Codice Penale art. 150 - Morte del reo prima della condanna.Morte del reo prima della condanna. [I]. La morte del reo, avvenuta prima della condanna [648, 650 c.p.p.], estingue il reato. InquadramentoNel Titolo VI del Libro Primo del Codice è contenuta la regolamentazione legislativa delle cause di estinzione del reato e della pena. Il Capo primo è poi specificamente dedicato alle cause di estinzione del reato, la prima delle quali — almeno stando all’ordine di trattazione codicistica — è la morte del reo che si verifichi prima della condanna. Possono in generale definirsi le cause di estinzione del reato come quei fattori in grado di elidere la potestà dell'ordinamento di irrogare una certa sanzione, che la specifica tipizzazione normativa ricollega alla violazione di un dato precetto. Si è quindi in tal caso parlato di cause che incidono sulla punibilità in astratto; punibilità che diverrà poi concreta solo allorquando risulteranno integrati tutti gli estremi costitutivi della singola fattispecie di reato. In contrapposizione a tale concetto, si potrà discorrere di cause estintive della pena, come di fattori che eliminano la punibilità in concreto. La dottrina ha quindi scritto, con riferimento al criterio discretivo fra i due fenomeni estintivi, che “Nel primo caso lo Stato rinuncia ad applicare la sanzione penale minacciata dalla norma, nel secondo alla esecuzione della pena inflitta dal giudice” (Mantovani, 825); e quindi: “Se è estinto il reato, non è più possibile che in relazione al medesimo sia comminata una pena. Se, viceversa è estinta la pena, la causa di estinzione presuppone una sentenza di condanna ed impedisce l'esecuzione della pena inflitta” (Di Amato, 32). La summa divisio esistente fra le cause estintive del reato si pone anzitutto fra quelle generali (previste nella parte generale del codice ed operative nei confronti di tutti i reati — o almeno di un numero indefinito di essi) e quelle invece speciali (contenute nella parte speciale dedicata ai singoli reati e concernenti solo alcune fattispecie tipiche ben determinate). La morte del reo prima della condanna è una causa estintiva del reato di carattere generale, che trova scaturigine in un fatto naturale, rappresentato appunto dal decesso del soggetto sottoposto all'accertamento giudiziario; il fatto di basarsi su un evento di tal genere accomuna dunque tale causa estintiva alla prescrizione (che è parimenti fondata su un fatto naturale rappresentato in tal caso dal trascorrere di un determinato lasso di tempo). La teoria generale distingue infatti nettamente — rispetto a tale tipologia di cause estintive — quelle che trovano invece origine in una volontà umana; volontà umana che può essere a sua volta costituita da una manifestazione di clemenza (ad esempio la grazia), oppure essere direttamente collegata a comportamenti processualmente rilevanti dell'autore o della vittima del reato (si pensi alla remissione di querela). Si deve infine precisare come la stessa locuzione «estinzione del reato», adoperata dal legislatore, sia apparsa alquanto impropria a molti commentatori. L'accadimento storicamente ormai verificatosi non può infatti effettivamente estinguersi, almeno sotto il profilo della manifestazione esteriore, ossia ricadente sotto l'impero del sistema senso-percettivo; e ciò appare anche ovvio, sulla base del semplice principio factum infectum fieri nequit. Ma anche sotto il profilo giuridico, sembra incongruo discorrere di estinzione in senso tecnico. Basti in proposito solo pensare che — nel caso di commissione plurisoggettiva di un determinato fatto illecito — questo resta intonso nei suoi connotati essenziali, verificandosi l'effetto estintivo solo con riferimento al singolo soggetto, in relazione al quale la causa estintiva abbia a verificarsi (Ragno, 954). La disciplinaLa previsione codicistica, quale causa estintiva del reato, della morte del soggetto sottoposto a indagine o giudizio — la quale morte si verifichi in un momento antecedente rispetto al passaggio in giudicato della sentenza di condanna — è il precipitato logico di alcuni dei principi cardine di un ordinamento penalistico moderno. Basterà qui richiamare i principi della imputabilità e della responsabilità personale. La disposizione in esame è dunque espressione del principio mors omnia solvit. È allora qui cristallizzata la regola della impossibilità materiale, in caso di morte del soggetto giudicabile, di esercitare — ma anche solo di proseguire — l'azione penale; oltre che, a