Codice Penale art. 83 - Evento diverso da quello voluto dall'agente.

Geppino Rago

Evento diverso da quello voluto dall'agente.

[I]. Fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, se, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo [43].

[II]. Se il colpevole ha cagionato altresì l'evento voluto, si applicano le regole del concorso dei reati [81, 586; 297 3 c.p.p.].

Inquadramento

L'articolo in commento, nel prevedere (in rubrica) “l'evento diverso da quello voluto dall'agente” disciplina il caso della cd. aberratio delicti che si verifica nell'ipotesi in cui chi si rappresenti e vuole realizzare un determinato reato, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato (ad es. Tizio scaglia un sasso contro una vetrina di un negozio con lo scopo di danneggiarla, ma il sasso colpisce un passante che in quel momento passava, provocandogli delle lesioni), o per un'altra causa (ad es. Tizio vuole ustionare Caio e gli lancia contro un tizzone ardente che, però, a causa di una folata di vento viene deviato su un campo adiacente provocando un incendio), cagiona un evento diverso:.

Quanto ai rapporti dell'aberratio delicti con l'aberratio ictus, va osservato che entrambe le fattispecie hanno tratti in comune e tratti differenziali.

Hanno tratti in comune perché:

a) entrambe costituiscono un'ipotesi di divergenza tra il voluto ed il realizzato. A tal proposito, al fine di distinguere la fattispecie in esame da quella dell'errore di cui all'art. 47 c.p., è stato precisato (Gallo) che «la fattispecie in esame è caratterizzata, puramente e semplicemente, da una divergenza, indipendente da difetto nel giudizio, tra il voluto e rappresentato e il realizzato: sia poi tale divergenza dovuta, in concreto, ad inabilità o a qualunque altro fattore autonomo rispetto all'uso dei mezzi di esecuzione (per esempio: una improvvisa caduta dell'individuo preso di mira)»: rileva, quindi, la circostanza che la divergenza non possa imputarsi ad errore vero e proprio, dovendo, nell'aberratio, «la volizione dell'agente deve essere del tutto estranea agli elementi di fatto realizzati»;

b) in entrambe l'errore dipende dal cd errore-inabilità, ossia da un errore materiale relativo alla sola fase dell'esecuzione del reato;

c) entrambe si applicano a tutti reati siano essi delitti o contravvenzioni purché dolose.

Si differenziano perché l'aberratio ictus prevede l'ipotesi che, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o per un'altra causa, il reato voluto si realizzi contro una persona diversa; al contrario, l'aberratio delicti prevede l'ipotesi che, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato o per un'altra causa, si realizzi un evento (rectius: un reato) diverso da quello voluto.

In pratica, quindi, mentre nell'ipotesi dell'art. 82, l'errore cade non sull'oggetto giuridico ma sull'oggetto materiale (persona o cosa) del reato che resta, quindi, uguale a quello che l'agente voleva commettere sia sotto il profilo del bene che dell'interesse giuridico offeso, al contrario, nell'art. 83, l'errore cade sull'evento in quanto l'agente, a causa dell'errore, provoca un evento (e, quindi, un reato) diverso da quello che aveva programmato.

L'art. 83 è strutturato su due commi:

nel primo è regolamentata l'ipotesi della c.d. aberratio delicti monolesiva: Tizio scaglia un sasso contro una vetrina di un negozio con lo scopo di danneggiarla, ma — per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato (ad es. sbaglia mira), o per un'altra causa — il sasso colpisce un passante che in quel momento passava, provocandogli delle lesioni; Tizio risponderà del solo (da qui, la monolesività) reato di lesioni (colpose) e non del reato voluto (danneggiamento), sempreché, ovviamente, il medesimo non sia configurabile neppure come tentativo;

nel secondo è regolamentata l'ipotesi della cd. aberratio delicti plurilesiva: Tizio scaglia un sasso contro una vetrina di un negozio con lo scopo di danneggiarla, ma — per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato (ad es. sbaglia mira), o per un'altra causa — il sasso colpisce oltre che la vetrina anche un passante che in quel momento passava, provocandogli delle lesioni: Tizio, risponderà sia del danneggiamento (reato voluto) che delle lesioni (reato non voluto: da qui la plurilesività della fattispecie).

