Codice Penale art. 80 - Concorso di pene inflitte con sentenze o decreti diversi.

Geppino Rago

Concorso di pene inflitte con sentenze o decreti diversi.

[I]. Le disposizioni degli articoli precedenti si applicano anche nel caso in cui, dopo una sentenza [442 2, 448 1, 533, 605 1 c.p.p.] o un decreto di condanna [460 1-2 c.p.p.], si deve giudicare la stessa persona per un altro reato commesso anteriormente o posteriormente alla condanna medesima, ovvero quando contro la stessa persona si debbono eseguire più sentenze o più decreti di condanna [663 c.p.p.].

Inquadramento

L'art. 71, come s'è visto, prende in considerazione l'ipotesi che, con una sola sentenza o decreto, l'imputato sia condannato per più reati (concorso materiale) e, nei successivi artt. da 72 a 79 disciplina le modalità con le quali le pene devono essere applicate.

L'art. 80, invece, prende in considerazione l'ipotesi delle pene inflitte con più sentenze o decreti nelle seguenti tre ipotesi:

a) quando, dopo una sentenza o un decreto di condanna, si deve giudicare la stessa persona per un altro reato commesso anteriormente alla suddetta condanna;

b) quando, dopo una sentenza o un decreto di condanna, si deve giudicare la stessa persona per un altro reato commesso posteriormente alla suddetta condanna;

c) quando, contro la stessa persona, si debbono eseguire più sentenze o più decreti di condanna.

In tutte e queste tre ipotesi, le regole che si applicano, sono, così come per l'art. 71, quelle previste negli artt. da 72 a 79.

La ratio della norma in commento è chiara e consiste nel garantire il medesimo trattamento ad una situazione che, in pratica, è identica a quella prevista dall'art. 71 dalla quale si differenzia per la sola circostanza che, in questa, il concorso materiale è stato giudicato in una sola volta.

L'art. 80, quindi, si applica non solo in fase di cognizione (ipotesi sub a e b) ma anche e soprattutto, nella fase dell'esecuzione (ipotesi sub c, nel quale caso, si applica la procedura di cui all'art. 663 c.p.p.).

Il meccanismo del cumulo

Le regole da applicare, come si è detto, sono quelle previste negli artt. 72, 79 al cui commento si rinvia (in specie artt. 76, 78).

Tuttavia, l'applicazione delle suddette regole non è così semplice, specie nei casi in cui occorre applicarle quando una parte della pena è già stata espiata.

I due paragrafi che seguono, sono, quindi, dedicati all'illustrazione delle regole generali sottese al meccanismo del cumulo, regole che si desumono da principi che la giurisprudenza ripete, ormai tralaticiamente, da anni (ex plurimis: Cass. I, n. 2934/1990; Cass. I, n. 4940/1998; Cass. I, n. 31214/2004; Cass. I, n. 19540/2004; Cass. I, n. 45775/2008; Cass. I, n. 7762/2012; Cass. I, n. 32896/2014; Cass. I, n. 37630/2014).

Segue: L' unità del rapporto esecutivo

La prima regola è quella dell'unità del rapporto esecutivo, regola che si applica alle pene comminate per reati commessi prima dell'inizio della detenzione.

Corollario della predetta regola è il principio secondo cui ciascun periodo di detenzione, per custodia cautelare o in espiazione di pena, sofferto prima del cumulo, pur essendo stato determinato da uno o più titoli (custodia cautelare o sentenze di condanna), allorché si procede all'unificazione delle pene concorrenti non può essere riferito specificamente al titolo da cui ha tratto origine, ma va imputato unitariamente al cumulo delle pene inflitte per tutti i reati commessi precedentemente alla carcerazione di che trattasi. E' in tale ottica che si affermato il principio secondo il quale «ai fini dell'esecuzione di pene concorrenti, vanno inserite nel cumulo, non solo tutte le pene che non risultino ancora espiate alla data di commissione dell'ultimo reato, ma anche quelle già espiate che comunque possano avere un riflesso sul criterio moderatore di cui all'art. 78  o sul cumulo materiale, anche in vista della maturazione dei requisiti temporali per l'ammissione ad eventuali benefici penitenziari»: Cass. I, n. 20207/2018.

