Codice Penale art. 82 - Offesa di persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta.

Geppino Rago

Offesa di persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta.

[I]. Quando, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere, salve, per quanto riguarda le circostanze, aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell'articolo 60 [118, 119].

[II]. Qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l'offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà.

Inquadramento

L'articolo in commento, nel prevedere (in rubrica) “l'offesa di persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta” disciplina il caso della c.d. aberratio ictus che si verifica nell'ipotesi in cui chi si rappresenti e vuole realizzare un'offesa ad una determinata persona, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, cagiona l'offesa a persona diversa.

L'art. 83, invece, disciplina l'ipotesi dell'aberratio delicti (cfr. commento sub art. 83).

L'aberratio (sia ictus che delicti) è tradizionalmente inquadrata dalla dottrina (fra gli altri, Romano, 777; Antolisei, PG 1974, 338; Fiandaca-Musco, PG, 403) in un'ipotesi di divergenza tra il voluto ed il realizzato dipendente dal cd errore-inabilità (ossia un errore materiale relativo alla sola fase dell'esecuzione del reato) che consente di distinguerla dalla diversa fattispecie dell'errore di cui all'art. 47 (cd. errore-vizio) che incide, invece, sulla formazione della volontà.

L'art. 82 è strutturato su due commi:

nel primo è regolamentata l'ipotesi della cd. aberratio ictus monolesiva: Tizio vuole colpire Caio ma, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato (sbaglia mira), o per un'altra causa (la vittima designata improvvisamente si sposta), colpisce solo Sempronio;

nel secondo è regolamentata l'ipotesi della cd. aberratio ictus plurilesiva: Tizio, con un coltello, vuole colpire Caio e lo colpisce ma, contemporaneamente, per errore, colpisce anche Sempronio (ad. es. perché, all'improvviso si è interposto fra la vittima e l'agente).

In dottrina, si è, poi, evidenziato che la divergenza fra il voluto ed il realizzato (ossia l'aberratio) può verificarsi non solo nelle ipotesi previste espressamente dal codice (ictus: art. 82; delicti: art. 83) ma anche nella fase della causazione dell'evento. Si parla, quindi, anche di aberratio causae che si verifica quando l'evento voluto e realizzato dall'agente, si attua in modo diverso da quello previsto.

Peraltro, poiché, a ben vedere, entrambe le fattispecie di aberratio previste dal codice non sono altro che l'effetto di una anomalia del processo causale, ci si è chiesti quale sia l'utilità pratica di tale ulteriore nozione, al di là di una più puntuale classificazione che vede le due aberratio di matrice codicistica porsi in un rapporto di species a genus rispetto alla aberratio causae.

In merito si è chiarito (Fiandaca-Musco, PG, 391; Mantovani, PG 1979, 327) che la suddetta nozione è priva di ogni rilevanza nelle ipotesi dei reati a forma libera (ad es. un omicidio) per i quali è sufficiente che l'agente si prefiguri il risultato come conseguenza normale dell'azione che egli ha innescato, essendo, quindi, del tutto irrilevante, se l'evento si verifica in altro modo: ad. es. Tizio, volendo annegare Caio, lo scaraventa in un fiume; Caio muore non per annegamento ma perché, nel cadere in acqua sbatte contro uno scoglio. Tizio, risponderà comunque di omicidio essendo irrilevante che egli voleva uccidere Caio per annegamento.

Al contrario, la suddetta nozione, assume importanza nei reati a forma vincolata per i quali la legge stabilisce che l'evento sia prodotto in una data maniera, come ad es. nel dolo del reato di epidemia (art. 438) che si ha solo se l'agente abbia la consapevolezza che l'evento (epidemia) sia cagionato mediante la diffusione di germi patogeni: in tal caso, una aberratio nel processo causale può portare all'assoluzione dell'agente sotto il profilo dell'assenza dell'elemento psicologico, in quanto, pur sussistendo il dolo, ha realizzato un fatto atipico: al più, ove ne ricorrano i requisiti, può rispondere del delitto di omicidio.

Da ultimo, in dottrina (Cornacchia § 2), mentre sotto il profilo dell'elemento materiale, si è convenuto con la conclusione alla quale è pervenuta la dottrina e di cui si è appena detto, sotto il profilo soggettivo della condotta, si è sostenuto che, relativamente all'elemento psicologico del dolo, un'indagine sul medesimo, non sposta la problematica in quanto «non si può non rimarcare come il dolo abbracci non solo la previsione dell'evento, ma anche quella di nessi di regolarità, che possono essere alterati dalla presenza dell'elemento aberrante; sembra dunque indebito rifiutare una effettiva concretizzazione del dolo stesso che giunga correttamente a ricomprendere le modalità, tipicizzate o meno che siano, della causazione». Di conseguenza, poiché nell'oggetto del dolo, vanno ricompresi quei decorsi causali atipici, riconducibili a errore sul nesso eziologico, che rientrano appunto all'interno del suddetto ventaglio, al più, una variazione causale può essere rilevante in sede di commisurazione della pena ex art. 133, comma 1, n. 1 stabilisce espressamente che il giudice può desumere la gravità del reato da «ogni altra modalità dell'azione».

Il suddetto autore, peraltro, rileva che, sotto il profilo soggettivo, può venire in rilievo l'elemento soggettivo della colpa in tutti i casi in cui l'aberratio causae si concretizzi «nella produzione dell'evento uno svolgimento eccentrico rispetto allo sviluppo causale la cui prevedibile verificazione era tale da rendere la condotta negligente; la relazione deviata perciò non sempre costituisce relazione causale colposa». In tali casi, è necessario, «esaminare le conoscenze e capacità individuali del soggetto agente per valutare se la condotta sarebbe potuta essere realmente evitata, ma l'efficacia della cautela implica un'adeguata conoscenza circa il meccanismo di produzione, quindi anche sotto il profilo dello sviluppo causale, dell'evento: rilevano dunque nel senso dell'eventuale esclusione della colpa anche decorsi causali «anomali», quando, pur producendo in altro modo l'evento, risultano infungibili con quelli rappresentabili ex ante come conseguenza prevedibile del comportamento negligente, imprudente, imperito, ovvero della condotta qualificabile come specificamente pericolosa in vista dell'evento lesivo; altrimenti, ritenere sufficiente al fine dell'imputazione la mera sussistenza di un qualunque nesso causale tra condotta ed evento significa avvalorare la logica del versari in re illicita» ossia della responsabilità oggettiva che non è conforme ai valori costituzionali della responsabilità personale.

Sull'argomento, infine, si può rammentare, ad es., che, in una fattispecie in cui alcuni soggetti, nel dichiarato intento di dare una «lezione» alla vittima della loro aggressione, le avevano provocato lesioni gravi e, subito dopo, nell'erronea convinzione del già avvenuto e non voluto decesso, allo scopo di occultare il presunto cadavere, ne avevano dato alle fiamme il corpo, così cagionandone la morte, Cass. I, n. 16976/2003, ha statuito che quando la condotta dell'agente sia consapevolmente diretta a realizzare un determinato evento, ma questo si verifica non per effetto di quella condotta, bensì di un comportamento sorretto dall'erroneo convincimento della già avvenuta produzione dell'evento, quest'ultimo non può essere imputato a titolo di dolo, se non sotto il profilo del delitto tentato, mentre l'ulteriore frammento della condotta può essere ascritto solo a titolo di colpa, ove il fatto da essa integrato sia previsto come delitto colposo.