L' aberratio delicti monolesiva

L'analisi del primo comma dell'articolo 83 consente di individuare, i tre elementi su cui la norma è strutturata:

a) l'elemento soggettivo: l'agente “vuole” un determinato reato;

b) gli elementi oggettivi: l'errore e la produzione di un evento diverso;

c) gli effetti dell'errore: “il colpevole risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”.

Ognuno di questi elementi va esaminato partitamente.

Segue. L'elemento soggettivo

Come si è anticipato, presupposto della fattispecie in esame è che l'agente abbia programmato un determinato reato, ma, per errore, abbia realizzato un reato diverso.

L'atteggiamento psicologico dell'agente è, quindi, quello del dolo, anche eventuale (Gallo § 2); il che consente di escludere dall'ambito di applicazione dell'art. 83 i reati commessi con colpa.

Segue. Gli elementi oggettivi

Come si è detto, due sono gli elementi oggettivi richiesti dalla norma in commento per integrare la fattispecie dell'aberratio delicti: a) la causa; b) l'evento diverso.

a) la causa che ha provocato il diverso reato: la norma indica la suddetta causa “nell'errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o in altra causa”. La locuzione è identica a quella che si trova nell'art. 82 al cui commento, pertanto, si rinvia.

b) la produzione di un evento diverso da quello voluto.

Per evento, innanzitutto, deve intendersi la concreta lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato della norma che l'agente si era prefisso di violare.

Di conseguenza, perché l'evento realizzato sia diverso da quello voluto, è necessario che l'agente, sotto il profilo dell'elemento volitivo che lo ha sorretto nella commissione di un determinato fatto, non abbia preso in considerazione (neppure sotto il profilo di un dolo eventuale) gli estremi fattuali del reato diverso che poi si è realizzato, perché, altrimenti, si sarebbe al di fuori del capo di applicazione dell'art. 83 che, lo si ripete, ha come presupposto, che l'evento diverso (rectius: reato diverso) si realizzi per fattori del tutto estranei ed indipendenti dalla volontà dell'agente (Gallo § 3).

In tal senso si è espressa la giurisprudenza secondo la quale «in tema di "aberratio delicti", l'evento non voluto è addebitabile all'agente solo a titolo di colpa, quando sia assolutamente diverso, cioè di altra natura rispetto a quello voluto, ma non quando di questo costituisca una sorta di progressione naturale e prevedibile, dovendo in tal caso l'agente rispondere, anche in relazione al secondo evento, a titolo di dolo, sia pure alternativo o eventuale»: Cass. IV, n. 54015/2018, in una fattispecie, nella quale la Corte ha ritenuto corretta la riqualificazione operata dai giudici di merito dell'originaria imputazione di cui agli artt. 582 e 635 in lesioni colpose, con riferimento alla condotta dell'imputata che aveva sferrato un calcio contro una porta a vetri i cui frammenti avevano cagionato lesioni alla persona offesa.

È proprio in tale ottica, che la giurisprudenza, ritiene che l'evento non voluto sia addebitabile all'agente, ai sensi dell'art. 83 c.p., soltanto quando esso sia materialmente ed essenzialmente diverso da quello voluto.

Pertanto, l'art. 83 è stato ritenuto inapplicabile:

a) qualora, l'evento dolosamente voluto si sia verificato con modalità diverse, come ad es. in una fattispecie in cui un incendio si sviluppò in anticipo perché non era stato spenta, contrariamente a quanto concordato tra gli imputati, la fiamma del bruciatore della caldaia, su cui era stata versata della benzina per provocare poi dall'esterno il fuoco con apposito congegno elettronico: Cass. I, n. 16264/1990; Cass. I, n. 21955/2010: il colpevole risponde, quindi, a titolo di dolo dell'evento cagionato;

