Codice Penale art. 64 - Aumento di pena nel caso di una sola circostanza aggravante.

Geppino Rago

Aumento di pena nel caso di una sola circostanza aggravante.

[I]. Quando ricorre una circostanza aggravante, e l'aumento di pena non è determinato dalla legge, è aumentata fino a un terzo la pena che dovrebbe essere inflitta per il reato commesso.

[II]. Nondimeno, la pena della reclusione da applicare per effetto dell'aumento non può superare gli anni trenta [132 2].

Inquadramento

L'art. 64 disciplina le modalità con le quali dev'essere determinato l'aumento di pena nell'ipotesi in cui al reato acceda una sola circostanza aggravante comune (cfr. commento art. 63 ) che non prevede di per sé alcun aumento di pena (es. artt. 61, 112 comma 1).

Il comma 1 stabilisce che l'aumento della pena (quindi sia quella pecuniaria che detentiva) può essere aumentata fino ad un terzo.

La pena da aumentare è quella che in concreto il giudice ritiene di irrogare (c.d. pena base).

La norma in commento determina il limite massimo (un terzo) ma non quello minimo: quindi, il minimo per la pena pecuniaria (multa o ammenda) potrà essere di euro 1, mentre il minimo per la pena detentiva (arresto o reclusione) sarà di almeno un giorno: infatti, le norme di cui agli artt. 23, 24, 25 e 26 disciplinano i limiti ai quali sono sottoposte le varie tipologie di pene nella determinazione della misura intermedia e finale, ma nulla stabiliscono in ordine all'aumento frazionario della pena derivante, appunto, dalla sussistenza delle circostanze (opinione pacifica: Romano, 696; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 542).

Nell'ipotesi di condanna per reati punibili con pena detentiva congiunta a quella pecuniaria, l'aumento o la diminuzione della pena per l'applicazione di circostanze aggravanti o attenuanti deve riferirsi a entrambe le pene congiunte, ma bene può adottarsi una diversa misura di aumento o di diminuzione in confronto alla pena base pecuniaria e a quella detentiva: Cass. II, n. 6353/1974; Cass. VI, n. 22650/2001; Cass. IV, n. 20228/2012; Cass. III, n. 37849/2015.

Poiché la pena base unita all'aggravante fino ad un terzo, può, in ipotesi, superare la pena di anni trenta (ad es. pena base per omicidio = anni 24 + un terzo per l'aggravante ex art. 61 n. 5 =  anni 32 di reclusione), il comma 2 stabilisce il limite insuperabile di anni trenta di reclusione: dal che si è dedotto che nessuna aggravante comune non determinata può determinare l'ergastolo e, se accede ad un reato per il quale è già previsto l'ergastolo, non produce alcun effetto (cd. circostanza inerte: Romano): ovviamente, la suddetta regola è di natura generale, sicché ben può essere derogata da norme speciali (ad es. nell'omicidio, alcune aggravanti comuni — art. 61 n.1, 2, 4 — essendo richiamate nelle aggravanti speciali di cui agli artt. 576-577, se ritenute sussistenti, comportano l'ergastolo).

In ordine alla mancanza di effetto della circostanza aggravante nell'ipotesi in cui acceda ad un reato che prevede già l'ergastolo (cd. circostanza inerte), è opportuno osservare che, se la suddetta circostanza è, in effetti, inerte nel senso che non produce alcun effetto ai fini dell'art. 64 c.p., ciò non significa che la sua sussistenza non possa produrre altri effetti: ed è proprio sulla base di questa osservazione che Cass. S.U., n. 337/2009, hanno statuito che la circostanza aggravante prevista dall'art. 7 d.l. n. 152/1991, conv. in l. n. 203/1991 - ora art. 416-bis.1 (aver agito avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis o al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso) è applicabile anche ai delitti astrattamente punibili con la pena edittale dell'ergastolo e pertanto può essere validamente contestata anche con riferimento ad essi, ma opera in concreto solo se, di fatto, viene inflitta una pena detentiva diversa dall'ergastolo, mentre, se non esclusa all'esito del giudizio di cognizione, esplica comunque la sua efficacia a fini diversi da quelli di determinazione della pena», venendo ad incidere «pure in difetto di incremento della pena dell'ergastolo: sia sul versante delle indagini, in ordine all'attribuzione delle funzioni di pubblico ministero all'ufficio di Procura distrettuale e di quelle di giudice per le indagini preliminari al G.i.p. distrettuale (artt. 51 comma 3-bis e 328 comma 1-bis c.p.p.), ai termini di durata delle indagini preliminari, alla loro proroga e divieto di sospensione nel periodo feriale (artt. 407 comma 2 lett. a n. 3 e 406 comma 5-bis c.p.p., art. 21-bis d.l. n. 306/1992), ai criteri di scelta e ai termini di durata massima della custodia cautelare (art. 275 comma 3, 303 comma 1, lett. a n. 3 e lett. b n. 3-bis, e 304 comma 2 c.p.p.), al regime delle intercettazioni (artt. 13 d.l. n. 152/1991 e 295 comma 3-bis c.p.p.); sia sul terreno del dibattimento, per le particolari regole di acquisizione della prova dichiarativa (artt. 190-bis, comma 1 c.p.p., 146-bis e 147-bis disp. att. c.p.p.); sia sugli effetti patrimoniali della condanna, attesa l'ipotesi particolare di confisca prevista dall'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992; sia, infine, sull'esecuzione della pena detentiva, quanto al divieto di sospensione della stessa (art. 656 comma 9 lett. a c.p.p.), al trattamento penitenziario differenziato (artt. 4-bis, comma 1, 21, comma 1, 30-ter, comma 4, 41-bis, 47-ter, 50, comma 2, 58-ter, 58-quater l. n. 354/1975; artt. 37, comma 8, e 39, comma 2 d.P.R. n. 230/2000) ed all'esclusione dai benefici della sospensione condizionata dell'esecuzione — c.d. «indultino» — (art. 1, comma 3 lett. a l. n. 207/2003) e dell'indulto (art. 1, comma 2 lett. d l. n. 241/2006); conforme Cass. VI, n. 20144/2010. Il comma 2, quindi, stabilisce due limiti: a) la norma si riferisce alle sole aggravanti comuni non determinate; b) si applica ai soli delitti e alla sola reclusione.

Problemi applicativi

Il suddetto duplice limite, ha fatto sorgere i seguenti problemi:

a) quale sia la pena massima che il giudice può irrogare nell'ipotesi in cui il reato sia aggravato da una circostanza che preveda un autonomo aumento (es. art. 112 commi 2-3);

b) quale sia la pena massima che il giudice può irrogare nell'ipotesi in cui il reato — aggravato da una circostanza aggravante comune non determinata — preveda una pena diversa dalla reclusione (arresto; multa, ammenda).

In ordine al quesito sub a), la dottrina ha sostenuto che, pur essendo ragionevole che anche per le circostanze con aumento proporzionale determinato in misura autonoma (fino alla metà; da un terzo alla metà, ecc.), si applichi il limite sancito dall'art. 64 cpv., tuttavia, tale estensione analogica rischierebbe di prospettarsi in malam partem. Di conseguenza, si è ritenuto che, in assenza di un'apposita regolamentazione, si deve, in realtà, far capo al più favorevole limite generale sancito per la reclusione dall'art. 23, comma 1, (anni ventiquattro), norma generale non derogata nel caso specifico (Padovani, 208).

In ordine al quesito sub b), si è sostenuto che, nel silenzio della legge, il limite massimo dell'aumento coincida comunque con quello generale stabilito per la multa dall'art. 24, comma 1, per l'arresto dall'art. 25, comma 1, e per l'ammenda dall'art. 26 (Padovani, 208): in tal senso pare orientata anche la giurisprudenza secondo la quale i limiti minimi a massimi vanno sempre rispettati incorrendosi, altrimenti nell'irrogazione di una pena illegale: Cass. II, n. 6324/1976 «Nella inflizione della pena non può essere superato in ogni caso — sia per quanto riguarda il massimo sia per quanto riguarda il minimo — il limite fissato dalla legge per ciascuna specie di pena. Tale limite va rispettato anche nelle singole operazioni di computo intermedio, non potendosi oltrepassare con una riduzione il minimo stabilito per una specie di pena, perchè altrimenti si verrebbe a snaturare nel corso del computo, la pena da calcolare»; Cass. V, n. 46790/2005; Cass. II, n. 5973/2010 (quanto al minimo legale); Cass. VII, n. 27674/2016 (quanto al limite minino di giorni 15 per la reclusione). Di conseguenza, ove sia stata applicata – a seguito di un patteggiamento – una pena inferiore o superiore al limite legale , In tema di patteggiamento, «l'illegalità della pena rende invalido l'accordo su di essa concluso tra le parti e ratificato dal giudice, comportando l'annullamento senza rinvio della sentenza che l'abbia recepito, con esclusione della procedura di rettificazione dell'errore materiale»: Cass. VI, n. 44948/2019. 

 

Bibliografia

Padovani, voce Circostanze del reato, in Dig. d. pen., II, Torino 1988.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario