Codice Penale art. 23 - Reclusione (1).

Alessandro Trinci

Reclusione (1).

[I]. La pena della reclusione [1, 2 coord.] si estende da quindici giorni a ventiquattro anni [64, 66, 78], ed è scontata in uno degli stabilimenti (2) a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno.

[II]. Il condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della pena, può essere ammesso al lavoro all'aperto.

(1) In origine l'articolo constava di un terzo comma decaduto in seguito all'espressa abrogazione dei due ultimi commi dell'art. 22 che recitava: «Sono applicabili alla pena della reclusione le disposizioni degli ultimi due capoversi dell'articolo precedente».

(2) V. sub art. 22.

Inquadramento

La pena della reclusione priva in modo temporaneo della libertà personale chi sia stato condannato per aver commesso un delitto.

Il legislatore ha disposto che non possa avere durata inferiore a quindici giorni e superiore a ventiquattro anni, salve le eccezioni espressamente disposte dalla legge.

La pena deve essere scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati e prevede l'obbligo del lavoro. Scontato un anno di reclusione, il condannato può essere ammesso al lavoro all'aperto.

La reclusione si distingue dall'ergastolo, anch'esso comminato per la commissione di delitti, quanto alla durata, avendo l'ergastolo natura di pena (tendenzialmente) perpetua (v. art. 22); si distingue inoltre dall'arresto, che è la pena detentiva prevista per la condanna per chi abbia commesso una contravvenzione.

Infine, la pena della reclusione deve essere tenuta distinta dalla custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p.); sebbene nella sostanza comportino analoghe restrizioni della libertà personale, infatti, la misura cautelare viene applicata prima della sentenza di condanna o comunque prima del suo passaggio in giudicato e presuppone la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico del soggetto (art. 273 c.p.p.), mentre la reclusione presuppone una pronuncia di condanna passata in giudicato. Ancora, il soggetto in esecuzione pena è sottoposto al trattamento penitenziario (artt. 1, 13 e 15, l. 26 luglio 1975, n. 354), al contrario del soggetto sottoposto a misura cautelare.

Modalità esecutive

Luogo di esecuzione

Luogo adibito all'esecuzione della pena della reclusione è la casa di reclusione (art. 61 l. 354/1975), ma il condannato può essere ristretto anche in una casa circondariale (istituto destinato alle persone in attesa di giudizio), nel caso in cui la condanna alla reclusione sia inferiore ai cinque anni o residui da scontare una pena inferiore a detto limite. È in tal caso assicurata la separazione dei condannati dagli imputati — nonché dagli internati — ed è altresì assicurata la separazione dei giovani che abbiano venticinque anni dagli adulti (art. 14 l. n. 354/1975).

Isolamento

Al pari dell'art. 22 (che disciplina la pena dell'ergastolo) e dell'art. 25 (in tema di arresto), anche l'art. 23 dispone che la pena sia eseguita con isolamento notturno del condannato. Come già enunciato nel corso della trattazione sub art. 22, detta previsione deve ritenersi abolita ad opera dell'art. 6 l. n. 354/1975, a norma del quale i locali destinati al pernottamento dei condannati consistono in camere a più posti.

Contrariamente a quanto previsto in tema di ergastolo, la pena della reclusione non prevede l'isolamento diurno del condannato.

Il condannato alla pena della reclusione può essere tuttavia sottoposto ad isolamento quando ciò sia previsto per ragioni sanitarie ovvero durante l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune (art. 33, commi 1 e 2, l. n. 354/1975).

Lavoro

Il legislatore ha stabilito che la pena della reclusione sia eseguita con l'obbligo del lavoro, analogamente a quanto disposto dagli artt. 22 e 25 in tema, rispettivamente, di ergastolo ed arresto.

A seguito della riforma dell'ordinamento penitenziario introdotta con la l. n. 354/1975 (art. 20 – recentemente sostituito dall'art. 2, comma 1, lett. a), d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 123, v. anche art. 20-ter “lavoro di pubblica autorità”),  il lavoro ha perso la sua valenza afflittiva del condannato ed è al contrario utilizzato quale strumento del trattamento penitenziario, grazia alla sua valenza rieducativa.

