Codice Penale art. 120 - Diritto di querela.

Pierluigi Di Stefano

Diritto di querela.

[I]. Ogni persona offesa da un reato per cui non debba procedersi d'ufficio [11 coord.] o dietro richiesta [8-11, 127, 313 4; 342 c.p.p.] o istanza [9, 10, 130; 341 c.p.p.] ha diritto di querela [336-340 c.p.p.].

[II]. Per i minori degli anni quattordici [121] e per gli interdetti a cagione d'infermità di mente [414 c.c.], il diritto di querela è esercitato dal genitore o dal tutore [343, 424 c.c.].

[III]. I minori [2 1 c.c.] che hanno compiuto gli anni quattordici e gli inabilitati [415 c.c.] possono esercitare il diritto di querela [125], e possono altresì, in loro vece, esercitarlo il genitore ovvero il tutore o il curatore [392, 424 c.c.], nonostante ogni contraria dichiarazione di volontà, espressa o tacita, del minore o dell'inabilitato [543, 597 3].

Inquadramento

L'art. 120 introduce le disposizioni sostanziali che disciplinano il “diritto di querela” attribuito alla persona offesa, ovvero la potestà di consentire l'esercizio dell'azione penale per quei reati per i quali non è previsto che si proceda di ufficio. In tale modo, l'ordinamento rimette al titolare dell'interesse protetto la scelta di perseguire determinate tipologie di condotte.

La disposizione lo definisce “diritto” e lo colloca nell'ambito della disciplina relativa alla persona offesa, ma la giurisprudenza e la dottrina recente ne ritengono la evidente natura di condizione di procedibilità. Il codice di procedura del 1989, del resto, ha espressamente inserito la querela tra le condizioni di procedibilità.

La giurisprudenza, tenendo comunque conto che la querela ha indiscutibilmente anche la natura di un atto espressivo della volontà della parte, ritiene che abbia anche un contenuto di tipo negoziale con la conseguenza che la interpretazione della volontà della parte debba seguire i criteri dell'interpretazione del contratto di cui agli artt. 1362 e ss c.c. (Cass. II, n. 4554/1986; Cass. V, n. 1754/1983). Si precisa, però, che per la querela non rileva il principio dell'affidamento dei terzi, ma il giudice deve tendere alla ricerca della reale volontà del querelante (Cass. V, n. 8587/1982).

In dottrina si sono espresse varie tesi sulla natura della querela: secondo prese di posizione più risalenti (e precedenti alla disciplina del codice di procedura del 1989), la querela è stata definita una forma di negozio giuridico in quanto dichiarazione di volontà diretta alla instaurazione del processo e alla punizione del colpevole (Martines, Leone, Cordero, Romano-Grasso); altra dottrina ha invece contestato una tale ricostruzione non potendo dipendere l'oggetto del negozio dalla volontà del querelante (Dinacci, Conso).

In definitiva, va affermato che la natura della querela è sia di atto processuale, per essere una condizione di procedibilità, che sostanziale, per essere una condizione di punibilità (Cass. III, n. 1359/1971).

Le numerose disposizioni che disciplinano la querela sono distribuite tra il codice penale (artt. 120-126, quanto alla disciplina dell'esercizio ovvero della rinuncia al diritto di querela, ed artt. 152-156 quanto alla remissione di querela) ed il codice di procedura penale (artt. 336-340, posti nel titolo terzo del libro quinto, dedicati alle condizioni di procedibilità, che disciplinano le modalità di presentazione, rinuncia e remissione).

La qualifica di condizione di procedibilità non è mai stata posta in discussione in giurisprudenza e, oltre al profilo definitorio, ha notevoli conseguenze sul piano concreto rispetto alla diversa ricostruzione della querela come diritto soggettivo pubblico e/o atto negoziale di diritto privato.

La querela rappresenta, quindi, una condizione che non consente l'esercizio dell'azione penale per un reato che, invece, è in sé esistente e che, pur se non procedibile, può produrre determinate conseguenze. Se invece l'azione penale viene erroneamente esercitata, la sentenza (o il provvedimento di archiviazione) che dichiara non doversi procedere per mancanza di querela non ha effetti sostanziali; l'art. 345 c.p.p., difatti, prevede la “riproponibilità dell'azione penale” quando la querela stessa sia presentata.

Il proscioglimento per mancanza di querela prevale su qualsiasi ragione sostanziale di proscioglimento, ivi comprese le cause di estinzione del reato. Difatti il giudice non può effettuare alcun esame del fatto a fronte della preclusione assoluta a procedere (applicazione in tema di estinzione del reato per morte del reo, Cass. S.U., n. 49783/2009, ed in tema di amnistia e prescrizione, Cass. IV, n. 3601/1985).

Il reato “esiste” pur se non è stata presenta la querela e ciò consente di valutarlo quale presupposto agli effetti del reato di ricettazione (che è pienamente integrato anche quando, appunto, il reato presupposto sia punibile a querela e questa non sia presentata) nonché quando sia il presupposto di una aggravante di un diverso reato (Cass. II, n. 33478/2010; Cass. II, n. 5808/1992)

La apparentemente diversa affermazione che viene fatta in tema di calunnia — ovvero che la stessa non sia configurabile quando il reato consista in una falsa incolpazione di un reato perseguibile a querela, non presentata (Cass. VI, n. 28231/2019) — non smentisce tale affermazione: ciò in base alla valutazione sostanziale che, per la integrazione del reato di calunnia, rileva il pericolo di effettiva sottoposizione ad un processo che, certamente, non si realizza nel caso di querela non presentata.

Infine va considerata la circostanza aggravante del nesso teleologico, prevista dall'art. 61 n. 2, che è configurabile anche quando il reato-fine sia perseguibile a querela di parte e questa non sia stata presentata, essendo irrilevante l'applicazione di una causa di improcedibilità (Cass. V, n. 13546/2015; Cass. IV, n. 36971/2003).

Fondamento

La scelta di condizionare la procedibilità di alcuni reati alla querela significa rimettere alla valutazione dell'interesse proprio della persona offesa la decisione di perseguire il reato.

La querela, quindi, innanzitutto è prevista solo per i delitti, mai per le contravvenzioni che non sono destinate alla tutela di interessi individuali; una tale regola, secondo la Corte Costituzionale (Corte cost., ord., n. 392/2008) rappresenta un principio generale: “l'ordinamento penale risulta improntato alla regola secondo la quale l'istituto della querela è proprio dei soli delitti, mentre per le contravvenzioni si procede sempre d'ufficio”.

Nondimeno, il recente d.lgs. n. 150 del 2022 sembra ribaltare il principio, in quanto introduce la procedibilità a querela per le contravvenzioni di cui agli artt. 659 e 660, quest’ultima oggetto della citata pronuncia del giudice delle leggi. È probabile, però, che si tratti non di una consapevole revisione del principio bensì di una casuale eccezione dovuta a scelte contingenti di mera deflazione per reati che, attualmente, sono oggetto di frequente denuncia.

La scelta normativa di condizionare la procedibilità alla querela è, per la massima parte dei casi, conseguente al minore rilievo del diritto leso oppure, nell’ambito di un unico reato, la procedibilità a querela è riservata a quei casi in cui, a parità di bene tutelato, il grado dell’offesa a quest’ultimo sia obiettivamente minore. Tale seconda ipotesi ricorre, ad es., per il furto, la truffa, le lesioni personali. In questi casi o si prevede la punibilità a querela per le ipotesi attenuate o, all’opposto, la procedibilità di ufficio per le ipotesi aggravate (quest’ultima soluzione normativa è divenuta più frequente dopo l’ampliamento dei reati punibili a querela a seguito del d.lgs. n. 36/2018 e del  d.lgs. n.150/2022).

Altra ipotesi di scelta normativa della punibilità a querela ricorre, per reati di norma procedibili di ufficio, laddove vi siano particolari rapporti tra reo e persona offesa (è il caso dell'art. 649, comma 2, “... querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti”).

