve, infatti, valutare se si sia in presenza di una condotta posta in essere in violazione di una norma posta a tutela del funzionamento di una determinata formazione sociale ovvero a tutela erga omnes di beni giuridici facenti capo all'intera collettività, anche in considerazione delle normative di settore di tutti gli Stati contraenti; 3. la concreta misura di afflittività della sanzione applicabile all'interessato, considerato che rientrano nell'ambito penale le privazioni della libertà personale, e non vi rientrano le sanzioni che, per natura, durata o modalità di esecuzione non risultino idonee a cagionare un danno apprezzabile al soggetto sanzionato. L’obiettivo della riqualificazione tramite criteri sostanziali è quello di evitare una “truffa delle etichette” da parte dello Stato contraente, che, attraverso l’espediente della qualificazione come “non penali” di un illecito, una sanzione o un procedimento, li potrebbe sottare al complesso delle garanzie previste dalla CEDU per la materia penale. La distinzione tra reclusione ed arrestoLa distinzione tra reclusione ed arresto « è segnata da una diversità di regolamentazione che, seppure di modesto rilievo tecnico-giuridico, assume tuttavia un non trascurabile significato socio-criminologico. Già il codice indica una separazione dei detenuti condannati alla reclusione da quelli condannati all'arresto, quando afferma distintamente per l'una e per l'altra pena che esse sono scontate “in uno degli stabilimenti a ciò destinati” (artt. 23, comma 1, e 25, comma 1). Ciò è stato confermato anche nella l. 26 luglio 1975, n. 354, di riforma dell'ordinamento penitenziario [cfr., in particolare, artt. 14 e 61 l. n. 354/1975, cit.], che anzi pare avere rafforzato tale orientamento » (Romano, Commentario, 208 s.). Questa autorevole dottrina ha anche posto in rilievo che « le modalità contenutistiche esecutive della reclusione e dell'arresto risultano nel vigente ordinamento penitenziario totalmente indifferenziate », poiché l'ordinamento penitenziario fa costantemente riferimento, in tema di trattamento penitenziario, « per quanto concerne l'individualizzazione e gli elementi del trattamento stesso (istruzione, lavoro, religione, attività culturali) ai detenuti, condannati o internati, senza distinzioni relative alla specie di pena »; proprio per tale ragione, « desta meraviglia la soluzione differenziata per l'arresto e la reclusione, data dall'art. 50, comma 1, l. n. 354/1975 per l'ammissione facoltativa alla semilibertà (l'arresto espiabile sempre in semilibertà, la reclusione solo se non superiore a sei mesi) ». I rapporti tra le pene detentive e le pene pecuniarieLa pena detentiva va considerata, in ogni caso, sempre più grave di quella pecuniaria, indipendentemente dall'entità dell'una o dell'altra, e anche nei casi in cui il raffronto venga effettuato con riguardo all'istituto della convertibilità della pena pecuniaria (art. 135 ); in tal caso, infatti, la maggiore gravità della pena detentiva irrogata è desumibile dalla certezza dell'esecuzione della stessa, rispetto alla mera eventualità che in essa, sia pure per una più lunga durata, possano essere convertite le pene pecuniarie (multa od ammenda) inflitte al condannato in caso di insolvenza (Cass. III, n. 11235/1978). Le pene previste per i reati di competenza del giudice di paceCon riferimento alle pene previste per i reati di competenza del giudice di pace, si rinvia sub art. 17. Profili processualiPena illegale Cfr. giurisprudenza sub art. 17. Inappellabilità L'art. 593, comma 3, c.p.p. al fine di limitare ulteriormente, rispetto alla precedente normativa, la possibilità di proporre appello contro le sentenze di condanna, definisce inappellabili, tra queste ultime, quelle relative a contravvenzioni per le quali sia stata applicata la sola pena dell'ammenda, con ciò intendendo riferirsi alle contravvenzioni astrattamente punibili con la sola pena pecuniaria o con pena alternativa; devono, viceversa, considerarsi escluse dalla suddetta limitazione, e quindi ritenersi appellabili, le sentenze di condanna relative a contravvenzioni astrattamente punibili con pena congiunta, e ciò anche se sia stata in concreto inflitta la sola pena dell'ammenda, per errore (Cass. VI, n. 1644/2003: fattispecie in cui si è ritenuto che la Corte d'appello erroneamente avesse trattato nel merito, invece di qualificarlo come ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., e trasmetterlo alla Corte di cassazione, l'appello proposto dall'imputato contro una sentenza di condanna relativa ad una contravvenzione, nel cui dispositivo la pena inflitta era stata erroneamente indicata come multa anziché come ammenda; Cass. III, n. 40531/2014: fattispecie in cui è stata annullata l'ordinanza con la quale la Corte d'appello aveva qualificato come ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 568, comma 5, c.p.p., l'appello proposto dall'imputato contro la sentenza di condanna relativa ad una contravvenzione punita con pena congiunta, nel cui dispositivo era stata irrogata la sola pena dell'ammenda) o per applicazione della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva (Cass. IV, n. 45751/2012, per la quale la sentenza di condanna a sanzione pecuniaria sostitutiva di pena detentiva è appellabile, anche perché sussiste la possibilità di revoca del beneficio ai sensi dell' art. 72 l. n. 689/1981). Divieto di reformatio in pejus Ai fini del rispetto del divieto di reformatio in pejus — art. 597 c.p.p. — assume rilievo il già menzionato ((v. supra) principio secondo il quale la pena detentiva è sempre considerata più grave rispetto a quella pecuniaria, a prescindere dall'entità dell'una o dell'altra, ed anche nel caso in cui il raffronto venga effettuato con riguardo all'istituto della conversione della pena detentiva in quella pecuniaria (Cass. III, n. 11235/1978). Annullamento parziale Nel caso in cui un reato sia punito con pene detentiva e pecuniaria congiunte, l'annullamento della sentenza di condanna per vizi riguardanti l'applicazione di una sola di esse non fa passare in giudicato il capo della sentenza riguardante l'altra pena legittimamente applicata, poiché le pene da applicarsi congiuntamente sono strettamente connesse e si integrano a vicenda (Cass. IV, n. 15602/1978: fattispecie in tema di dichiarazione del reato per intervenuta prescrizione). BibliografiaBeltrani, Diritto all'assistenza legale gratuita ed applicazione dei criteri di Engel (nella giurisprudenza della Corte Edu), in ilpenalista.it; Bozzi, Manipolazione del mercato: la Corte Edu condanna l'Italia per violazione dei principi dell'equo processo e del ne bis in idem, in Cass. pen. 2014, 3099 ss. |