fortiori, l'irrealizzabilità dell'idea che si possa passare a dare esecuzione ad una eventuale pena irrogata in vita. E quindi. La morte di un indiziato comporta che — in ordine al reato che si supponeva commesso — non si debba ulteriormente procedere (se non, ovviamente, nei riguardi di eventuali correi). Il decesso dell'imputato estingue invece — nei confronti di quest'ultimo — il reato e, per conseguenza logica, anche il processo, rendendo altresì inapplicabili misure di sicurezza diverse dalla confisca obbligatoria. Trattasi di concetti che paiono quasi scontati, secondo la moderna e raffinata cultura giuridica. Essi rappresentano, al contrario, conquiste del pensiero moderno e sono il frutto di una lenta e graduale maturazione delle coscienze; si è infatti giustamente sottolineato che: “Per molti secoli, fino alla rivoluzione francese, fu ammessa la celebrazione di processi ai defunti, con la condanna in effigie, la combustione del cadavere, ecc, e si ritenne che la morte non impedisse che le conseguenze penali della condanna venissero a cadere sugli eredi” (Mantovani, 828, si veda anche Romano-Grasso-Padovani, 18, laddove si parla di iudicia feretri). Il dettato legislativo contiene un espresso riferimento alla morte del reo. Una dizione che a molti interpreti della norma è sembrata tecnicamente inconciliabile con il dato rappresentato dall'assenza — prima dell'accertamento definitivo — di un soggetto che possa a ragione essere definito reo, ossia colpevole di un determinato fatto reato (per tutti, vedere Romano, 55). Del tema si è peraltro occupata la Consulta, la quale ha però ritenuto conforme al dettato costituzionale la norma in esame. I Giudici delle leggi non hanno infatti reputato sussistente alcuna lesione della presunzione di innocenza, ossia del principio generale secondo il quale la colpevolezza di un determinato soggetto debba combaciare solo con il dato oggettivo, rappresentato dall'intervento a suo carico di una pronuncia di carattere definitivo. La Corte costituzionale ha infatti stabilito una equipollenza fra le posizioni del reo e dell'imputato, il quale dopo la morte non può essere assoggettato ad una qualsivoglia attività di tipo processuale (il riferimento è a Corte cost. n. 35/1965). La Consulta ha in seguito sottolineato anche l'irrilevanza in generale delle problematiche di tipo meramente lessicale. Ha infatti chiarito come eventuali improprietà, nell'uso da parte del legislatore di determinati termini o locuzioni, debbano essere ritenute irrilevanti; una irrilevanza che ricorre, quantomeno, laddove tali imprecisioni linguistiche si rivelino in pratica improduttive di conseguenze — sotto il profilo della costituzionalità — sul contenuto sostanziale delle disposizioni all'interno delle quali esse siano inseriti (Corte cost. n. 80/1970). A prescindere dalla inesattezza lessicale, ciò che davvero rileva è che il decesso del soggetto importi il venir meno di qualsivoglia rapporto — di tipo sostanziale e processuale — fra questo e l'ordinamento. Come sopra accennato, nel caso di commissione plurisoggettiva del reato, la causa estintiva in commento comporta — sulla base del principio di personalità — il venire meno di tale rapporto esclusivamente in relazione al soggetto deceduto. Laddove però si proceda in relazione ad un reato qualificato attraverso la veste soggettiva assunta da uno degli autori dello stesso, la morte di questo non comporta alcun degradare del titolo di reato imputabile agli altri correi (in via esemplificativa, si potrà pensare all'ipotesi del peculato o della corruzione, ovvero ad un qualunque altro paradigma normativo presente nel codice e che sia strutturato secondo lo schema del reato proprio). Sottolineiamo come il fenomeno estintivo abbia qui un connotato strettamente personale e riguardi esclusivamente la persona del reo (nell'accezione già detta). A tale fenomeno non è in alcun modo equiparabile il fallimento della società; evento che quindi non potrà produrre effetti estintivi sulle sanzioni che eventualmente siano state a questa irrogate, a norma del d.lgs. n. 231/2001 (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 452). Il Supremo Collegio ha sancito come non vi sia alcuna equipollenza tra il fallimento della società ed il decesso del reo; la morte di questi dunque non provoca l'estinzione né dell'illecito di cui al d.lgs. n. 231/2001, n. 231, né delle sanzioni comminate in ragione dell’accertamento dello stesso (Cass. V, n. 4335/2012 e Cass. V, n. 44824/2012; in