Ulteriore scelta di punibilità a querela riguarda varie fattispecie di violenza sessuale. L'ipotesi è indiscutibilmente ben diversa dalle precedenti: si tratta di reati caratterizzati da obiettiva gravità, per i quali, però, si ritiene particolarmente forte l'interesse della vittima di procedere o meno (si afferma che la ragione è l'evitare il clamore della vicenda, quindi si intende tutelare la riservatezza della vittima). La peculiarità è evidente in quanto è prevista la procedibilità di ufficio laddove il reato concorra con altri procedibili di ufficio (non vi sarebbe più la “riservatezza” da salvaguardare procedendosi per questi ultimi) ed è previsto che la querela, una volta presentata, sia irrevocabile. La ragione per cui non è consentita la remissione consegue al fatto che, una volta venuta meno la ragione (la riservatezza) per subordinare la procedibilità alla iniziativa di parte, non vi è più ragione di escludere la procedibilità che l'ordinamento impone per i reati gravi; inoltre la irrevocabilità è ritenuta una necessaria salvaguardia da indebite pressioni nei confronti della vittima.

Di recente introduzione, poi, vi è la querela per il reato di “atti persecutori” (art. 612-bis, introdotto con d.l.  23 febbraio 2009 n. 11, convertito in l. 23 aprile 2009 n. 38) e per il reato di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (art. 612-ter, introdotto con l. 19 luglio 2019, n. 69). In tali casi, per ragioni sostanzialmente simili ai reati di violenza sessuale, la procedibilità a querela è stabilita per esigenze di tutela della vittima e non certo per la scarsa gravità del fatto. Le peculiarità, in questo caso, sono la procedibilità di ufficio laddove vi sia connessione con reati procedibili di ufficio (valendo quanto detto a proposito dei reati di violenza sessuale),la irrevocabilità della querela per il reato di cui all'art. 612-bis in casi di condotte persecutorie di maggiore gravità e, comunque, la previsione che la remissione della querela possa essere esclusivamente processuale (ovvero ricevuta dall’A.G. nonché da un ufficiale di polizia giudiziaria, Cass. V. n. 3034/2021). Tale particolare limite trova ragione nella esigenza di verificare la effettiva volontà della persona offesa e la assenza di indebite pressioni.

L'ampliamento della area dei reati punibili a querela della persona offesa è, inoltre, un tipico mezzo legislativo di “deflazione” del sistema penale. Un tale ampliamento, che significa ritenere recessivo l'interesse pubblico all'applicazione della sanzione penale per i casi minori richiedendosi la sussistenza dell'interesse effettivo della persona offesa, comporta una indubbia riduzione dei procedimenti e, quindi, ben si presta alla funzione di politica giudiziaria, appunto di “deflazione”, di alleggerimento dei ruoli dei Tribunali.

Peraltro la scelta della procedibilità a querela rappresenta anche una indiretta funzione di stimolo all'accordo per gli interessi civili sottostanti ai reati in questione assumendo la funzione di “strumento di pressione” per la definizione delle vertenze minori. In tale ambito, invero, opererà il futuro sistema della “giustizia riparativa” introdotto dal d.lgs. n. 150/2022,  ma con efficacia differita di sei mesi.

Va notato come l’ esigenza di “deflazione”, invero, è dominante nella normativa più recente, anche con l’effetto di incidere sulla effettività dei principi sostanziali che in precedenza hanno indirizzato le scelte normative in tema di procedibilità: tale esigenza è alla base del d.lgs. n. 36/2018 che, per individuare i delitti da rendere punibili a querela, utilizza il parametro della misura della pena edittale e non le peculiarità della singola fattispecie; le medesime ragioni sono alla base di un’ulteriore estensione della punibilità a querela disposta dal recente d.lgs. n. 150/2022, cd. riforma Cartabia che, appunto per dichiarate esigenze deflazionistiche, ha reso punibili a querela anche reati indubbiamente gravi (come già detto, ha inteso rendere punibili a querela anche talune contravvenzioni) tra i quali spicca il furto per il quale ormai è regola generale la punibilità a querela..

Titolarità

La persona offesa dal reato titolare del diritto di querela a norma dell'art. 120 deve essere individuata nel soggetto titolare dell'interesse direttamente protetto dalla norma penale e la cui lesione o esposizione a pericolo costituisce l'essenza dell'illecito (Cass. VI, n. 21090/2004). In taluni casi la giurisprudenza sembra riconoscere la titolarità anche al “danneggiato” (Cass. VI, n. 20169/2015; Cass. II, n. 5589/2015), ma la lettura delle motivazioni dimostra che, in realtà, la questione è solo terminologica definendosi erroneamente quali danneggiati persone che sono, in realtà, ulteriori persone offese.

Per la individuazione della persona offesa nei singoli reati si rinvia alla trattazione specifica per ciascun delitto.

Atto di querela

La forma dell'atto, “dichiarazione” diretta al p.m. ovvero alla p.g., è disciplinata dal c.p.p. (artt. 335 e ss.). In questa sede di diritto sostanziale rileva la determinazione del contenuto, definito dalla citata disposizione processuale come: “si manifesta la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato”.

Il contenuto tipico è quello di manifestazione della volontà che si proceda nei confronti del responsabile del dato fatto integrante un delitto punibile a querela; il contenuto necessario dell'atto è, pertanto, solo tale dichiarazione (Cass. VI, n. 12537/1994) senza necessità di contestuale esposizione dei fatti che, quindi, potrà essere contenuta in un atto separato, purché, ovviamente, sia chiaro l'oggetto della querela. Tale esposizione, anzi, avendo solo una ragione funzionale e non di elemento necessario, potrà anche essere del tutto assente quando i fatti siano già noti alla autorità giudiziaria; in un tale caso sarà sufficiente la mera dichiarazione di querela (Cass. I, n. 2627/1984) e le indicazioni pratiche per individuare il procedimento già in corso.

Le questioni che sorgono, e risultano ampiamente trattate in giurisprudenza, riguardano essenzialmente l'interpretazione della effettiva volontà quando la dichiarazione non sia esplicita nel richiedere che si proceda, situazione che può conseguire alla incertezza delle espressioni adottate ovvero al riferimento non chiaro ad un reato procedibile a querela ovvero al dubbio sulla chiara individuazione dei fatti cui la persona offesa si riferisce.

Innanzitutto non vi è alcuna necessità di “formule rituali o sacramentali” poiché il dato essenziale è che vi sia la chiara volontà che si proceda nei confronti del reo.

Non è quindi necessario che tale volontà sia esplicita ma dovrà comunque potersi individuare dal contesto complessivo dell'atto e della condotta del dichiarante. Difatti, si osserva che non può riconoscersi valore di querela a qualsiasi denuncia di un reato alla polizia giudiziaria; così facendo, si escluderebbe qualsiasi distinzione tra reati procedibili di ufficio o a querela nei casi in cui la notizia di reato sia portata a conoscenza degli inquirenti da parte della persona offesa (Cass. VI, n. 11386/2003).

Una interpretazione della volontà, in definitiva, è sempre necessaria non essendo sufficiente il solo comportamento di denuncia. Tale interpretazione dovrà seguire il principio generale definito tradizionalmente di “favor quaerelae” (Cass. V, n. 21359/2016; Cass. I, n. 15180/1978) secondo il quale, pur a fronte di espressioni poco chiare, deve essere preferita quella che riconosce validità alla volontà della parte di proporre querela.

L'utilizzazione di formule espresse, ovviamente, rende indiscutibile l'interpretazione dell'atto, come rammentato dalla giurisprudenza recente con riferimento alla qualificazione dell'atto quale “denuncia querela” da parte della persona offesa che lo presenta (Cass. V, n. 42994/2016) e come affermato anche dalla più risalente, che aveva ritenuto determinante anche la semplice frase «intendo querelarmi» resa nel corso di una testimonianza (Cass. I, n. 15180/1978), non potendosi non tenere conto del comune significato letterale. La formula “querela” invero, è determinante se apposta dalla persona offesa, non anche se è apposta dalla polizia giudiziaria che, poi, trascrive le dichiarazioni ricevute (Cass. V, 15166/2016).

Non è quindi rilevante la qualificazione giuridica del fatto dell'atto da interpretare, la querela può essere rappresentata anche da una denuncia che faccia riferimento ad un reato procedibile di ufficio.

La libertà di forma dell’atto di querela consente anche che la stessa possa consistere nel semplice rinvio ad una precedente querela invalida, ad es. perché non sottoscritta (Cass. V, n. 17681/2010) o perché presentata da un soggetto non legittimato (es. il genitore) nell’interesse della p.o.; in particolare, in quest’ultimo caso, si è ritenuto valido l’esercizio del diritto quando, entro i termini di presentazione, intervenga un atto di ratifica da parte del soggetto legittimato, ovvero un atto che, senza esprimere espressamente la volontà punitiva, si limiti a fare rinvio all’atto presentato dalla persona non legittimata (Cass. II, n. 35023/2020; Cass. IV, n. 4937/2010).