Un esempio chiarirà quanto si è appena detto.

Si ipotizzi che un soggetto sia condannato, con più sentenze passate in giudicato alle pene di anni uno (reato a), anni due (reato b), anni cinque (reato c) e che, per il reato sub a) sia stato detenuto in custodia cautelare per anni uno e mesi sei. Se le varie pene continuassero, anche dopo il cumulo, ad essere imputabili ai singoli titoli di reato, il presofferto di anni uno e mesi sei, dovrebbe essere imputato al solo titolo di reato sub a) per il quale il condannato ha riportato una condanna in concreto di anni uno, con la conseguenza che rimarrebbe “in credito” di sei mesi di carcerazione. Il principio dell'unità del rapporto esecutivo consente, invece, di imputare il presofferto di anni uno e mesi sei, al cumulo complessivo di anni otto e, quindi, di detrarlo totalmente dai reati commessi anteriormente (art. 137).

È questo, quindi, che la giurisprudenza intende dire quando afferma che il principio dell'unità del rapporto esecutivo mira ad evitare al condannato un possibile pregiudizio derivante dalla distinta esecuzione delle sanzioni penali irrogate per una pluralità di reati.

Ora, se si tratta di determinare il cumulo fra reati già giudicati ed altri reati giudicati posteriormente al cumulo ma aventi ad oggetto fatti commessi anteriormente, la determinazione della nuova pena è relativamente semplice in quanto si tratta di “aggiornare” il precedente cumulo che il condannato sta già scontando, con le altre condanne che ad esso erano “sfuggite” perché intervenute successivamente.

Un esempio chiarirà quanto si è appena detto.

Si ipotizzi un periodo compreso fra il 1 gennaio 2000 ed il 1 gennaio 2010.

Tizio, a seguito di diverse condanne, è condannato — in data 30 gennaio 2012 — per effetto del cumulo, ad espiare una pena di anni venticinque, perché, ad es., fra i tutti i reati per cui ha riportato condanna, il più grave è una rapina per la quale è stato condannato ad anni cinque. La somma totale di tutti i reati sarebbe, ad es. di anni ventisette, ma, grazie all'effetto moderatore del quintuplo della pena più grave, di cui all'art. 78, comma 1, la pena diventa di anni venticinque (anni cinque x il quintuplo).

Successivamente, quando Tizio ha già scontato, ad es. tre anni, viene nuovamente condannato — in data 30 gennaio 2015 — per un'altra serie di reati commessi sempre nel periodo compreso fra il 1 gennaio 2000 ed il 1 gennaio 2010, ad un'ulteriore complessiva pena di anni trentacinque che, per effetto del cumulo diventa di anni trenta perché, ad es., il reato più grave è considerato un'estorsione per la quale gli è stata inflitta la pena di anni sei di reclusione (anni sei per il quintuplo).

A questo punto, Tizio si trova, per tutti i reati commessi dal 1 gennaio 2000 al 2010, condannato a due pene: quella di venticinque anni del primo cumulo e quella ulteriore di trenta anni del secondo cumulo. Essendo vietata una pena di cinquantacinque anni, il Pubblico Ministero deve procedere in tal senso: i due cumuli si devono prima sciogliere; poi, si deve accertare quali fra tutti i reati per cui ha conseguito condanna sia il più grave (nell'esempio ipotizzato, l'estorsione, per anni sei); quindi procedere ad un nuovo cumulo (che, nell'esempio ipotizzato, sarà sempre di trenta anni perché costituisce il limite insuperabile) dal quale sarà detratto il presofferto (nell'esempio, anni tre). Il risultato del nuovo cumulo (o meglio dell'aggiornamento del cumulo), sarà, quindi, che a Tizio resta da espiare una pena non più di ventidue anni (venticinque — tre) come nel primo cumulo, ma di ventisette anni (trenta anni — tre).