senso contrario si è però espressa Cass. II, n. 41082/2019). Tematiche applicativeSi affronteranno ora le questioni maggiormente rilevanti, che si pongono in relazione all'istituto in commento. La prima problematica è quella nascente dal destino delle obbligazioni civili scaturenti dal reato, in caso di decesso - prima dell'intervento a suo carico di sentenza passata in giudicato - del soggetto sottoposto a procedimento o processo. Infine, merita attenzione la particolare disposizione normativa dettata dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice Antimafia). Si segnala infine che, per una diffusa trattazione del rapporto intercorrente fra la morte del reo e le altre cause estintive del reato o della pena, potrà leggersi il commento all'art. 183. La disciplina delle obbligazioni civili Il decesso del reo, verificatosi prima dell'intervento a suo carico di una pronuncia divenuta esecutiva, elide l'efficacia delle statuizioni di natura civilistica eventualmente contenute nella sentenza. Ciò comporta — trattandosi di effetto sostanziale e processuale immediatamente derivante dal fatto naturalisticamente considerato della morte del soggetto — anche l'inesistenza di un interesse degli eredi del defunto o della parte civile, rispettivamente, a vedere eliminate o confermate tali statuizioni. La morte del soggetto imputato prima che nei suoi confronti sia emessa sentenza irrevocabile, infatti, comporta la soppressione non solo del processo penale e della correlata pretesa punitiva statale, ma anche della pretesa risarcitoria promossa all'interno del processo penale. Ciò in quanto l'esistenza in vita del soggetto costituisce il presupposto immancabile della pronuncia di merito. Stando invece al disposto dell'art. 198, l'estinzione del reato non importa l'estinzione delle obbligazioni civili nascenti dal reato, salvo che si tratti delle obbligazioni indicate negli artt. 196 e 197. La morte del soggetto cui si rivolge la potestà punitiva statale, infatti, non osta alla nascita di una obbligazione di tipo risarcitorio in capo agli eredi di questo, trattandosi di obbligazione trasmissibile appunto agli eredi del de cuius. La Consulta ha precisato come il disposto dell'art. 314, comma 3, c.p.p. in materia di riparazione per ingiusta detenzione debba esser letto nel senso che il diritto alla riparazione spetti agli eredi dell'indagato la cui posizione sia stata oggetto di archiviazione per morte del reo, allorquando intervenga sentenza assolutoria passata in giudicato nei riguardi degli originari coindagati, a mezzo della quale venga acclarata l'insussistenza del fatto per il quale il deceduto era stato indagato (Corte cost., ord. n. 413/2004). La giurisprudenza di legittimità ha precisato che il decesso dell'imputato – laddove tale evento si verifichi in data antecedente, rispetto al passaggio in giudicato della sentenza - determina la cessazione tanto del rapporto processuale penale, quanto di quello civile instaurato all’interno del processo penale, per cui le eventuali statuizioni di natura civilistica di condanna rimangono caducate "ex lege", senza che vi sia bisogno di alcuna apposita dichiarazione, ad opera del giudice penale (Cass. III, n. 18021/2024). Le conseguenze in materia di confisca Con riferimento alla possibilità di applicare la confisca alle cose pertinenti al reato, si deve in primo luogo precisare come questa rivesta il carattere di misura di sicurezza patrimoniale e non personale. Essa concerne quindi beni o somme di denaro che presentano una connotazione ontologicamente distinta, rispetto all'autore del reato. Allorquando si verta in tema di cose intrinsecamente illecite, ossia essenzialmente in presenza di quanto indicato dall'art. 240 comma 2 n. 2 (cose «la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato»), la misura ablativa reale svolge la funzione di eliminare l'offensività connaturata alle cose stesse. Togliendo a queste la possibilità di ulteriore libera apprensione o uso da parte di terzi, si elide quindi un sicuro nuovo focolaio di criminalità. Maggiori dubbi interpretativi si pongono, invece, con riferimento alle cose che costituiscono il prezzo del reato. Queste possono essere assoggettate a confisca — in caso di morte del reo antecedente a condanna definitiva — sul presupposto dell'assenza di ulteriori terzi ai quali sia possibile riconoscere un diritto alla restituzione. Sarebbe a dire: gli eventuali eredi dell'indagato o imputato deceduto non sarebbero qualificabili quali terzi estranei