Codice Penale art. 90 - Stati emotivi o passionali.

Geppino Rago

Stati emotivi o passionali.

[I]. Gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l'imputabilità.

Inquadramento

La norma in commento sancisce l'irrilevanza degli stati emotivi o passionali.

La ratio legis va individuata in un'esigenza di politica criminale e cioè «con la dichiarata preoccupazione per gli abusi che si erano verificati soprattutto nei processi per reati di sangue originati dalla gelosia, celebrati e decisi con sentenza assolutoria da giurie popolari suggestionate dalle trascinanti arringhe dei difensori degli imputati vittime della gelosia» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 393; Fiandaca-Musco, PG, 352; Mantovani, PG 1979, 613, precisa ulteriormente che «l'art. 90 fu introdotto con una precisa e non trascurabile funzione pedagogica, per stimolare cioè il dominio della volontà sulle proprie emozioni e passioni»).

L'emozione «altro non sarebbe che un modello di reazione tipo con lo scopo di adattamento per l'organismo: protezione, rigetto, orientamento ed esplorazione [...] le emozioni, sarebbero dunque delle esperienze soggettive, piacevoli o spiacevoli, d'intensità rilevante, accompagnate sempre da modificazioni comportamentali ed espressive dell'organismo»: in tale nozione, caratterizzata dalla brevità della durata, rientrano la sorpresa, la paura, la collera, la tristezza e la gioia (Ferracuti-Giarrizzo, 662).

Le passioni sono caratterizzate da «modificazione e al limite anche di alterazione patologica, concernono la conoscenza ed infine le cosiddette affezioni, tendenze, inclinazioni dell'anima e del carattere intenso e durevole. Le passioni rappresentano quindi una duratura alterazione del normale ricambio tra il sé e l'ambiente, per cui l'individuo percepisce falsamente e in modo unilaterale tutto quanto si svolge intorno a lui»: in tale nozione rientrano l'odio (ed il desiderio di vendetta), la gelosia (Ferracuti-Giarrizzo, 662), forme di cupidigia, di entusiasmo, di ideologizzazione politica o di follia morale («completa mancanza di senso morale e che oggi appare riscontrarsi in certi soggetti affetti da deliri terroristici da intossicazione ideologica») (Mantovani, PG 1979, 613).

La posizione della dottrina

La dottrina, anche alla luce dell'evoluzione della scienza psichiatrica (ed ora delle nuove scoperte delle neuroscienze) ha, nel complesso, nei confronti dell'articolo in commento una posizione di critica in quanto ne auspica la riforma.

Si è, innanzitutto, rilevato che la norma è troppo categorica e perentoria perché è lo stesso codice che dà rilievo ai suddetti stati psichici come ad es. nel riconoscere l'attenuante della provocazione (art. 62 n. 2), quella della folla in tumulto (art. 62 n. 3), la non punibilità ex art. 599, comma 2.

Si, è, quindi, aggiunto che gli stati emotivi e passionali, pur non essendo un'infermità, «possono essere sintomi, manifestazioni, prodotti di uno stato patologico che, appunto, quale autentica infermità rileverà, sempre postulando un suo effettivo riflesso sulla capacità d'intendere e di volere al momento del fatto, ai sensi degli artt. 88-89» (Romano-Grasso, 47).

E, proprio in tale ottica si è concluso che «la rilevanza scusante degli stati emotivi e passionali può essere ammessa soltanto in presenza di due condizioni essenziali: a) che lo stato di coinvolgimento emozionale si manifesti in una personalità per altro verso già debole; b) che lo stato emotivo o passionale assuma, per particolari caratteristiche, reazioni di panico, reazioni esplosive, reazioni a corto circuito, discontrolli episodici, raptus ecc.» (Fiandaca-Musco, PG, 353).

Sotto altro profilo, la dottrina auspica un intervento legislativo che consenta di attribuire «potenziale rilevanza anche a situazioni di profondo perturbamento della coscienza in genere, sia esse determinate da processi patologici, oppure no, riguardino qualsiasi aspetto della coscienza, compresa la sfera emozionale-affettiva dell'agente» (Romano-Grasso, 50).

Sarebbe, questo l'unico modo di rivitalizzare e dare un senso alla norma in commento, perché, per come è tradizionalmente interpretata, essa è superflua «essendo sufficienti a disciplinare la materia gli artt. 85, 88, 89» (Mantovani, PG 1979, 614).

La posizione della giurisprudenza

La lettura delle sentenze della Corte di Cassazione, consente di affermare che l'interpretazione che dell'art. 90 si è data (e continua a darsi), si snoda attraverso la seguente sequenza logica:

a) gli stati emotivi e passionali (per la cui definizione cfr. supra), in quanto tali, non escludono né diminuiscono l'imputabilità né possono essere fatti valere, agendo sul versante dell'elemento soggettivo del reato ex art. 42: «la disposizione dell'art 90, vietando di valutare gli stati emotivi o passionali ai fini della imputabilità, non consente di riprenderli poi in esame nell'ambito dell'art 42, come causa di esclusione della colpevolezza»: Cass. I, n. 739/1972; «nessun rilievo può essere attribuito agli stati emotivi e passionali, dei quali il legislatore ha espressamente escluso la idoneità ad incidere sull'esistenza del dolo»: Cass. II, n. 3707/1975Cass. V, n. 55384/2018, pur ribadendo l'irrilevanza dei detti stati emotivi e passionali ai fini della sussistenza del dolo, alla luce della disposizione di cui all'art. 90 c.p., ha precisato che possono rilevare ai fini dell'imputabilità, a condizione che essi si inseriscano eccezionalmente in un quadro più ampio di "infermità", tale per consistenza, intensità e gravità da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il reato sia causalmente determinato dal disturbo mentale.

b) i suddetti stati, invece, possono agire sul versante del trattamento sanzionatorio, in quanto possono determinare l'applicazione delle attenuanti generiche (Cass. I, n. 217/1971; Cass. I, n. 2897/1982;Cass. I, n. 7272/2013). Non si rinvengono, invece, precedenti giurisprudenziali alla tesi dottrinale secondo la quale gli stati emotivi o passionali potrebbero essere recuperati e valorizzati tramite la concessione delle attenuanti di cui all'art. 62 n. 2-3. Infatti, la concessione delle suddette attenuanti è subordinata, oltre che alla sussistenza dello stato d'ira (ritenuto, di per sé, peraltro irrilevante: Cass. I, n. 316/1968) o alla suggestione, anche alla sussistenza di altri elementi fattuali del tutto indipendenti dai suddetti stati emotivi;

c) «gli stati emotivi e passionali possono eccezionalmente aver rilievo, ai fini dell'eliminazione o attenuazione della capacità d'intendere o di volere, solo quando, esorbitando dalla sfera puramente psicologica, degenerino in un vero e proprio, anche se transeunte, squilibrio mentale, tale da obnubilare o attenuare la coscienza e da paralizzare in toto o notevolmente i freni inibitori e, con essi, la volontà» (Cass. I, n. 9357/1980; Cass. I, n. 4492/1987; Cass. V, n. 8660/1990; Cass. S.U., n. 9163/2005; Cass. V, n. 9843/2013): sul punto vedi commento sub art. 88.

Bibliografia

Ferracuti-Giarrizzo, voce Stati emotivi e passionali, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990.

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