L' aberratio ictus monolesiva

Si verifica tale ipotesi, nel caso in cui l'agente, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, cagioni offesa a persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta.

Segue. Campo d'applicazione

L'art. 82 prevede una particolare applicazione dell'errore.

L'errore, com'è ben noto, trova la sua regolamentazione anche in altre norme ed esattamente, negli artt. 47, 48, 49 e 60.

In particolare, l'art. 47 disciplina il cd. errore-motivo e cioè l'errore che, cadendo sul momento ideativo del fatto, incide sulla formazione della volontà (si rinvia al commento dell'articolo), al contrario dell'art. 82 in cui, l'errore cade nell'uso dei mezzi di esecuzione (c.d. errore-inabilità).

In proposito, tuttavia, la dottrina più moderna, ha osservato e precisato che, in realtà, la divergenza tra cagionato e voluto nell'aberratio si determina non tanto e non solo sull'uso dei mezzi di esecuzione, ma sul processo esecutivo e cioè per uno sviluppo non preventivato degli avvenimenti nel corso della realizzazione del reato dovuto a fattori anche non addebitabili all'agente, sicché la denominazione dell'errore come errore-inabilità, non è esatta (Romano, Commentario, 777).

La fattispecie disciplinata nell'art. 82 c.p. si differenzia, poi, anche da quella prevista e regolamentata dall'art. 60 che è limitata alla situazione fattuale dello scambio di persona in cui restano coinvolti tre soggetti (agente; vittima designata; vittima effettiva: vedi commento al suddetto articolo).

Delimitato il campo d'applicazione rispetto ad altre norme con le quali potrebbero sorgere indebite confusioni e sovrapposizioni, resta ora da delimitare l'ambito operativo della norma.

Innanzitutto, sotto un profilo strettamente interpretativo, va notato che, la circostanza che la norma, prevista nella parte generale, parli, in modo generico, di “offesa”, consente di affermare che l'aberratio è un istituto che si applica a tutti i reati, ivi compresi, quindi, le contravvenzioni purché dolose (Fiandaca-Musco, PG, 403; Romano, Commentario, 778).

Va, però, osservato che non tutti i casi di divergenza rispetto all'esecuzione programmata ricadono nell'ambito dell'art. 82.

Il suddetto articolo, come si è detto, stabilisce, in modo espresso, che l'errore deve cadere “sulla persona”.

In dottrina, però, si è posto il problema se l'art. 82 trovi applicazione anche nell'ipotesi in cui l'errore cada non su una persona, ma su un diverso oggetto materiale: ad es. «A vuole distruggere la macchina di B e colloca una bomba ad orologeria; il danneggiamento si verifica però ai danni di C al quale B ha nel frattempo venduto al vettura».

Ad avviso di parte della dottrina (Romano, Commentario, 781), in tale ipotesi (mutamento del soggetto passivo ma non dell'oggetto materiale del delitto) non si verterebbe nell'ambito applicativo dell'art. 82 perché l'offesa ad una persona (soggetto passivo del reato) diversa (C) rispetto a quella che A voleva offendere (B) — ossia il mutamento del soggetto passivo — non avviene in modo diretto e per effetto di un errore nel processo esecutivo dell'agente, ma, in modo indiretto, e cioè solo attraverso il mutamento dell'oggetto materiale del reato.

Peraltro, a diversa conclusione è pervenuta altra parte della dottrina secondo la quale, invece, poiché il soggetto contro cui il reato si dirige può venire in considerazione sia come soggetto passivo del reato sia come oggetto materiale dell'azione criminosa, non vi è ragione alcuna perché le sue ipotesi si debbano differenziare (Gallo, § 4).

Rientrano, invece, nella disposizione in commento «le ipotesi di mutamento della persona-oggetto materiale senza mutamento del soggetto passivo (es. sottrazione per aberratio di D, fratello di E: art. 573), nonché di mutamento dell'oggetto materiale-cosa, con o senza mutamento del soggetto passivo (F vuole distruggere l'abitazione di G e distrugge invece per errore nell'uso dei mezzi l'abitazione di H; I vuole danneggiare un dipinto di L e gli danneggia invece un tavolo d'antiquariato sottostante)» (Romano, Commentario, 782).

Infine, è stato rilevato che restano escluse dall'ambito applicativo dell'art. 82 le ulteriori seguenti ipotesi:

- l'ipotesi del dolo eventuale: «l'agente intende colpire Tizio, ma, rappresentandosi la possibilità di colpire Caio che l'accompagna, agisce ugualmente senza poterla escludere. Infatti, in tal caso, la morte di Caio entrava nella rappresentanza e nella volontà del soggetto attivo e viene meno quella divergenza tra il voluto ed il realizzato che caratterizza il paradigma concettuale» dell'art. 82 (Conti, 39).

Secondo Cass. I, n. 8514/1974, quando si fa esplodere un ordigno in un luogo pubblico, esiste manifestamente la probabilità di danneggiare anche altri beni, oltre quello preso di mira, situati nelle immediate vicinanze. In tal caso, pertanto, l'elemento psicologico del reato consiste nel dolo eventuale, che ricorre allorché l'agente pur di realizzare l'evento voluto accetta il rischio dei risultati, anche solamente probabili, del suo comportamento, e si è quindi, fuori dello schema dell'art. 82, comma 2, giacché nei casi ivi contemplati le conseguenze non sono mai volute né direttamente né indirettamente;

- l'ipotesi della colpa cosciente: l'agente intende colpire Tizio e, «pur rappresentandosi l'eventualità che il colpo raggiunga Caio che lo accompagna, nondimeno agisce ugualmente nel convincimento di potere escludere con certezza tale eventualità» (Conti, 39).

Secondo Cass. I, n. 5255/1987, nella specie l'offesa voluta si era concretata nell'evento morte in danno di una persona, con addebito di omicidio volontario poiché alla realizzazione di quell'evento era consapevolmente diretta la volontà dell'imputato, il quale, dopo avere accuratamente preso la mira verso il bersaglio prescelto, esplose il colpo di fucile nella cui traiettoria venne ad inserirsi la testa di altra persona, che rimase colpita di striscio. Nella suddetta fattispecie, la Corte ha escluso che quest'ultima offesa, non voluta dall'agente neppure nella forma del dolo eventuale, potesse essere ritenuta tentato omicidio, ravvisando, invece, un'ipotesi di colpa cosciente, della quale, però, l'imputato doveva rispondere a titolo di dolo, avendo il legislatore valorizzato la particolare situazione illecita in cui versava lo stesso, con susseguente configurabilità, quindi, del delitto di lesioni volontarie;

- difetto di causalità: è stato ritenuto che non si ha aberratio ictus, quando l'intervento di fattori sopravvenuti non comporti la sola deviazione dell'offesa verso altra persona, ma abbia reso possibile il prodursi di una offesa che al momento della condotta non era prevedibile come verosimile conseguenza, secondo la miglior scienza ed esperienza: Cass. I, n. 6869/1984.

Segue. L'elemento soggettivo

È discusso a che titolo, all'agente che rechi offesa a persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta, sia attribuita la responsabilità dell'evento diverso da quello voluto.