b) qualora, l'evento verificatosi sia stato previsto, sia pure sotto forma di dolo eventuale dall'agente: in terminis Cass. V, n. 2202/1986, secondo la quale sussiste l'elemento intenzionale del reato di danneggiamento, nella forma del dolo eventuale, nell'ipotesi in cui l'agente, mediante un colpo violento al viso, cagioni a taluno non solo lesioni personali, ma anche la rottura degli occhiali in quanto l'agente, pur rappresentandosi, come probabile o possibile, il suddetto evento diverso (danneggiamento) da quello voluto (lesioni), ciò nonostante, agì ugualmente accettando il rischio del suo verificarsi;

c) quando l'evento diverso costituisca una progressione naturale e prevedibile della condotta, come nel caso del danneggiamento degli arredi della caserma, in conseguenza della resistenza opposta dall'imputato nei confronti dei Carabinieri, intervenuti per impedirgli di aggredire la moglie: in tal caso, è stato ritenuto che l'agente risponde del reato di danneggiamento a titolo di dolo, sia pure alternativo o eventuale: Cass. II, n. 19293/2015;

d) al delitto preterintenzionale (art. 584 c.p.): si è, infatti, rilevato che, il delitto di omicidio preterintenzionale non è assimilabile all'omicidio da aberratio delicti, ma ai delitti aggravati dall'evento (Cass. I, n. 4694/1983), in quanto l'omicidio preterintenzionale, pur costituendo anche esso una forma di reato aberrante in senso lato, astrattamente inquadrabile nello schema teorico dell'aberratio delicti, costituisce, tuttavia, secondo il vigente sistema penale, una diversa figura di reato, implicando la realizzazione di un evento non diverso, ma soltanto più grave di quello voluto; mentre, presupposto indefettibile per la configurabilità della aberratio delicti di cui all'art 83 è che l'evento integri la lesione di un bene giuridico eterogeneo rispetto a quello relativo all'evento voluto (Cass. I, n. 854/1975).

È sorta, però, controversia, nel caso in cui, mutando il soggetto passivo o l'oggetto materiale dell'evento, muti la qualificazione giuridica del reato: ci si è chiesto in tali casi, se l'evento sia o meno diverso da quello voluto.

L'esempio che si è ipotizzato è il seguente: Tizio vuole uccidere A, ma, per errore nell'esecuzione del delitto, invece uccide B, capo di Stato.

Pur essendo l'evento identico dal punto di vista fattuale (omicidio), muta però, la qualificazione giuridica e, conseguentemente, il trattamento sanzionatorio: omicidio nel primo caso (art. 575 c.p. punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno), attentato contro il Presidente della Repubblica nel secondo caso (art. 276 c.p., punito con l'ergastolo).

Parte della dottrina (Romano, Commentario, 788), partendo dal presupposto che l'evento sia diverso proprio perché è mutato il soggetto passivo, sostiene che si verterebbe in un'ipotesi di aberratio ictus come tale punibile ex art. 82 c.p., sicché il colpevole deve rispondere come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere (omicidio ex art. 575 c.p.): alle stesse conclusioni, si perviene quando l'evento sia diverso per la particolare qualificazione dell'oggetto materiale della cosa come ad es. nel caso di chi, volendo bruciare una stampa antica, sopprime un atto pubblico di cui all'art. 490 c.p.

Altra parte della dottrina (Gallo § 3), ritiene, invece, che anche la suddetta ipotesi rientri comunque nel capo d'applicazione dell'art. 83, in quanto, la soluzione opposta condurrebbe a risultati inaccettabili nel caso inverso e cioè ove si ipotizzi un attentato al Capo dello Stato (punito, comunque, con l'ergastolo) che, per errore nell'esecuzione, sia deviato contro un privato cittadino configurandosi, quindi, nei confronti di quest'ultimo, al più, solo un tentato omicidio.

A seguire la tesi opposta, invece, l'agente dovrebbe rispondere, ex art. 82 c.p., dell'art. 276 c.p. e, quindi, sarebbe punibile con l'ergastolo e non con il tentato omicidio, anche perché non sarebbe applicabile né l'art. 60 (che prevede lo scambio di persone), né l'art. all'art. 59, in quanto «il soggetto agente non si è configurato niente che possa essere valutato a suo favore; l'evento da lui voluto è l'evento più grave, e in virtù dell'art. 82 proprio di questo evento più grave, voluto e non cagionato, egli dovrebbe rispondere».

