Codice Penale art. 200 - Applicabilità delle misure di sicurezza rispetto al tempo, al territorio e alle persone.Applicabilità delle misure di sicurezza rispetto al tempo, al territorio e alle persone. [I]. Le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione [25 3 Cost.]. [II]. Se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura di sicurezza è diversa, si applica la legge in vigore al tempo della esecuzione [658, 659 2, 679 c.p.p.]. [III]. Le misure di sicurezza si applicano anche agli stranieri [4 1], che si trovano nel territorio dello Stato [4 2]. [IV]. Tuttavia l'applicazione di misure di sicurezza allo straniero non impedisce l'espulsione di lui dal territorio dello Stato, a norma delle leggi di pubblica sicurezza (1). (1) V. artt. 10-bis, 13-17 d.lg. 25 luglio 1998, n. 286 e art. 86 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. InquadramentoLa norma in commento disciplina la retroattività delle misure di sicurezza, stabilendo che esse si applicano anche a fatti di reato commessi prima della loro introduzione legislativa: il che vuol dire che si applicano retroattivamente, a differenza delle pene (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 456). Il principio è ribadito anche dall'art. 55 disp. coord. trans., che ha espressamente disposto l'applicazione delle misure di sicurezza previste nel codice, anche a soggetti condannati dopo l'entrata in vigore del codice stesso, per fatti anteriormente commessi (Siclari). Al comma 2, l'art. 200 prevede che, in caso di diversità di regolamentazione, si applica la legge vigente al tempo dell'esecuzione della misura, che prevale sia sulla disciplina vigente al momento della commissione del fatto, sia su quella operante al momento dell'applicazione della misura stessa. La retroattività delle misure di sicurezza ha sempre suscitato ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza, dibattito che si è fatto ancora più acceso alla luce della giurisprudenza della Corte Edu, che in più decisioni — ed in particolare in materia di confisca — ha mostrato di considerare le misure di sicurezza delle sanzioni penali vere e proprie, il che vorrebbe dire che esse non possono essere retroattive. Il principio di irretroattività e le misure di sicurezzaIl principio di irretroattività delle pene è consacrato in via generale nell'art. 25, comma 2, Cost., il quale dispone che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Il successivo comma 3, dispone che nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. Dalla diversa, non casuale, formulazione della norma, con riferimento alle pene e alle misure di sicurezza, si evince che per queste ultime è stato costituzionalizzato solo il principio di legalità, sotto il profilo della riserva di legge, ma non anche quello di irretroattività, che rimane riservato alle sole pene (Caraccioli). La retroattività delle misure di sicurezza trova la sua giustificazione nella loro finalità « di assicurare una efficace lotta contro il pericolo criminale, finalità che potrebbe richiedere che il legislatore, sulla base di circostanze da esso discrezionalmente valutate, preveda che sia applicata una misura di sicurezza a persone che hanno commesso determinati fatti prima sanzionati con la sola pena (o con misure di sicurezza di minore gravità). In altri termini, tale retroattività risulta connaturata alla circostanza che le misure di sicurezza personali costituiscono strumenti preordinati a fronteggiare uno stato di accertata pericolosità; funzione che esse assolvono con i mezzi che dalle differenti scienze, chiamate specificamente a fornirli, potranno essere desunti » (Corte cost., n. 196/2010). In dottrina si è ulteriormente precisato che occorre distinguere tra la disciplina esistente al momento di commissione del fatto, e quella vigente al momento di esecuzione della misura (Giuliani, 1098): • se il fatto non costituiva reato, o quasi reato, al momento della sua realizzazione, ad esso non potrà applicarsi la misura di sicurezza successivamente prevista dal legislatore, perché varrebbe il principio di irretroattività come per le pene; • se il fatto, già al momento della sua commissione, costituiva reato, e solo successivamente ad esso la legge prevede l'applicazione di una misura di sicurezza, allora questa potrà essere applicata anche retroattivamente. In altri termini, è possibile applicare una misura di sicurezza per un fatto-reato per il quale non era originariamente prevista, o applicare una misura più grave o ancora, o disciplinarne in modo diverso le modalità esecutive (Caraccioli, 513). Secondo la Corte costituzionale, a norma dell’art. 25 Cost., la misura