al reato, in grado come tali di vantare diritti sul bene, atteso che essi non potrebbero che derivare la loro legittimazione appunto dal dante causa deceduto, quindi iure hereditario. Ma il diritto del suddetto dante causa risulterebbe ormai inesistente, in quanto decaduto in dipendenza proprio del provvedimento di confisca. Per una trattazione più approfondita degli aspetti salienti della materia, potrà comunque leggersi il commento all'art. 240. Con riferimento invece al tema del rapporto fra la causa estintiva in commento ed il meccanismo di cui all'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in l. 7 agosto 1992 n. 356 (v. ora art. 240-bis), si veda la giurisprudenza sotto riportata. L'applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniale L'accertamento dei requisiti della pericolosità e dell'illegittimità della provenienza dei beni continua a spiegare effetti anche dopo il mero accadimento naturalistico rappresentato dalla morte del soggetto proposto. Permane infatti l'interesse dell'ordinamento alla prosecuzione del provvedimento di prevenzione, in danno degli eredi di questo. Sul punto, si richiama l'art. 18 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, che espressamente prevede tale possibilità. Viene infatti qui prevista l'applicabilità delle misure di prevenzione patrimoniale, anche nel caso di decesso del soggetto proposto per l'applicazione; in tal caso, il procedimento proseguirà nei confronti di eredi o aventi causa di quegli. Ma il procedimento può anche essere iniziato nel caso di morte — avvenuta antecedentemente all'instaurazione del procedimento stesso — del soggetto eventualmente destinatario del provvedimento di confisca. Purché però la richiesta di applicazione della misura di prevenzione sia proposta — nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare del deceduto — entro il termine di cinque anni dalla morte di questi. Casisticaa) La confisca di una somma di denaro considerata quale prezzo del reato è da ritenersi legittima, in ragione della impossibilità di applicare estensivamente alle misure di sicurezza patrimoniali il disposto dell'art. 210. Il quale inibisce l'applicabilità di misure di sicurezza personali, in caso di estinzione del reato. Tale provvedimento di confisca, peraltro, non è nemmeno revocabile su istanza degli eredi della persona deceduta, posto che questi non sono nemmeno qualificabili alla stregua di terzi estranei al reato in grado di vantare diritti sul bene. Ciò in quanto un eventuale loro diritto iure successionis dovrebbe trovare origine nel diritto spettante al loro dante causa deceduto, diritto però venuto meno proprio in virtù dell'effetto ablativo della confisca (Cass. I, n. 5262/2000). La Corte ha altresì precisato come — in caso di declaratoria di estinzione per morte del reo — non sia consentita la confisca di beni a norma dell'art. 12-sexies d.l. n. 306/1992, convertito in l. n. 356/1992. Sarebbe quindi illegittimo il rigetto di una istanza di restituzione di tali beni, avanzata da parte degli eredi della persona deceduta (Cass. I, n. 17716/2010). b) Il decesso dell'imputato dopo la proposizione del ricorso in Cassazione, ma prima della pronuncia e quindi della definitività della sentenza, determina l'inesistenza giuridica della sentenza impugnata. Tale condizione di inesistenza richiede poi la declaratoria ad opera del medesimo giudice che ha pronunciato la sentenza (Cass. VI, n. 10199/2010); una sentenza della Corte di Cassazione emessa in epoca posteriore rispetto alla morte del reo deve poi essere reputata giuridicamente inesistente e dunque da revocare; la relativa declaratoria è riservata al medesimo giudice che l'ha pronunciata (Cass. V, n. 29494/2018). I Giudici di Piazza Cavour avevano peraltro in passato già spiegato che — in sede penale — l'imputato è insostituibile sia fisicamente che giuridicamente, per cui la sua esistenza in vita costituisce un indefettibile presupposto processuale di qualsivoglia tipo di sentenza: secondo Cass. S.U., n. 3489/1982, una sentenza di condanna emessa dopo la morte del reo è inesistente sotto il profilo giuridico. Allo stesso giudice che l'ha emessa spetterà il potere-dovere di dichiararne l'estinzione, in ragione del decesso del reo, verificatosi prima della sentenza medesima. In tempi più recenti, la Cassazione ha anzitutto ribadito come la morte dell’imputato – verificatasi in epoca antecedente rispetto alla decisione – determini una situazione di inesistenza giuridica della pronuncia, stante