Segue. Il cumulo frazionato

La seconda regola, è enunciata dalla giurisprudenza nei seguenti termini: «qualora si tratti di reati commessi e di periodi di carcerazione sofferti in tempi diversi, vanno cronologicamente ordinati, da una parte, i reati e, dall'altra, i periodi di carcerazione, per poi procedere ad operazioni successive, detraendo ogni periodo dal cumulo (parziale) delle pene relative ai reati commessi in precedenza, fino a determinare, con l'ultima delle dette operazioni, la pena residua decorrente dalla data dell'ultimo arresto o dell'ultimo reato, se commesso nel corso della carcerazione in atto»: ex plurimis Cass. I, n. 31214/2004; Cass. V, n. 50135/2015; «in tema di esecuzione di pene concorrenti inflitte con condanne diverse, qualora, durante l'espiazione di una determinata pena, o dopo che l'esecuzione di quest'ultima sia stata interrotta, il condannato commetta un nuovo reato, non può effettuarsi il cumulo di tutte le pene, ma occorre procedere a cumuli parziali, ossia, da un lato, al cumulo delle pene inflitte per i reati commessi sino alla data del reato cui si riferisce la pena parzialmente espiata, con applicazione del criterio moderatore dell'art. 78  e detrazione dal risultato del presofferto, e, dall'altro, ad un nuovo cumulo, comprensivo della pena residua e delle pene inflitte per i reati successivamente commessi, sino alla data della successiva detenzione»: Cass. I, n. 46602/2019.

Infatti, in presenza di una pluralità di condanne e di periodi di detenzione sofferti in tempi diversi, non è possibile procedere a un unico cumulo delle pene concorrenti e detrarre, poi, da detto cumulo, la somma complessiva dei periodi di presofferto, qualora i periodi di carcerazione si riferiscano a condanne per reati commessi in tempi diversi, prima, durante e dopo la detenzione, poiché tale modalità di computo delle pene concorrenti si porrebbe in contrasto con il principio stabilito dall'art. 657 c.p.p., comma 4 secondo cui l'esecuzione della pena non può precedere la commissione del reato. In tal caso, è necessario procedere alla formazione di cumuli parziali con computo separato, per ciascuno di essi delle detrazioni che devono a vario titolo essere operate e con applicazione, prima sui cumuli parziali e poi su quello finale, del criterio moderatore previsto dall'art. 78.

Si deve procedere ai cumuli parziali anche per evitare l'effetto distorsivo che si verificherebbe nel caso in cui il condannato, per effetto di un cumulo, abbia già raggiunto e scontato la pena massima di anni trenta ex art. 78.

Invero, il limite massimo di cui alla suddetta norma, non deve essere inteso nel senso che il pluricondannato non possa essere detenuto, nel corso della vita, per un periodo complessivamente eccedente tale limite, poiché ciò equivarrebbe ad una ratifica di impunità per qualsiasi delitto commesso da soggetti che abbiano già scontato una pena pari ad anni 30 di reclusione; la norma non ha valenza assoluta bensì relativa, nel senso che, in caso di esecuzione di una pluralità di condanne a pena detentiva, il criterio moderatore in questione opera con riguardo alla somma tra il residuo delle pene ancora da espiare all'atto della commissione (in stato di libertà o in detenzione) di ogni nuovo reato e la pena per quest'ultimo inflitta.