Ci si è chiesto in dottrina se nel sintagma “evento voluto” rientri anche il tentativo.

La questione del tentativo si può prospettare sotto due diversi profili:

a) se, per compiere “l'evento diverso da quello voluto”, sia necessario compiere un tentativo del reato voluto;

b) nel caso in cui sia configurabile il tentativo per il reato voluto, quale sia la disciplina applicabile.

In ordine al primo problema, la dottrina maggioritaria, sostiene che, per la configurabilità della fattispecie di cui al primo comma, non è necessario che l'agente compia un tentativo del reato voluto essendo sufficiente che la sua azione (quand'anche in essa non siano ravvisabili gli estremi del tentativo del reato voluto) si sia concretizzata in un reato diverso.

Infatti, la norma non richiede alcun requisito particolare della condotta dell'agente, sicché, non vi è alcuna ragione per cui l'agente dovrebbe rispondere del diverso reato solo se abbia realizzato quanto meno un tentativo per il reato voluto; risponderà, quindi, di lesioni colpose l'agente che, compiendo atti non idonei a danneggiare l'auto di B (reato che voleva commettere), ferisca invece il passante C (Romano, Commentario, 789; De Francesco, 25, secondo il quale, però, l'agente dovrebbe almeno compiere atti — sebbene non idonei — diretti al compimento del reato non voluto, perché, altrimenti non sarebbe possibile valutare se vi sia stata o meno una divergenza fra il reato voluto e quello realizzato).

Più complesso e gravido di conseguenze pratiche, è il secondo problema.

Secondo una prima tesi il comma 2 non è applicabile perché un'interpretazione estensiva sarebbe ostacolata dal termine “cagionato” da intendersi come consumato. Quindi, nell'ipotesi prospettata (tentativo e reato diverso), si devono applicare le norme sul concorso formale con la conseguenza che il reato non voluto sarà punibile solo se, in concreto, sarà accertata una responsabilità per colpa (Boscarelli, 166 ss.; Cass. I, n. 175/1995, secondo la quale la disposizione dell'art. 83, comma 2, c.p., non trova applicazione qualora l'evento voluto sia configurabile come delitto tentato).

Secondo, invece, altra tesi, l'agente risponderà a norma del secondo comma sia per il tentativo del reato voluto che per il reato realizzato ma non voluto.

A tale conclusione, si è pervenuti non solo sulla base di quanto scritto nella Relazione al Codice («la locuzione evento [...] è comprensiva così dell'evento di danno come di quello di pericolo [...] quindi anche di quel particolare evento che sorge dal semplice tentativo») ma anche in considerazione delle incongrue conseguenze che deriverebbero: infatti, «riportando alla disciplina del comma 1 dell'art. 83 l'ipotesi in cui, oltre che un evento diverso si fossero verificati anche atti idonei diretti in modo non equivoco alla realizzazione del delitto voluto, il colpevole non soltanto verrebbe esonerato dalla responsabilità per il tentativo posto in essere ma, a cagione della non soverchia gravità delle pene stabilite per i reati colposi, potrebbe godere di un trattamento più favorevole di quello a cui andrebbe sottoposto chi avesse realizzato puramente e semplicemente atti di tentativo. Ma non basta: poiché l'evento diverso ben potrebbe non essere previsto quale delitto colposo, si perverrebbe ad una totale impunità» (Gallo § 5; Cornacchia, § 5d; Mantovani, 1979, 331).

Quanto, infine, al problema se rientri nell'ambito del comma 1 l'ipotesi in cui l'agente, per errore, non compia il reato voluto, ma ne cagioni due o più diversi da quello voluto e non realizzato, cfr. infra.

Segue. L'effetto dell'errore: il reato non voluto

Effetto dell'aberratio è che l'agente, invece di cagionare il reato voluto ne cagiona un altro del quale ne risponde se il fatto è previsto dalla legge come colposo: quindi, ad es., se Tizio volendo colpire Caio, invece, colpisce una vetrina, infrangendola, non risponderà del delitto di danneggiamento perché non è previsto il danneggiamento colposo.