l’estinzione del reato ed in ragione del perdurante obbligo, gravante sul giudice, di accertare l’esistenza in vita del giudicabile, quale presupposto basilare del processo. Una eventuale pronuncia di condanna in danno di soggetto già deceduto può essere ovviamente ascrivibile alla eventuale tardiva conoscenza dell’evento morte; tale pronuncia assume pertanto i contorni dell’errore di fatto, assimilabile all’errore materiale emendabile ai sensi dell’art. 130 c.p.p. Tale errore materiale può essere corretto anche nei successivi gradi di giudizio (si veda Cass. II, n. 7632/2018, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla parte civile avverso sentenza della Corte d’Appello, la quale aveva a sua volta riformato la condanna in primo grado inflitta a soggetto già deceduto, dichiarando non doversi procedere per morte dell’imputato e revocando le statuizioni civili contenute in tale pronuncia; si vedano anche - per la esperibilità della procedura di correzione dell’errore materiale ex art. 130 c.p.p. - Cass. IV, n. 35960/2019 e Cass. III, n. 25995/2019). Giova anche precisare come l’errore materiale sopra descritto (sentenza di condanna emessa nei confronti di soggetto già morto) determini l’inammissibilità del ricorso in Cassazione formulato dalla parte civile, proprio in quanto trattasi di una situazione di inesistenza giuridica, che assorbe il profilo della carenza di legittimazione ad impugnare da parte del difensore. c) Secondo Cass. S.U., n. 6682/1992, però, l'acquisizione nell'ambito del processo di elementi incontrovertibili atti a dimostrare con immediatezza l'innocenza del soggetto determina — in forza del principio generale della prevalenza del proscioglimento nel merito sulle cause estintive del reato — l'obbligo di pronunciare nel merito anche in caso di morte del reo. La ragione di ciò è da ricercare nel rilievo sostanziale che riveste la pronuncia di innocenza (statuizione alla quale possono avere in primo luogo interesse i prossimi congiunti del defunto, per tutelarne magari la memoria). Ed in secondo luogo, perché comunque la declaratoria di estinzione del reato lascia intatti alcuni importanti effetti di natura civilistica, oltre che in tema di spese del processo e di spese di tipo cautelare (si veda anche, per un più diffuso esame, infra). d) Laddove si acquisisca certezza dell'avvenuta morte del reo, tale causa estintiva dovrà essere dichiarata anche in caso in cui si sia già consolidato il termine prescrizionale. Trattasi infatti, in tale ultimo caso, di una pronuncia che accerta una determinata situazione processualmente e sostanzialmente rilevante, cosa ormai preclusa nei confronti di un soggetto non più in vita (Cass. S.U., n. 49783/2009). e) Laddove sussista un ragionevole dubbio circa l'esistenza in vita dell'imputato, legittimamente il giudice dell'udienza preliminare pronuncia sentenza di non luogo a procedere per morte dell'imputato (Cass. I, n. 40117/2008). La Corte peraltro – nel ribadire come il decesso dell'imputato, verificatosi in epoca antecedente alla decisione, comporti l'inesistenza giuridica della sentenza per estinzione del reato - ha recentemente chiarito come gravi in capo al Giudice un permanente dovere di verificare l'esistenza in vita dell'imputato, costituendo tale situazione il resupposto ineliminabile del processo (Cass. I, n. 18692/2016). f) Laddove l'imputato — dopo aver ottenuto l'assoluzione in primo grado con l'adozione della formula di rito «perché il fatto non costituisce reato» — muoia nelle more della celebrazione del giudizio in secondo grado, tale fatto interrompe il rapporto processuale. L'appello interposto dalla parte civile avverso la sentenza di assoluzione, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Eventuali pretese di tipo restitutorio o restitutorio, allora, dovranno essere azionate in sede civilistica nei confronti degli eredi dell'imputato deceduto (Cass. I, n. 36220/2010). g) Nel caso di decesso dell'imputato, non vi è possibilità di dichiarare l'intervento di altra causa estintiva quale la prescrizione; una declaratoria di tal genere, emessa nei confronti di imputato premorto, sarebbe infatti una pronuncia giuridicamente inesistente. Ciò in quanto la sentenza che dichiara la prescrizione riveste comunque il carattere dell'accertamento costitutivo, ormai non più possibile in relazione ad un soggetto ormai morto e quindi nell'ambito di un rapporto processuale ormai estinto (Cass. S.U., n. 49783/2009; v. anche Cass. II, n. 25615/2009). h) Il