A norma del secondo comma dell'art. 23, il condannato alla reclusione che abbia scontato almeno un anno di pena può essere ammesso al lavoro all'aperto, vale a dire che il condannato può essere ammesso a svolgere attività lavorativa “all'aria aperta”, purché si mantenga in uno spazio interno alla recinzione dell'istituto. Diversa è l'ipotesi del lavoro all'esterno, disciplinato dall'art. 21 l.  n. 354/1975, che presuppone l'uscita dall'istituto penitenziario.

Limiti edittali

Il legislatore ha previsto dei limiti edittali minimi e massimi della reclusione disponendo che essa non possa essere inferiore a quindici giorni né superiore a ventiquattro anni.

Da un lato, detti limiti hanno la finalità di integrare le norme incriminatrici che prevedono comminatorie indeterminate di pena, in modo da garantire una disciplina generale comune a tutte le fattispecie; dall'altro lato, costituiscono un limite invalicabile per il giudicante, che nella commisurazione della pena non può operare in deroga a detto limite generale nella scelta della pena finale o nelle operazioni di calcolo intermedio.

I limiti in parola non possono essere superati nemmeno nel calcolo intermedio della pena (Cass. III, n. 29985/2014).

Con specifico riferimento al patteggiamento, però, la Suprema Corte ritiene privi di rilievo, ove non comportino l'irrogazione di una pena da considerarsi illegale, per genere, specie o misura, gli errori relativi ai singoli passaggi interni per la determinazione della pena concordata (ex multis Cass. V, n. 18304/2019). Sempre con riferimento ad una sentenza di patteggiamento, le Sezioni Unite hanno chiarito che la pena determinata a seguito dell'erronea applicazione del giudizio di comparazione ex art. 69 c.p. tra circostanze eterogenee concorrenti è illegale soltanto nel caso in cui essa ecceda i limiti edittali generali previsti dagli artt. 23 ss., nonché 65 e ss. c.p., oppure i limiti edittali previsti per le singole fattispecie di reato, a nulla rilevando il fatto che i passaggi intermedi che portano alla sua determinazione siano computati in violazione di legge (Cass. S.U., n. 877/2023, relativa ad un caso in cui il giudice, chiamato a bilanciare una serie di circostanze eterogenee concorrenti, aveva determinato la pena base all’interno della cornice edittale prevista dall’art. 625 c.p, senza bilanciare le circostanze aggravanti speciali del furto con le riconosciute circostanze attenuanti generiche, che erano state ritenute equivalenti alla sola recidiva contestata).

Secondo quanto disposto dall'art. 132, comma 2, nell'aumentare o diminuire la pena il giudice non può oltrepassare i limiti stabiliti per ciascuna specie di pena, salvi i casi espressamente determinati dalla legge.

Deroghe

Costituiscono deroga espressa al limite in parola la disciplina degli aumenti di pena in presenza di circostanze aggravanti o la disciplina del concorso di reati, che consentono il superamento dei limiti indicati. In tali casi la pena della reclusione non può comunque essere superiore ad anni trenta. Ancora, il giudice può comminare una che superi il limite edittale massimo in presenza di reati di particolare gravità come il sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630) ovvero a scopo di terrorismo o eversione (art. 289-bis), che nella forma semplice sono puniti con la pena della reclusione da venticinque a trenta anni e con la reclusione da ventiquattro a trenta anni ove il sequestratore cagioni la morte del sequestrato e ricorra una circostanza attenuante. È prevista infine la pena della reclusione nella misura fissa di anni trenta per il sequestro di persona a scopo di estorsione e il sequestro di persona a scopo di terrorismo e di eversione quando, quale conseguenza non voluta dal reo, derivi la morte del sequestrato ovvero in ipotesi di attentato all'incolumità di una persona commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, quando dal fatto derivi la morte della vittima (art. 280).

Il legislatore non ha previsto deroghe al limite edittale inferiore.

La giurisprudenza ha precisato che le limitazioni sin qui descritte sono relative al reato come tale e non all'aumento di pena per la continuazione ai sensi dell'art. 81 (Cass. III, n. 23961/2014).

