Codice Penale art. 52 - Difesa legittima.Difesa legittima. [I]. Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa [55; 2044 c.c.]. [II]. Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste sempre1 il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o la altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione 2. [III]. Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano 3 anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale4. [IV]. Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone5.
[1] La parola «sempre» è stata inserita dall'art. 1, comma 1, lett. a), l. 26 aprile 2019, n. 36, in vigore dal 18 maggio 2019. [2] Comma aggiunto dall'art. 1, l. 13 febbraio 2006, n. 59. [3] Le parole «Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano» sono state sostituite alle parole «La disposizione di cui al secondo comma si applica» dall'art. 1, comma 1, lett. b), l. 26 aprile 2019, n. 36, in vigore dal 18 maggio 2019. [4] Comma aggiunto dall'art. 1, l. 13 febbraio 2006, n. 59. [5] Comma aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. c), l. 26 aprile 2019, n. 36, in vigore dal 18 maggio 2019. InquadramentoLa ratio della norma in commento è, tradizionalmente, ricondotta nel diritto di autotutela che lo Stato, monopolista della repressione dei crimini, concede al cittadino ingiustamente aggredito, nei casi in cui non è in grado di intervenire a sua tutela: Fiandaca-Musco, PG, 295; Padovani, § 1; Grosso, 46; Cass. I, n. 16677/2007. L'art. 52 c.p. è strutturato su tre commi: il primo comma stabilisce quali siano i requisiti perché possa essere applicata la scriminante; il secondo ed il terzo comma, introdotti con l'art. 1 l. n. 59/2006, prevedono la c.d. legittima difesa in un privato domicilio, ossia un'ipotesi speciale in cui il requisito della proporzione è presunto ove si verifichino determinate condizioni. In conclusione, si deve precisare che la legittima difesa di cui al presente commento, è quella “attiva”, cioè quella che l'aggredito pone in essere nei confronti di atti che gli vengono rivolti contro dall'aggressore. Vi è, però, anche una legittima difesa “preventiva” che consiste nella predisposizione di mezzi atti a prevenire possibili aggressioni ai propri beni: si tratta dei c.d. offendicula la cui problematica è stata trattata nel commento all'art. 51, al quale, quindi, si rinvia. Legittima difesa ordinariaI requisiti che il primo comma dell'art. 52 prevede per la configurabilità della legittima difesa sono i seguenti: a) il pericolo attuale; b) l'ingiustizia dell'offesa; c) l'aggressione ad un diritto proprio o altrui; d) la reazione all'offesa (rectius: aggressione). In via generale e preliminare, è opportuno rammentare i seguenti principi di diritto in quanto principi comuni e costanti a tutta la problematica: - l’onere di allegazione sulla sussistenza dei suddetti requisiti, spetta all’imputato: amplius § 8.1. - l'accertamento relativo agli elementi costitutivi della scriminante della legittima difesa reale o putativa e dell'eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio "ex ante" - e non "ex post": amplius, infra, § 8.2. - la determinazione volontaria dello stato di pericolo esclude la configurabilità della legittima difesa: amplius, infra, §§ 6.1.- 6.2. Segue. Il pericolo attualeIl pericolo, sotto il profilo fenomenico, indica l'elevata probabilità che un determinato evento sta per verificarsi: l'evento che, giuridicamente, prende in considerazione la norma in commento, è l'aggressione ad un “diritto proprio o altrui”; pertanto, ai fini dell'art. 52 c.p., il pericolo può definirsi come l'elevata probabilità di un'aggressione e, quindi, della lesione di un diritto proprio o altrui (Pagliaro, 273). La norma, però, ha aggettivato il suddetto lemma, sicché non basta la semplice percezione di un pericolo, ma occorre che il medesimo sia “attuale”. Il suddetto attributo, segna i confini entro cui può ritenersi sussistente il primo dei requisiti richiesti per la configurabilità della legittima difesa. Alla stregua del suddetto criterio, la giurisprudenza ha escluso la configurabilità della legittima difesa, nei casi in cui il soggetto agisca per risentimento o ritorsione contro chi ritenga essere portatore di una qualsiasi offesa (Cass. V, n. 28336/2019; Cass. I, n. 52617/2017), ovvero per un particolare stato d'animo o per timori personali (Cass. V, n. 26365/2019; Cass. I, n. n. 13370/2013). Va, tuttavia, osservato che, con la novella del 2019, il legislatore ha ampliato la sfera di non punibilità nei confronti di chi abbia agito «in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto» (vedi commento sub art. 55, comma 2, § 4) . Il sintagma “pericolo attuale” non va identificato né con il tentativo né con la consumazione del reato perché «è già pericolo attuale il “subito prima”; dopo il corso dell'offesa (il “durante”), lo è ancora il “subito dopo” l'offesa, se questa può essere ancora neutralizzata nei suoi effetti, o comunque contenuta» (Romano, 555). Sul punto, va, infatti, osservato che l'art. 49 comma 1 n. 2 Codice Zanardelli prevedeva la non punibilità per colui che avesse commesso il fatto «per esservi stato costretto dalla necessità di respingere da sé o da altri una violenza attuale e ingiusta»: violenza, non pericolo. Da qui, la condividibile osservazione secondo la quale il momento utile per l'esercizio della legittima difesa è stato anticipato perché «l'attualità del pericolo non è peraltro subordinata alla circostanza che l'offesa sia già iniziata: a differenza del codice Zanardelli (art. 49, comma 1 n. 2), che postulava la sussistenza di una «violenza attuale», e cioè di una condotta intrinsecamente pregiudizievole già in atto, l'art. 52 c.p. concepisce l'offesa come oggetto del pericolo, e non come danno in via di realizzazione»: Padovani, § 3. Va, però, osservato che è configurabile la legittima difesa in tutti i casi in cui la situazione di pericolo si protrae nel tempo, per non essersi esaurita in un solo atto l'offesa portata dall'aggressore, come ad es. nel caso in cui la vittima reagisca al fine di evitare il consolidamento dell'azione delittuosa compiuta a suo danno, rincorrendo il ladro per recuperare, anche con la forza, la refurtiva (Fiandaca-Musco, PG, 296; Antolisei, PG 1975, 236; Padovani, § 3). Può, quindi, affermarsi che il pericolo è attuale in tre momenti: a) immediatamente prima che si verifichi l'offesa e cioè quando è imminente, ossia quando il soggetto antagonista assume un preciso contegno, prodromico di una determinata offesa ingiusta (in terminis: Cass. V, n 25810/2019; Cass. V. n. 12727/2020): sotto tale profilo, relativamente ai reati abituali (ad es. maltrattamenti in famiglia negli stessi termini, Cass. I, n. 48291/2018). si è sostenuto che «il pericolo è attuale ogni qual volta si presentino le condizioni che solitamente determinano la condotta di reiterazione: l'energumeno che rientrando la sera ubriaco maltratta i familiari, realizza il pericolo attuale di un'offesa ingiusta per il solo fatto di varcare l'uscio di casa in pieno stato di ebbrezza»: Padovani op. loc. cit.: tuttavia, la giurisprudenza, pur condividendo in linea di principio il suddetto principio, è più prudente perché «la rappresentazione, meramente congetturale e astratta, della generica possibilità (nel futuro) della perpetrazione di atti di violenza da parte della vittima (in atteggiamento assolutamente non offensivo — e neppure minaccioso — al momento del fatto, come espressamente riconosciuto dallo stesso ricorrente) non integra la ipotesi, contemplata dall'art. 52 c.p., del pericolo effettivo, concreto, attuale e specifico di veruna offesa, né da adito alcuno alla supposizione erronea del ridetto pericolo, sì da comportare la necessità della difesa»: Cass. I, n. 6591/2010 che ha escluso, con la suddetta motivazione, la configurabilità della legittima difesa in una classica ipotesi di maltrattamenti in famiglia; b) quando la situazione pericolosa è ancora in atto al momento della reazione: sotto tale profilo, relativamente ai reati permanenti, si ritiene che la situazione pericolosa che legittima la reazione della vittima si protrae fino a quando l'azione lesiva del bene che si vuole difendere non si esaurisca perché «in ciascun momento di essa si rinnova il pericolo di protrazione dell'offesa stessa» (Padovani, § 3); Cass. I, n. 1322/1968relativamente ai reati permanenti; c) quando la situazione pericolosa si protrae fino a quando l'azione lesiva del bene che si vuole difendere non si esaurisca. La giurisprudenza concorda con la dottrina, in quanto ritiene che «nella formula “pericolo attuale” rientrano non soltanto le situazioni statiche di minaccia di offesa ingiusta, bensì anche le ipotesi nelle quali la situazione di pericolo si protrae nel tempo, per non essersi esaurita in un solo atto l’offesa portata dall’aggressore; ma in questi ultimi casi non si può prescindere dal postulare che la condotta dell’aggressore manifesti apertamente la sua decisione all’offesa — e non sia, quindi, soltanto subdola o equivoca — e si protragga quindi con continuità di comportamenti minacciosi, non interrotta da intervalli innocui»: Cass. I, n. 5429/1992 Di conseguenza, restano al di fuori del perimetro entro il quale può essere riconosciuta la legittima difesa: a) il pericolo passato; b) il pericolo solo minacciato; c) il pericolo futuro. Pericolo passato Con tale sintagma s'intende il «pericolo che non abbia più la possibilità di concretarsi nella lesione del diritto; il che avviene, per esempio, nel caso dell'aggressore che abbia già sparato entrambi i colpi del fucile»: Antolisei, PG 1975, 236. Si è, infatti, unanimemente osservato che, in simili casi, non si tratterebbe di legittima difesa, bensì di vendetta o rappresaglia, potendosi, al più, ipotizzare l'attenuante di cui all'art. 62 n. 2: Pagliaro, 273; Padovani § 3. Casistica. Sul punto si registrano le seguenti decisioni in cui, sulla base del suddetto principio, è stata negata la legittima difesa: - Cass. IV, n. 32282/2006: fattispecie di un ladro ucciso con un colpo di pistola mentre si stava dando alla fuga; - Cass. I, n. 366/1978, fattispecie in cui l'aggressore si era allontanato voltando le spalle all'aggredito; Cass. V, n. 86/1981; - Cass. I, n. 9287/1983, fattispecie in cui l'aggressore, dopo il primo scontro, s'era ritirato in casa, chiudendo la porta e dimostrando così di voler porre fine alla contesa; - Cass. V, n. 19069/2008 in una fattispecie in cui l'imputato, si recava armato di coltello nel garage condominiale dell'edificio dove abitava, dal quale tre individui stavano tentando di asportare il suo autoveicolo. Nonostante, al suo sopraggiungere, i ladri si fossero dati alla fuga, l'imputato, raggiunto l'ultimo che stava scavalcando un cancello per uscire dal condominio, lo colpiva ripetutamente alla regione dorsale e ad un avambraccio, cagionandone la morte; - Cass. I, n. 6118/2014, fattispecie in cui l'imputato, dopo aver disarmato la vittima che lo aveva minacciato con una pistola, era riuscito a frapporre tra sé e l'avversario l'ostacolo di una autovettura in sosta ed in quella situazione aveva esploso al suo indirizzo due colpi di pistola il secondo dei quali con esito mortale. Pericolo solo minacciato In tale ipotesi, si è al di fuori dell’attualità, in quanto la norma esclude la possibilità di reagire in modo «preventivo» o «anticipato». La giurisprudenza, infatti, è consolidata nel negare la legittima difesa a chi agisca nei confronti del presunto aggressore solo perché si senta da costui minacciato (Cass. I, n. 10368/1984; Cass. I, n. 3494/1991), ed in assenza di un concreto ed attuale atto aggressivo (Cass. I, 40939/2009; Cass. I, n. 3200/2000). Pericolo futuro Neppure tutelabile, infine, è la reazione ad un pericolo futuro perché «in tal caso l'aggredito ha la possibilità di invocare efficacemente la protezione dello Stato»: Antolisei, PG 1975, 236; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 275, argomentando dal fatto che non è consentita la difesa preventiva, portano ad es. il caso «di chi si rechi nella casa di chi ha manifestato l'intenzione di ucciderlo e ne provochi la morte, per prevenire l'attuazione di quel proposito». Contraria è una parte della dottrina secondo la quale, invece, non si può escludere la configurabilità della scriminante in esame «là dove l'offesa risulti in concreto anche cronologicamente prossima e manchi alla vittima una reale alternativa difensiva»: Romano, Commentario, 556. La problematica – sovrapponibile per molti versi a quella esaminata nel paragrafo precedente (a fortiori applicabile al pericolo futuro) - si pone in ordine al reato di detenzione abusiva di armi relativamente al quale, la giurisprudenza, normalmente, nega la configurabilità della legittima difesa in tutti quei casi in cui l’imputato invochi la scriminante adducendo a sua giustificazione la mera circostanza di essere rimasto vittima nel passato di delitti (ad es: furti; lesioni) da cui intende difendersi (Cass. II, 17329/2008; Cass. I, n. 46396/2013). Tuttavia, la suddetta regola non è assoluta in quanto Cass. V, n. 5761/2010, in una fattispecie in cui l’imputato - a seguito di un attentato in cui due persone avevano perso la vita e lui stesso era rimasto ferito - si era procurato un’arma al solo fine di proteggere la propria incolumità personale per l’ipotesi, tutt’altro che remota, di un nuovo attentato in suo danno, ha rilevato che, sostenere che l’imputato, «per avvalersi dell’esimente, avrebbe dovuto conseguire l’autorizzazione prevista dalla legge per la detenzione della pistola, cosa per lui impossibile, varrebbe a sostenere che hanno diritto a cautelare la propria incolumità personale con un’arma solo gli incensurati e le persone dabbene, mentre tale possibilità verrebbe preclusa a chi si trovasse in condizioni di marginalità sociale, anche quando si trattasse di mera detenzione, come nel caso di specie, nonostante nell’ambiente al margine della legalità in cui il ricorrente viveva l’omicidio con armi da fuoco costituisse regola sociale di costante applicazione. Nel caso di specie andava dunque verificato innanzitutto se effettivamente fosse sussistente ed attuale il pericolo grave ed imminente di danno grave alla persona, e di poi se, attese le circostanze ed il contesto, la detenzione dell’arma potesse ritenersi in qualche modo giustificata». Segue. L'ingiustizia dell'offesaDall'art. 52 c.p. si desume che oggetto dell'offesa è la lesione che si arreca ad un diritto altrui: quindi, l'offesa può essere definita come una condotta che si caratterizza per essere una vera e propria aggressione agli altrui diritti. Sul punto è stato condivisibilmente osservato che «per quanto il concetto di “offesa” includa di per sé tanto la lesione quanto la messa in pericolo di un bene, nell'art. 52 esso si identifica necessariamente con la sola lesione: poiché la situazione aggressiva è data per l'appunto dal «pericolo attuale di un'offesa ingiusta», se quest'ultima potesse a sua volta consistere di un pericolo, risulterebbe legittima la reazione contro il pericolo di un pericolo, in evidente contrasto con la ratio della scriminante, dato che al pericolo di un pericolo può senz'altro provvedere l'autorità»: Padovani § 6. La condotta offensiva deve provenire da un essere umano anche se, poi, in concreto, è attuata da una cosa o dagli animali. Nel caso della res (ad es. pericolo derivante da un congegno meccanico “impazzito”: Padovani § 6) la reazione va esercitata contro di essa, in supplenza dell'intervento del proprietario su cui grava l'obbligo di custodia o direttamente contro costui. Quindi, «nel caso degli animali, la reazione esercitata su di essi per fugarne il pericolo è sempre atipica, quando si tratta di res nullius (essendo chiara l'impossibilità di ricondurre il fatto all'art. 727); ma è del pari atipica anche nel caso che l'animale sia altrui, perché l'art. 638 subordina la rilevanza della sua uccisione o del suo danneggiamento ad un requisito negativo di illiceità speciale, e cioè alla circostanza che il fatto sia commesso «senza necessità». È allora evidente che la presenza di un'aggressione da parte dell'animale implica la necessità di reagirvi, sia pure tenendo conto del valore di esso in quanto bene patrimoniale, in rapporto all'interesse minacciato. Non è escluso però che la difesa venga esercitata contro il possessore, per costringerlo a riprendere il controllo dell'animale; in tal caso, si tratta senza dubbio di una reazione contro una condotta omissiva (la violazione dell'obbligo di custodia), inquadrabile nell'ambito dell'art. 52»: Padovani, § 6; Fiandaca-Musco, PG, 295; Pagliaro, 273. In dottrina, è discusso se sia ammissibile la legittima difesa nei confronti di un atto illegittimo derivante da una persona giuridica. Sul punto, si è, però, osservato che la soluzione negativa s'impone perché «altrimenti si rischierebbe di legittimare assurdamente atti di reazione che, indirizzati formalmente contro la persona giuridica presunta “autrice” dell'illecito, in fatto colpiscono persone fisiche diverse da quella che hanno materialmente compito l'aggressione in nome dell'ente collettivo» (Grosso, 44; contra, Romano, Commentario, 556, ma senza particolare motivazione). L'offesa, che giustifica la reazione dell'aggredito, può derivare sia da una condotta attiva che da un'omissione, come ad. es. «il rifiuto di un automobilista di trasportare un ferito grave rende legittima la violenza o la minaccia diretta a costringere l'automobilista stesso ad adempiere il suo obbligo di soccorso»: Fiandaca-Musco, PG, 295. È discusso se l'offesa che autorizza la legittima difesa possa derivare da reati colposi. Contraria, sul punto, si è mostrata Cass. V, n. 1669/1970 secondo la quale «l'esimente della legittima difesa non e invocabile e applicabile nei reati colposi» in quanto la colpa sarebbe incompatibile con la condotta volontaria dell'aggressore che sa di ledere un diritto altrui. Favorevole è, invece, condivisibilmente, la dottrina: Padovani § 11, osserva che l'elemento psicologico dell'aggressore è irrilevante per l'aggredito il quale ha diritto di tutelarsi sia nei casi di aggressione volontaria che involontaria; Fiandaca-Musco, PG, 596 stigmatizza il paradosso di un ordinamento che, da una parte, consente all'aggredito di reagire e ledere volontariamente l'aggressore, ma, dall'altra, lo punirebbe per le conseguenze involontarie di un'azione difensiva che prescinde di prendere di mira l'aggressore sebbene la condotta sia sorretta da un semplice atteggiamento colposo. L'offesa che legittima la reazione difensiva dell'aggredito, dev'essere però ingiusta. È discusso cosa si debba intendere con tale attributo. La tesi più risalente, riteneva che l'offesa fosse ingiusta quando era contra jus ossia «in contrasto con i precetti dell'ordinamento giuridico»: Antolisei, PG 1975, 234. In giurisprudenza, Cass. I, n. 1679/1965 ha ritenuto che «Il diritto subiettivo, la cui difesa può costituire (in concorso con gli altri elementi previsti dall'art 52 ) causa di giustificazione, è soltanto quello posto e tutelato dall'ordinamento giuridico positivo; e l'offesa ingiusta è soltanto quella che viola una norma giuridica». Al contrario, la dottrina più recente, sostiene che la suddetta tesi è troppo limitativa, sicché ingiusta deve ritenersi l'offesa arrecata sine jure ossia in tutti i casi in cui difetti un titolo legittimante che abiliti l'aggressore a recare offesa (Padovani § 7; Fiandaca-Musco, PG, 298; Grosso, 36; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 276; Mantovani, PG 1979, 236; contra: Pagliaro, 274, secondo il quale è ingiusta «l'offesa contraria alle valutazioni sociali di giustizia che costituiscono il substrato sostanziale del nostro ordinamento giuridico»): quindi, non può essere invocata la scriminante in esame dal soggetto che sia “offeso” da una condotta che risulti assunta sulla base di un esercizio di un diritto o adempimento di un dovere ex art. 51 (alla stessa conclusione, perviene, peraltro, anche Antolisei, PG), salvo che si tratti i ordine criminoso (Padovani, § 7); che faccia uso legittimo di armi o adoperi altro mezzo di coazione fisica (art. 53). Più problematico è il concorso fra legittima difesa e stato di necessità: sul punto si rinvia al commento dell'art. 54. È ingiusta e, quindi, legittima la reazione dell'aggredito, un'offesa proveniente da persona non imputabile o immune (es. diplomatici): «in generale, nessuna causa di esclusione della colpevolezza, o dell'imputabilità, può escludere il carattere di “ingiustizia” dell'offesa, perché il fatto è solo privo dei requisiti necessari a giustificare l'inflizione di una pena, ma non corrisponde certo all'esercizio di una facoltà legittima; al punto da poter costituire per lo più una figura d'illecito rilevante sul piano extrapenale» (Padovani.; Antolisei, PG 1975, 234; Fiandaca-Musco, PG, 295). In proposito si è, infatti, chiarito che «ai fini dell'ingiustizia dell'offesa è irrilevante il carattere colpevole o punibile della condotta umana che ha creato il pericolo. La legittima difesa è, dunque, invocabile anche contro condotte realizzate senza dolo e senza colpa (è il caso, ad es., di chi, versando in errore scusabile, stia per impossessarsi di una cosa altrui che crede propria»: Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 276. Segue. La difesa del diritto proprio o altruiLa scriminante in esame deve avere ad oggetto «un diritto proprio o altrui». In modo concorde (in dottrina: Padovani, § 2; Grosso, 36; Fiandaca-Musco, PG, 296), si ritiene che il lemma “diritto” indichi tutte quelle situazioni giuridiche attive che l'ordinamento protegge (è controverso se comprenda anche gli interessi legittimi:Padovani § 2) e, quindi, diritti di natura personale (integrità personale; onore ecc.:Cass. IV, n. 793/1965) o patrimoniale (diritti reali; diritti personali di godimento; si ammette anche la tutela del diritto di credito e, in proposito, si fa l'esempio dell'oste che, a fronte del cliente che non intende pagare, lo trattenga per il tempo necessario alla sua identificazione: Padovani 1970, 709): non quindi, mere situazioni di fatto (Cass. II, n 2692/2000, ha escluso dalla sfera applicativa della norma «semplici situazioni di fatto dalle quali ogni cittadino può trarre o trae determinati vantaggi o utilità soggettive nell'estrinsecazione della sua attività economico-sociale: fattispecie nella quale la S.C. ha affermato che l'uso di un parcheggio in un'area di proprietà pubblica, derivante dall'occupazione del sito con la presenza di persona interessata, non assurge a diritto vero e proprio, neppure sotto il profilo della esistenza di una consuetudine normativa, sicché la privazione di quel vantaggio per effetto dell'altrui comportamento, di parcheggio di auto, non legittima alcuna reazione riconducibile all'esimente prevista dall'art. 52, a meno che il detto comportamento non fosse preordinato a ledere un vero e proprio diritto soggettivo della persona interessata all'occupazione) La norma indica che la scriminante si applica ove sia aggredito un bene proprio: quindi, va esclusa la legittima difesa a tutela di aggressione di beni collettivi la cui difesa spetta allo Stato (Romano, Commentario, 555; Padovani § 2, il quale, peraltro osserva che «questo non significa peraltro che, di fronte al pericolo di un'offesa concernente beni collettivi o diffusi si debba necessariamente rimanere inerti. Poiché tali interessi rappresentano, per lo più, forme esponenziali di interessi individuali, è ovvio che la difesa legittima sarà consentita per tutelare ciascuno di essi. Sarà quindi lecito reagire, ad esempio, contro chi stia per incendiare uno stabile od un bosco, posto che un simile comportamento espone a rischio un'intera serie di beni personali e patrimoniali»). La norma, infine, prevede la legittima difesa anche a tutela di un diritto altrui (c.d. soccorso difensivo): l'unica peculiarità che si è evidenziata è che il terzo non deve avere espresso il suo consenso all'offesa di diritti disponibili perché, altrimenti, non essendo più l'offesa “ingiusta”, la legittima difesa non sarebbe configurabile (Romano, Commentario, 560). Segue. La reazioneA fronte dell'aggressione di un bene (proprio o altrui), la legge offre all'aggredito la possibilità di reagire a tre condizioni: a) che vi sia stato costretto; b) che la difesa sia necessaria; b) che la reazione sia proporzionata all'offesa. In ordine ai suddetti requisiti, va osservato che quelli sub a) e b) in pratica, coincidono tant'è che di essi viene data la stessa nozione (cfr. infra). Tuttavia, ciascuno coglie un particolare aspetto della “reazione”: uno (la costrizione) un fenomeno oggettivo; l'altro (la necessità, a monte della quale vi è il motivo — la difesa di un diritto proprio o altrui — che spinge alla reazione) un fenomeno relativo. È, quindi, opportuno trattarli separatamente perché, a fini sistematici, ognuno dei due criteri presenta una diversa problematica nel senso che, a contrario, è possibile individuare i casi in cui non è configurabile la scriminante. Prima di passare all'analisi dei suddetti requisiti, è opportuno rammentare che, in ordine al criterio della reazione, la giurisprudenza ritiene che è regola di esperienza che colui che è reiteratamente aggredito reagisce come può, secondo la concitazione del momento, e non è tenuto a calibrare l'intensità della reazione, finalizzata ad indurre la cessazione della avversa condotta lesiva (adgreditus non habet staderam in manu), salva l'ipotesi di eventuale manifesta sproporzione della reazione: ex plurimis Cass. V, n. 31990/2019; Cass. V, n. 25608/2011. La costrizione Nozione. Si ha «quando il soggetto è nell'alternativa tra reagire o subire: non può sottrarsi al pericolo senza offendere l'aggressore. Il che può dipendere da ragioni di luogo (es. l'aggredito si trova in una stanza chiusa, in un vicolo cieco, sulla sponda di un fiume), di persona (es.: soggetto paralitico, infermo), o attinenti alla natura dell'aggressione (es. attacco repentino, fulmineo) che valutate caso per caso» Mantovani, PG 1979, 237. Ad avviso della dottrina maggioritaria la costrizione è da intendersi in senso oggettivo e non in senso psicologico-soggettivo, nel senso che dev'essere evidente a qualsiasi «osservatore esterno, indipendentemente da ogni eventuale rappresentazione della realtà materiale da parte dell'autore del fatto tipico» (Padovani, § 8 che, a sua volta richiama l'opinione del Grosso, 43; Romano, Commentario, 560). Da ciò consegue che la scriminante in esame non può essere invocata nei casi in cui l'agente: a) abbia causato l'aggressione; b) abbia accettato una sfida; c) abbia partecipato ad una rissa. a) aggressione causata da chi invoca la legittima difesa. Secondo la giurisprudenza, la scriminante in esame non è applicabile a favore di chi reagisca ad una situazione di pericolo