di sicurezza può essere disposta anche in relazione a reati commessi nel tempo in cui non era legislativamente prevista, ovvero era diversamente disciplinata quanto a tipo, qualità e durata, mentre non può applicarsi una misura di sicurezza per un fatto che, al momento della sua commissione, non costituiva reato (Corte cost., n. 97/2009). Le misure di sicurezza nella giurisprudenza della Corte EuropeaL'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 4 novembre 1950 (Cedu), stabilisce che «nessuno può essere condannato per un'azione od omissione che, nel momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo la legge nazionale o internazionale. Parimenti, non può essere applicata una pena più grave di quella che sarebbe stata applicata al tempo in cui il reato è stato consumato». Si è precisato in dottrina (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 458), che le disposizioni della Cedu vanno interpretate in un'ottica sostanzialistica, che prescinda dalle qualificazioni proprie del diritto interno dei singoli Stati: in tale prospettiva, i termini “condanna” e “pena” di cui all'art. 7 cit., vanno considerati come comprensivi rispettivamente della sottoposizione a misura di sicurezza a seguito di sentenza di condanna, e della misura di sicurezza quale reazione al reato. La tesi è criticata da altra parte della dottrina, secondo cui va escluso che nell'art. 7 si sia utilizzato il termine “pena” come comprensivo anche della misura di sicurezza, posto che molti ordinamenti europei distinguono tra le due figure; piuttosto, per comprendere se ci troviamo di fronte ad una pena o a una misura di sicurezza — aldilà del nomen iuris utilizzato nel diritto interno — occorre considerare se l'istituto di cui volta per volta si tratta, sia applicabile ai soggetti non imputabili e se la sua applicabilità sia subordinata ad un accertamento della pericolosità sociale del destinatario (Chiavario). Sta di fatto che la Corte Edu certamente propugna un'interpretazione estensiva dei principi di legalità ed irretroattività ex art. 7 Cedu, ritenendoli applicabili anche alle misure di sicurezza destinate agli imputabili pericolosi e alla confisca, considerato il loro carattere di afflittività per i soggetti destinatari: basti in proposito citare la decisione della Corte Edu II, 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. ed altri c. Italia (v. oltre, sub art. 240), in cui la Corte di Strasburgo si è chiaramente espressa nel senso di considerare la c.d. confisca urbanistica come una vera e propria pena. In realtà, ciò che a livello di giurisprudenza comunitaria si vuole evitare, è la c.d. frode delle etichette, e cioè che le singole scelte compiute da taluni Stati aderenti alla CEDU, con l'escludere che un determinato illecito, ovvero una determinata sanzione o misura restrittiva appartengano all'ambito penale, possano determinare un surrettizio aggiramento delle garanzie individuali che gli artt. 6 e 7 Cedu riservano alla materia penale (Macchia). D'altronde, il nuovo art. 117 Cost. afferma espressamente che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali: la Corte costituzionale ha in proposito affermato che con tale norma si è realizzato un rinvio mobile alla norma convenzionale volta per volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata norma interposta (Corte cost. n. 348/2007). In tale contesto, « tra gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la sottoscrizione e la ratifica della Cedu, vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione » (Corte Cost. cit.): alla stregua di tali osservazioni, si pone certamente un problema di armonizzazione tra le disposizioni contenute nell'art. 7 Cedu, come interpretate dalla Corte Edu, e l'applicazione retroattiva delle misure di sicurezza agli imputabili pericolosi, nonché della confisca. Per ulteriori approfondimenti, si rinvia al commento sub art. 236. L'evoluzione giurisprudenziale interna in relazione alle decisioni della Corte europeaIn dottrina si è osservato che, sulla spinta delle sollecitazioni provenienti dalla Corte Europea, la giurisprudenza italiana, sia di legittimità che costituzionale, aldilà della terminologia utilizzata, ha iniziato a qualificare come misure sanzionatorie, e non come misure di sicurezza, diverse figure di confisca, come ad es. la confisca per equivalente di cui all'art. 322-ter, estesa ai reati tributari dall'art. 1, comma 143, l. n. 244/2007 (cfr. Corte cost., n. 97/2009; e Cass., S.U., n. 18274/2013), e la confisca stradale prevista dall'art. 186, comma 2, lett. c), d.P.R. 30 aprile 1992, n. 285 (Corte cost., n. 196/2010). Con riferimento alla