Codice Penale art. 137 - Custodia cautelare .Custodia cautelare. [I]. La custodia [284 5, 286 c.p.p.] sofferta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile [648 1-2 c.p.p.] si detrae dalla durata complessiva della pena temporanea detentiva o dall'ammontare della pena pecuniaria [135; 657 1 c.p.p.]1. [II]. La custodia cautelare è considerata, agli effetti della detrazione, come reclusione od arresto2.
[1] L'art. 11 l. 28 luglio 1984, n. 398 ha sostituito l'espressione "carcerazione cautelare" con l'espressione "custodia cautelare". [2] L'art. 11 l. 28 luglio 1984, n. 398 ha sostituito l'espressione "carcerazione cautelare" con l'espressione "custodia cautelare". InquadramentoL'art. 137 prevede che il periodo di custodia sofferto in fase di misura cautelare per i fatti per i quali interviene la sentenza irrevocabile sia detratto dalla durata complessiva della pena detentiva da scontare ovvero dall'ammontare della pena pecuniaria, previa conversione nei termini delle norme precedenti. La custodia cautelare comprende, oltre alla custodia in carcere, anche gli arresti domiciliari. L'applicazione della disposizione non compete al giudice, trattandosi di questione che riguarda la fase esecutiva e, difatti, l'art. 657 c.p.p. prevede che la detrazione venga disposta dal pubblico ministero. Va considerato come il principio della fungibilità della privazione della libertà subita per una misura cautelare rispetto alla pena da eseguire è ritenuto un principio generale del nostro ordinamento giuridico; viene, quindi, applicato in materia di consegna della persona agli Stati esteri, sia per estradizione che in esecuzione di mandato di arresto europeo, prevedendosi il rifiuto della consegna dell'estradando laddove si tratti di una richiesta finalizzata alla esecuzione di una pena che risulti non superiore al periodo di effettiva privazione a libertà (Cass. VI, n. 1279/2014). In applicazione di tale stesso principio, nella custodia cautelare da considerare ai fini della pena detentiva va compresa anche quella subita all'estero, purché riguardi lo stesso fatto per cui vi è stata condanna in Italia (Cass. I, n. 31943/2008). Il principio è stato più volte affermato nel caso particolare in cui, al di fuori della ipotesi della estradizione, il condannato abbia subito una detenzione cautelare in un altro paese per una fase della condotta poi giudicata in Italia nell'ambito di un “fatto” più ampio. Un caso è quello del traffico di droga nel quale la condotta giudicata in Italia comprendeva anche quella tenuta in un altro paese in cui, per quella sola parte della condotta, era stata applicata una misura privativa della libertà (Cass. I, n. 31422/2006 e Cass. V, n. 5512/2003). Sono, insomma, situazioni riferibili sicuramente ai casi di reati abituali, permanenti, continuati. In alcun modo, invece, si ritiene che la norma in oggetto possa consentire di decurtare dalla pena il tempo passato in applicazione di misure cautelari non detentive (Cass. I, n. 3372/1995). |