alla cui determinazione egli stesso abbia concorso «ciò in quanto l'uso della parola «necessità» nella formulazione legislativa dei requisiti della legittima difesa di cui all'art. 52 ha una portata perentoria che esclude, dal suo rigoroso orizzonte applicativo, qualsiasi caso di volontaria determinazione di una situazione di pericolo e l'accettazione di una vera e propria «sfida» comporta, per sua natura, un inevitabile pericolo per la propria incolumità personale, fronteggiabile solo con la lesione dell'incolumità altrui»: Cass. I, n. 4874/2013 (in motivazione); Cass. I, n. 56330/2017; Cass. I, n. 37289/2018. Contraria, sul problema, si mostra la dottrina prevalente, sul presupposto che l'involontarietà del pericolo non risulta menzionata fra i requisiti della suddetta scriminante al contrario di quella dello stato di necessità, sicché anche il ladro che fugga con la refurtiva, inseguito dal derubato che gli esplode contro colpi di pistola — essendo violato il principio di proporzione — può reagire allo stesso modo invocando la legittima difesa (Padovani § 8 «dato che l'alternativa tra l'offendere e l'essere offeso non solo non è subita, ma esprime addirittura il «senso» voluto dalla colluttazione violenta»; Fiandaca-Musco, PG 297; Antolisei, PG 1975, 236, il quale, esclude dall'ambito di operatività della scriminante, la cd difesa reciproca, che si verifica nei casi in cui i contendenti si aggrediscono a vicenda). La giurisprudenza perviene alle stesse conclusioni in quanto «anche il provocatore può versare in stato di legittima difesa se il provocato ecceda nella reazione, sì da creare necessità di difesa»: Cass. V, n. 3376/1985. In particolare, nei cd. casi di aggressioni reciproche (o difese reciproche), la giurisprudenza ritiene: a) nell'ipotesi della determinazione volontaria dello stato di pericolo non vale distinguere tra determinazione del (mero) pericolo di uno scontro fisico e accettazione di una sfida sicura per escludere la necessità della difesa soltanto in presenza della seconda evenienza, ammettendone invece la ricorrenza nel primo caso. L'uso del termine “necessità”, nella formulazione legislativa dei requisiti della legittima difesa di cui all'art. 52, comma 1, ha infatti una portata perentoria che esclude, dal suo rigoroso orizzonte applicativo, qualsiasi caso di volontaria determinazione di una situazione di pericolo e non solo quello in cui l'agente abbia contribuito ad innescare una sorta di duello o sfida contro il suo nemico o attuato una spedizione punitiva nei suoi confronti: Cass. I, n. 12740/2012; Cass. I, n. 2911/2007; Cass. I, n. 18926/2013; Cass. VI, n. 15869/2022 ha tuttavia, riconosciuto la sussistenza della legittima difesa in relazione a reati di violenza e resistenza a pubblico ufficiale degli imputati, migranti clandestini, che avevano reagito con minacce alla decisione del comandante della nave intervenuta a riportarli in Libia, quale luogo non sicuro, in quanto «Il diritto al non-respingimento in un "luogo non sicuro" - enunciato dall'art. 33 della Convenzione di Ginevra - costituisce principio internazionale consuetudinario di carattere assoluto, cui deve riconoscersi valenza di "ius cogens" in quanto proiezione del divieto di tortura, e come tale invocabile - secondo l'interpretazione data dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo all'art. 3 della Convenzione EDU - non dai soli "rifugiati", ma da qualsiasi essere umano che possa essere respinto verso una nazione in cui sussista un ragionevole rischio di subire un pregiudizio alla propria vita, alla libertà, ovvero all'integrità psicofisica»; b) nella fattispecie dello scontro armato, la legittima difesa è stata esclusa in quanto ciascuno dei partecipanti risulta animato da volontà aggressiva nei confronti dell'altro e conseguentemente, versando in una situazione di pericolo che ha contribuito a determinare e che non ha il carattere dell'inevitabilità, non può invocare, a propria giustificazione, la necessità della difesa: Cass. I, n. 36218/2010; Cass. I, n. 2654/2011; Cass. V, n. 26044/2019; c) per quanto riguarda i reati di rissa , la giurisprudenza si mostra, invece, possibilista, avendo statuito che la scriminante « può eccezionalmente essere riconosciuta quando, sussistendo tutti gli altri requisiti voluti dalla legge, vi sia stata una reazione assolutamente imprevedibile e sproporzionata, ossia un'offesa che, per essere diversa e più grave di quella accettata, si presenti del tutto nuova, autonoma ed in tal senso ingiusta »: Cass. V, n. 36143/2019 (con nota di Consulich); Cass. V, n. 4402/2008; Cass. V, n. 7635/2006. Negli stessi termini, conclude, sostanzialmente, la dottrina, secondo la quale, ricorrendo al criterio cronologico, si può individuare quale sia stata l'offesa inizialmente ingiusta e, quindi, la successiva condotta scriminante: Grosso, 42; Mantovani, PG 1979, 237, secondo il quale « nel caso della cd. difesa reciproca, cioè di offese incrociate, potrà beneficiare della scriminante l'autore non della condotta iniziale, ma di quella successiva, anche se a sua volta ha agito a scopo offensivo. Lo scopo, infatti, è irrilevante, operando la scriminante obiettivamente.
La necessità Anche il suddetto requisito, si ha quando l'aggredito non ha la possibilità di sottrarsi al pericolo se non offendendo, a sua volta, l'aggressore e, quindi, quando si trova nell'alternativa fra il reagire ed il subire (Cass. I, n. 4194/1985): sul punto, infatti, si è chiarito che «la determinazione volontaria dello stato di pericolo esclude la configurabilità della legittima difesa non per la mancanza del requisito dell'ingiustizia dell'offesa, ma per difetto del requisito della necessità della difesa, sicché l'esimente non è applicabile a chi agisce nella ragionevole previsione di determinare una reazione aggressiva, accettando volontariamente la situazione di pericolo da lui determinata»: Cass. I, n. 2911/2008; Cass. I, n. 15851/2021. Tuttavia, è stato precisato che il metro con il quale dev'essere valutato il suddetto criterio è quello relativo e non assoluto «perché si deve tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto (mezzo difensivo a disposizione, forza fisica delle persone coinvolte, condizioni di tempo e di luogo, modalità dell'aggressione, ecc.); onde è comprensibile come una stessa reazione, mentre può risulta giustificata per un individuo debole ovvero in certe condizioni di tempo e di luogo, può invece non apparire più tale per una persona fisicamente robusta ovvero in presenza di diverse condizioni spazio temporali» (Fiandaca-Musco, PG, 299; Grosso, 28 ss.; Padovani§ 9). Sotto questo profilo è venuta in discussione la fattispecie del c.d. commodus discessus ossia delle ipotesi in cui l'aggredito, avendone la possibilità, invece che fuggire, si difenda. In passato, si riteneva che l'aggredito, posto di fronte all'alternativa fra una turpis fuga ed una onorevole difesa, non avesse alcun obbligo di fuggire essendo in gioco la propria dignità ed onore: di conseguenza, solo quando la situazione concreta consentiva un commodus discessus (ossia una fuga non vergognosa), non poteva essere invocata la legittima difesa: Cass. V, n. 10417/1982. La dottrina più moderna, nonché la stessa giurisprudenza, propendono a risolvere il problema sulla base del bilanciamento degli interessi alla stregua del quale «il soggetto non è tenuto a fuggire quando con la fuga esporrebbe sé od altri ad un probabile danno eguale o superiore a quello che arreca all'aggressore difendendosi (es. rischiare l'infarto o l'aborto o di investire i passanti per sfuggire all'assalitore). Quando tale danno non esista o sia inferiore, se egli non fugge non potrà invocare la legittima difesa. Pertanto, nell'attuale gerarchia dei valori, il prestigio della divisa e, ancor di più, la dignità del privato, mentre giustificano una difesa limitata, ad es. alle percosse o alla immobilizzazione dell'aggressore, non potrebbero giustificarne l'uccisione o consistenti lesioni da parte di chi poteva indennemente fuggire» (Mantovani, 238; Fiandaca-Musco, PG, 299; Grosso, 32; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 277) Casistica: Cass. I, n. 5697/2003 : ha affermato l'insussistenza di una situazione di legittima difesa in una fattispecie relativa a omicidio pluriaggravato commesso da soggetto che avrebbe potuto evitare lo scontro con il presunto aggressore, una volta raggiunta l'autovettura con la quale si era recato sul luogo dell'evento, anziché ridiscendere da essa con una pistola per ucciderlo. Cass. I, n. 4890/2008 , in una fattispecie in cui la Corte ritenne insussistente la legittima difesa, sotto il profilo del requisito della necessità della reazione armata, in quanto l'aggredito avrebbe potuto, senza alcuna difficoltà, rifugiarsi nella propria abitazione (dalla quale invocare soccorso) o comunque allontanarsi dal luogo della aggressione armata; Cass. V, n. 25653/2008 in una fattispecie in cui la Corte annullò la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto insussistente la legittima difesa nei confronti di un soggetto, senza spiegare adeguatamente in che modo la dinamica degli eventi e la loro progressione concreta avessero consentito o meno all'imputato di porre in essere senza pericolo per sé e per la figlia, una iniziativa qualificabile come commodus discessus; Cass. I, n. 51070/2014 , ha annullato la sentenza di merito che non aveva riconosciuto la legittima difesa, ritenendo che la motivazione impugnata non aveva spiegato la ragione per la quale l'imputato, dopo aver disarmato il rivale, aveva ragione di ritenersi al sicuro da un analogo e contrario disarmo, questa volta a vantaggio dell'imputato. Cass. I, n. 44976/2014 , nel respingere il ricorso dell'imputato che invocava la legittima difesa, obiettò che la chiesta scriminante non era configurabile sotto un duplice profilo, difettando, sia la proporzione tra azione e reazione, tra i beni giuridici in gioco (essendo incomparabilmente più rilevante la vita rispetto all'integrità fisica) e tra i mezzi usati e quelli disponibili, sia l'inevitabilità dell'offesa arrecata per ragioni di difesa personale, avendo potuto respingere un eventuale attacco portato a mani nude, rispondendo nuovamente con la semplice forza fisica o semplicemente desistendo, lasciando il luogo, come aveva fatto pochi minuti prima, in occasione del primo litigio. Cass. I, n. 33707/2018 in una fattispecie in cui l'imputato – pur consapevole che la vittima stava arrivando sotto casa dopo avere proferito minacce per telefono - era uscito dalla propria abitazione per aspettarla ed affrontarla, senza essere spinto da alcuna necessità di difendere i propri familiari, e, a seguito del conseguente litigio, gli aveva inferto numerose coltellate, ha ritenuto non invocabile la scriminante della legittima difesa avendo l'imputato accettato la sfida ovvero reagito ad una situazione di pericolo volontariamente determinata o alla cui determinazione egli stesso aveva concorso e nonostante disponesse della possibilità di allontanarsi dal luogo senza pregiudizio e senza disonore (ex plurimis: Cass. I, n. 56330/2017; Cass. I, n. 18926/2013). La proporzione La norma, infine, stabilisce che la difesa dev'essere proporzionata all'offesa. La proporzione «si ha quando il male inflitto all'aggressore è inferiore, eguale o tollerabilmente superiore, al male da lui minacciato. Non basta che il soggetto si trovi nella necessità di difendersi e nella impossibilità di farlo se non con l'offesa arrecata, ma occorre che questa non sia sproporzionata al male che si vuole evitare»: Mantovani, PG 1979, 239. Vi è controversia in ordine ai parametri in base ai quali effettuare il giudizio di proporzione. La giurisprudenza, sulla scia della Relazione al c.p. del Guardasigilli, inizialmente riteneva che la proporzione dovesse essere valutata fra i mezzi usati dall'aggressore e quelli adoperati dall'aggredito, sicché veniva ritenuta sussistente la legittima difesa, «qualora l'agente abbia reagito col solo mezzo di cui, all'atto dell'aggressione poteva disporre, indipendentemente dalla entità del danno risentito dell'aggressore» (Cass. IV, n. 793/1965; Cass. I, n. 5819/1981) con la conseguenza, secondo l'esempio addotto dalla dottrina che avallava la suddetta tesi, che sarebbe lecito, in mancanza di altri mezzi, ad un soggetto, sparare ed uccidere un individuo che, entrato nella sua proprietà, tentasse di uccidere il suo cane (Vannini, 153). Successivamente, però, la stessa giurisprudenza ha attenuato il suddetto criterio, sostenendo che la valutazione fra la difesa e l'offesa andava effettuata in relazione sia ai mezzi usati, ed a quelli a disposizione dell'aggredito, che ai beni giuridici in conflitto: di conseguenza, nel raffronto tra il bene di un aggressore e il bene di un aggredito il requisito della proporzione viene meno, nel caso di beni eterogenei in conflitto, quando la consistenza dell'interesse leso, quale la vita e l'incolumità della persona, sia enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali e di quelli penalmente protetti, dell'interesse patrimoniale difeso, ed il male inflitto all'aggredito abbia una intensità di gran lunga superiore a quella del male minacciato; Variegata si mostra la dottrina: alcuni autori (Romano, Commentario, 559; Padovani § 10), condividono, sostanzialmente, l'impostazione dell'ultima giurisprudenza; altri autori (Antolisei, PG 1975, 238; Grosso, 29 ss.; Pagliaro, 