Il problema principale che si è posto a proposito del suddetto effetto dell'errore commesso, consiste nello stabilire a che titolo sia imputato il reato non voluto.

Nella norma, il legislatore ha, testualmente, utilizzato la locuzione «a titolo di colpa»: tuttavia, non è chiaro «se, nell'ipotesi che il fatto realizzato sia preveduto dalla legge come fatto colposo, il giudice debba ricercare la colpa in concreto ed escludere la responsabilità se non la ravvisi (ad es. perché l'aberrazione è dovuta a caso fortuito), ovvero ritenere che essa sussista in rapporto al semplice accertamento degli altri requisiti dell'aberratio delicti» (Conti, 41).

Da qui è sorto quindi, il problema di quale sia il criterio d'imputazione del reato non voluto, in relazione al quale sono state prospettate le teorie di seguito indicate.

Secondo una prima tesi, si deve valorizzare il pur infelice sintagma e, quindi, ritenere che il reato non voluto può essere addebitato all'agente solo ove, nella sua condotta siano ravvisabili gli estremi della colpa ex art. 43 c.p. ossia, imprudenza, negligenza ed imperizia. Infatti, «la legge, nel dubbio, deve interpretarsi conformemente alle tendenze evolutive del diritto e, quindi, alla stregua del principio “non c'è pena senza colpa”» (Antolisei, 1974, 341; Conti, 41; Mantovani, 331; Pagliaro, 449; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 371, secondo i quali la norma va interpretata sulla base del principio costituzionale di colpevolezza e, quindi, è necessario accertare caso per caso se un uomo ragionevole, al posto dell'agente, si sarebbe reso conto che compiendo una determinata azione avrebbe potuto provocare un evento diverso)

Secondo, invece, un'altra teoria (Gallo § 5; Cornacchia § 5; Fiandaca-Musco, PG, 409; Romano, Commentario, 789), l'imputazione avviene a titolo di responsabilità oggettiva: perché il legislatore ha usato il sintagma “a titolo di colpa” e non “per colpa”, volendo, quindi, riferirsi non al fondamento della responsabilità (colpa) ma solo al fatto che l'evento non voluto — comunque addebitabile — dev'essere trattato agli effetti penali (abitualità; professionalità; amnistia) “come se fosse colposo”; perché la norma si limita a parlare di causazione di evento diverso da quello voluto, senza esigere, per ciò che attiene all'obiettività della fattispecie, nessun altro elemento; perché, altrimenti, la norma, limitandosi a richiamare i principi ordinari in tema di responsabilità colposa, sarebbe superflua.

Questa tesi, poi, fa notare le inaccettabili conseguenze pratiche cui si andrebbe incontro: ad esempio, dovrebbe andare esente da pena chi, lanciata una bomba per uccidere una persona in realtà già cadavere, provocasse il ferimento di colui che si trovava accanto al morto.

La suddetta tesi, quindi, conclude rilevando che l'evento non voluto è posto a carico dell'agente sulla base del semplice nesso di materialità fra condotta ed evento, essendo irrilevante anche l'eventuale sussistenza del caso fortuito o della forza maggiore. Infatti, quanto al fortuito «non si sa proprio come la sua efficacia scriminante potrebbe conciliarsi con una forma di colpa accertata attraverso la pura e semplice constatazione del rapporto di contrarietà esistente tra una condotta ed una legge penale. Quanto alla seconda, essa incide in una fase anteriore a quella costituita dalla volontà colpevole, e, poiché esclude la coscienza e volontà dell'azione od omissione, preclude la stessa esistenza di un comportamento penalmente rilevante» (Gallo, § 5).

Secondo Cass. I, n. 1867/1979, il caso fortuito, essendo riferibile, sul piano causale, solo ad una azione lecita e non già ad un'azione antigiuridica, non è applicabile all'art. 83, sicché, si deve attribuire all'autore l'evento imprevedibile derivato dalla sua azione.

Quanto alla posizione assunta dalla giurisprudenza cfr. infra sulla aberratio plurilesiva sul parallelo problema sorto in relazione all'art. 586 c.p.

L' aberratio delicti plurilesiva

Il comma 2 dell'art. 83 è strutturato su due livelli:

a) nella prima parte, si prevede la fattispecie che s'intende regolamentare: l'agente, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un'altra causa, cagiona due eventi-reati: il reato voluto; un altro reato diverso da quello voluto;

b) nella seconda parte, è prevista la modalità del trattamento sanzionatorio: l'agente risponde dell'uno e l'altro reato secondo “le regole del concorso dei reati”.

Segue. Il reato diverso

Nella prima parte del comma in esame, le questioni che si pongono consistono, sostanzialmente, nello stabilire:

a) quale sia il campo d'applicazione della norma;

b) quale sia il criterio d'imputazione del reato non voluto.

Quanto al campo di applicazione del comma in esame, si è posta la questione se in esso vi rientri il tentativo nonché l'ipotesi in cui l'agente cagioni, oltre al reato voluto, due o più eventi-reati diversi da quello voluto.

Del tentativo, se ne è già discusso (supra).

Relativamente, invece, alla questione se rientri nell'ambito del secondo comma in esame l'ipotesi in cui l'agente cagioni, oltre al reato voluto, due o più eventi-reati diversi da quello voluto, va osservato che la stessa problematica si pone per il primo comma e cioè se in esso rientri o meno l'ipotesi in cui l'agente, per errore, non compia il reato voluto, ma ne cagioni due o più diversi da quello voluto e non realizzato.

La soluzione al quesito (sia per il primo che per il secondo comma), dipende dalla teoria che si accoglie.

Se si ritiene che l'art. 83 commi 1-2 prevede, in entrambi i commi, un caso di addebito del reato (o reati) diverso da quello voluto a titolo di colpa, la soluzione è facile: ad entrambe le ipotesi (agente che, per errore, non compie il reato voluto, ma ne cagioni due o più diversi da quello voluto e non realizzato; agente che, per errore, compie il reato voluto, e ne cagioni due o più diversi da quello voluto e non realizzato) si applicano le regole generali del concorso formale dei reati dovendosi avere, quindi, solo cura di accertare che ogni reato sia stato commesso con colpa e quale fra di essi sia il più grave per porlo poi come base sul quale calcolare l'aumento per gli altri reati.

Se, invece, si ritiene che l'art. 83 commi 1-2, in entrambi i commi, prevede un'ipotesi di addebito del reato diverso (o dei reati) a titolo di responsabilità oggettiva, la soluzione diventa più complessa ed è la seguente: viene, innanzitutto, negata la possibilità di applicare, per l'evento ulteriore (secondo, terzo ecc...) la disciplina di cui all'art. 83 commi 1-2 e ciò perché «espressamente nel comma 1 e mediante un rinvio a quest'ultimo nel capoverso, la legge parla soltanto di un evento diverso. Estendere la responsabilità anomala sancita per questo evento ad offese che non ricadono sotto l'àmbito di previsione della norma in parola, appare chiaramente contrario ai principi» (Gallo, § 8).

Di conseguenza:

a) dell'unico evento diverso da quello voluto, l'agente risponderà a titolo di responsabilità oggettiva a norma del primo o secondo comma;

b) degli eventi ulteriori (secondo, terzo, ecc.) l'agente risponderà unicamente quando esistano in concreto tutti i presupposti di una colpa effettiva;

c) per stabilire, poi, quale fra tutti gli eventi cagionati e non voluti sia da imputare a titolo di responsabilità oggettiva, si dovrà ricorrere al criterio del reato più grave (Romano, Commentario, 791; contra: Boscarelli, 172, secondo il quale, invece, in aderenza al principio del favor rei, va considerato il reato meno grave);

d) infine, a tutti i reati sarà applicato il trattamento sanzionatorio del concorso formale.

Quanto, poi, alla questione del criterio d'imputazione del reato diverso da quello voluto, la problematica è identica a quella già esaminata in relazione al primo comma (supra), anche se, sul punto, si registra, in giurisprudenza una significativa evoluzione (infra).