Secondo una parte della dottrina, l'imputazione è a titolo di dolo, essendosi sostenuto che «per aversi imputazione a titolo di dolo, è indispensabile che nel complesso mentale dell'agente si riflettano tutti i requisiti del fatto concreto accolti dal modello normativo. Condizione questa che, ai fini dell'esistenza del dolo, è, oltre che necessaria, anche sufficiente. L'erronea rappresentazione, o l'ignoranza, di requisiti che nella realtà caratterizzano il fatto storico, ma non trovano riscontro nella fattispecie astratta, non escludono il dolo. Ora, se è vero che determinate qualità giuridiche o naturalistiche della persona contro la quale si dirige la condotta del reo sono talora elevati a elementi del fatto, è pure vero che tra queste qualità non è mai, però, ricompresa l'identità personale. Pertanto, la deviazione tra il rappresentato ed il cagionato che riguardi l'identità del soggetto passivo dell'azione, lascia sussistere un comportamento doloso. Sempreché — si badi — all'unicità dell'offesa voluta corrisponda l'unicità dell'offesa cagionata» (Gallo, § 3; Antolisei, PG 1974, 339; Pagliaro, 445; Mantovani, PG 1979, 329).

Quindi, secondo questa tesi (cd. dell'efficacia meramente dichiarativa), la norma sarebbe addirittura superflua in quanto non sarebbe altro che una esplicazione della regola generale dell'irrilevanza dell'identità del soggetto passivo nell'oggetto del dolo e, quindi, del tutto in linea con l'assetto normativo e costituzionale del nostro ordinamento.

Anche la giurisprudenza ritiene che l'imputazione sia a titolo di dolo, elemento che dev'essere accertato nei confronti della persona contro la quale l'offesa era diretta.

Si è infatti, ripetutamente sostenuto che l'accertamento del dolo dev'essere effettuato positivamente con riguardo alla persona contro la quale l'offesa fu indirizzata, avendosi, poi, per fictio iuris la translatio del risultato ottenuto anche all'evento diverso (Cass. I, n. 7469/1994); infatti, in rapporto alla persona offesa per errore sussiste ugualmente il dolo, se questo era l'originario elemento soggettivo, atteso che l'offesa di una persona invece di un'altra (oppure l'offesa per errore anche di un'altra persona) non vale a mutare la direzione della volontà (Cass. I, n. 15990/2006; Cass. VI, n. 45065/2014).

Secondo altra parte della dottrina, invece, la norma in esame, non è affatto superflua in quanto, ove non fosse stata introdotta, la fattispecie dell'aberratio avrebbe dovuto essere trattata come un'ipotesi di responsabilità colposa (nei confronti della persona diversa) e di responsabilità dolosa, sotto il profilo del tentativo, nei confronti della persona alla quale l'offesa era diretta, sempre che ne sussistessero i presupposti. Sennonché, è solo per effetto dell'esplicita previsione di cui all'art. 82, che l'agente viene sanzionato a titolo di dolo che, però, è solo “presunto”: da qui la tesi della c.d. efficacia costitutiva dell'art. 82, in quanto la norma, in via eccezionale, ritiene dolosa un'ipotesi che, non lo sarebbe secondo le regole ordinarie.

Di conseguenza, secondo questa tesi, l'imputazione, in realtà, avviene a titolo di responsabilità oggettiva in quanto l'evento diverso è posto a carico dell'agente, anche se non sia configurabile né dolo né colpa, e, quindi, solo perché oggettivamente esistente (Romano, 783; Fiandaca-Musco, PG, 406; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 365; Cornacchia § 4).

Si è, quindi, concluso che, al fine di evitare che la norma sia ritenuta incostituzionale — alla stregua di quanto sostenuto sia dalla Corte cost. n. 364/1988, Corte cost. n. 1085/1988 e Corte cost. n. 322/2007, in materia di responsabilità oggettiva, sia dalla stessa Cass. S.U., n. 22676/2009, pronunciata in ordine all'ipotesi di responsabilità oggettiva di cui all'art. 586— la medesima va reinterpretata in modo costituzionalmente orientata ex art. 27 Cost. nel senso che l'elemento soggettivo che deve sorreggere l'agente, al fine di potergli imputare l'evento non voluto, dev'essere quello del dolo (della condotta) misto a colpa (riguardante l'evento come conseguenza prevedibile ed evitabile della condotta): «dolo rispetto a tutti gli elementi del fatto, ad eccezione di quello da lui non conosciuto, del quale gli si rimprovera di averne per colpa ignorato la presenza nel caso concreto» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 367).

A tale filone interpretativo, pare richiamarsi Cass. I, n. 36225/2007, che, nel rigettare il ricorso contro la sentenza di assoluzione, per carenza dell'elemento psicologico, dell'imputato che, per errore nella memorizzazione di un numero telefonico, aveva inviato messaggi telefonici a contenuto pornografico ad un minore, soggetto diverso da quello al quale l'imputato stesso intendeva farli pervenire, afferma che tema di molestia o disturbo alla persona, la disciplina dell'aberratio ictus monolesiva non trova applicazione qualora, per la specificità della persona effettivamente presa di mira dall'agente, il mutamento imprevisto del soggetto passivo escluda la sussistenza dell'elemento psicologico in capo all'agente stesso».

Quanto alla preterintenzione, la giurisprudenza, ritiene che «nel caso di uccisione di persona diversa da quella che si intendeva solo percuotere o ferire, si configura l'omicidio preterintenzionale. Ciò ai sensi dell'art. 82, poiché l'agente deve rispondere a titolo di dolo come se avesse commesso l'atto di lesioni in danno di persona diversa e quindi —in applicazione dell'art. 584 — è chiamato a rispondere dell'evento morte derivato dall'atto violento»: Cass. V, n. 2146/1999; Cass. V, n. 1796/2007.

Quanto al concorso, la giurisprudenza, nel caso di aberratio, lo ritiene configurabile sia nell'ipotesi di concorso morale (in quanto l'errore esecutivo non ha alcuna incidenza sull'elemento soggettivo del partecipe morale, essendosi comunque realizzata l'azione concordata con l'autore materiale, il cui esito aberrante è privo di ogni rilevanza ai fini della qualificazione del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo: Cass. I, n. 40513/2001; Cass. I, n. 38549/2014) che nell'ipotesi di concorso anomalo ex art. 116 (non incidendo la divergenza degli effetti della condotta illecita rispetto all'obiettivo originariamente determinato sul tessuto psicologico dell'azione, nella trama del quale si è strutturalmente inserito il contributo del partecipe, da riguardarsi quindi come responsabile — al pari dell'autore materiale — anche del delitto diverso da quello da entrambi originariamente concordato: Cass. n. I, 35386/2001).

Quanto all’ammissibilità del reato continuato, retro sub art. 81).

Segue. L'elemento oggettivo

La struttura oggettiva della fattispecie in esame, ruota su due perni: a) l'offesa ad una persona diversa; b) l'errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altra causa.

a) L'offesa: la norma considera due “offese”, quella nei confronti della persona offesa per errore e quella nei confronti della persona contro cui l'offesa era diretta.

Quanto alla persona offesa per errore, secondo la giurisprudenza (Cass. I, n. 368/1971; Cass. I, n. 12556/1992) e la dottrina (Romano, Commentario, 783), il concetto di «offesa» nella lettura dell'art. 82 dev'essere inteso nel senso di lesione materiale ai danni della persona diversa, non essendo, quindi, sufficiente una semplice messa in pericolo del bene che l'agente intendeva colpire. Da qui la conclusione, che nell'ipotesi di aberratio ictus, solo alla persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta e soggetto passivo del reato spetta il diritto di querela (Cass. V, n. 862/1981).