276), ritengono che deve effettuarsi un bilanciamento fra i beni in conflitto, ma, , a tal fine, sarebbe necessario distinguere fra beni omogenei e beni eterogenei (Fiandaca-Musco, PG, 301; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 278, precisano che la valutazione comparativa fra i beni in conflitto, dev'essere effettuata alla stregua di valutazioni etico-sociali eventualmente rispecchiate dalla Costituzione). Casistica. Cass. I, n. 7957/1982 : ai fini della configurabilità dell'esimente della legittima difesa a proporzione tra mezzi difensivi a disposizione dello aggredito e quelli usati deve essere valutata, quando a disposizione vi è un solo mezzo ma questo è suscettibile di usi diversi e graduabili, in termini di raffronto tra i vari usi possibili e l'uso che in concreto si è scelto di farne in relazione alle modalità dell'aggressione posta in essere o alle sue prevedibili conseguenze, essendo una tale situazione del tutto identica a quella in cui la valutazione deve essere fatta in termini di raffronto tra più mezzi a disposizione e quello usato. L'uso perciò di arma da fuoco, quale mezzo di difesa, deve essere contenuto, nel caso in cui trattasi di aggressione al massimo lesiva dell'integrità personale, in termini di mera apparenza (mostrando l'arma e tenendo atteggiamento deciso all'uso) ovvero limitato all'esplosione di colpi in aria o in terra ovvero anche contro l'aggressore ma curando di non colpirlo o al massimo di colpirlo in zone non vitali, e quindi al solo scopo di semplice deterrenza o di ferire, ma non di togliere la vita. pertanto in caso di aggressione con un bastone che metta in pericolo soltanto l'integrità personale non vi è proporzione tra offesa e difesa se l'aggredito, avendo a disposizione soltanto una arma da fuoco, ne faccia uso, pur essendo di maggiore prestanza fisica, esplodendo vari colpi e indirizzando volontariamente a zone vitali del corpo dell'aggressore, cagionandone la morte, perché in tal caso sarebbe stato sufficiente usare l'arma in termini di mera sentenza o di semplice lesione dell'integrità fisica dell'aggressore;Cass. V, n. 2768/1990. Cass. I, n. 8204/1987 ai fini della configurabilità dell'esimente della legittima difesa, il giudizio di proporzione, che deve essere formulato in riferimento ai mezzi a disposizione dell'aggredito ed ai beni tutelati, non può non essere qualitativo e relativistico. Infatti, il raffronto concerne pur sempre il bene di un aggressore e il bene di un aggredito, il quale, nel difendersi, non è in grado, nella situazione concreta, di dosare esattamente il reale pericolo e gli effetti della reazione, sicché la proporzione non viene meno quando il male inflitto all'aggressore abbia una intensità leggermente superiore a quella del male minacciato. Nella specie, relativa a ritenuta sussistenza dell'esimente, l'imputato si era difeso mediante l'uso del fucile, unico strumento di cui in quel momento disponeva, per neutralizzare l'improvvisa aggressione che la vittima, armata di un tubo di ferro della lunghezza di circa un metro, aveva dapprima portato contro il padre dell'imputato medesimo e poi contro quest'ultimo, procurando loro ferite varie; Cass. I, n. 6979/1997 ha ritenuto corretta la mancata concessione dell'esimente della legittima difesa ad un imputato il quale era stato condannato per aver sparato un colpo di fucile all'indirizzo di un individuo, che si stava impossessando della sua autovettura, attingendolo mortalmente alle spalle:la Corte di Cassazione ha altresì osservato in sentenza che lo strumento adoperato per la reazione difensiva avrebbe ben potuto essere usato con modalità diverse, ad esempio sparando un colpo in aria o sull'asfalto a scopo intimidatorio, oppure alle gomme dell'autoveicolo per bloccarne la marcia»; Cass. I, n. 45407/2004. Cass. I, n. 40123/2009 : fattispecie in cui, a seguito di un litigio fra la vittima — che era a mani nude e, al più, dava testate — e l'imputato armato di un coltello, costui, dopo avere sopraffatto l'avversario che era a terra, inginocchiatosi sopra di lui, lo trafisse con diverse coltellate. La Corte ritenne insussistente la legittima difesa «per la clamorosa sproporzione tra la condotta della vittima (che era a mani nude) e quella dell'imputato armato di un coltello; Cass. I, n. 47117/2009. Cass. V, n. 31990/2019 , dopo avere affermato che il giudizio di proporzione, non può essere fatto né fra i "mezzi" difensivi a disposizione, né tra i "beni" astrattamente in gioco, ma va formulato sulla base del raffronto tra i beni in conflitto ed il grado dell'offesa, ovvero tra le offese (minacciata e arrecata), ha ritenuto insussistente, nel caso di specie (omicidio preterintenzionale), la legittima difesa in quanto, venendo in rilievo due beni eterogenei (integrità fisica e vita), occorreva valutare il grado di intensità dell'offesa minacciata, che, nella fattispecie, era modesto, in quanto l'aggressore aveva percosso l'imputato 'a mani nude', senza alcuna arma, e senza che fosse emersa alcuna più spiccata e sproporzionata forma di violenza fisica; di conseguenza, la difesa posta in essere dall'imputato, con una reazione che aveva attentato, non già alla mera integrità fisica, ma alla vita dell'aggressore, colpito al collo, in una zona del corpo evidentemente vitale, non poteva essere ritenuta proporzionata all'offesa minacciata all'integrità fisica. sul punto, però, vedi infra § 7.5., Cass. III, n. 49883/2019; Cass. I, n. 1490/2012 in una fattispecie in cui l'imputato, per fuggire da una lite, si accorse di aver investito una persona e, pur consapevole che l'investito si trovava a terra sotto le ruote, si allontanò passando sul suo corpo con l'auto, ritenne che l'imputato agì nell'indifferenza del risultato in danno della parte lesa; in tale situazione, pertanto, non fu ritenuta sussistente la legittima difesa per l'evidente assoluta sproporzione tra una lite tra ragazzi e la condotta estrema posta in essere da chi alle conseguenze di quella lite voleva sottrarsi. Cass. V, n. 36987/2016 , ha preso in esame la fattispecie costituita da una colluttazione fra due persone sorta da un litigio provocato da uno dei due che, per costituzione fisica ed età era sicuramente in grado di sopraffare l'altro. Ad un certo punto, l'aggredito aveva estratto dalla tasca un coltello, attingendo la controparte all'addome. Entrambi i giudici di merito avevano condannato l'imputato (ossia l'aggredito) in quanto, pur essendo risultato che l'aggressore stava per sopraffarlo, la tipologia delle lesioni riportate dal suddetto imputato (piccola tumefazione ed escoriazione in zona zigomatica e livido sulla coscia) non consentivano di ravvedere una proporzione tra offesa e difesa posta in essere per mezzo di un'arma. Di contrario avviso si è mostrata la Corte che, nell'accogliere il ricorso dell'imputato ha specificato che i giudici di merito: a) non avevano chiarito le ragioni del motivo per cui, in un contrasto tra due soggetti con obiettiva differenza di stazza e forza, contrasto ancora in atto e dove era stato lo stesso aggressore a palesare per primo intenzioni aggressive, per l'uomo più debole dovesse intendersi comunque precluso un legittimo utilizzo dell'unica arma che aveva, quale strumento di possibile difesa dinanzi alla concreta prospettiva di subire lesioni ulteriori e più gravi; b) non avevano affrontato, il tema del commodus discessus dell'imputato che era stato aggredito da tergo con calci e pugni, sino a potersi definire «sopraffatto fisicamente dal suo avversario» tanto da impedirgli un pur disonorevole discessus. Alla stregua delle suddette considerazioni, la Corte ha quindi annullato con rinvio la sentenza impugnata, ribadendo il seguente principio di diritto: «in tema di legittima difesa (art. 52), è regola di esperienza che colui che è reiteratamente aggredito reagisce come può, secondo la concitazione del momento, e non è tenuto a calibrare l'intensità della reazione, finalizzata ad indurre la cessazione della avversa condotta lesiva, salva l'ipotesi di eventuale manifesta sproporzione della reazione» (Cass. V, n. 25608/2011). La legittima difesa domiciliareLa l. n. 56/2006, ha introdotto due commi all'art. 52 in cui si prevede e regola espressamente l'aggressione che avvenga in ambito domiciliare (secondo l'ampia definizione che ne dà l'art. 614 c.p.) ovvero «all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale». Gli elementi differenziali che la legge ha introdotto sono i seguenti: a) i luoghi dove può essere esercitata questa particolare forma di legittima difesa; b) le persone a cui favore può essere riconosciuta: colui che è “legittimamente presente”; c) il mezzo che può essere utilizzato: uso di “un'arma legittimamente detenuta”; d) la difesa di alcuni beni: “la propria o l'altrui incolumità”; “beni propri o altrui” quando non vi sia desistenza e vi sia pericolo di aggressione. La caratteristica fondamentale di questa ipotesi speciale di legittima difesa (Palazzo, 2016, 399; Mantovani, 2015, 258) consiste, quindi, nel fatto che è stato autorizzato l'uso delle armi legittimamente detenute (o, comunque altro mezzo idoneo alla difesa) e, quindi, ritenuta sussistente, con presunzione assoluta, la scriminate della legittima difesa sotto il profilo della proporzionalità. La ratio legis di tale innovazione è chiara: il legislatore, inserendo la presunzione iuris et de iure, ha volutamente tolto al giudice la possibilità di accertare in concreto se vi sia sproporzione fra l'offesa e la difesa, sia in ipotesi di legittima difesa obiettivamente sussistente, sia in ipotesi di legittima difesa putativa incolpevole (Cass. I, n. 50909/2014). Peraltro, va posta attenzione alla circostanza che la nuova normativa ha lasciato invariati gli altri requisiti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso delle armi come mezzo di difesa della propria o altrui incolumità (in terminis, Cass. I, n. 50909/2014; Cass. I, n. 23221/2010), sicché, «la reazione a difesa dei beni è legittima solo quando non vi sia desistenza ed anzi sussista un pericolo attuale per l'incolumità fisica dell'aggredito o di altri» (Cass. I, n. 16677/2007). L'introduzione di nuovi e diversi requisiti, ha fatto ritenere alla dottrina che ci si trovi di fronte ad un'ipotesi speciale (rispetto a quella ordinaria) di legittima difesa (Mantovani, § 1; Flora, § 1, parla di “sottospecie speciale”). Peraltro altro autorevole autore, ha concluso osservando che «l'innovazione che pretendeva di introdurre, con grande battage pubblicitario, accanto alla legittima difesa comune, una legittima difesa speciale, non comporta, per fortuna, modifiche sostanziali a quello che, secondo un'interpretazione assennata, era già il contenuto dell'art. 52 nel testo originario» (Pagliaro, 277). Tanto premesso in via generale, non resta ora, che passare all'esegesi della nuova normativa. I luoghi Il comma 2, precisa che questa nuova forma di legittima difesa si applica « nei casi previsti dall'art. 614, comma 1 e 2»; al comma 3, però, si specifica che «la disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale». La norma, quindi, considera applicabile questa particolare forma di legittima difesa solo ove la reazione ad una illegittima aggressione avvenga all'interno del proprio domicilio che sia stato violato dall'aggressore. In ordine ai luoghi in questione, si è chiarito che, in essi vanno compresi a) l'abitazione, cioè il luogo ove la persona, liberamente ed attualmente, conduce vita domestica: da sola o con altri, in tutto o in parte, permanentemente o temporaneamente, continuativamente o saltuariamente; b) ogni altro luogo in cui la persona svolge, da sola o con altri, in tutto o in parte, permanentemente o temporaneamente, continuativamente o saltuariamente, attività della vita privata, diverse da quelle domestiche, come i luoghi di esplicazione della vita culturale (es.: biblioteche, circoli privati), della vita politica (es.: sede di partito), della vita religiosa (es.: cappella privata), dello svago (es.: circolo ricreativo, club, sala da gioco), nonché della vita lavorativa (es.: ufficio privato, studio professionale, laboratorio). L'ultimo comma, comunque, ad evitare la problematica su cosa debba intendersi per “domicilio” ex art. 614 c.p. (sul punto si rinvia al relativo commento), con una classica norma di chiusura, ha in esso ricompreso anche i luoghi dove si esercita una «attività commerciale, professionale o imprenditoriale», ossia quei «luoghi maggiormente esposti ai tipi di criminalità, dal legislatore avuti presenti nell'emanazione della suddetta legge (ristoranti, gioiellerie, negozi, distributori di benzina, banche, ecc.)»: Mantovani, § 3a). Sul punto, la giurisprudenza, si è così espressa: - Cass. I, n. 16677/2007, ha ritenuto applicabile la nuova normativa in una fattispecie in cui la reazione avvenne all'interno dell'ufficio dell'impresa dove l'imputato lavorava; - Cass. IV, n. 19375/2013, in una fattispecie nella quale l'imputato, dall'autovettura all'interno della quale si trovava, aveva colpito mortalmente alcuni aggressori con un'arma da fuoco, lo ha ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo plurimo per aver ecceduto i limiti della legittima difesa, negando l'applicabilità della nuova normativa, essendo la reazione avvenuta «nell'abitacolo di una autovettura, trattandosi di spazio privo dei requisiti minimi necessari per potervi soggiornare per un apprezzabile periodo di tempo e nel quale non si compiono atti caratteristici della vita domestica». Cass. I, n. 8090/2018, ha ritenuto applicabile l'art. 52/2 c.p. in un caso di omicidio avvenuto sul pianerottolo condominiale antistante la porta di un'abitazione, in quanto il suddetto luogo rientra nella nozione di "appartenenza" di privata dimora sicchè ogni condomino ha diritto di escludere l'estraneo introdottosi nel condominio invito domino. La Corte, poi, ribadendo risalente giurisprudenza, ha ritenuto che rientra nel concetto di “appartenenza”, anche l'androne di uno stabile nonché, a fortiori, la soglia dell'abitazione altrui, dove alcuno si introduca o trattenga contro la volontà di chi abbia il diritto di escluderlo. La formulazione della norma (“all'interno”) è tale che questa ipotesi speciale di legittima difesa, può essere invocata, solo se la violazione di domicilio sia stata consumata: non, quindi, nei casi in cui la reazione avvenga mentre l'aggressore si trovi ancora nello stadio del tentativo come ad es., il ladro che sta arrampicandosi lungo una parete con il chiaro intento di entrare nell'abitazione presa di mira: Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 279; Flora, § 2, che precisa che, quando, invece, è l'offeso a trovarsi fuori dai luoghi oggetto di tutela (ad es: sta per entrare in casa e scorge, dall'esterno, i ladri al lavoro), non ricorre «la ratio della nuova previsione, che chiaramente indica che egli deve essere (legittimamente) presente in certi luoghi, per cui potrà trovare applicazione solo il 1° comma dell'art. 52 , ove ne ricorrano tutti gli estremi e la «proporzione»sia accertata dal giudice». Sul punto, si registrano le seguenti sentenze che concordano con la dottrina: - Cass. I, n. 50909/2014: la legge 13 febbraio 2006, n. 59, introducendo il comma 2 dell'art. 52, ha stabilito la presunzione della sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, quando sia configurabile la violazione del domicilio dell'aggressore, ossia l'effettiva introduzione del soggetto nel domicilio altrui, contro la volontà di colui che è legittimato ad escluderne la presenza. Dissenso che può essere espresso non solo vietando l'ingresso nell'abitazione, ma anche in momenti successivi manifestando il diniego a taluno di ulteriormente permanervi (invito domini); Cass. I, n. 12489/2007; - Cass. V, n. 35709/2014, ha escluso la configurabilità della scriminante, giacché l'introduzione nell'abitazione dell'imputato era avvenuta non per aggredire quest'ultimo ma per soccorrere la di lui convivente, che stava per essere aggredita da uno degli altri occupanti la medesima abitazione. Infatti, la suddetta causa di giustificazione presuppone che il soggetto che si introduce fraudolentemente nella dimora altrui agisca per insidiare l'altrui sfera domestica ovvero le persone che in essa si trovano; - Cass. IV, n. 691/2013, ha escluso la configurabilità della scriminante in una fattispecie in cui l'aggressore si era introdotto non nell'abitazione ma in altro fabbricato in costruzione ad essa attiguo, sempre di proprietà dell'aggredito, dal quale, tuttavia, non sarebbe stato possibile raggiungere con immediatezza la casa di quest'ultimo. Infatti, anche la “nuova” legittima difesa non consente un'indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella dimora altrui ma presuppone un pericolo attuale per l'incolumità fisica dell'aggredito o di altri. La legittima presenza. Della scriminate in esame, possono avvalersi solo le persone che si trovino nei luoghi di cui si è detto al paragrafo precedente, “legittimamente” (proprietario, titolare di un diritto di godimento, familiari, ospiti, domestici, commessi di negozio, clienti dell'esercizio commerciale, della banca, ecc.: Mantovani, § 3): non, quindi, l'aggressore il quale, ove, in ipotesi, reagisca a sua volta, ad una reazione sproporzionata da parte dell'aggredito (ad es. il ladruncolo manifestamente inoffensivo sorpreso da proprietario che gli spara contro mirando a parti vitali del corpo con la chiara intenzione di ucciderlo), potrà invocare la scriminante “ordinaria” di cui al comma 1. La legittima detenzione dell'arma. È questo, uno dei requisiti che ha suscitato più critiche. Si è, infatti, osservato che «l'essere l'arma legittimamente detenuta non attiene alla «logica» della legittima difesa, come comprova il fatto che siffatto requisito non solo non è menzionato dall'originario art. 52, ma non è mai stato richiesto né dalla dottrina, né dalla giurisprudenza, proprio perché l'uso di un'arma illegittimamente detenuta non ha mai escluso la legittimità della difesa, comportando esso soltanto la punibilità del detentore abusivo in base alla normativa sulla detenzione illegittima di armi. Ma con l'introduzione di tale requisito si è inteso escludere dai beneficiari della nuova legittima difesa speciale i soggetti che, in quanto detentori di armi illegittimamente, possono presumersi più propensi all'«uso facile» delle medesime, e circoscrivere invece tali beneficiari ai soli detentori legittimi di armi, poiché essi dovrebbero offrire maggiori garanzie di un uso di esse non spregiudicato e più controllato, tenuto conto che le relative autorizzazioni sono concesse con particolare rigore, come comprova anche il numero estremamente limitato dei soggetti possessori. Tale requisito sarebbe stato introdotto, pertanto, come una compensazione, in qualche misura, rispetto alla sancita presunzione della proporzione tra difesa ed offesa. Sicché anche sotto questo profilo la nuova fattispecie ha una portata più ristretta rispetto alla legittima difesa comune»: Mantovani, § 3c). Per rimediare alle conseguenze incongrue di una rigida applicazione della norma (ad es. una coppia clandestina aggredita da un rapinatore in casa di lei, non potrebbe invocare la scriminante in esame — al più solo quella ordinaria del primo comma — per avere usato l'arma detenuta legittimamente dal marito di lei, o essersi serviti di quella sfuggita di mano al bandito troppo nervoso nel tentativo di rapina), è stato proposto di « ritenere che la «legittima» detenzione debba intendersi come dato oggettivo (arma legittimamente presente indipendentemente dalla coincidenza tra fruitore e formale «intestatario») e che la presenza personale debba ritenersi legittima tutte le volte che risulta espressamente o implicitamente autorizzata da qualcuno dei titolari del ius excludendi» (Flora, § 3). La dottrina, Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 280, ritiene, invece, che la norma debba essere interpretata in senso rigoroso e letterale proprio perché si è voluto «evitare che il cittadino, per difendersi va da in cerca di armi sul mercato clandestino, eludendo il filtro della pubblica autorità competente a verificare la necessità del possesso di un'arma». Di conseguenza, ove l'aggredito abbia utilizzato un'arma non detenuta legittimamente, potrà invocare solo la scriminante ordinaria di cui al comma 1. E' questa la tesi seguita dalla giurisprudenza di legittimità. Sul punto, infatti, Cass. I, n 15851/2021, nel ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 52 c.p. in relazione all'art. 3 Cost., sollevata dalla difesa per la disparità di trattamento che determinerebbe tra la posizione del cittadino che può richiedere il porto d'armi e quella di chi, trovandosi in condizioni di marginalità sociale, non ha tale possibilità, ha così motivato: «In primo luogo, non può essere messa in discussione la scelta discrezionale del legislatore laddove essa non appaia, in violazione dell'art. 3 Cost., manifestamente irragionevole, irragionevolezza che va esclusa, sul piano generale, quando si disciplinano in modo diverso due situazioni affatto diverse: ed invero ed in concreto, non vi ha dubbio che siano oggettivamente diverse la situazione di chi detiene un'arma regolarmente denunciata e quella di chi, viceversa, detiene un'arma clandestina. Tale distinzione si pone in rapporto di coerenza con una legislazione nazionale molto severa nella disciplina delle armi, in funzione chiaramente preventiva del pericolo che scaturirebbe dal ricorso indiscriminato dei cittadini ad armarsi. In secondo luogo, occorre ricordare, nell'analizzare la norma, che la stessa definizione strutturale della fattispecie scriminante di cui all'art. 52 c.p., comma 2 richiede che la condotta difensiva sia compiuta da persona "legittimamente presente" nei luoghi oggetto dell'illecita intrusione o dell'illecito trattenimento che usa un'arma "legittimamente detenuta". Il doppio ricorso all'avverbio "legittimamente" nella stessa disposizione esprime un'evidente esigenza di coerenza interna della norma, che sarebbe vanificata da un'insanabile contraddizione qualora si ammettesse che una "legittima" presenza all'interno dei luoghi di cui all'art. 614 c.p. potesse accompagnarsi all'uso di un'arma "illegittimamente" detenuta. Sempre sul piano della struttura della norma, va evidenziato che il legislatore, proprio perchè la legittima difesa, seppure nella sua versione "domiciliare", è e resta una facoltà eccezionale di autotutela riconosciuta dall'ordinamento quando la difesa da parte delle Forze dell'ordine non è in concreto possibile, ha inteso ancorare il rapporto di "proporzione" di cui al comma 1 a due parametri di stretta legalità, ossia alla presenza "legittima" all'interno dei luoghi previsti dall'art. 614 c.p. e all'uso di un'arma "legittimamente" detenuta. Ultimo profilo di manifesta infondatezza della questione sollevata dalla difesa del ricorrente si rinviene, infine, nella possibilità, per l'aggredito detentore di arma non regolarmente denunciata, di invocare l'applicazione della legittima difesa "ordinaria", se ne ricorrano, ovviamente, tutti gli elementi costitutivi». La difesa dei beni. La norma, prevede l'applicabilità della scriminante in esame, quando l'aggredito abbia reagito al fine di difendere: a) “la propria o l'altrui incolumità”; b) “beni propri o altrui” quando non vi sia desistenza e vi sia pericolo di aggressione. La prima ipotesi (“la propria o l'altrui incolumità”) chiaramente si riferisce ai beni personali inviolabili (integrità fisica, libertà personale e sessuale). La portata dell'innovazione legislativa, si coglie, probabilmente, proprio nelle ipotesi in esame: infatti, ove sussistano tutti i requisiti esaminati precedentemente, l'aggredito potrà invocare la scriminate in esame anche in assenza del requisito della proporzionalità perché presunto iuris et de iure contrariamente a quanto previsto per la scriminate “ordinaria” di cui al primo comma: il che, in concreto, significa che l'uso dell'arma (o di altro mezzo difensivo violento) risulta scriminato «anche in quelle situazioni nella quali, per respingere l'aggressore, sarebbe stato a rigore sufficiente una reazione non armata o, comunque, meno lesiva» (Fiandaca-Musco, PG, 305). Una parte della dottrina ha tentato di depotenziare la norma, sostenendo che la reazione debba pur sempre essere “necessitata” non essendo stato tale criterio (di cui al primo comma) derogato. In altri termini, il giudice dovrebbe pur sempre verificare se, al momento dell'aggressione, l'aggredito avesse o meno la possibilità di una diversa e meno dannosa alternativa (Viganò, 189; Cadoppi, 434): «bisogna cioè, in primo luogo, che la persona non possa difendere il bene minacciato attraverso un comportamento penalmente irrilevante, ma egualmente efficace per la difesa (si pensi a un gioielliere che possa impedire l'apertura della cassaforte bloccando l'accesso del potenziale ladro alla zona antistante la cassaforte con un'inferriata azionata a distanza); se non esiste un'alternativa lecita, bisogna inoltre, per restare nei limiti della necessità, che la difesa venga realizzata nella forma meno lesiva per l'aggressore (non si potrà sparare a una parte vitale del corpo dell'aggressore, se per impedirgli di commettere un furto, una lesione personale o un omicidio bastava mirare alle gambe o addirittura minacciare di ferirlo sparando in aria)»: Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 280; Pulitanò, 2015, 261, sostiene che «quantomeno un rapporto di non eccessiva sproporzione dovrebbe essere richiesto, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata» Altra parte della dottrina, ha sostenuto, invece, che «l'unica soluzione, che consente di evitare gli scogli sia di un'eventuale illegittimità costituzionale sia di un'interpretazione abrogante, resta quella, per così dire intermedia, della presunzione relativa dell'esistenza della proporzione, nel senso cioè che la proporzione si presume esistente, a meno che la pubblica accusa non ne provi l'inesistenza sia obiettiva che putativa. E, conseguentemente: a) non spetta più all'aggredito — come invece per la legittima difesa comune — provare l'esistenza della proporzione, quanto meno come «necessità pratica» (anche se non quale inversione dell'«onere della prova» in senso tecnico), stante il rischio della mancata prova di tale esistenza da parte del magistrato; b) spetta, invece, alla pubblica accusa provare non solo l'esistenza della sproporzione obiettiva, ma anche l'inesistenza di una proporzione putativa (cioè ritenuta sussistente dall'aggredito) o, quanto meno, in caso di provata esistenza di una proporzione putativa, che la erronea supposizione della esistenza della proporzione fu dovuta a colpa, potendo solo nei suddetti casi di raggiunta prova avanzare una richiesta di condanna dell'aggredito»: Mantovani, § 5 n. 7. Al che si è obiettato