Segue. Reati cui è riferita la querela

Innanzitutto va considerato che rileva la manifestazione della volontà che si proceda per i reati integrati dai fatti cui il querelante fa riferimento e non vi è quindi necessità che la parte proceda alla specifica qualificazione che è attività che spetta, invece, al giudice. Come già detto, ciò comporta la necessità di individuare la specifica volontà di querela nell'atto che denuncia reati che, secondo la valutazione del privato, sono procedibili di ufficio (Cass. VI, n. 12799/2010); in tali casi, difatti, può mancare una specifica richiesta di procedere, inutile nella prospettiva del dichiarante.

La querela va intesa quale volontà che vengano perseguiti tutti gli illeciti penali ravvisabili nei fatti esposti. Quindi non è certamente necessario che vengano indicati quali siano i reati che si intendono perseguire. Il querelante ha, però, facoltà di limitare espressamente la querela ad alcuni dei reati (Cass. II, n. 30128/2009).

Destinatari della querela

V. art. 122: indivisibilità della querela.

Minori, interdetti, inabilitati, infermi di mente

Sia l'articolo in commento che altre disposizioni disciplinano l'ipotesi in cui non vi sia piena capacità della persona offesa:

- il secondo comma prevede che per il minore degli anni 14 e gli interdetti a cagione di infermità di mente il diritto di querela sia esercitato dal genitore o dal tutore

- il terzo comma prevede che i minori di età superiore ai 14 anni e gli inabilitati possano esercitare direttamente il diritto di querela e, comunque, al loro posto lo possono esercitare anche i genitori, il tutore o il curatore, con la particolarità che tali rappresentanti legali possano esercitare il diritto di querela nonostante la contraria volontà della persona offesa;

- l'art. 125 prevede che, laddove il rappresentante legale rinunci alla querela, comunque la persona offesa mantenga invece il diritto di presentarla.

- l'art. 121 prevede che, in ipotesi di minore degli anni 14 o di persona «inferma di mente» (si noti, senza specificazione di interdizione o inabilitazione: rileva la condizione sostanziale di persona che non è “in grado di comprendere l’importanza giuridica e morale della querela e di volere tale attoCass. III, n. 3085/2016),  in assenza del rappresentante legale o se questi sia in conflitto di interessi, provvede il curatore speciale nominato ai sensi dell'art. 338 c.p.p. dal giudice per le indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero.

L'art. 153, cui si rinvia per le disposizioni specifiche, disciplina in modo sostanzialmente simile la remissione della querela.

Come dopo precisato nel commento all'art. 126, anche nei casi di rappresentanza, si tratta della comune rappresentanza dell'interesse dell'avente diritto e non di trasmissione del diritto per cui la morte della persona offesa comporta sempre l'estinzione del diritto di querela

La formulazione di queste disposizioni dimostra come la querela si presenti sostanzialmente quale condizione di procedibilità piuttosto che atto negoziale in quanto l'esercizio del diritto non risulta connesso alle condizioni del libero esercizio dei diritti della persona: il dato della incapacità che è sottesa alle disposizioni in questione non è quello formale del diritto civile bensì è quello strettamente sostanziale della capacità o meno della “autodeterminazione consapevole e volontaria” (Cass. II, n. 15589/2019).

Non importa, insomma, la valutazione ai fini della presunta incapacità di intendere e di volere ma è necessario, in termini sostanziali, che la parte sia in grado di comprendere il disvalore del reato commesso contro di lui, e possa determinarsi, pur se affetto da infermità psichica ovvero abbia le minori capacità conseguenti alla minore età, nel senso di chiedere la punizione del colpevole.

Questo, quindi, fa comprendere quale sia la doppia tutela legale del soggetto non pienamente in grado di tutelare i propri interessi: la persona offesa ha diritto di proporre personalmente la querela e nessun soggetto ancorché suo rappresentante può porre nel nulla la sua decisione; e, comunque, a sua (ulteriore) tutela è previsto che un altro soggetto possa esercitare nel suo interesse il diritto di querela.

 La giurisprudenza ha così potuto affermare innanzitutto che è sempre valida la querela presentata dal maggiorenne non dichiarato interdetto che, pur infermo di mente, non possa ritenersi incapace di autodeterminazione consapevole e volontaria (Cass. III, n. 27044/2010). La nomina del curatore speciale ai sensi dell'art. 121 è, invece, necessaria solo laddove il soggetto non sia in grado di presentare una consapevole dichiarazione di querela proprio per la propria infermità (Cass. III, n. 42480/2010).

D'altro canto la legittimazione del soggetto che rappresenta la persona offesa, nel caso dei genitori di un minore ultra quattordicenne, è comunque autonoma non richiedendo, ad esempio, che la persona offesa sia consapevole del fatto commesso nei suoi confronti (Cass. V, n. 23010/2013).

Con riferimento alla rappresentanza legale necessaria e sussidiaria attribuita ad entrambi i genitori, la legge assegna a ciascuno un autonomo potere di querela che, quindi, spetta anche al genitore separato non affidatario del figlio (Cass. V, n.7595/1995).

Profili processuali

La querela, essendo un atto relativo alla procedibilità, deve essere allegata al fascicolo del dibattimento ed il giudice, anche in fase di appello, può disporne la acquisizione di ufficio (Cass. II. n. 3187/2013).

Casistica

Forma della querela

Tra le espressioni atecniche utilizzate dalle persone offese denuncianti si è ritenuto che la affermazione «voler prendere provvedimenti al più presto», (Cass. V, n. 18267/2019), la diffusa formula «denuncio ad ogni effetto di legge» (Cass. VI, n. 40770/2006) o la richiesta di procedere per i “reati ravvisati” (Cass. V, n. 40148/2015) costituiscono manifestazione di volontà diretta a richiedere la punizione dell'autore del reato e conferiscono all'atto valore di querela.

Soggetti rappresentati

In materia di querela per violazione degli obblighi di assistenza familiare nei confronti di uno dei genitori, si è affermato che non rileva il conflitto di interessi tra il genitore che esercita il diritto di querela per conto del minore ed il querelato, in quanto la disciplina del conflitto di interessi riguarda solo i rapporti con la persona offesa (Cass. I, 48243/2018;Cass. V, n. 25936/2017). Nel caso, poi, di contrasto tra genitori quanto alla proposizione della querela, prevale la volontà del genitore che intende presentarla (Cass. III, n. 8374/1988; Cass. III, n. 2418/1969).

La presentazione della querela da parte del soggetto che rappresenta il minore infra quattordicenne non richiede particolari formalità; è stata quindi ritenuta valida anche la querela presentata dal minore infra quattordicenne sottoscritta da un genitore presente per assistenza presso gli uffici di polizia giudiziaria (Cass. V, n. 16776/2008).

Il potere di rappresentare il figlio ai fini della presentazione della querela resta fermo anche in favore dei genitori il cui figlio minore sia affidato ai servizi sociali con collocamento presso una famiglia (Cass. I, n. 49063/2013).

Bibliografia

Abbati, Condizioni di procedibilità e presupposti processuali (aggiornamento-2009), in Dig. d. pen., Torino, 2009; Beltrani, Le nuove disposizioni in tema di procedibilità: più problemi che benefici, come al solito, in ilpenalista.it, 4 giugno 2018; Bozheku: La validità della querela proposta personalmente da persona incapace di intendere e di volere, in Dir. pen. e proc. 2011, 1359; Conso, I fatti giuridici processuali penali, Milano, 1955; Cordero: Procedura penale, Milano, 1993; De Marzo, La nuova disciplina in tema di procedibilità per taluni reati (d.leg. 10 aprile 2018 n. 36), in Foro It., 2018, V, 2018; Dinacci, Querela, in Enc. dir., Milano, 1987; Norcio, La querela, in Studium iuris, 2002, 988; Leone, Manuale di diritto processuale penale, Napoli, 1986; Martines, Natura negoziale della querela e principio dell'affidamento, in Cass. pen. 1984, 2020; Romano- Grasso, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 1996; Saponaro, Querela (aggiornamento-2009), in Dig. d. pen., Torino, 2009;  Palazzo (a cura di), La querela: un istituto rivitalizzato, tra diritto e processo penale, in Giur. it. 2021- Palazzo, Querela e strategie deflative, in Giur. it. 2021, 984 ss.; Scordamaglia, Il volto sostanziale della querela e la sua disciplina e Suraci, La querela: istituto sospeso tra due codici ma protagonista della procedura in Giur. it., 2021, 984.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario