Codice Penale art. 96 - Sordomutismo.Sordomutismo. [I]. Non è imputabile il sordo (1) che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità d'intendere o di volere [222]. [II]. Se la capacità d'intendere o di volere era grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita [65, 69 4, 70 2, 219]. (1) L'espressione «sordo» è stata sostituita al termine «sordomuto» dall'art. 1, l. 20 febbraio 2006, n. 95. InquadramentoIl codice Zanardelli (art. 58) considerava il sordomuto incapace di intendere e di volere salvo la prova che avesse agito con discernimento: il sordomutismo, quindi, era ritenuto una condizione psicopatologica che, come tale, escludeva l'imputabilità. Il Codice vigente, com'è scritto nella Relazione ministeriale sul progetto del codice penale, ha profondamente innovato la materia essendosi limitato «a dichiarare che il sordomutismo può essere assunto a causa di esclusione della capacità di intendere e di volere. La esattezza di tale nuovo sistema non è stata messa in dubbio da alcuno, perché si riconosce che questa infermità, originaria o acquisita, dà causa a turbamenti funzionali, nell'organismo umano, ancora non bene definiti, e non sempre eguali per intensità e per durata, e che d'altra parte i moderni mezzi di educazione riescono spesso a dare al sordomuto una personalità psichica e intellettuale veramente completa. L'impossibilità, pertanto, di determinare a priori gli effetti, sull'imputabilità, del sordomutismo, consiglia ad astenersi dal fare le distinzioni adottate dal codice del 1889, meglio provvedendosi al bisogno col riferimento generico all'influenza che il sordomutismo può esercitare sulla capacità di intendere e di volere... Mi è sembrato che l'importante innovazione dovesse essere esplicita, e non desunta dal complesso delle norme sulla imputabilità». Quindi, in sostanza, per i sordomuti, l'imputabilità non deriva da una presunzione di legge (sebbene suscettibile di prova contraria) ma dall'esame concreto che il giudice deve compiere caso per caso. La norma, nella letteratura risalente, è ancora giustificata con la considerazione che «è manifesto che un vizio organico, come il sordomutismo congenito, il quale spesso deriva da cause patologiche costituzionali che investono tutto l'organismo, è tale impedimento allo sviluppo psichico normale dell'individuo, da arrestarlo quasi completamente i coloro che non vengono assoggettati a uno speciale regime educativo. Soltanto con particolari mezzi pedagogici si può sperare di elevare siffatti infelici ad un grado prossimo alla normalità [...] l'artificio non può mai sostituire interamente la natura; e però la capacità di diritto penale dei sordomuti dev'essere oggetto di una disciplina speciale» (Manzini, Trattato, II, 105). La letteratura odierna contesta, però, la soluzione legislativa — che, espressamente, considera il sordomutismo come pur sempre “una infermità” — ritenendola inopportuna in quanto finisce «ai nostri giorni per segnalare ancora, con una menzione apposita, una condizione di inferiorità di un'intera categoria di soggetti, ciò che può riverberarsi negativamente sul loro normale inserimento nella comunità sociale, annullando in parte i considerevoli progressi ottenuti attraverso gli studi delle cause del sordomutismo e l'adozione di tecniche moderne che consentono ampi margini di recupero funzionale» (Romano-Grasso, 73; Fiandaca-Musco, PG, 361). Infine, va rammentato che, a norma dell'art. 1 l. n. 95/2006, il termine “sordomuto” è stato sostituito con l'espressione “sordo”. Ciò potrebbe far ritenere che solo il “sordo” e non più il “sordomuto” sia soggetto alla disciplina dell'articolo in commento. Sennonché si è obiettato che «a ben vedere, però, la l. n. 95/2006 ha tutt'altra finalità. Come già emerge dalla rubrica della legge («Nuova disciplina in favore dei minorati uditivi»), nonché dal rinvio alla l. n. 381/1970 (che riguardava l'Ente nazionale per la protezione e l'assistenza ai sordomuti), la ratio della disciplina introdotta nel 2006 è del tutto estranea alle norme in tema di imputabilità: il legislatore si proponeva soltanto di ridefinire la cerchia dei destinatari del trattamento previdenziale consistente in un assegno mensile di assistenza. Riteniamo pertanto che la causa di esclusione di dell'imputabilità di cui all'art. 96 c.p., sia tuttora da individuare nel sordomutismo, mentre, la sola sordità, così come il solo mutismo, possono rilevare soltanto ai sensi degli artt. 88, 89 c.p. quando integrino un vizio di mente, totale o parziale» (Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 386; Romano-Grasso, 73). I requisitiAccertamento in concreto La giurisprudenza è ferma nel sostenere che il sordomutismo non è uno stato necessariamente psicopatologico, in quanto vale soltanto eventualmente ad impedire o ad ostacolare lo stato di sviluppo della psiche e, dunque, la maturità psichica. Di conseguenza, l'imputabilità del sordomuto può essere affermata (come per i minori tra i quattordici ed i diciotto anni) solo in base all'accertamento concreto della capacità di intendere o di volere, e ciò, indipendentemente da qualunque distinzione tra sordomutismo congenito e sordomutismo sopravvenuto. In altri termini, la legge non stabilisce per i sordomuti né una presunzione di capacità né una presunzione di incapacità, e non adotta neppure il criterio dell'attenuazione della imputabilità in ogni caso, ma fa dipendere il giudizio sulla imputabilità da un esame concreto che il giudice deve compiere caso per caso (e che, peraltro, non richiede sempre una perizia): Cass. III, n. 17701/2012; Cass. VI, n. 49369/2013; Cass. III, n. 25046/2019. Coesistenza di entrambe le invalidità L'art 96 presuppone l'infermità qualificata come sordomutismo, onde non può essere applicato nei casi di solo mutismo o di sola sordità, affezioni che, singolarmente prese, la legge non ha ritenuto tali da costituire un rilevante ostacolo allo sviluppo psichico della persona: Cass. I, n. 660/1970. In dottrina, v. Fiandaca-Musco, PG, 361; Natura dell'invalidità È indifferente la genesi del sordomutismo potendo derivare sia da cause congenite che da cause sopravvenute: Antolisei, PG 1975, 513; Manzini, Trattato, II, 110; Fiandaca-Musco, PG, 361. In giurisprudenza Cass. II, n. 681/1965. Contra Mantovani, 1979, 607, il quale, sulla base dell'analisi storica della suddetta invalidità, ritiene che, nei casi di sordomutismo tardivamente acquisito dopo il 6-7° anno d'età, ad es. per traumi o malattie, il soggetto che ne è affetto difficilmente perde il patrimonio linguistico, essendosi la funzione neuropsichiatrica già sufficientemente strutturata. In questa ipotesi, quindi, andrebbe accertato se la causa patologica abbia anche cagionato un vizio totale o parziale di mente. Pertanto, l'art. 96, benché non distingua, appare applicabile soprattutto al sordomutismo dalla nascita o dalla prima infanzia, anziché a coloro che hanno perduto la facoltà di udire e parlare posteriormente. Profili processualiPartecipazione al processo L'art. 119 c.p.p. regolamenta le modalità di partecipazione del sordo, del muto o del sordomuto agli atti del processo. Proscioglimento Secondo alcuni autori, ove si accerti, in concreto, che il sordomuto, per effetto della sua invalidità, era incapace d'intendere e volere al momento della commissione del reato, il medesimo dev'essere prosciolto ai sensi dell'art. 85 (Romano-Grasso, 74; Mantovani, PG 1979, 606). Secondo altra opinione, invece «ove nel sordomuto si accerti uno stato di infermità, fisica o psichica, cui eziologicamente possa essere ricollegata l'incapacità naturalistica totale o parziale, occorrerà applicare le norme dettate ad hoc dal legislatore e cioè gli artt. 88-89 s.» che prevedono espressamente la normativa per le “infermità” (fra le quali, appunto, lo stesso legislatore ha, espressamente, ricompreso il sordomutismo) e non quella di cui all'art. 85 e ciò per «un'esigenza di coerenza al principio di specializzazione della disciplina sanzionatoria cui si è informato il legislatore. Va aggiunto che, anche da un punto di vista pratico, la soluzione interpretativa così prospettata non è priva di effetti (si pensi, ad es., all'art. 206)» (Marini § 21; Crespi, 784). Rapporti con l'art. 98 Ad avviso della dottrina, ove un minore degli anni diciotto sia anche sordomuto, si applica la normativa di cui all'art. 96 in quanto “speciale” rispetto a quella generale di cui all'art. 98, «oltre ad essere più congrua in relazione al presumibile carattere non transeunte del mancato sviluppo psicologico» (Marini § 21). Misure di sicurezza Il sordomuto prosciolto per difetto di imputabilità (ex art. 88) o condannato a pena diminuita perché si trovava in stato di mente da scemare grandemente la sua capacità di intendere o di volere ex art. 89), ove ritenuto socialmente pericoloso, può essere sottoposto alle misure di sicurezza di cui agli artt. 219 (assegnazione a una casa di cura e di custodia) o 222 (ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario) o della libertà vigilata. BibliografiaCrespi, voce Imputabilità (diritto penale), in Enc. dir., XX, Milano, 1970; Marini, voce Imputabilità, in Dig. d. pen., VI, Torino, 1992. |