che ciò «equivarrebbe ad eludere in modo fin troppo scoperto la ratio innovativa della riforma» (Fiandaca-Musco, PG, 306). La giurisprudenza, pare condividere, in linea di massima la prima delle tesi proposte in dottrina. Si è, infatti, ritenuto che «la interpretazione giurisprudenziale immediatamente successiva alla modifica legislativa si è orientata, nel breve tempo trascorso, nel senso che i requisiti previsti dall'art. 52, comma 1, con riguardo alla attualità del pericolo della offesa ingiusta ed alla necessità della reazione non siano stati modificati dalla Legge del 2006, la quale ha riguardato esclusivamente il criterio della proporzionalità e quindi in particolare la configurabilità dell'eccesso colposo di legittima difesa laddove risulti che l'agente abbia colposamente ecceduto nella difesa del proprio diritto ponendo in essere una reazione sproporzionata all'altrui azione aggressiva. In particolare è stato rilevato che, onde potere invocare la legittima difesa, deve pur sempre sussistere una aggressione ovvero il pericolo di una aggressione in atto a fronte della quale, qualora la aggressione avvenga in un luogo di privata dimora da parte di un soggetto che si sia introdotto o trattenuto contro l'espressa volontà di chi ha diritto di escluderlo ovvero clandestinamente o con l'inganno, è lecito l'uso dell'arma legittimamente detenuta, per difendere determinati beni (v. Cass. n. 32282/2006; Cass. n. 25339/2006). Tale soluzione appare condivisibile poiché è stato modificato soltanto il concetto di proporzionalità, fermi restando i presupposti della attualità della offesa e della inevitabilità dell'uso dell'arma come mezzo di offesa della incolumità o dei beni dell'aggressore che devono essere esaminati previamente ed in tale ordine, cosicché, se insussistenti i primi requisiti, non si potrà passare a valutare quello successivo della proporzionalità; ed anzi, sotto tale profilo, deve rilevarsi che il legislatore, al di là della affermazione di principio per cui «sussiste il rapporto di proporzione...» non ha voluto operare una completa equiparazione fra qualsiasi tipo di interesse, nel senso che appare evidente che neppure il novum legislativo legittima sempre una reazione implicante l'uso indiscriminato e senza limiti della armi, finalizzato a ledere la incolumità dell'aggressore, bensì impone ugualmente una comparazione degli interessi poiché consente l'uso dell'arma in difesa della propria o altrui incolumità, e, nel caso di difesa dei beni, solo quando non vi desistenza e vi è pericolo di aggressione. Il che significa che la difesa con armi dei beni, pur nell'ambito del concetto di proporzionalità ora normativamente stabilito, è legittima solo se vi è anche un rischio concreto di un pregiudizio attuale (se non vi è desistenza) per la incolumità fisica dell'aggredito o di altri»: Cass. I, n. 1667/2007; Cass. I, n. 23221/2010; Cass. IV, n. 691/2014. La seconda ipotesi (difesa di “beni propri o altrui”), prevede che la scriminante possa essere invocata ove la reazione per difendere i beni propri o altrui (da intendersi come beni di natura patrimoniale: Mantovani, , §3d), sia avvenuta ove sussistano contemporaneamente due requisiti: a) quando non vi è desistenza da parte dell'aggressore; b) e, quando “vi è pericolo d'aggressione”. Il requisito della “desistenza” «è un presupposto da intendere ad abundantiam, nel senso che è implicito nella stessa persistente attualità di una situazione di pericolo che l'aggressore si astenga dall'interrompere la condotta offensiva (diretta innanzitutto contro i beni patrimoniali)»: Fiandaca-Musco, PG, 307. Il secondo requisito (il “pericolo d'aggressione”), invece, è stato riferito non ai beni patrimoniali, «già minacciati dall'azione intrapresa e non interrotta dal malvivente intruso», ma alla vita e alla integrità personale dell'aggredito» (Fiandaca-Musco, PG, 308; Siracusano, 388; Marinucci-Dolcini, Manuale, 2015, 281; Viganò, § 3.4.2) perché solo tale interpretazione sarebbe coerente con la Costituzione e con l'art. 2 § 2 lett. a) Cedu (a norma del quale la morte di una persona si può considerare legittima se determinata «da un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario per difendere ogni persona da una violenza illegittima»): «occorre, insomma che, ad esempio, il ladro sorpreso all'interno dell'abitazione dal proprietario mostri di voler continuare nella sua impresa criminosa addirittura facendo intendere per fatti concludenti di essere disposto a sopraffare fisicamente chi «si permetta» di frapporsi»: Flora § 4. Si è aggiunto e specificato che, perché possa ritenersi sussistente il “pericolo d'aggressione” «la situazione oggettiva dovrà essere tale da giustificare, al metro di un osservatore ragionevole, una prognosi circa la possibile (futura) insorgenza di un pericolo per la vita o l'incolumità fisica di taluna delle persone presenti. Esemplificando: il proprietario di casa che, dall'uscio della propria camera da letto, veda due energumeni (anche se non palesemente armati) aggirarsi nel salotto alla ricerca di gioielli e oggetti di valore, potrà ragionevolmente inferire il rischio, cui egli stesso e i suoi familiari sono esposti, di un'aggressione fisica da parte di costoro [....]; ma altrettanto non potrà fare chi scopra uno zingarello dodicenne intento a frugare nei cassetti del salotto, essendo altamente probabile che costui - vistosi scoperto - cerchi piuttosto di darsi precipitosamente alla fuga dalla stessa via dalla quale era entrato. Senza contare che, tra l'altro, la minaccia dell'uso di un'arma varrebbe ampiamente a neutralizzare l'aggressione, anche nell'ipotesi in cui quello zingarello fosse - in concreto - armato di un coltello. In terzo luogo, un «pericolo di aggressione» alla vita o all'integrità fisica certamente non sussiste (o non sussiste più) allorché l'intruso si dia alla fuga, o si accinga a darsi alla fuga: e ciò anche laddove lo faccia portandosi con sé le cose sottratte, in tal modo non desistendo dall'aggressione al patrimonio»: Viganò, § 3.4.3. Negli stessi termini si è espressa la giurisprudenza: cfr. Cass. cit. supra, nonché Cass. I, n. 12466/2007 (con nota di Bonfiglio) che, in relazione all'omicidio di una persona che si era introdotta con inganno nel condominio dell'imputata per ottenere il pagamento di un debito, ha escluso la causa di giustificazione prevista dall'art. 52, comma 2, così come modificato dall'art. 1 l. n. 59/2006, rilevando che la medesima non consente un'indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella propria dimora, ma presuppone un attacco, nell'ambiente domestico, alla propria o altrui incolumità, o quanto meno un pericolo di aggressione; Cass. IV, n. 691/2014; Ass. Milano, 31 marzo 2009, in Corr. mer., 2009, 870 (con nota di Zirulia) che in una fattispecie in cui il tabaccaio aveva colpito entrambi i rapinatori mentre stavano scappando, non ritenne la sussistenza della legittima difesa, osservando che «in presenza delle condizioni previste dai commi secondo e terzo dell'art. 52, introdotti dalla legge n. 59/2006, il rapporto di proporzione tra difesa e offesa deve essere presunto iuris et de iure, fermo restando l'obbligo per il giudice di accertare in concreto la sussistenza degli ulteriori requisiti di liceità previsti dal comma primo. Nell'ipotesi di cui al comma secondo, lett. b), il requisito della ‘‘non desistenza” indica che l'aggressione ai beni patrimoniali, ossia il sostrato oggettivo dell'animus defendendi, deve essere in corso; mentre il ‘‘pericolo di aggressione”, che non deve necessariamente essere attuale, sussiste ogni volta in cui le circostanze concrete non permettono di escludere un'evoluzione dell'azione in senso lesivo dell'integrità fisica». La modifica del secondo e terzo comma L'art. 1 della l. n. 36. del 26 aprile 2019, (sulle questioni procedurali relative ai profili intertemporali: Amarelli), al comma secondo dell'art. 52, ha aggiunto l'avverbio “sempre” subito dopo il verbo “sussiste”. Il comma secondo risulta, quindi, ora del seguente tenore: «Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzione [….]». La suddetta innovazione è stata inserita anche nel comma terzo e, quindi, estesa «anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale». L'inserimento dell'avverbio “sempre” nei commi secondo e terzo, non ha alcuna rilevanza pratica e serve, più che altro, a ribadire quello che è un dato giurisprudenziale e dottrinale ormai acquisito e cioè che la caratteristica fondamentale della legittima difesa domiciliare – introdotta con la l. n. 56/2006 – consiste proprio nella presunzione assoluta del requisito della proporzionalità (v. supra). Di conseguenza, anche a seguito della novella in commento, nei casi di cui al secondo e terzo comma, continuano ad essere richiesti, per la configurabilità della legittima difesa, i requisiti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso delle armi (v. supra): in terminis, Cass. I, n. 39977/2019; Cass. III, n. 49883/2019, la quale, dopo avere precisato che l'avverbio “sempre” «ha un mero significato rafforzativo della presunzione posta dalla norma», ha ribadito che «con riguardo all'impiego di armi in modo idoneo ad attentare alla vita dell'aggressore, continua dunque a trovare applicazione il principio secondo cui è configurabile l'esimente della legittima difesa solo qualora l'autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendere necessitata e priva di alternative la sua reazione all'offesa mediante aggressione (Cass. I, n. 51262/2017)». Quindi, secondo la giurisprudenza di legittimità «la presunzione di cui ai commi 2 e 3 è circoscritta al solo requisito della proporzione, mentre continuano a richiedersi tutti gli altri presupposti generali di liceità della condotta difensiva, così come descritti dal comma 1. Pertanto, la "propria o altrui incolumità" (di cui al comma 2, lett. a) e i "beni propri o altrui" (di cui al comma 2, lett. b), alla cui difesa è finalizzata la condotta che si presume proporzionata, dovranno essere esposti a un pericolo attuale, intenso come pericolo incombente ovvero in atto; tale pericolo dovrà derivare da un'aggressione umana qualificabile in termini di ingiusta e la reazione difensiva dovrà comunque mantenersi entro il limite generale della necessità, intesa come non sostituibilità della condotta difensiva con condotte lecite o meno lesive egualmente idonee ad assicurare la difesa del bene in pericolo»: Cass. I, n. 23977/2022; Cass. I, n. 12466/2007. Cass. III, n. 49883/2019, piuttosto, ha valorizzato la locuzione “pericolo di aggressione” di cui al comma secondo lett. b), chiarendo che - nel caso, in cui il pericolo di offesa ad un diritto (personale o patrimoniale) sia attuale e l'impiego dell'arma quale in concreto avvenuto sia necessario a difendere l'incolumità propria o altrui, ovvero anche soltanto i beni se, in quest'ultimo caso, ricorra, però, un pericolo di aggressione personale - la scriminante è configurabile anche ove non vi sia proporzione tra difesa ed offesa. In tale ipotesi, infatti, ad avviso della Corte, non si potrebbe obiettare, ad es., «che l'aggressione fisica a mani nude patita dalla vittima in casa propria avrebbe imposto il tentativo di difendersi con lo stesso mezzo (vale a dire, a mani nude piuttosto che con un'arma), ovvero, laddove il pericolo attuale di offesa riguardi i soli beni patrimoniali, che si dovrebbe escludere in radice una qualsiasi, pur in concreto necessaria ed appropriata, reazione attraverso l'uso di un'arma per sproporzione tra i diversi beni in conflitto (da un lato il patrimonio, d'altro lato l'incolumità fisica), quando, in assenza di desistenza, una diversa difesa potrebbe ragionevolmente provocare un'aggressione fisica. Va interpretato in questo senso, infatti, il riferimento al "pericolo di aggressione" di cui all'ultima parte dell'art. 52 c.p., comma 2, lett. b), altrimenti inutile, posto il pericolo attuale di offesa del diritto - nella specie, patrimoniale - è già richiesto dal comma 1, della disposizione. A differenza di quest'ultimo, strutturalmente richiesto dalla fattispecie scriminante in termini di attualità, il pericolo di aggressione di cui al comma 2, che tale ulteriore connotazione significativamente non richiede, implica una ragionevole prognosi sulla condotta del malintenzionato che si trovi nell'altrui domicilio o nei luoghi equiparati, il quale, pur mirando a commettere reati contro il patrimonio e non avendo (ancora) posto in essere (o minacciato) azioni aggressive nei confronti della persona, a ciò potrebbe determinarsi qualora la vittima tentasse di opporre resistenza (reputa invece legittima la reazione a difesa dei beni solo quando sussista un pericolo attuale per l'incolumità fisica dell'aggredito o di altri Cass. I, n. 16677/2007). Per contro, la perdurante esigenza di ravvisare gli altri elementi costitutivi della legittima difesa impone tuttora di ritenere che non possa dirsi scriminato l'impiego offensivo di un'arma contro la persona quando questa, pur trovandosi ancora illecitamente all'interno del domicilio, delle appartenenze o dei luoghi equiparati, non stia tenendo una condotta da cui possa ravvisarsi l'attualità del pericolo di offesa alla persona o ai beni che esiga una preventiva reazione difensiva, dovendosi questa ritenere ingiustificata (prima ancora che suscettibile di valutazione in termini di proporzione) qualora difetti il carattere della necessità della difesa. Allo stesso modo, pur a fronte della necessità di difesa contro il pericolo attuale di un'offesa diretta soltanto ai beni, la presunzione di proporzione circa l'uso dell'arma potrà dirsi operante quando il reo non desista dall'azione criminosa e sussista il pericolo - ancorchè non attuale, e pur tuttavia concreto - che questa possa trasmodare in un'aggressione alla persona». Negli stessi termini, Cass. I, n. 13191/2020 ; Cass. I, n. 21794/2020, secondo la quale « la fattispecie scriminante di cui al secondo dell'art. 52 richiede che la condotta difensiva sia compiuta da persona "legittimamente presente" nei luoghi oggetto dell'illecita intrusione o dell'illecito trattenimento, così come il terzo comma richiede che il fatto "sia avvenuto all'interno" di uno dei luoghi indicati dalla norma, e tale precisazione vale ad escludere che la scriminante possa coprire, la condotta di chi, all'esterno di tali luoghi, usi un'arma, benché legittimamente detenuta, o altro mezzo idoneo con il solo scopo di mettere in fuga gli intrusi o di interrompere l'azione predatoria. La conclusione non muta a seguito della riforma attuata con la novella del 2019, diretta a circoscrivere ulteriormente, nell'ambito dello statuto della difesa domiciliare, la responsabilità penale, ma che implica pur sempre che il respingimento dell'intruso, autore della fattispecie aggravata di cui all'art. 614, sia realizzato dalla persona legittimamente presente nel domicilio aggredito o nei luoghi ad esso assimilati, ferma restando la necessità della condotta reattiva, funzionale alla difesa della propria o altrui incolumità o dei beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione»: alla stregua di tali considerazioni, la Corte, quindi, in una fattispecie in cui l'imputato si era armato ed era uscito di casa per mettere in fuga i ladri che erano, di notte, penetrati nel suo negozio, per tutelare i propri beni, ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che avevano condannato l'imputato per tentato omicidio, osservando che «correttamente la concreta fattispecie è stata esaminata alla luce della previsione di cui all'art. 52, comma 1, che presuppone un'aggressione ingiusta, ossia il pericolo attuale di un'offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocerebbe nella lesione di un diritto proprio o altrui; una reazione legittima, ossia una reazione necessaria e inevitabile; la proporzione tra difesa e offesa. L'esistenza e la praticabilità di un “commodus discessus” basta, quindi, ad escludere la possibilità di ritenere praticabile la difesa attiva», proprio perché l'imputato si era «volontariamente posto in una situazione aggressiva, pur in presenza dell'alterna di fermarsi in sicurezza all'interno dell'abitazione, inaccessibile agli intrusi, e di richiedere l'immediato intervento delle forze dell'ordine». Cass I, n. 37427/2020 ha ribadito che, anche dopo l'ultima novella legislativa, in tema di legittima difesa cd. domiciliare, l'uso di un'arma, legittimamente detenuta, costituisce una reazione sempre proporzionata nei confronti di chi si sia illecitamente introdotto, o illecitamente si trattenga, all'interno del domicilio o dei luoghi a questo equiparati, a condizione che: a) il pericolo di offesa sia attuale; b) l'impiego dell'arma sia, in concreto, necessario a difendere l'incolumità propria o altrui, ovvero i beni presenti in tali luoghi; c) non siano praticabili condotte alternative lecite o meno lesive; d) con riferimento, in particolare, alle aggressioni a beni, ricorra altresì un pericolo di aggressione personale. Alla stregua di tale principio, pertanto, è stata esclusa la scriminante della legittima difesa, reale o putativa, in un fattispecie in cui l'attualità del pericolo di aggressione e la conseguente necessità di una difesa proporzionata da parte dell'aggredito si verificarono solamente nella fase iniziale della violenta, mentre, nella fase successiva, l'imputato, impossessatosi dell'ascia impugnata dalla vittima (che aveva dato inizio alla lite), nonostante avesse potuto interrompere la contesa, una volta neutralizzata l'aggressione originaria, colpì egualmente la vittima più volte da tergo, mentre tentava di fuggire, infierendo contro di essa persino quando si trovava in terra inerme: conforme Cass. V, n. 19065/2020, secondo la quale la sussistenza delle precondizioni della necessità ed inevitabilità della difesa e dell'attualità del pericolo dell'offesa non altrimenti contenibile, il cui rigoroso accertamento è rimesso all'apprezzamento del giudice, non può essere preventivamente ritenuto.
Il nuovo comma quarto La vera novità della legge n. 36/2019, però, è costituita dall'introduzione di un nuovo comma (quarto) che è così formulato: «Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone». In prima battuta, si può affermare che, con il suddetto comma, è stata ampliata la possibilità di ricorrere alla legittima difesa domiciliare introdotta con la l. n. 56/2006. Infatti, mentre il secondo (e terzo) comma disciplina il caso di chi, trovandosi legittimamente in uno dei luoghi di cui all'art. 614, commi 1-2 ovvero in «ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale», reagisce contro l'intruso al fine di difendersi nelle specifiche e tassative ipotesi di cui alle lett. a) e b) del secondo comma, al contrario, il nuovo quarto comma anticipa la possibilità di reazione (e, quindi, la legittima difesa) per il solo fatto dell'intrusione, purchè avvenuta con violenza o minaccia: la legittima difesa, pertanto, non è subordinata, come nel secondo e terzo comma, alla difesa della propria incolumità (lett. a) o dei propri beni (lett. b). Tanto premesso, si può ora passare all'esegesi della norma. Perché possa configurarsi questa nuova ipotesi di legittima di difesa domiciliare, la legge ha previsto i seguenti requisiti: a) l'intrusione deve avvenire in uno dei luoghi di cui all'art. 614, commi 1-2 ovvero in «ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale»: nulla è cambiato rispetto ai commi secondo e terzo, sicchè, sul punto, resta immutato quanto si è detto in proposito (v. supra); b) la reazione dev'essere effettuata «nei casi di cui al secondo e al terzo comma»: il che significa che “colui” che è legittimato a reagire va individuato in chi, al momento dell'intrusione, si trovi legittimamente in uno dei luoghi di cui all'art. 614 commi 1-2 ovvero in «ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale» e detenga legittimamente un'arma o altro mezzo idoneo al fine di difendere: anche sotto tale profilo, non si registra alcuna novità rispetto al secondo comma (v. supra); c) la reazione deve consistere nel compimento di «un atto per respingere l'intrusione posta in essere»: il che significa che l'intrusione dev'essere consumata e la reazione deve avvenire da parte di chi si trovi all'interno di uno dei luoghi di cui all'art. 614, commi 1-2, ovvero in «ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale». Tanto si desume: c 1) dalla locuzione “posta in essere” il cui participio passato (“posta in essere”) indica, appunto, un'azione già compiuta; c 2) dalla circostanza che questa nuova forma di legittima difesa si applica in favore di chi, al momento dell'intrusione, si trovi legittimamente in uno dei luoghi di cui all'art. 614, commi 1-2, ovvero in «ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale»: l'agente, quindi, deve trovarsi «anche [….] all'interno» (come espressamente dispone il terzo comma) di uno dei suddetti luoghi, per essere legittimato a respingere l'illegittima intrusione. Si può, quindi, affermare che, sul punto, nulla è stato innovato rispetto alle conclusioni cui è giunta sia la dottrina che la giurisprudenza in ordine all'ipotesi di cui al secondo comma (v. supra). Pertanto – a contrario - la reazione nei termini di cui al quarto comma non è ammessa: a) nei confronti di chi tenti di intromettersi – con violenza o minaccia - nel domicilio altrui; b) da parte di chi si trovi all'esterno di uno dei luoghi di cui all'art. 614 o in «ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale». Nel caso in cui l'agente ugualmente reagisca, la sua reazione, sarà valutata ove ne sussistano i presupposti, ai sensi dell'art. 52, comma 1; d) l'intrusione deve avvenire «con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone». La violenza, non essendovi alcuna indicazione di sorta, può essere rivolta sia contro le cose (ad es. porta d'ingresso scassinata con un piede di porco) che contro le persone (ad es. il ladro percuote il proprietario o un familiare per costringerlo ad aprire la porta d'ingresso), e può essere sia semplice che con uso delle armi. La minaccia, invece, è, ovviamente, contro le persone (ad es. il ladro costringe il proprietario o un familiare ad aprire la porta d'ingresso minacciandolo con un coltello). Poiché la norma è tassativa nel richiedere la “violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica”, questa particolare ipotesi di legittima difesa, deve ritenersi non configurabile: 1) quando l'intrusione avviene in modo fraudolento (ad es. il ladro entra in casa utilizzando una chiave falsa o approfittando della porta lasciata incautamente aperta : n terminis , Cass. V, n. 40414/2019, cit. supra); ); 2) quando l'intrusione avviene a seguito di una minaccia senza uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica. In queste due ultime ipotesi, la reazione sarà valutata ai sensi del primo comma. La norma, quindi, riconnette la non punibilità (“agisce sempre in stato di legittima difesa”) al semplice atto finalizzato al respingimento dell'intrusione “posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica” rendendo, pertanto, irrilevante, ai fini della valutazione della sussistenza della legittima difesa, il motivo per cui si effettua il respingimento e cioè, al contrario di quanto è previsto nel secondo comma, se per tutelare la propria o l'altrui incolumità, ovvero se per difendere “i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione”. In altri termini, le differenze rispetto all'ipotesi di cui al secondo comma sono due: a) sono presunti tutti i requisiti della legittima difesa e non solo quello della proporzione; b) la legittima difesa è ritenuta in ogni caso sussistente essendo irrilevante indagare sul motivo della reazione come, invece, è previsto nel secondo comma alle lett. a) b). In conclusione, può affermarsi che la giurisprudenza di legittimità ha molto ridimensionato la valenza del quarto comma. Infatti, partendo dal presupposto che la norma prende in esame i casi di violazione di domicilio aggravata di cui all'art. 614/4 cod. pen. (a differenza della violazione di domicilio non aggravata di cui all'art. 52/2 cod. pen.), ha ritenuto – ribadendo la linea interpretativa delle cit. Cass. I, 13191/2020; Cass. I, n. 21794/2020 - che erroneamente «si potrebbe essere indotti a pensare che con questa nuova previsione il legislatore abbia voluto introdurre una presunzione di legittima difesa tout court: non di un solo requisito (la proporzione), fermi restando gli altri (l'attualità del pericolo e la necessità della difesa), come in occasione del 2006, ma di tutti i requisiti [….] l'uso di un'arma, legittimamente detenuta, costituisce una reazione sempre proporzionata nei confronti di chi si sia illecitamente introdotto, o illecitamente si trattenga, all'interno del domicilio o dei luoghi a questo equiparati, a condizione che il pericolo di offesa sia attuale; che l'impiego dell'arma sia, in concreto, necessario a difendere l'incolumità, propria o altrui, ovvero i beni presenti in tali luoghi; che non siano praticabili condotte alternative lecite o meno lesive e che, con riferimento, in particolare, alle aggressioni a beni, ricorra altresì un pericolo di aggressione personale [….] Dunque, valorizzando il dato letterale, non può che concludersi che il rinvio presente nel nuovo comma 4 ai casi di cui ai commi 2 e 3 non possa che comportare un rinvio integrale a quanto disposto da tali commi e, pertanto, anche alla presunzione del solo requisito della proporzione. In altri termini, posto che sarebbe arbitrario limitare il rinvio solamente ad alcuni aspetti delle disposizioni introdotte nel 2006, si pone la necessità tanto dell'accertamento dell'attualità del pericolo quanto del requisito della necessità della reazione che, specularmente a quanto avviene in rapporto ai commi 2 e 3, non sono oggetto di alcuna presunzione. Si tratta dell'unica interpretazione percorribile, perché costituzionalmente e convenzionalmente orientata: infatti, se anche si volesse ritenere ragionevole un'eventuale presunzione di necessità della difesa, cioè conforme all'id quod plerumque accidit, quest'ultima sarebbe contraria all'art. 117, comma 1 Cost., in rapporto all'art. 2, comma 2, lett. a) CEDU, che tutela il diritto alla vita anche nei confronti dell'intruso. In altri termini, rispetto alla legittima difesa con esito letale, il requisito della necessità è convenzionalmente imposto e non può essere oggetto di alcuna presunzione legale, come osservato anche dalla dottrina. Anche con riguardo a esiti dell'azione difensiva che non comportino la morte dell'intruso, una presunzione di legittima difesa nel domicilio, sganciata dai requisiti di proporzione e della necessità, sarebbe incompatibile con il modello di Stato delineato dalla Costituzione: uno Stato che si fa carico della sicurezza dei cittadini (art. 117, comma 2, lett. h Cost., che