confisca per equivalente, infatti, la Corte cost. ha osservato che essa ha una connotazione «prevalentemente afflittiva » che le attribuisce una natura eminentemente sanzionatoria, sì da sottrarla alla disciplina dell'art. 200 c.p. (cfr. Corte cost. n. 97/2009 cit.). Con riferimento alla confisca stradale del mezzo coinvolto nel sinistro, si è osservato che essa è applicabile anche se il mezzo è incidentato, e dunque a prescindere dalla attuale pericolosità del bene, il che allontana tale figura dalla confisca come misura di sicurezza, che invece proprio sulla pericolosità intrinseca del bene fonda la sua ragione giustificatrice (cfr. Corte cost., n. 196/2010). È stata invece confermata la natura di confisca quale misura di sicurezza, dell'istituto previsto dall'art. 12 sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306 (conv. in l. n. 356/1992), ed in quanto tale applicabile anche nei confronti di chi sia stato condannato per reati commessi prima dell'entrata in vigore della norma che la regola, secondo la disciplina di cui all'art. 200, cui rinvia l'art. 236 (Cass., I, n. 44534/2012). Per ulteriori approfondimenti, vedi sub art. 240. Ambito di applicazione personale delle misure di sicurezzaIn materia di misure di sicurezza vige il principio di territorialità, sancito dall'art. 3, secondo cui esse si applicano per i fatti commessi nel territorio della Repubblica, individuato ai sensi dell'art. 4. L'art. 200, comma 3, stabilisce dunque che la misura di sicurezza si applica allo straniero — per fatti commessi in Italia — solo se questi si trovi sul territorio nazionale, ma tale limitazione non opera ex art. 236, comma 2, per la confisca (Siclari). La dottrina ha anche osservato, proprio argomentando a contrario dall'art. 200, comma 3, che ai cittadini sono applicabili tutte le misure di sicurezza, senza limiti, ad eccezione dell'espulsione, che si riferisce solo agli stranieri (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 463). L'art. 200, comma 4, disciplina poi il possibile contrasto tra l'applicazione di una misura di sicurezza allo straniero e la sua espulsione a norma delle leggi di pubblica sicurezza, stabilendo che in tal caso prevale l'espulsione: la previsione è stata criticata in dottrina, apparendo discutibile la prevalenza del provvedimento amministrativo su quello giurisdizionale, pur avendo presenti le ragioni di difesa sociale che impongono l'immediato allontanamento dal territorio dello Stato dello straniero pericoloso (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 463). CasisticaSecondo le Sezioni Unite, le modifiche introdotte nell'art. 2-bis della l. n. 575/1965, dalle l. n. 125/2008 e n. 94/2009, non hanno modificato la natura preventiva della confisca emessa nell'ambito del procedimento di prevenzione, sicché rimane tuttora valida l'assimilazione dell'istituto alle misure di sicurezza e, dunque, l'applicabilità, in caso di successioni di leggi nel tempo, della previsione di cui all'art. 200 c.p. (Cass. S.U., n. 4880/2014). In tema di successione di leggi nel tempo, il principio di irretroattività della legge penale opera con riguardo alle norme incriminatrici e non anche alle misure di sicurezza, sicché le prescrizioni di cui all'art. 609-nonies, comma 3 introdotte dall'art. 4 l. 1 ottobre 2012, n. 172, trovano applicazione anche relativamente ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della suddetta legge: la natura di misure di sicurezza delle predette prescrizioni si ricava sia dalla "littera legis" sia dal fatto che la loro applicazione dopo l'esecuzione della pena ne esclude la natura afflittiva, tipica di quest'ultima, evidenziandone la funzione tipicamente cautelare ricollegata alla condizione di pericolosità del condannato per uno dei reati indicati dalla medesima norma (Cass. III, n. 14598/2018).
BibliografiaAntolisei, Pene e misure di sicurezza, in “Scritti di diritto penale, 1955, 221; Beltrani, Corso di diritto penale, parte generale e parte speciale, Padova, 2009; Caraccioli, I problemi generali delle misure di sicurezza, Milano, 1970, 99; Chiavario, La convenzione dei diritti dell'uomo nel sistema delle fonti normative in materia penale, Milano, 1969; Giuliani, sub art. 200, in Lattanzi-Lupo (diretta da), Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, Aggiornamento, III, Milano, 2015; Milano, 2015; Siclari, Applicazione ed esecuzione delle misure di sicurezza personali, Milano, 1977; Macchia, La confisca per equivalente nei confronti degli enti e dei responsabili delle persone giuridiche, in europeanrights.eu, 2014Pagliaro, voce Legge penale nel tempo, in Enc. dir., XXIII, Milano, 1974. |