Codice Penale art. 108 - Tendenza a delinquere.Tendenza a delinquere. [I]. È dichiarato delinquente per tendenza chi, sebbene non recidivo o delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo, contro la vita o l'incolumità individuale, anche non preveduto dal capo primo del titolo dodicesimo del libro secondo di questo codice, il quale, per sé e unitamente alle circostanze indicate nel capoverso dell'articolo 133, riveli una speciale inclinazione al delitto, che trovi sua causa nell'indole particolarmente malvagia del colpevole [109; 533 2 c.p.p.]. [II]. La disposizione di questo articolo non si applica se la inclinazione al delitto è originata dall'infermità preveduta dagli articoli 88 e 89. InquadramentoLa tendenza a delinquere è la terza ed ultima categoria (oltre quella del delinquente abituale e professionale) di delinquenti pericolosi previsti dal codice. Nozione: «la tendenza a delinquere è quella speciale inclinazione a commettere delitti contro la vita o l'incolumità personale, che trova la sua causa nell'indole particolarmente malvagia del colpevole e che non proviene da infermità di mente»: Manzini, Trattato, III, 293. È questa, fra le tre categorie di pericolosità qualificata, la nozione che suscitò più dibattito all'epoca della redazione del codice per le evidenti implicazioni di carattere ideologico ad essa sottesa (per un'ampia ed accurata ricostruzione del suddetto dibattito: Riccio, 1119 ss.; Calvi, 86 ss.), come dimostrato, peraltro, dell'ampio spazio che l'allora Guardasigilli dedicò, alla suddetta norma, nella sua Relazione. Il dibattito attuale: nonostante le “rassicurazioni” del Guardasigilli che si faceva “scudo” delle acquisizioni della scienza psichiatrica per sostenere la fondatezza della categoria del delinquente per tendenza, il dibattito non si placò affatto tant'è che anche nella letteratura più recente, la norma in commento è stigmatizzata come «l'espressione più avanzata, ma anche la più distorta, di quella pericolosità sociale qualificata che, in funzione di marcata difesa sociale sta alla base della figura del delinquente recidivo e del delinquente o contravventore abituale o professionale» (Romano- Grasso, Commentario, 127; Fiandaca-Musco, PG, 875; Marinucci-Dolcini, Manuale 2015, 727; Mantovani, PG 2015, 685 ss. Indubbiamente, il punto critico della norma in commento è proprio quello di ritenere che possa sussistere «una speciale inclinazione al delitto, che trovi sua causa nell'indole particolarmente malvagia del colpevole» e che, per usare la parole del Guardasigilli «il difetto di senso morale e sociale non si associa ad alcun disturbo psicologico nella sfera intellettiva e volitiva, e non è soltanto conseguenza di essi». Nella Relazione è scritto, come si è visto, che «la scienza psichiatrica ha perfettamente identificato questi individui [...] che, pur avendo lucido l'intelletto e normale la volontà, difettano di senso morale e sociale [....]»: ma, la psichiatria, dall'epoca del Guardasigilli, ha fatto passi da gigante e continua a farne, e le nuove scoperte che giornalmente provengono dalle neuroscienze mettono in crisi, alla radice, la stessa psichiatria (sulla problematica, si rinvia al commento dell'art. 88 c.p.); pretendere, quindi, oggi, di ragionare con le categorie concettuali della psichiatria degli anni trenta del secolo scorso, costituirebbe un anacronismo, prima che storico, anzitutto scientifico. Ed è proprio per questi motivi che, nonostante l'acceso dibattito che suscitò la categoria del delinquente per tendenza, la norma è divenuta, nell'applicazione pratica, desueta e, di fatto, tacitamente “abrogata”: infatti, al di là dei riscontri giurisprudenziali risalenti fino agli anni sessanta del secolo scorso, poi, in concreto, le applicazioni pratiche sono andate, mano a mano, scemando. Quanto appena detto, però, non ci esime, dal commentare la norma al fine di individuarne i presupposti giuridici per la sua applicazione. I presuppostiDalla lettura dell'articolo in commento, si evince che i presupposti perché un imputato sia dichiarato delinquente per tendenza sono i seguenti: a) l'assenza di un'infermità ex artt. 88, 89 c.p.: come si è ampiamente illustrato nel paragrafo precedente, è questo il presupposto più caratteristico e controverso della norma, proprio perché è richiesto che la tendenza a delinquere sia sganciata da ogni patologia psichiatrica; b) l'indole particolarmente malvagia: su questa particolare nozione, non può che rinviarsi alle parole dello stesso Guardasigilli che trovano eco e riscontro anche nelle definizioni della stessa dottrina e giurisprudenza: ad es. Romano-Grasso, Commentario, 128, parlano di «totale insensibilità etico - sociale, o una radicale assenza di senso di umanità»; Antolisei, PG 1975, 545, di «istinto perverso e brutale che per la sua forza, accompagnata dalla mancanza di ogni sentimento di pietà e di umanità, determina una singolare inclinazione al delitto». Secondo Cass. S.U., 15 gennaio 1949, Sica, l’indole particolarmente malvagia, consiste «in una disposizione naturale, determinante forti impulsi delittuosi, contro i quali la deficienza morale dell’agente non consente freni efficaci»; Cass. I, n. 1641/1966 parla di «anomalie della personalità che si concretano nelle perversioni del temperamento e del carattere [...] a deviazione del sentimento e al male dello spirito». c) delitto doloso contro la vita e l'incolumità individuale. La qualifica di delinquente per tendenza è riservata solo ed esclusivamente a quella particolare categoria di imputati che si siano resi colpevoli di delitti dolosi “contro la vita o l'incolumità individuale, anche non preveduto dal capo primo del titolo dodicesimo del libro secondo di questo codice”: quindi, restano esclusi i delitti colposi e le contravvenzioni. Vanno, invece, considerati i delitti preterintenzionali «perché dolosa è la produzione di quell'evento dal quale è derivato l'evento più grave non voluto dal colpevole» (Manzini, Trattato, III, 296; Romano-Grasso, 128), i delitti aggravati dall'evento come per esempio nell'ipotesi di cui all'art. 586 (Riccio, 1127), nonché lo stesso delitto tentato poiché la legge non esige che il colpevole abbia consumato il delitto (Manzini, Trattato, III, 297). La norma chiarisce, in modo inequivoco, che occorre l'aggressione al bene giuridico della vita o incolumità personale: quindi, può essere dichiarato delinquente per tendenza non solo chi si sia reso responsabile di uno dei reati previsti dagli artt. 575 ss., ma anche chi abbia violato altre disposizioni del codice penale o leggi speciali «purché la lesione o l'esposizione al pericolo dei detti beni sia considerata elemento costitutivo (necessario o eventuale) o circostanza aggravante del commesso delitto (es. artt. 276, 295, 396/2 c.p.»: Manzini, Trattato, III, 296; Riccio, 1128; Romano-Grasso, 128. È importante, focalizzare l'attenzione sul fatto che, contrariamente alla dichiarazione di abitualità o professionalità, può essere dichiarata la tendenza a delinquere anche nei confronti del delinquente primario ossia di chi si sia reso colpevole anche del suo primo delitto “contro la vita o l'incolumità individuale” purché il suddetto delitto sia indicativo della sua indole malvagia. Profili processualiLa dichiarazione di “tendenza a delinquere” non è mai presunta ma dev'essere accertata dal giudice, caso per caso, sulla base del delitto in sé e per sé considerato “e unitamente alle circostanze indicate nel capoverso dell'art. 133”. Anche per la tendenza per delinquere, così come per l'abitualità e la professionalità, è previsto, a norma dell'art. 220 comma 2 c.p.p., il divieto di perizia salvo che il carattere, la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche (nella specie: la “malvagità”) siano dipendenti da cause patologiche. A norma dell'art. 109 comma 3 c.p. la dichiarazione di tendenza per delinquere, differentemente dalla dichiarazioni di abitualità o di professionalità, «non può che essere dichiarata che con la sentenza di condanna» dal giudice di merito, o, direttamente dalla Corte di Appello, a seguito del riconoscimento della sentenza penale straniera, ex combinato disposto degli artt. 12 comma 1 n. 1 c.p. e 734 c.p.p.: «il giudice di sorveglianza, pertanto, è incompetente a emettere la detta dichiarazione; egli può soltanto ordinare l'assegnazione a una colonia agricola ovvero a una casa di lavoro, se il giudice del merito non abbia a ciò provveduto, ed è competente per i provvedimenti successivi»: Manzini, Trattato, III, 301. La declaratoria di tendenza a delinquere «ha carattere costitutivo, dipendendo unicamente ed immediatamente dalla «qualificazione» discrezionalmente espressa dal giudice, per gli effetti giuridici materiali ad essa collegati, la modificazione dello stato penale del soggetto. La declaratoria ha, per ciò, effetto dal momento della sua pronuncia»: Cass. SU, n. 9864/1988 (in motivazione). È controverso se sia necessaria o meno la contestazione (come, per l'abitualità e la professionalità): in senso affermativo si è pronunciata una parte della dottrina (Romano- Grasso, 128) al contrario di altra dottrina (Manzini, Trattato, III, 301). La misura di sicurezza dell'assegnazione a una colonia agricola o a una casa di lavoro è obbligatoria nei confronti di colui che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza e di cui sia stata accertata dal giudice la pericolosità sociale: Cass. I, n. 14014/2011 la quale, in motivazione ha chiarito: «nel caso di declaratoria di delinquenza abituale, l'applicazione della misura di sicurezza deve essere ordinata previo accertamento che colui che ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa e ciò perché la l. 10 ottobre 1986, n. 663, art. 31 ha abrogato l'art. 204 c.p. (pericolosità sociale presunta) (v. Cass. II, 11 maggio 1987, n. 8781). Dall'interpretazione letterale dell'art. 216 c.p. si desume in maniera chiara ed univoca che, nei confronti di un soggetto che sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, e di cui sia stata accertata la perdurante pericolosità sociale, è obbligatoria l'assegnazione a una colonia agricola o a una casa di lavoro. La misura trova la sua giustificazione nell'accertata pericolosità sociale del condannato, la cui valutazione è compito specifico ed esclusivo del giudice di merito il quale deve tener conto ai predetti fini, del fatto — reato, nella sua obbiettività e in ogni suo elemento, principale ed accessorio (Cass. IV, 23 novembre 1988, n. 535)». Ciò in pratica significa che, poiché, il processo si celebra, spesso, a distanza di molto tempo dalla data di commissione del reato, non basta accertare che, al momento della commissione del reato, l'imputato aveva mostrato un'indole “particolarmente malvagia”, ma, dovendosi applicare la misura di sicurezza, occorre anche accertare che l'imputato sia “attualmente pericoloso socialmente”. BibliografiaCalvi, Tendenza a delinquere, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 86; Riccio, Tendenza a delinquere, in Nss. D. I., XVIII, Torino, 1971, 1119. |