Segue. Il trattamento sanzionatorio

Il comma 2 stabilisce che, ai due reati commessi dall'agente (quello voluto e quello non voluto) si applicano le regole del concorso dei reati: quindi, concorso formale che, in ordine al trattamento sanzionatorio prevede che la pena che il giudice stabilisce per il reato base ritenuto più grave sia aumentata fino al triplo.

È molto discusso su quale sia la natura giuridica del suddetto concorso.

Anche a tal proposito, le teorie proposte sono le stesse di quelle illustrate in ordine al criterio d'imputazione.

Infatti, coloro che ritengono che l'evento ulteriore debba essere imputato a titolo di colpa, non hanno difficoltà alcuna a sostenere che la norma non è altro che l'esplicitazione della regola generale sul concorso formale dei reati.

Coloro che, invece, sostengono che il reato ulteriore sia imputato a titolo di responsabilità oggettiva, ritengono che la norma preveda un caso di concorso anomalo: infatti, mentre il concorso formale presuppone che la condotta sia unica (sia pure con plurime violazioni della legge penale) in quanto il fatto realizza tutti gli estremi di più fattispecie criminose, tutte integre sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, al contrario, tale dato strutturale non è previsto nell'art. 83 comma 2 in quanto il secondo reato è non voluto dall'agente ed è posto a suo carico in modo oggettivo. Questa testi, quindi, conclude che il richiamo al concorso sia stato effettuato solo per ciò che attiene alle conseguenze (Gallo; Romano).

Ciò comporta che la questione, probabilmente, sul piano pratico non ha alcuna rilevanza, come riconosce uno degli stessi autori (Gallo § 7) perché, alla fin fine, il trattamento sanzionatorio è quello del concorso formale con l'ulteriore conseguenza che, l'agente, per ognuno dei reati in concorso, potrà usufruire degli eventuali benefici riguardanti ciascuno di essi (prescrizione, amnistia, indulto, querela ecc...).

In terminis Cass. I, n. 5255/1987; Cass. I, n. 2612/1984.

In giurisprudenza, si ritiene che l'art. 83 comma 2 prevede un caso di concorso improprio: «Il capoverso dell'art. 83 c.p. realizza un caso di concorso formale improprio, in cui, con una medesima azione od omissione, si perfeziona un'offesa dolosa ed un'offesa colposa a beni giuridici omogenei di due diversi soggetti passivi: offese equiparate, sotto l'aspetto dell'elemento psicologico del reato, sul piano normativo, ma diverse su quello naturalistico»: Cass. I, n. 11169/1981; Cass. I, 26 gennaio 1990, Piotto.

Segue. I rapporti fra l'art. 83 comma 2 e gli artt. 116, 586

Fermo il rinvio, per una più puntuale analisi della problematica, al commento degli artt. 116 e 596 c.p., in questa sede, è opportuno rammentare quanto segue.

Quanto all'art. 116 c.p., si ritiene che non vi sia alcuna incompatibilità fra il cd. concorso anomalo di cui alla predetta norma e l'ipotesi dell'aberratio: infatti, l'art. 116 non prevede una norma speciale rispetto a quella dell'art. 83 c.p. in quanto mentre quest'ultima riguarda esclusivamente la posizione del colpevole che risponde, a titolo di colpa, dell'evento non voluto allorché il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo (cosiddetto aberratio delicti), la norma sul concorso anomalo riguarda la posizione del compartecipe, il quale risponde del reato più grave che sia stato realizzato dal concorrente o dai concorrenti in difformità dal programma criminoso concertato, sempre che tale fatto più grave sia ricollegabile a quello meno grave (e voluto) da un nesso di sviluppo logicamente prevedibile: Cass. I, n. 35386/2001;Cass. I, n. 17098/1988Cass. I, n. 10961/1988; Cass. I, n. 5250/1987; contra: Cass. V, n. 2634/1992; Cass. I, n. 8887/1985, ma solo sotto il profilo dell'inquadramento giuridico (avendo ritenuto che la disposizione dell'art. 116 c.p. costituisce norma speciale rispetto a quella generale dell'art. 83 c.p.), e non della compatibilità.

Quanto all'art. 586 c.p., va rilevato che, secondo l'opinione prevalente, costituisce un'ipotesi particolare di aberratio delicti plurilesiva (Romano, 791; Fiandaca-Musco, PG, 409; Mantovani, PG 1979, 331; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 586.

In giurisprudenza, Cass. V, n. 7089/1982; Cass. I, n. 11486/1986; contra: Cass. IV, n. 1673/1985.

È importante evidenziare, sia pure sinteticamente, l'evoluzione giurisprudenziale in ordine al criterio d'imputazione del reato non voluto (nella specie, morte o lesione), perché essa refluisce, con tutta evidenza anche sul corrispondente problema che si è posto in ordine all'art. 83 c.p. (cfr. supra).

In un primo momento, si ritenne che l'evento ulteriore fosse imputabile a titolo di responsabilità oggettiva: Cass. I, n. 11537/1986.

Successivamente, si affermò l'opinione secondo la quale l'evento ulteriore era imputabile a titolo di colpa specifica derivante dalla commissione stessa del reato doloso, che viene così a rappresentare una violazione di legge, costituendo, in tal modo, appunto, una ipotesi di colpa specifica: Cass. V, n. 1129/1995; Cass. I, n. 10697/1982.

Infine, si è affermata la tesi secondo la quale l'evento non voluto è imputabile alla responsabilità dell'agente sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta dolosa) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale: Cass. S.U., n. 22676/2009; Cass. IV, n. 41462/2012.

Questa tesi, benché affermata in tema cessione di stupefacenti seguita da morte del cessionario, è chiaro che ha un'immediata refluenza anche sul correlativo problema del criterio d'imputazione del reato non voluto ex art. 83, sicché può affermarsi che, in giurisprudenza, la linea di tendenza è delineata con nettezza nel senso dell'accoglimento della tesi secondo la quale l'evento non voluto può essere addebitato solo ove nella condotta siano ravvisabili gli estremi di un comportamento colposo: Cass. VI, n. 38060/2019: «in tema di morte quale conseguenza di altro delitto, sussiste il nesso di causalità tra le condotte estorsive e il suicidio della vittima quando questo non sia espressione della libera scelta del soggetto, bensì venga ritenuto quale unica alternativa percorribile a fronte dell'impossibilità di sottrarsi alle condotte estorsive degli imputati»: fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente la prevedibilità in concreto del rischio dell’evento suicidiario, in ragione della fragilità psichica della giovane vittima degli estorsori, dello stato di tossicodipendenza e della profonda prostrazione determinata dalle gravi e reiterate minacce, nonché del fatto che il suicidio si era verificato a distanza di poche ordall’ultima telefonata estorsiva. » Cass. II, n. 2572/2021: «In tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, il decesso della persona offesa è ascrivibile all'autore del delitto di tentata rapina ove consegua a patologie pregresse a condizione che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze conosciute o conoscibili, nel caso concreto, dall'agente reale. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione di condanna per il delitto di cui all'art. 586 c.p. fondata sul turbamento psichico indotto nella vittima dal tentativo di rapina perpetrato in suo danno, evidenziando che, per le pregresse patologie cardiache - sconosciute all'agente - da cui quest'ultima era affetta, non era di per sé significativa, ai fini dell'accertamento della colpevolezza, la sua età anagrafica di sessantacinque anni)».

Bibliografia

Conti, Aberratio, in Nss. d. I., I, Torino, 1957; Cornacchia, voce Reato aberrante, in Dig. d. pen., XI, Torino, 1996; De Francesco, Sul reato aberrante, in Studium Juris, 2000; Gallo, voce Aberratio ictus, in Enc. dir., I, Milano, 1958; Iannelli, Le varie ipotesi di aberratio ictus, in Giust. pen. 1972, II, 458; Padovani, voce Difesa legittima, in Dig. d. pen., III, Torino, 1989; Pagliaro, Il reato, in Trattato di diritto penale, diretto da Grosso-Padovani-Pagliaro, Milano, 2007.

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