decesso dell'imputato, che avvenga in epoca successiva rispetto alla proposizione del ricorso in Cassazione, conduce ad un annullamento senza rinvio della sentenza oggetto di ricorso, restando inibita ogni pronuncia nel merito ex art. 129 c.p.p. (Cass. I, n. 24507/2010). La Corte di Cassazione ha altresì chiarito come il decesso dell'imputato – che si verifichi in epoca posteriore rispetto all’inoltro di ricorso per cassazione nei confronti di sentenza dichiarativa di non doversi procedere per prescrizione – debba comportare l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. Dovrà in tal caso enunciarsi nel dispositivo la causa di tale forma di annullamento, intervenendo una causa estintiva del rapporto processuale, che inibisce ogni possibile valutazione nel merito (Cass. IV, n. 16819/2022). Cass. VII, n. 27794/2022 ha altresì spiegato come il decesso di un condannato, avvenuto in epoca successiva rispetto alla proposizione di ricorso per cassazione contro un provvedimento della magistratura di sorveglianza (trattavasi nel caso di specie del rigetto di una istanza di affidamento in prova ai servizi sociali), debba parimenti portare all'annullamento senza rinvio. i) La morte di un soggetto dopo il momento in cui la sentenza è stata pubblicata mediante lettura del dispositivo, ma prima del deposito delle motivazioni della sentenza stessa, rende l'impugnazione proposta dal difensore o dagli eredi improponibile per inesistenza del rapporto processuale di impugnazione, risultando impossibile l'instaurazione del rapporto stesso, anche al solo limitato fine di dichiarare l'inammissibilità del gravame (Cass. VI, n. 22392/2008). Profili processualiOccorre sul punto rimarcare che una eventuale condanna, pronunciata a carico di soggetto deceduto, sarebbe affetta da una patologia radicale ed insanabile, tale da comportarne addirittura la inesistenza. Tale vizio della sentenza ricorrerebbe non solo nel caso di condanna emessa nei confronti di imputato premorto, bensì anche nel caso in cui si dovesse dichiarare la prescrizione anteriormente maturata. Come già precisato, il Supremo Collegio si è poi trovato a dirimere la questione attinente all'atteggiarsi della causa estintiva del reato ora in commento, rispetto alla possibile ricorrenza di elementi di valutazione e conoscenza in grado di condurre ad un proscioglimento nel merito. Le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 6682/1992, sopra già richiamata) hanno dunque sancito il principio secondo il quale debba prevalere — in un caso del genere — la pronuncia nel merito. Il principio fondamentale che governa la materia è infatti nel senso che l'attitudine estintiva, connessa al fatto naturale rappresentato dalla morte del reo — proprio in quanto processualmente operativa ex nunc — non possa elidere una realtà già formatasi in tutta la sua evidenza, proprio all'interno del processo. Una realtà che può magari essere già atta a dimostrare — con inconfutabile evidenza — l'insussistenza del fatto ascritto, ovvero la non riconducibilità dello stesso sotto l'impero della legge penale, ovvero ancora l'estraneità del soggetto giudicabile rispetto a tale fatto-reato. E tale realtà – laddove già processualmente delineatasi in modo inequivocabile - non può che prevalere sulla declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta morte del reo. Sia il fondamento teorico, sia la ragione pratica di tale prevalenza sono da ricercare in una molteplicità di fattori, tra loro eterogenei ma perfettamente collimanti. In primo luogo, viene in rilievo l'interesse sostanziale all'affermazione dell'innocenza della persona sottoposta a giudizio; interesse che non cessa con la morte di tale soggetto. Residua infatti l'interesse specifico degli eredi, alla tutela della memoria del congiunto. Vi è quindi un primo aspetto, che è di carattere eminentemente morale. Vi è poi l'interesse più strettamente giuridico, attinente alla permanenza di effetti potenzialmente pregiudizievoli, anche in caso di decesso dell'imputato. Restano infatti pienamente valide ed efficaci le obbligazioni civili nascenti dal reato; rimangono operative le obbligazioni nascenti da spese di natura processuale; si trasmettono agli aventi causa iure successionis anche le obbligazioni scaturenti dalle spese anticipate dallo Stato per il mantenimento in regime carcerario. Tutti effetti negativi del processo, che gli aventi causa del defunto non possono che avere interesse a scongiurare. Ha dunque spiegato la Corte come si debba