Da qui, quindi, la necessità di procedere ad ulteriore cumulo comprendente oltre alla pena inflitta per il nuovo reato (non più sottoposta al criterio moderatore dell'art. 78) anche quella parte eventualmente non ancora espiata risultante dal cumulo precedente. Dunque, nella diversa ipotesi di sopravvenienza di nuove decisioni di condanna per fatti antecedenti l'inizio della detenzione, a ben vedere, non si tratta di emettere un «nuovo» cumulo (in quanto il rapporto esecutivo resta unico), quanto di adeguare e aggiornare il titolo già in esecuzione con piena applicabilità del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. e delle altre norme riguardanti l'esecuzione di pene concorrenti.

Cerchiamo di chiarire con esempi il significato di tutti questi principi.

Si ipotizzino due periodi: il primo compreso fra il 1 gennaio 2000 ed il 1 gennaio 2005; il secondo fra il 2 gennaio 2005 ed il 1 gennaio 2015.

Ad esempio: Tizio è condannato, in data 30 gennaio 2006, ad anni cinque di reclusione per una serie di reati commessi fino al 1 gennaio 2005; dopo avere espiato la suddetta pena (o durante l'espiazione della pena), commette nuovamente una serie di reati per i qual viene nuovamente condannato, ad es. il 30 gennaio 2013, alla pena che, per effetto del cumulo, è di anni quindici.

Tizio, non può pretendere che la pena di anni cinque, già scontata, sia oggetto di un nuovo cumulo con quello dell'ultima condanna (come, invece, avviene, come si è visto, se i due cumuli, sono effetto di condanne per reati avvenuti antecedentemente alla prima sentenza di condanna) in modo da potere godere del criterio moderatore di cui all'art. 78. Quindi, Tizio, dovrà scontare per intero la nuova pena di anni quindici.

Se la norma venisse interpretata diversamente (e cioè nel senso che il criterio moderatore di cui all'art. 78, si deve applicare sempre), la norma sortirebbe un effetto per così dire criminogeno poiché, per dirla con le parole della Corte di legittimità, equivarrebbe ad una ratifica di impunità soprattutto per quei delitti commessi da soggetti che abbiano già scontato una pena pari ad anni 30 di reclusione.

Per comprendere tale concetto, si consideri l'esempio precedente e si ipotizzi che la successiva pena di anni quindici sia il risultato di un cumulo di pene per dieci reati (la cui pena complessiva sarebbe di 25 anni) di cui il più grave è una rapina per il quale Tizio ha riportata la pena di anni tre: quindi, moltiplicando tre anni per cinque, si ottiene la pena di anni quindici. Se si dovesse applicare il cumulo con la pena già scontata di anni cinque, la pena diverrebbe di anni dieci con un “bonus” di cinque anni, con la conseguenza che il condannato (Tizio), sapendo di poterlo “spendere” successivamente alla condanna, potrebbe essere invogliato a compiere ulteriori reati.

L'effetto criminogeno poi, raggiungerebbe il suo diapason, ove si ipotizzi il seguente esempio: Tizio, per effetto di un primo cumulo, ha già scontato la pena massima di trenta anni irrogabile ex art. 78, comma 1, n. 1. Se si dovesse applicare il meccanismo del cumulo per le condanne riportate per fatti successivi a quelli della condanna, Tizio, sarebbe, in pratica legibus solutus, perché per quanti reati dovesse commettere non potrebbe più scontare alcuna pena perché il cumulo fra più condanne non può superare la pena massima di trenta anni (la suddetta regola non varrebbe, comunque, ove il condannato venisse condannato all'ergastolo, perché questa pena è di specie diversa dalle altre e, quindi, sfugge al combinato disposto degli artt. 73, 74, 78).

È per evitare questa sorta di paradossale impunità che la giurisprudenza ha adottato l'interpretazione in base alla quale le condanne del primo cumulo non hanno effetto (salvo quanto appena si dirà) su quella del secondo cumulo avente ad oggetto fatti commessi posteriormente alla condanna del primo cumulo: in altri termini, vi è una sorta di incomunicabilità e netta separazione fra i vari cumuli.

Questa regola, va, però, chiarita.

Se il condannato ha completamente espiato la pena del primo cumulo e successivamente (o durante l'espiazione della pena) commette altri reati, si verifica appunto, la totale autonomia fra i due cumuli in quanto, come si è detto, il condannato dovrà espiare per intero la pena complessiva risultante dal secondo cumulo senza che possa invocare il cumulo con la pena già espiata del primo cumulo (vedi es. precedente).

La questione diventa un pò più complessa, però, quando il secondo cumulo (per reati commessi sempre successivamente alla sentenza di condanna del primo cumulo: ad es. durante l'espiazione della pena; dopo un'evasione) diventa esecutivo quando è in corso l'espiazione della pena del primo cumulo.

Ad es. Tizio si trova in espiazione pena per un cumulo di anni quindici. Nel corso dell'espiazione della suddetta pena commette altri numerosi reati per i quali è condannato — quando ha espiato anni dieci di reclusione — ad una ulteriore pena cumulata pari ad anni trenta.

Si è già detto che non si può addivenire ad un ulteriore e nuovo cumulo con le regole dell'art. 78.

In questi casi, la giurisprudenza afferma che, stante il principio inderogabile dell'unicità della pena, vi è, però, la necessità di procedere ugualmente ad un nuovo cumulo che, sostituendo i primi due, comprenda, oltre alla pena inflitta con il secondo cumulo (nell'esempio: anni trenta), la parte eventualmente non ancora espiata risultante dal primo cumulo (nell'esempio: anni cinque), e questo nuovo cumulo (il terzo) non è soggetto al criterio moderatore dell'art. 78.

Quindi, in concreto, riprendendo l'esempio ipotizzato, il nuovo cumulo (il terzo) sarà costituito dai trenta anni del secondo cumulo al quale sarà aggiunta (senza che operi il criterio moderatore di cui all'art. 78), sic et simpliciter, la pena ancora da espiare del primo cumulo (pari, nell'esempio, ad anni cinque): quindi, Tizio dovrà espiare la pena complessiva di anni trentacinque.

Per concludere e per rendere ancora più chiaro quanto si è appena detto in tema di cumulo parziale, si ipotizzi una situazione in base alla quale Tizio ha riportato una serie di condanne inframmezzate da periodi di carcerazione.

Elenco condanne Elenco presofferti
Sentenze definitive in data: a) 30 gennaio 1991 per anni due; 15 febbraio 1991 per anni uno; c) 30 novembre 1991 per anni tre; d) 15 febbraio 1992 per anni due; e) 10 aprile 1992 (per anni quattro); f) 10 maggio 1992 (per anni due); g) 10 ottobre 1992 (per anni tre; h) 30 novembre 1992 (per anni uno); i) 15 gennaio 1993 (per anni due); l) 30 aprile 1993 (per anni cinque)

Periodi di pena presofferta

1) Dal 1° dicembre 1991 al 28 febbraio 1992; 2) dal 15 novembre 1992 al 15 dicembre 1992; 3) dal 15 maggio 1993 al 15 luglio 1993

Il primo cumulo parziale sarà costituito dalle condanne riportate in data antecedente al 1° dicembre 1991 (e cioè al primo periodo di carcerazione) e porta ad un cumulo di anni otto (condanne di cui ai punti sub a, b, c, d): in tale ipotesi, non opera il criterio moderatore di cui all'art. 78 c. p. perché il quintuplo del reato più grave (anni tre), ossia anni quindici è inferiore alla somma dei singoli reati (anni otto). Ciò si dice perché, ogni volta che si effettua un cumulo (sia pure parziale) occorre verificare se si applica, nell'ambito del singolo cumulo parziale, il criterio moderatore di cui all'art.78. Quindi, nel caso di specie, dalla pena di anni otto va detratto il periodo del presofferto pari a 90 giorni: la pena da scontare è di anni sette, mesi 9. 

Il secondo cumulo parziale, sarà costituito dalle condanne riportate in data antecedente al 15 maggio 1993 (e cioè dal terzo periodo di carcerazione) e porta ad un cumulo di anni dieci (condanne di cui ai punti sub e, f, g, h: anche in tale caso non opera il criterio moderatore di cui all'art. 78): alla pena di anni dieci occorre sommare la pena del precedente cumulo pari ad anni sette e mesi nove (senza, quindi, neppure verificare se si applica il criterio moderatore di cui all'art. 78), sicché si ottiene un totale di anni diciassette e mesi nove dai quali va detratto il secondo periodo di presofferto pari a giorni trenta: la pena, così rideterminata, è, quindi, pari ad anni diciassette e mesi otto di reclusione.

Il terzo cumulo parziale sarà, infine, costituito dalle condanne riportate in data antecedente al 15 novembre 1992 (e cioè dal terzo periodo di carcerazione) e porta ad un cumulo di anni sette (condanne di cui ai punti sub i, l: anche in tale caso non opera il criterio moderatore di cui all'art. 78): alla pena di anni sette, occorre sommare occorre sommare la pena del precedente cumulo pari ad anni diciassette e mesi otto di reclusione, sicché si ottiene un totale di anni ventiquattro e mesi otto di reclusione dal quale va detratto l'ultimo periodo di presofferto pari a giorni sessanta. La pena finale che il condannato dovrà espiare è quindi di anni ventiquattro e mesi sei di reclusione, che decorrerà dalla data dell'ultimo reato ovvero da quella del successivo arresto, secondo che il nuovo reato sia stato commesso durante l'espiazione della pena precedente oppure dopo la sua interruzione (cumulo frazionato) (Cass. I, n. 7762/2012).

Infine, è opportuno precisare che la regola del cumulo parziale (per la quale si deve formare ogni volta un cumulo che comprenda i reati commessi antecedentemente alla data dell'inizio del periodo di custodia cautelare) non è altro che l'applicazione della regola di cui agli artt. 137 c.p. e 657, comma 4, c.p.p. in base alla quale non può imputarsi alla pena inflitta per un determinato reato la carcerazione sofferta precedentemente alla sua consumazione, perché diversamente l'istituto potrebbe agevolare la commissione di nuovi reati con la sostanziale garanzia dell'impunità (ex plurimis Cass. I, n. 20332/2006).

Questa regola comporta che, se, in ipotesi, il primo (o l'unico) cumulo di pene è inferiore al periodo di custodia cautelare patito dal condannato, la differenza, come si è detto, non può essere “trascinata” nei successivi cumuli (non può, cioè il condannato farla valere, come se fosse un credito, nei reati che dovesse successivamente commettere), sicché al condannato non resta altro che richiedere il risarcimento per ingiusta detenzione. Infatti, la regola della fungibilità tra periodi di detenzione subiti per reati diversi e condanna in esecuzione (di cui all'art. 657, comma 1 c.p.p.) si applica sempre all'interno di ogni cumulo.

Questo è, nelle sue linee portanti, il meccanismo del cumulo frazionato delle pene.

Ovviamente, poi, in concreto, la determinazione del cumulo è un’operazione molto complessa sulla quale incidono, in varia misura, i vari benefici di cui il condannato può godere (sospensione condizionata dell’esecuzione della pena; indulto, amnistia, affidamento in prova ecc.): Cass. I, n. 51650/2018 (relativamente alla sospensione condizionata della pena). 

Sul punto, senza pretesa di alcuna esaustività (per la quale non può che rinviarsi alla complessa e specialistica disciplina dell'esecuzione penale), si rinvia a quanto si è già illustrato nel commento degli artt. 76, 78.

Bibliografia

Fusi-Renzi, Il cumulo nel processo di esecuzione, Milano, 2018; Fusi, Manuale dell’esecuzione penale, Milano, 2013.

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