Si è, inoltre, affermato che:

- «integra un'ipotesi di "aberratio ictus", disciplinata dall'art. 82, e non di "aberratio delicti", prevista dall'art. 83 cod. pen., la condotta consistita nel compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di una persona, quando tale condotta, per errore, è indirizzata nei confronti di una vittima diversa da quella che si intendeva attingere, cagionandosene il ferimento, poichè l'errore non determina la realizzazione di un evento di natura diversa da quello che l'agente si proponeva, ma, cadendo sull'oggetto materiale del reato, dà luogo ad un'azione che, pur non offendendo il bene-interesse specificamente preso di mira, lede lo stesso bene-interesse di altra persona, e che, sotto il profilo soggettivo, è sorretta da una volontà la cui direzione non muta»: Cass. VI, n. 45065/2014; Cass. I, n. 37272/2021;

- «non ricorre la fattispecie dell'"aberratio ictus" nel caso in cui l'esecutore materiale del delitto colpisca la persona contro cui aveva voluto sparare, seppure ritenendo che si trattasse di un altro soggetto, in quanto lo scambio di persona è irrilevante, stante il fondamentale principio dell'indifferenza dell'identità della persona oggetto dell'offesa»: Cass. I, n. 18378/2008;

Peraltro, in dottrina, si è precisato che «nei casi in cui l'offesa alla persona diversa comprende anche il tentativo verso la persona designata, l'interprete sarà tenuto ad applicare il principio del capoverso dell'art. 82 e non il primo comma di per sé solo [...] non soltanto la persona colpita, ma altresì la persona designata potrà proporre querela se trattasi di illecito penale procedibile ad impulso di parte ed eventualmente ripetere il danno ed esercitare l'azione civile in sede penale; infatti, anche l'offesa a quest'ultima acquista concreto rilievo» (Conte, 39).

Viceversa, ove alla persona diversa non sia arrecata alcuna offesa, si resta al di fuori dell'ambito applicativo di cui all'art. 82 dovendosi solo valutare se l'azione dell'agente sia o meno inquadrabile in qualche fattispecie penalmente punibile.

Quanto alla persona contro cui l'offesa era diretta, il problema di cosa debba intendersi per “offesa” si intreccia con quello del tentativo. Ci si è, infatti, chiesto se, ai fini della configurabilità dell'ipotesi di cui all'art. 82 comma 1, la suddetta norma richieda, oltre che l'offesa alla vittima per errore, anche atti diretti in modo non equivoco a cagionare l'offesa alla persona contro cui l'offesa era diretta.

La dottrina maggioritaria, ritiene che non sia ammissibile il tentativo nei confronti della persona che l'agente intendeva offendere ma che non ha offeso, «perché, mentre da un lato la legge non richiede affatto quale presupposto per l'applicazione della norma che l'offesa verso la persona designata presenti i caratteri del tentativo, dall'altra, la norma stessa ribadisce il principio generale in materia di dolo secondo cui è indifferente l'identità della persona oggetto dell'offesa» (Antolisei, PG 1974, 339; Gallo § 3; Romano, Commentario, 779, pone l'accento sulla circostanza che, per l'art. 82 è sufficiente una rappresentazione e volizione “per equivalente”, sicché non è necessaria la presenza degli estremi del tentativo).

Segue tale opinione la giurisprudenza secondo la quale il tentativo resta assorbito: quando l'agente mira a uccidere una persona e per errore ne ferisca un'altra senza arrecare alcuna offesa alla vittima designata, si ha un unico reato doloso, il tentato omicidio, che assorbe quello, meno grave, di lesioni ai danni del terzo. La legge considera, invero, indifferente — salvo che per la disciplina delle circostanze — l'errore incidente sullo sviluppo causale dell'azione e ritiene il colpevole responsabile come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere. Il concetto di offesa nella lettura dell'art. 82 deve essere inteso nel senso di lesione materiale, sicché quando la vittima del tentativo, è rimasta illesa, mentre è stata offesa una terza persona, si verte in ipotesi di aberratio monolesiva secondo lo schema legale del comma 1 dell'art. 82 (Cass. I, n. 12556/1992; Cass. I, n. 8505/1988; Cass. I, n. 9989/1978; Cass. I, n. 368/1971).

La suddetta opinione è, però, contrastata da altra parte della dottrina (Padovani, 231 ss.; De Francesco, 21) secondo la quale, la stessa struttura dell'aberratio ictus monolesiva, implica, di per sé, la configurabilità di un tentativo nei confronti della vittima designata perché, altrimenti, si violerebbe il principio cogitationis poenam nemo patitur, in quanto si incriminerebbe una condotta atipica non voluta e non prevista essendo frutto di errore nell'esecuzione. Di conseguenza, secondo questa tesi, si applicherà l'art. 82 comma 1 solo quando, nell'azione dell'agente, siano ravvisabili atti diretti in modo non equivoco a cagionare un danno alla persona verso cui l'offesa era diretta che, però, sia rimasta completamente illesa; al contrario, se dal tentativo derivi un danno sia alla persona diversa che s'intendeva offendere sia a quest'ultima (anche se l'offesa sia meno grave), si applicherà l'art. 82 comma 2. Se, invece, l'azione lesiva reca offesa solo alla persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta e nei confronti di quest'ultima non è configurabile neppure un tentativo, l'art. 82 non sarà applicabile, dovendosi solo verificare se e in che termini residui una responsabilità a titolo di colpa per il fatto commesso nei confronti della persona diversa.

b) la locuzione “per un'altra causa”: ci si è chiesto cosa si debba intendere con la suddetta locuzione che è una chiara norma di chiusura in quanto in essa il legislatore ha voluto ricomprendere tutte quelle ipotesi diverse ed ulteriori rispetto “all'errore nell'uso dei mezzi di esecuzione”.

Secondo la dottrina tradizionale (Gallo § 2; Pagliaro, 444), essa comprende tutti quei fattori, accidentali, imprevedibili o anche semplicemente imputabili all'agente a titolo di colpa: quindi, la responsabilità penale ex art. 82 sarebbe configurabile a carico dell'agente anche in tutti quei casi in cui l'errore sia dipeso da forza maggiore o caso fortuito ossia ipotesi che scriminano.

In tale senso è orientata anche la giurisprudenza. Recentemente, Cass. V, n. 13192/2019, ha deciso una fattispecie in cui l'agente aveva spruzzato spray urticante in mezzo ad una folla allo scopo di compiere rapine: sennonché, quella condotta aveva provocato panico, cui era seguita, senza soluzione di continuità, una fuga scomposta in tutte le direzioni di tutti i partecipanti all'evento, determinando il ferimento di numerose persone e la morte per schiacciamento di una di essa. Ad avviso della S.C. correttamente era stato contestato, da una parte, il reato di rapina (cioè il reato voluto) e, dall'altro, l'omicidio preterintenzionale, ai sensi dell'art. 82, comma 1, in quanto cagionato da “altra causa” da identificarsi «nella reazione di panico» che era stata la diretta conseguenza del meccanismo causale innescatosi per effetto della condotta dell'agente (spruzzo dello spray urticante). Sul punto la S.C. ha ribadito il principio di diritto secondo il quale «ai fini della positiva valutazione della sussistenza del nesso causale del delitto di omicidio preterintenzionale, non rileva che la serie causale che ha prodotto la morte rappresenti lo sviluppo dello stesso evento di percosse o di lesioni voluto dall'agente, potendo trattarsi - come nel caso di specie - di un evento successivo seppur eziologicamente collegato alla causa iniziale posta in essere dall'agente».

Ad opposta conclusione, giunge, invece, quella dottrina (Marinucci-Dolcini) secondo la quale, poiché il reato non voluto è attribuibile all'agente a titolo di colpa, ove l'errore sia dipeso da forza maggiore o caso fortuito, la condotta è scriminata.

Segue. Le circostanze

L'art. 82 comma 1 dispone che « il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere, salve, per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell'articolo 60».

Con la suddetta riserva, il legislatore ha esteso il principio di equivalenza fra il voluto ed il realizzato rinviando alla disposizione di cui all'art. 60 in base al quale:

a) le circostanze aggravanti che attengono alle condizioni o qualità della persona erroneamente offesa o ai suoi rapporti con il colpevole non sono poste a carico dell'agente;

b) le circostanze attenuanti che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti tra offeso e colpevole sono, invece, valutate a favore dell'agente ove erroneamente supposte.

Dunque, come è stato rilevato (Gallo § 5), «Il reato è ricondotto alla vittima ideata; riconduzione che non sarebbe, certamente, ricavabile dai principi generali sul dolo», sebbene con alcune limitazioni riguardanti le circostanze relative all'età o ad altre condizioni o qualità fisiche o psichiche, della persona offesa per le quali, torna in vigore la regola generale dell'art. 59 (quindi, il principio dell'imputazione oggettiva delle attenuanti, ex art. 59 comma 1, ovvero quello dell'imputazione soggettiva delle aggravanti ex art. 59 comma 2), in quanto sono espressamente escluse dall'ambito di operatività delle suddette regole dall'art. 60 comma 3.

La suddetta normativa, quindi, limitandosi a stabilire la prevalenza attribuita in taluni casi all'ipotetico sul reale o, mediante il rinvio all'art. 60, al putativo sul reale. costituisce «il quid novi apportato dall'art. 82, comma 1» (Gallo § 5).

Alla stregua di quanto si è appena detto, pertanto, in giurisprudenza si è ritenuto che:

a) quanto alle aggravanti:

a1) premeditazione: le circostanze di reato attinenti all'intensità del dolo, tra le quali deve ricomprendersi la premeditazione prevista dall'art. 577, comma 1, n. 3, sono valutabili a carico dell'agente anche nel caso dell'aberratio ictus, di cui all'art. 82, non rientrando esse tra quelle riguardanti le condizioni o qualità della persona offesa o i rapporti tra offeso e colpevole che, ai sensi dell'art. 60, comma 1,  richiamato dal citato art. 82, non sono poste a carico dell'agente in caso di errore di costui sulla persona dell'offeso: Cass. I, n. 42324/2001; Cass. I, n. 1811/2006; Cass. V, n. 43275/2009; Cass. I, n. 16711/2014;

a2) art. 577: chi volendo colpire la sorella, ferisca la madre, il rapporto di parentela fra madre e figlio (art. 577 comma 1) non può essere posto a carico del reo, per il combinato disposto degli artt. 82 e 60 e il rapporto di parentela tra fratelli (art. 577 comma 2) non può essere posto a carico del reo per il disposto dell'art. 59: Cass. I, 7 maggio 1954, Matrone; Cass. I, 21 ottobre 1964, Di Beo, ha peraltro precisato che, nel caso in cui volendosi uccidere un ascendente, si sia ucciso un altro ascendente, non è applicabile l'aggravante ex art. 577 n. 1. Né l'aggravante è applicabile sul rilievo che non sussisterebbe la divergenza tra volontà ed attuazione (fondamento razionale della disciplina eccezionale di cui all'art. 60), in quanto, vi sarebbe convergenza tra volontà ed attuazione: convergenza e divergenza non possono considerarsi se non in relazione alla fattispecie concreta, rispetto alla quale, il fatto che la vittima colpita erroneamente e quella designata siano legati con reo dallo stesso vincolo di sangue, si traduce in una mera accidentalità del concreto episodio, che palesemente, elimina la divergenza costitutiva dell'essenza dell'errore;

b) quanto alle attenuanti:

b1) art. 62 n. 6: stante la natura unitaria del reato, non può trovare applicazione se non sono state indennizzate tutte le vittime: Cass. I, 24 gennaio 1962, Leonello;

b2) art. 62 n. 2: nel caso di aberratio ictus in cui il soggetto agente colpisce per errore non già il provocatore contro il quale l'azione era diretta, sibbene una persona diversa (nei cui confronti la provocazione non esiste), il legislatore ha espressamente stabilito che l'agente fruirà ugualmente di detta attenuante e tanto per effetto del rinvio fatto dall'art. 82, comma 1, all'art. 60: Cass. I, n. 843/1968.

Segue. Le cause di giustificazione

L'applicabilità delle cause di giustificazione al caso dell'aberratio presenta una pluralità di sfaccettature che è bene tenere differenziate.

L'esempio su cui ragionare è sempre lo stesso: Tizio vuole colpire A ma invece colpisce B.

Prima ipotesi: a favore di Tizio sussiste una causa di giustificazione nei confronti di B. Tizio, non sarà punibile per l'offesa arrecata a B (salvo, ovviamente, l'eventuale tentativo nei confronti di A). Sul punto, infatti, è stato osservato che: «la formula “il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere” non deve trarre in inganno, facendo credere che non abbiano rilevanza le situazioni scriminanti eventualmente esistenti in rapporto all'offesa realizzata, e non a quella ideata. Al riguardo, occorre riflettere che l'art. 82 esige che a persona diversa da quella che si intendeva ledere sia cagionata un'offesa: ora, di offesa, nel senso di effettivo pregiudizio o messa in pericolo di un bene — interesse tutelato dal diritto — non può parlarsi allorché il fatto obbiettivamente realizzato appaia assistito da una esimente. Sotto questo profilo, dunque, la disciplina sancita dall'art. 82 non differisce da quella che si ricaverebbe in base ai principi» (Gallo § 5; Romano, 781).

Seconda ipotesi: Tizio, nel commettere il reato, erroneamente suppone che nei confronti di A (e cioè la persona verso cui l'offesa era diretta) sussista una scriminante, oppure, la scriminante esiste realmente.

La soluzione è identica a quella dell'ipotesi precedente: Tizio non sarà punibile per l'offesa arrecata a B (salva un'eventuale responsabilità per colpa nei suoi confronti).

Sul punto, infatti, è stato osservato che: «A constatazione analoga arriviamo pure quando passiamo a considerare la rilevanza della rappresentazione, da parte del soggetto agente, di una scriminante relativa all'offesa ideata, sia, poi, tale scriminante realmente esistente o erroneamente supposta. Anche in difetto di una norma del tipo dell'art. 82, la soluzione, in un caso del genere, sarebbe sempre la stessa: vale a dire, l'esclusione di ogni responsabilità a titolo di dolo, nei confronti della persona offesa. E, invero, rappresentandosi una situazione di fatto esistente in rapporto all'offesa ideata, o, comunque, tale che, ove sussistesse, egli eserciterebbe una facoltà o adempirebbe un dovere sanciti dall'ordinamento, l'agente non si configura un fatto tipico di reato. Nel suo operato non sarebbe, quindi, ravvisabile dolo, e, pertanto, verrebbe a mancare il presupposto necessario per imputargli, appunto a titolo di dolo, qualsivoglia offesa obbiettivamente posta in essere» (Gallo § 5; Romano, 781).

Terza ipotesi: Tizio, nel commettere il reato, ignora che nei confronti di A (e cioè la persona verso cui l'offesa era diretta) sussiste una scriminante (ad es. il consenso dell'avente diritto).

Sul punto le soluzioni prospettate dalla dottrina sono contrastanti.

Secondo una prima tesi, Tizio, nonostante l'atteggiamento doloso e nonostante la scriminante non possa essere riferita al fatto realizzato, sarebbe ugualmente non punibile: «Solo in virtù della regola che ricollega alla offesa reale quelle conseguenze giuridiche che sarebbero state proprie dell'offesa ideata, si può e si deve ritenere, in questa ipotesi, la esclusione di responsabilità per dolo. Un caso, quindi, di prevalenza dell'ipotetico sul cagionato, che non si saprebbe come giustificare se mancasse il disposto dell'art. 82» (Gallo § 5; Romano, 781, ma con la diversa motivazione secondo la quale la responsabilità va negata «sul presupposto della medesima rilevanza, che qui manca, delle due offese, delle quali una realizzata, l'altra soltanto ideata»).

Ad opposta conclusione, giunge, invece, un altro autore (Pagliaro, 444) secondo il quale Tizio è punibile perché «il dolo è perfetto e così pure la realizzazione. Se la legge dice espressamente che il soggetto risponde “come se avesse commesso il fatto in danno della persona che voleva offendere”, ciò si deve soltanto alla necessità di porre in evidenza la deroga che immediatamente Segue: deroga, contenuta nell'inciso “salve per quanto riguarda le circostanze aggravanti e attenuanti, le disposizioni dell'articolo 60”».

Infine, va segnalata la peculiare situazione della c.d. difesa legittima aberrante: Tizio aggredito da Caio, reagisce e, per errore nei mezzi di esecuzione o per altra causa, colpisce Sempronio e cioè una persona estranea.

Sul punto, parte della dottrina ha ritenuto che «Fuor di luogo appare che il richiamo all'art. 82, in base al quale si dovrebbe ritenere che il fatto commesso in danno del terzo equivalga (come ipotesi di difesa legittima) a quello che si sarebbe cagionato contro l'aggressore, se non fosse intervenuta la deviazione del processo causale. L'equiparazione stabilita dall'art. 82 concerne infatti il piano dell'imputazione soggettiva, e non quello della valutazione di liceità in base ad una scriminante, che, per essere applicata, deve sussistere obiettivamene in relazione al fatto commesso. E, nell'ipotesi ora in esame, la condotta realizzata dall'aggredito, essendosi rivolta contro un terzo estraneo, non è idonea a respingere l'aggressore. Può tuttavia darsi, in taluni casi, che l'offesa recata al terzo risulti in grado di neutralizzare il pericolo (come nell'ipotesi di chi, per indurre l'assalitore a desistere, si faccia scudo del figlioletto di costui, minacciando di colpirlo a sua volta). Ma è allora evidente che il fatto commesso in danno dell'innocente non può risultare giustificato dalla difesa legittima, ma solo dallo stato di necessità, qualora ne sussistano i requisiti» (Padovani, § 9).

Secondo, altra parte della dottrina, invece, la problematica va risolta secondo i principi ordinari in materia di imputazione colposa: «l'ipotesi si colloca al di fuori della specifica tematica dell'aberratio ictus che richiede comunque il dolo, da accertarsi giudizialmente nei confronti della vittima designata [...] Ma ammettere la possibilità di ritenere sussistente il dolo qualora l'agente abbia operato rappresentandosi (o anche non rappresentandosi, vista la valenza oggettiva delle cause di giustificazione) una situazione coperta da scriminante si risolve a nostro avviso in un'applicazione analogica in malam partem dell'art. 82 a casi da essa norma non previsti. In questi termini, la fattispecie andrà dunque inquadrata secondo i principi ordinari in materia di imputazione colposa» (Cornacchia § 3b1).

La giurisprudenza, partendo dal presupposto dell'unicità del reato aberrante (presupposto, però, come si è visto, non del tutto pacifico), si è ritenuto applicabile la esimente della legittima difesa, sempre che, naturalmente, ne ricorrano le condizioni (Cass. I, n. 9983/1982).

L' aberratio ictus plurilesiva

L'art. 82 comma 2 disciplina l'ipotesi della cd. aberratio ictus plurilesiva (rectius: bilesiva), ossia la fattispecie in cui oltre alla persona diversa, sia arrecata offesa anche a quella alla quale l'offesa era diretta.

Innanzitutto, va osservato, che la suddetta ipotesi non costituisce una circostanza aggravante dell'ipotesi contemplata nello stesso articolo al comma 1 (Cass. I, n. 11169/1981), dando luogo, invece ad una fattispecie criminosa autonoma e unitaria, con autonoma previsione di pena determinata con aumento per relationem rispetto a quella prevista per il reato più grave. Pertanto, tale aumento di pena, servendo esso stesso a determinare la pena edittale — base ex art. 82 comma 2, non rientra nel calcolo imposto dal riconoscimento di continuazione o di circostanza aggravante: Cass. I, n. 4210/1985; Cass. II, n. 24492/2023.

Anche la suddetta ipotesi pone diversi problemi che qui di seguito vengono illustrati.

Segue. Ambito di applicazione

Al fine di stabilire quale sia l'ambito di applicazione del secondo comma, va, innanzitutto, posta attenzione all'avverbio “qualora” (con il quale la norma esordisce); la norma poi, prosegue, stabilendo che «oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l'offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà».

L'avverbio di esordio “qualora”, consente di agganciare la previsione del secondo comma a quello del primo e, quindi, di leggere la norma come se fosse così scritta: «qualora, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l'offesa era diretta [...]».

In secondo luogo, la norma prende in considerazione solo una lesione a carico della persona diversa e di quella alla quale l'offesa era diretta: quindi, si applica solo a questa ristretta ipotesi.

Pertanto, i requisiti per l'applicabilità della norma in commento sono i seguenti:

a) numero e qualità di persone offese: l'offesa dev'essere arrecata alla persona alla quale era diretta e ad una persona diversa. Di conseguenza restano al di fuori dell'ambito applicativo della norma le seguenti ipotesi:

1) l'offesa colpisce sia la persona che si voleva offendere, sia due o più diverse: 2) l'offesa colpisce due o più persone diverse con esclusione di quella che si voleva offendere.

Su quale debba essere il trattamento sanzionatorio, per queste ipotesi, le soluzioni proposte dalla dottrina sono le più varie e disparate (Romano, Commentario, 785; Antolisei, PG 1974, 339; Pagliaro, 447; Conti, 40; Gallo §10) in quanto tendono a combinare, a seconda dei rispettivi orientamenti su quale debba essere considerata l'offesa più grave, ora il primo e secondo comma, ora il secondo comma con le regole generali del concorso.

Ultimamente, però, la dottrina più recente ha rilevato che «in considerazione della natura anomala e derogatrice della disciplina preveduta dalle disposizioni in esame, è preferibile limitarne l'applicazione alle ipotesi espressamente previste, pena la violazione del divieto di analogia in malam partem. Così, nel caso in cui, insieme o senza la persona designata, rimangono colpiti diversi altri soggetti, è da ritenere che debba applicarsi il più benevolo regime del concorso formale del reato dolo con eventuali delitti colposi, sempreché le offese non volute siano dovute a colpa dell'agente che erra nell'esecuzione del reato»: Fiandaca-Musco, PG, 407; Mantovani, PG 1979, 330.

Scarse indicazioni provengono dalla giurisprudenza se si escludono due ormai datate decisioni, peraltro fra di loro in contrasto.

Secondo Cass. I, n. 368/1971, il caso di offesa arrecata alla persona designata e nel contempo, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione, a due o più persone diverse, rientra nella previsione del secondo comma dell'art. 82; il caso di offesa arrecata a due o più persone diverse dalla vittima designata, rimasta indenne, rientra invece nella previsione di cui al primo comma della predetta norma. Di unicità di reato non è possibile parlare quando il reato aberrante sia duplice o triplice e ciascun reato debba, ai fini dell'elemento psicologico, considerarsi, per la fictio iuris di cui all'art 82 comma 1, siccome commesso in danno della persona cui l'offesa era diretta;

Per Cass. I, n. 6030/1972, col ritenere, nei confronti di chi uccide per aberratio ictus due persone diverse dalla vittima designata, rimasta illesa, il concorso di due omicidi aberranti, si violerebbe il principio del favor rei che ispira la norma contenuta nel secondo comma dell'art. 82.

Pertanto, si deve ritenere che tale disposizione sia applicabile nella ipotesi di offesa a più persone, anche se nessuna di esse è quella che si voleva offendere.

b) unità di azione: la persona diversa e quella verso la quale l'offesa era diretta, restano offese a seguito del medesimo errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa e, quindi, con la stessa azione: ad es. Tizio spara contro Caio (che vuole uccidere) ma il proiettile, dopo avere attinto superficialmente Caio, colpisce ed uccide Sempronio che, in quel momento, incrociava, casualmente, Caio.

Di conseguenza resta fuori dall'ambito della norma l'ipotesi in cui Tizio spara contro Caio (che vuole uccidere) ma uccide Sempronio; subito, dopo, accortosi dell'errore, spara nuovamente contro Caio e, questa volta, lo uccide: in tal caso, Tizio risponderà dell'aberratio ex art. 81 comma 1 (per l'omicidio nei confronti di Sempronio) in concorso formale con l'omicidio volontario nei confronti di Caio (Iannelli, 458);

c) qualità dell'offesa: a carico della persona alla quale l'offesa era diretta, dev'essere realizzata l'offesa voluta o sotto forma di reato consumato o anche di tentativo che abbia però messo concretamente in pericolo il bene giuridico tutelato (Conti; Romano): si è, infatti, ritenuto che, nel caso di omicidio di una persona diversa e di ferimento di una persona contro la quale era diretta l'azione omicida deve, nell'offesa relativa a quest'ultima ravvisarsi una ipotesi di tentato omicidio e non già di lesione volontaria.

Quando, invece, viene effettivamente uccisa la persona avuta di mira e ferita un'altra, in ordine a questa ultima offesa risulta integro il reato di lesione. Infatti, manca non solo il dolo del tentativo di omicidio, poiché la persona diversa non è neppure entrata nella sfera psichica dell'agente, ma anche e prima di tutto l'elemento materiale di questa figura delittuosa, in quanto il colpire per errore una persona, vicina a quella contro la quale sono stati esplosi i colpi, non è un atto univocamente diretto ad uccidere la persona vicina: Cass. I, n. 8505/1988.

Cass. I, n. 2612/1984, così come per l'aberratio monolesiva, ha ribadito l'incompatibilità del dolo eventuale anche con l'aberratio plurilesiva. Nello specifico, l'aberratio ictus plurioffensiva costituisce, sotto il profilo soggettivo, un minus rispetto alla corrispondente ipotesi di concorso formale di reati, presentando la caratteristica che delle due offese cagionate, una deve essere dal soggetto voluta, mentre l'altra tale non deve essere neppure nella forma estrema del dolo eventuale ai limiti della colpa con previsione dell'evento. Se, infatti, per questa ultima offesa, dovesse, comunque versarsi in tema di dolo indiretto, si ricadrebbe inevitabilmente nell'ipotesi del concorso formale dei reati;

d) natura dell'offesa: l'offesa, a carico di entrambe le vittime, dev'essere concreta cioè si deve concretizzare in una lesione materiale (Romano, 783; Cass. I, n. 38303/2005);

e) pena: infra

Segue. Natura giuridica. Elemento soggettivo

Su quale sia la natura giuridica dell'aberratio plurilesiva, vi è contrasto.

La soluzione è strettamente connessa alla tesi che si ritiene di accogliere in ordine a quale sia il criterio di imputazione del reato non voluto, ossia quale sia l'elemento soggettivo.

Sul punto, parte della dottrina (Gallo § 8; Pagliaro, 448; Fiandaca-Musco, PG 2014, 406) sostiene che all'agente i due eventi devono essere  imputati in modo diverso: l'evento voluto, a titolo di dolo; l'evento non voluto a titolo di responsabilità oggettiva non essendo ipotizzabile una responsabilità per colpa non solo perché la condotta può, in concreto, non essere stata improntata a negligenza o imperizia, ma, soprattutto perché nessuna delle conseguenze giuridiche che la norma prevede è riconducibile al trattamento sanzionatorio di un reato colposo.

Negli stessi termini, si è espressa, ad es. Cass. I, n. 38303/2005, secondo la quale, l'art. 82 comma 2 attribuisce la responsabilità per la parte di fatto non voluta a titolo di dolo mediante una traslazione normativa del dolo dal fatto per il quale vi è stata rappresentazione e volontà al fatto ulteriore non voluto né rappresentato, giacché il soggetto si è posto consapevolmente in una situazione di illiceità potenzialmente aperta a sviluppi diversi e ulteriori rispetto a quelli presi di mira.

Ad avviso, invece, di altra dottrina (Padovani, 233 ss.; Mantovani, PG 1979, 329), i due eventi sono imputati l'uno a titolo di dolo, l'altro a titolo di colpa in quanto il principio costituzionale di colpevolezza esclude che si possa rispondere per un reato né voluto né rappresentato.

Ad avviso della giurisprudenza, nel caso in cui l'agente uccida una persona diversa da quella che intendeva soltanto percuotere o ferire, il medesimo deve rispondere (anche) del delitto di omicidio preterintenzionale. Tale soluzione «trova ragione nel fatto che, ai sensi dell'art. 82,  l'agente risponde a titolo di dolo “come se” avesse commesso l'atto di percosse - lesioni in danno della persona diversa e quindi, ai sensi dell'art. 584, della morte derivata da tale atto di violenza» (Cass. V, n. 13192/2019; Cass. V, n. 1796/2007; Cass. V, n. 2146/2000; Cass. V, n. 12330/1990 ). In altri termini, l'art. 82 comma 2, attribuisce la responsabilità per la parte di fatto non voluta a titolo di dolo mediante una traslazione normativa del dolo dal fatto per il quale vi è stata rappresentazione e volontà al fatto ulteriore non voluto né rappresentato, giacché il soggetto si è posto consapevolmente in una situazione di illiceità potenzialmente aperta a sviluppi diversi e ulteriori rispetto a quelli presi di mira (Cass. I, n. 38303/2005).

Gli autori che ritengono che l'imputazione avvenga a titolo di responsabilità oggettiva, concludono che il reato abbia una struttura unitaria: si è, infatti, osservato che «la responsabilità da rischio totalmente illecito previsto nell'art. 82 cpv. può sussistere solo se al tempo stesso si delinea un reato doloso (o preterintenzionale) al quale essa inerisca. Nelle altre forme di pluralità connessa di reati (ad es. nella continuazione), se una delle violazioni singole non viene ad esistenza perché coperta da una causa di esclusione del reato, ciò non impedisce che vi possa essere responsabilità autonoma per le violazioni residue. Qui, invece, se non sussiste responsabilità a titolo di dolo (o preterintenzione) per la lesione più grave, non può ammettersi la responsabilità da rischio totalmente illecito per la lesione meno grave» (Pagliaro, 448).

Come conseguenza, tale tesi ritiene che sia impossibile la scissione fra i vari reati ai fini ad es. della presentazione della querela (Cass. V, n. 862/1981), o dei benefici dell'amnistia o indulto. In terminis: Cass. I, n. 7431/1974;Cass. I, n. 10160/1979 secondo la quale: «nell'ipotesi di aberratio ictus con offesa anche di persona diversa da quella alla quale l'offesa era diretta, come unitaria è la condotta che dà origine all'offesa voluta ed a quella involontaria, cosi unico è il nesso di causalità materiale che collega le diverse offese, ed unico è pure l'atto di volontà che sorregge la condotta criminosa collegando alla medesima, anche sotto il riflesso soggettivo, gli effetti realizzati. Si tratta, perciò, di un reato unico, di una figura autonoma di reato che non può essere disintegrato a nessun effetto», neppure ai fini dell'applicabilità dell'amnistia, astrattamente rientrante nei limiti di concessione del beneficio, costituente l'offesa di minore gravita, dal momento che il predetto beneficio non può essere applicato al più grave reato di lesioni personali volontarie gravi.

Gli autori che, invece, sostengono che il reato non voluto è imputato a titolo di colpa, concludono che la norma prevede un'ipotesi concorso formale fra un reato imputato a titolo doloso (quello voluto) ed un reato imputato a titolo di colpa (quello non voluto): in tale senso, si è pronunciata la più recente giurisprudenza secondo la quale «qualora oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l'offesa era diretta, si configura un caso peculiare di concorso formale di reati, sia pure improprio, in cui cioè con una medesima azione si realizza un'offesa dolosa ed una colposa a beni giuridici omogenei di due diversi soggetti passivi; offese che, pur essendo differenti sul piano ontologico, vengono peraltro parificate, sotto l'aspetto dello elemento psicologico del reato, sul piano normativo. Ne consegue l'eventuale applicabilità dell'amnistia ai singoli reati che compongono la fattispecie, purché siano oggettivamente compresi nel provvedimento di clemenza e non vi siano condizioni ostative»Cass. V, n. 8790/1983;Cass. I, n. 2612/1984; Cass. I, n. 5255/1987.

Infine, si è sostenuto (Romano, Commentario, 785) che la soluzione va trovata sul piano pratico, in quanto a livello dogmatico non può che constatarsi l'assenza di precisi indici normativi che depongano per l'una o l'altra soluzione. Di conseguenza, si è concluso che «l'art. 82 comma 2 non può essere portatore di una disciplina più rigida di quella che si avrebbe se vi fossero due offese dolose. La causa estintiva riguardo alla seconda offesa (che potrà anche essere in concreto un reato integro di tutti gli elementi), o all'aumento che essa ha provocato, dovrà operare allora quante volte opererebbe nei confronti di una corrispondente fattispecie dolosa».

È, peraltro, del tutto indiscusso, che «l'aumento di pena previsto per l'ipotesi di reato aberrante plurilesivo trova un limite nella previsione, propria del concorso formale, secondo cui l'aumento per il reato meno grave non può, comunque, essere superiore a quanto edittalmente previsto per il fatto considerato nella sua autonomia»: Cass. I, n. 30454/2011.

Il “reato più grave” deve individuarsi «non già attraverso una previa qualificazione delle due offese mediante l'elemento psicologico (es. omicidio doloso e lesioni colpose) ma semplicemente in termini normativo-oggettivi, attraverso la maggiore corrispondenza al tipo di offesa voluta dall'agente» (Romano, Commentario, 783; contra: Boscarelli, 170, che sostiene che la valutazione debba essere effettuata in concreto ex art. 133 c.p.).

In giurisprudenza, v. infra Cass. I, n. 2333/1970.

Infine, quanto alle circostanze, si è ritenuto che «Nel caso di aberratio ictus in cui, oltre alla persona diversa, venga offesa anche quella contro cui l'offesa era diretta, si deve applicare lo stesso trattamento, dato che il legislatore non ha dettato disposizioni diverse, e dato che, ove si negasse l'applicazione dell'attenuante, si verrebbe ad escludere il relativo favorevole trattamento proprio per il caso in cui, oltre al terzo, sia offesa la persona che ha provocato l'agente»:Cass. I, n. 863/1968; contra: Cass. I, n. 845/1968 e Cass. I, 30 aprile 1965, Di Marzo, secondo le quali, invece, stante l'unitarietà del reato, l'attenuante della provocazione può trovare applicazione nei soli casi in cui la provocazione proviene da tutte le parti offese.

Profili processuali

Correlazione tra imputazione e sentenza (art. 521 c.p.p.)

Resta vulnerato il diritto di difesa ove il fatto risulti diverso da quello contestato per diversità di elementi basilari del reato. Di conseguenza si è ritenuto che si viola il principio della correlazione fra imputazione e sentenza nell'ipotesi in cui, giudicando chi era stato chiamato a rispondere di omicidio volontario in danno di persona diversa da quella cui l'offesa era diretta (aberratio ictus), si escluda l'errore e si ritenga l'imputato colpevole di omicidio a titolo di dolo diretto in danno della medesima persona,essendo evidente l'immutazione del fatto per quanto concerne l'elemento subiettivo,che e l'elemento basilare di caratterizzazione di ogni azione umana: Cass. I, n. 4120/1972.

Durata massima custodia cautelare

Ai fini della determinazione della durata massima della custodia cautelare, l'ipotesi criminosa dell'aberratio ictus plurioffensiva, di cui all'art. 82, comma 2, è assimilabile a quella del reato continuato, sicché i singoli episodi devono essere considerati distintamente (Cass. IV, n. 2088/1985; contra, sotto il diverso profilo dell'unitarietà del reato, Cass. I, n. 132/1977) e la valutazione della gravità del reato, anche agli effetti dei termini massimi della custodia preventiva, occorre sempre fare riferimento ai minimi ed ai massimi di pena fissati dal secondo comma dell'art 82 e non alla sola pena stabilita per quell'elemento della fattispecie criminosa che costituirebbe il reato di maggiore gravità (Cass. I. n. 2333/1970, che è pervenuta alla suddetta decisione sempre sul presupposto del carattere unitario dell'aberratio).

Bibliografia

Conti, Aberratio, in Nss. d. I., I, Torino, 1957; Cornacchia, voce Reato aberrante, in Dig. d. pen., XI, Torino, 1996; De Francesco, Sul reato aberrante, in Studium Juris, 2000; Gallo, voce Aberratio ictus, in Enc. dir., I, Milano, 1958; Iannelli, Le varie ipotesi di aberratio ictus, in Giust. pen. 1972, II, 458; Padovani, voce Difesa legittima, in Dig. d. pen., III, Torino, 1989.

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