fare riferimento al principio di eguaglianza ed anche a considerazioni più attuative, di mera economia processuale. E muovendo proprio da tali ancoraggi concettuali, deve allora concludersi come non esistano motivi spendibili, perché i congiunti e comunque gli eredi della persona deceduta debbano essere posti in una condizione processualmente deteriore, rispetto alla più fortunata situazione riconosciuta all'imputato che sopravviva. Quest'ultimo, infatti, conserva la possibilità di vedere affermata la propria totale innocenza, cosa che sarebbe invece ormai preclusa all'imputato premorto loro dante causa. E tale disparità di trattamento si andrebbe a collegare alla morte del giudicabile, ossia ad un presupposto soltanto casuale ed avulso dal meccanismo processuale propriamente considerato. La Corte ha poi anche precisato come tale conclusione sia comunque imposta dal principio generale informatore della materia, che è da ricercare nella tutela dell'innocenza del soggetto nei cui confronti venga instaurato un procedimento penale. Laddove si sia invece proceduto in assenza dell'imputato e si sia quindi giunti alla pronuncia di quella che — nella previgente normativa — era la sentenza contumaciale, la morte dell'imputato avvenuta in epoca successiva alla pronuncia (ma anteriore alla formazione del giudicato), dovrà essere dichiarata dal giudice dell'esecuzione. Questo è dunque il caso non più della morte del soggetto avvenuta prima della pronuncia di sentenza (situazione che, come detto, comporta la giuridica inesistenza della pronuncia), bensì quello della morte del soggetto verificatasi dopo la sentenza (ma in epoca antecedente alla irrevocabilità della stessa). Qui ovviamente non esisterà più un soggetto titolare del potere di impugnare e non vi potrà quindi essere una pronuncia del giudice di grado superiore; ne discende, come unico corollario possibile, l'obbligo di declaratoria di estinzione in capo al medesimo giudice che ha pronunciato la sentenza. Nel caso in cui manchi una condizione di procedibilità, ma risulti la morte del soggetto destinatario della pretesa punitiva statale, non vi sarà nemmeno la possibilità di accertare l'esistenza in vita di quest'ultimo. Nello scontro quindi fra una causa di nullità ed una causa di estinzione del reato, prevale la prima solo laddove essa sia in grado di influire sull'esercizio dell'azione penale; negli altri casi, ha invece una valenza preminente la causa estintiva (Diotallevi, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 454). L'estinzione per morte del reo si rileva e si dichiara d'ufficio. Inoltre: “Accertato il fatto della morte dell'imputato, il procedimento penale non può più continuare contro il defunto” (Manzini, 376). L'effetto estintivo, peraltro, non implica alcuna valutazione di tipo discrezionale, ma opera in maniera immediata; tanto che la sentenza che estingue il reato riveste un carattere meramente dichiarativo. Giova poi precisare che, in caso di dubbio sull'avvenuta morte del reo, dovranno trovare applicazione gli artt. 69, 129 e 425 c.p.p., per cui si dovrà pronunciare sentenza di proscioglimento.Il sistema, comunque, prevede sul punto anche un correttivo. E infatti, il combinato disposto degli artt. 69 comma 2, c.p.p. e 649 comma 1 c.p.p. comporta che in caso di erronea pronuncia estintiva per morte – laddove cioè risulti l’esistenza in vita del reo – non sussistano ostacoli al nuovo esercizio dell’azione penale nei confronti di tale soggetto, in relazione al medesimo fatto storico. Sottolineiamo infine il tema della inammissibilità dell'appello proposto dalla parte civile avverso sentenza assolutoria, nel caso di premorienza dell'imputato assolto, rispetto alla celebrazione del giudizio d'appello (v. supra). BibliografiaAntonini, Contributo alla dommatica delle cause estintive del reato e della pena, Milano, 1990; Beltrame, art. 150, in Commentario Crespi, Forti, Zuccalà, Padova 2011; Cusmano, voce Estinzione del reato e della pena (cause di)” in Enc. Giur. XIII, Roma, 1989; Di Amato, Diritto penale dell'impresa, Milano, 1992; Di Martino, sub art. 150, in Codice Penale Padovani, 2011, Milano; Innocenti-Fiandanese, Cause di estinzione del reato, in Ilpenalista.it, 13 febbraio 2018; Malagnino, Il Codice antimafia. Commento al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, Torino, 2011; Mantovani, Diritto penale, Parte generale, Padova, 1992; Manzini, Trattato di diritto penale italiano, vol. 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