Sanzioni sostitutive

A norma dell'art. 53 l. 24 novembre 1981, n. 689, come modificata dal d.lgs. N. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia), il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, se ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva (reclusione o arresto) entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente.

Con l. 12 giugno 2003, n. 134 è stato abrogato l'art. 60 l. n. 689/1981, che conteneva un elenco di reati ostativi alla sostituzione della pena, più volte dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale (Corte cost., 291/1998).

Vicende estintive

Le cause di estinzione del reato che operano in relazione ai reati puniti con la pena della reclusione sono la morte del reo prima della condanna (art. 150), l'amnistia (art. 151), la remissione della querela (art. 152), la prescrizione (art. 157), la sospensione condizionale della pena (art. 163); la sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 168-bis ); il perdono giudiziale (per i minori degli anni diciotto, a norma dell'art. 169); l'estinzione di un reato che sia presupposto, elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato (art. 170).

Tra le cause di estinzione della pena operano la morte del reo dopo la condanna (art. 171); il decorso del tempo (art. 172); l'indulto e la grazia (art. 174).

Questioni di legittimità costituzionale

Si è posta la questione circa la legittimità costituzionale dei limiti di pena fissati dal legislatore in tema di reclusione ed arresto in relazione all'art. 27, comma 3, Cost.

La Suprema Corte ha ritenuto la questione manifestamente infondata e ritenuta la previsione dei limiti in parola dovuta in ossequio al principio di proporzionalità della pena in rapporto alla gravità del reato (Cass. I, n. 2628/1972), mentre la Corte costituzionale ha evidenziato, in primo luogo, che la previsione dei limiti edittali di cui trattasi non appare irrazionale, ma risponde all'esigenza avvertita dal legislatore di evitare la c.d. pena indeterminata ed individuare l'ambito al cui interno il giudice deve contenere l'uso dei poteri che gli sono conferiti e, in seconda battuta, che il principio della funzione rieducativa della pena di cui all'art. 27, comma 3, Cost., rischierebbe di essere frustrato in ipotesi di pene eccessivamente brevi.

La Consulta si è pronunciata altresì sulla questione sollevata in ordine alla divergenza tra il limite edittale minimo della reclusione comune, pari a quindici giorni, ed il minimo della reclusione militare di cui all'art. 26, comma 1, c.p.mil.p., pari ad un mese, precisando che detta differenza non può essere considerata di per sé illegittima, risultando espressione del potere discrezionale del legislatore (Corte cost., 220/1987).

Diritto penitenziario

Alle condizioni previste dalla legge, la pena della reclusione può essere eseguita, in tutto o in parte, mediante una delle misure alternative previste dalla l. 354/1975, vale a dire affidamento in prova al servizio sociale (art. 47), detenzione domiciliare (art. 47-ter), misure alternative alla detenzione nei confronti dei soggetti affetti da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria (art. 47-quater), detenzione domiciliare speciale (art. 47-quinquies), semilibertà (art. 50).

Particolari limitazioni sono previste per i condannati per i reati, considerati di particolare gravità, indicati nell'art. 4-bis l. n. 354/1975.

Profili processuali

Si è detto supra che la pena della reclusione non può essere inferiore a quindici giorni né superiore a ventiquattro anni, salvi i casi di deroga espressamente disciplinati; il limite di durata di quindici giorni non può essere derogato nemmeno in ipotesi di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma degli artt. 444 e ss. c.p.p. (Cass. III, n. 29985/2014) o di giudizio abbreviato (Cass. VII, n. 37674/2016).

Ancora, ove si proceda in sede di esecuzione alla determinazione del trattamento sanzionatorio conseguente al riconoscimento del vincolo della continuazione tra più reati che hanno formato oggetto di giudizio abbreviato, la riduzione di pena conseguente alla scelta del rito opera necessariamente prima del criterio moderatore del cumulo materiale di cui all'art. 78 e la pena della reclusione non può essere superiore ad anni trenta (Cass. V, n. 43044/2015).

Bibliografia

Fassone, Reclusione, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 142; Frosali, Reclusione, in Nss. d. I., XIV, Torino, 1967, 1070.

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