riconosce la legittima difesa come facoltà eccezionale) e che garantisce i diritti fondamentali di tutte le persone, compresa la vita e l'integrità fisica degli autori di furti. In definitiva, per applicare la nuova ipotesi speciale di legittima difesa, è necessario provare tutti i requisiti richiesti dal comma 2, oltre alle peculiari modalità indicate al comma 4: in questo senso, Sez. 1, n. 21794 del 20/2/2020, Barbieri, Rv. 279340, ha affermato che la fattispecie scriminante della legittima difesa, risultante dalle modifiche introdotte dalla L. 26 aprile 2019 n. 36, postula quali requisiti aggiuntivi rispetto a quello della proporzione, di cui al comma 1 dell'art. 52 c.p., la commissione di una violazione di domicilio da parte dell'aggressore; la presenza legittima dell'agente nei luoghi dell'illecita intrusione predatoria o dell'illecito intrattenimento e uno specifico "animus defendendi", per cui alla finalità difensiva deve necessariamente corrispondere, sul piano oggettivo, il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, non altrimenti neutralizzabile se non con la condotta difensiva effettivamente attuata»: Cass. I, n. 23977/2022 Profili processualiOnere probatorio. È consolidato il principio — valevole per tutte le cause di giustificazione — secondo il quale «incombe sull'imputato, che deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell'operatività di un'esimente, se non un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza dell'esimente. Ne consegue che la mera indicazione di una situazione astrattamente riconducibile all'applicazione di un'esimente, non può legittimare la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. c.p.p., risolvendosi il dubbio sull'esistenza dell'esimente nell'assoluta mancanza di prova al riguardo»: Cass. VI, n. 15484/2004; Cass. VI, n. 28115/2012; Cass. VI, n. 18711/2012; Cass. I, n. 16015/1989(in tema di legittima difesa); Cass. V, n. 22040/2020; Cass. I, n. 23977/2022; peraltro «il dubbio sull'esistenza di una causa di giustificazione, per prova insufficiente o per un mero principio di prova, e quindi al di fuori di casi in cui la causa di giustificazione sia soltanto allegata dalla parte e non provata, comporta l'assoluzione dell'imputato»: Cass. I, n. 20867/2010. La valutazione dei presupposti della legittima difesa. Ci si è chiesto, se il criterio in base al quale si deve stabilire se sia o meno applicabile la legittima difesa, debba essere effettuato con giudizio ex ante o ex post. La differenza, intuitivamente, non è di poco conto: nel primo caso (valutazione ex ante) , il baricentro si sposta a favore dell'aggredito perché cristallizza il giudizio sulla base degli elementi di fatto da lui conosciuti al momento dell'aggressione; nel secondo caso (valutazione ex post) , il baricentro si sposta a favore dell'aggressore perché, nell'ottica di una ricerca dell'effettivo disvalore dell'atto di reazione, possono essere valorizzati anche elementi che, solo ex post, si rivelano come fondamentali al fine di valutare la reazione (ad es. solo successivamente si accerta che la pistola con la quale l'aggressore aveva minacciato l'aggredito, era una pistola giocattolo o comunque non era idonea a ledere perché caricata a salve o inceppata).
La giurisprudenza assolutamente consolidata, opta per la valutazione ex ante (Cass. IV, n. 32282/2006), anche a seguito delle modifiche introdotte con la cit. l. n. 59/2006 (Cass. V, n. 25653/2008; Cass. V., n. 31990/2019; Cass. V, n. 23870/2019; Cass. IV, n. 29515/2018; Cass. IV, n.24084/2018). Si è, infatti, ritenuto che «l'accertamento relativo alla scriminante della legittima difesa reale o putativa e dell'eccesso colposo deve essere effettuato con un giudizio ex ante calato all'interno delle specifiche e peculiari circostanze concrete che connotano la fattispecie da esaminare, secondo una valutazione di carattere relativo e non assoluto ed astratto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, cui spetta esaminare, oltre che le modalità del singolo episodio in se considerato, anche tutti gli elementi fattuali antecedenti all'azione che possano aver avuto concreta incidenza sull'insorgenza dell'erroneo convincimento di dover difendere sé o altri da un'ingiusta aggressione, senza tuttavia che possano considerarsi sufficienti gli stati d'animo e i timori personali» del soggetto che invoca la scriminante: Cass. I, n. 13370/2013, Cass. IV, n. 33591/2016; Cass. V, n. 29365/2019. Sulla stessa linea interpretativa è attestata una parte della dottrina (Antolisei, P.G. 1975, 239; Romano, Commentario, 559; Mantovani, P.G. 1979, 240). A diversa conclusione giunge, invece, altra parte della dottrina secondo la quale «La funzione della norma permissiva è bensì quella di orientare la condotta, ma nella soluzione di un conflitto d'interessi, stabilendo quale dei due debba prevalere in termini obiettivi. Ed è allora ben difficile prospettare la soccombenza dell'uno rispetto all'altro, quando il pericolo non risulti in definitiva tale da giustificare il sacrificio dell'aggressore; nella difesa legittima, non si tratta soltanto di dichiarare non punibile la reazione dell'aggredito, ma di attribuirle carattere di piena liceità per l'intero ordinamento; ed una piena liceità postula una valutazione che si riferisca all'effettività della situazione determinata, e cioè all'intero complesso di circostanze conosciute, prima, durante e dopo la commissione del fatto reattivo» (Padovani § 3; Grosso, 33). Misure cautelari L'art. 273 comma 2 c.p.p. stabilisce che «nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione». Sul punto, la giurisprudenza si è consolidata nel ritenere che «l'operatività del divieto di applicazione delle misure cautelari personali previsto dall'art. 273, comma 2, c.p.p. — secondo cui nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione — non richiede che la ricorrenza dell'esimente sia stata positivamente comprovata in termini di certezza, essendo sufficiente, a tal fine, la sussistenza di un elevato o rilevante grado di probabilità che il fatto sia compiuto in presenza di una causa di giustificazione»: Cass. I, n. 72/2011; Cass. I, n. 6630/2010; contra: Cass. I, n. 27001/2001. Formula assolutoria. La Cass. S.U. n. 40049/2008 ha stabilito che «l'accertamento dell'esistenza di una causa di giustificazione determina l'assoluzione dell'imputato con la formula «perché il fatto non costituisce reato», e non con quella «perché il fatto non sussiste»». Secondo, poi, la più recente giurisprudenza «è inammissibile per carenza d'interesse il ricorso dell'imputato avverso la sentenza di assoluzione «perché il fatto non costituisce reato», al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria «perché il fatto non sussiste», ove la sentenza impugnata sia affetta da una palese incoerenza della decisione assolutoria con la motivazione e, pur escludendo la prova dell'elemento oggettivo del reato, assolva ritenendo carente il profilo psicologico, perché ciò esclude ogni pregiudizio per l'impugnante. Infatti, sebbene gli artt. 652 e 654 c.p.p. attribuiscono efficacia vincolante nel giudizio civile o amministrativo alla sentenza penale, compete sempre al giudice civile il potere di accertare autonomamente con pienezza di cognizione i fatti dedotti in giudizio e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all'esito del processo penale»; Cass. VI, n. 49855/2013. Contra: Cass. VI, n. 41706/2013; Cass. IV, 46849/2011; Cass. II, n. 33847/2010 secondo le quali, invece, l'interesse sussiste e va individuato nei diversi e più favorevoli effetti che discendono dagli artt. 652 e 653 nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare. Effetti della sentenza. La Cass. IV, n. 33178/2012, ha ritenuto che «la sentenza di non punibilità dell'imputato per aver agito in stato di legittima difesa putativa non consente al giudice penale di pronunciare alcuna statuizione civile sull'esistenza del danno e di liquidare l'indennità prevista dall'art. 2045 c.c. nei confronti del danneggiato». La Corte ha spiegato che la sentenza di assoluzione, ex combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 538 c.p.p., non consente alcuna pronuncia sulle statuizioni civili. Infatti, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., la sentenza di assoluzione ha efficacia di giudicato nell'ambito del giudizio civile di danni solo relativamente a questi accertamenti: di conseguenza, la costituita parte civile, divenuta irrevocabile la sentenza di assoluzione impugnata, potrà far valere solo innanzi al giudice civile il suo diritto alla indennità di cui all'art. 2045 c.c. avendo efficacia di giudicato l'accertamento che il fatto è stato compiuto in stato di legittima difesa putativa. Sul punto, va, infatti, rammentato, che per la giurisprudenza civile, «l'art. 2045 c.c. (il quale prevede che l'autore del fatto dannoso commesso in stato di necessità è tenuto a corrispondere una indennità al danneggiato) è applicabile, per analogia, nel caso di danno cagionato da persona non punibile per aver agito in stato di cosiddetta legittima difesa putativa»: Cass. civ. III, n. 4029/1995. Diritto Intertemporale Si è posto in giurisprudenza il problema di stabilire quale sia la legge applicabile nel caso in cui il fatto per il quale l'imputato invochi la scriminante di cui all'art. 52 c.p. sia stato commesso sotto la vigenza della previgente normativa, ma la sentenza sia pronunciata sotto quella novellata. Sul punto occorre distinguere. Se la suddetta problematica si pone durante la fase del giudizio, è pacifico che il giudice della cognizione deve applicare l'art. 2 c.p.: il che significa che l'imputato dev'essere giudicato con le nuove e più favorevoli norme anche se abbia commesso il fatto durante la previgente normativa. Più delicata è la problematica che si pone quando la nuova più favorevole normativa intervenga quando la sentenza di condanna sia già passata in giudicato. In tale ipotesi si è posta la questione di verificare se e in che termini il giudice dell'esecuzione possa applicare la nuova più favorevole normativa. La risposta che è stata data al suddetto quesito è racchiusa nella seguente massima: «In caso di sentenza di condanna pronunciata prima dell'entrata in vigore di una modifica legislativa che introduca una nuova scriminante od ampli la sfera di operatività di una scriminante già esistente, rientra tra le attribuzioni del giudice dell'esecuzione il potere di verificare la ricorrenza dei presupposti - purché specificamente allegati dall'istante - per l'applicazione retroattiva della scriminante ai sensi dell'art. 2, comma secondo, c.p., ma non quello di revocare detta sentenza ex art. 673 c.p.p., non versandosi in ipotesi di "abolitio criminis" derivante da abrogazione o da dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice»: Cass. I, n. 14161/2020; Cass. I, n. 37430/2020; Cass. V, n. 23040/2021. A tale conclusione la S.C. è pervenuta sulla scia dell'interpretazione che dell'art. 673 c.p.p. ha dato la Corte cost. con la sentenza n. 96/1996: è stato, infatti, affermato che «il principio di retroattività della legge più favorevole di cui all'art. 2 c.p., comma 2, trova attuazione non soltanto nei casi in cui si verifichi l'abolitio criminis in senso proprio (con eliminazione di una fattispecie tipica di reato dal sistema penale), ma anche quando la novazione legislativa si realizzi attraverso una diversa e più dettagliata descrizione del fatto di reato, ovvero mediante la previsione di una causa che conduce alla non punibilità, così da escludere l'applicabilità della norma incriminatrice in talune delle ipotesi che precedentemente rientravano nella fattispecie generale. Esso, pertanto, non può non estendersi alle cause scriminanti, poichè queste ultime, per come dogmaticamente costruite (elementi oggettivi negativi della fattispecie criminosa), incidono direttamente sulla struttura essenziale del reato e sulla sua punibilità, facendone venir meno il disvalore e, quindi, escludendo l'illiceità penale (così, con specifico riguardo alla novella legislativa de qua, Sez. 1, n. 39977 del 14/5/2019, Addis, Rv. 276949 - 01; Sez. 5, n. 12727 del 19/12/2019, dep. 2020, Morabito, n. m.; v. anche Sez. 6, n. 38356 del 12/6/2014, P.G. in proc. Traviglia, Rv. 260282 - 01, con riferimento alla causa di giustificazione prevista dalla l. 3 agosto 2007, n. 124, art. 17, comma 7, relativa alle attività compiute dai soggetti che agiscono in concorso con i dipendenti dei servizi di informazione per la sicurezza)». La S.C., nella citate sentenze, ha, peraltro, precisato che il giudice dell'esecuzione può incidere sul giudicato solo ove l'interessato assolva l'onere di allegare, alla luce della nuova disciplina dell'art. 52 c.p., gli elementi circostanziali della fattispecie concreta che consentirebbero di integrare la "nuova" legittima difesa in suo favore, siccome emersi dalle sentenze di merito e da quella della Corte di cassazione. BibliografiaBonfiglio, «Nuova» legittima difesa e Cedu, in Indice pen. 2009, 671; Cadoppi, La legittima difesa domiciliare (c.d. “sproporzionata” o “allargata”): molto fumo e poco arrosto, in Dir. pen. e proc., 2006, 434; Consulich F.: La legittima difesa, tra limiti oggettivi e meritevolezza soggettiva, in Giur. It., 2019, 2732; Consulich: La legittima difesa assiomatica. Considerazioni non populistiche sui rinnovati artt. 52 e 55 c.p. in Giur. pen. 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