Codice Penale art. 229 - Casi nei quali può essere ordinata la libertà vigilata.

Donatella Perna

Casi nei quali può essere ordinata la libertà vigilata.

[I]. Oltre quanto è prescritto da speciali disposizioni di legge [212 3, 215 3, 219 3, 221 2, 223 2, 224 1, 225, 230 2, 233 3, 234 3, 669 3, 692 2, 701, 713, 718], la libertà vigilata può essere ordinata (1):

1) nel caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore a un anno;

2) nei casi in cui questo codice autorizza una misura di sicurezza per un fatto non preveduto dalla legge come reato [49 4, 115 2, 4].

(1) V. anche art. 9 4 l. 27 dicembre 1956, n. 1423.

Inquadramento

La disposizione in oggetto prevedeva alcune ipotesi di applicazione facoltativa della libertà vigilata, rimesse all'apprezzamento discrezionale del giudice, che doveva quindi verificare la pericolosità sociale in concreto del destinatario della misura. Secondo la dottrina, con l'abrogazione di tutti i casi di pericolosità presunta, la differenza tra applicazione facoltativa e applicazione obbligatoria, disciplinata dal successivo art. 230, ha perduto la propria ragion d'essere (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 562).

La giurisprudenza ha invece precisato che, anche dopo l'introduzione dell'art. 31, l. 663/1986 — che ha abrogato la cd. «pericolosità presunta» di cui al previgente art. 204, stabilendo che tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento della pericolosità sociale del condannato — permane ugualmente la distinzione fra la libertà vigilata facoltativa e libertà vigilata obbligatoria di cui al successivo art. 230: nei casi di misura facoltativa, qualora sia accertata in concreto la pericolosità sociale e la sussistenza degli altri presupposti richiesti, il giudice può comunque escluderne l'applicazione, purché motivi adeguatamente sulle ragioni di tale esclusione, avendo riguardo al grado di pericolosità del singolo e al principio di proporzionalità rispetto al fatto commesso nonché a quelli di presumibile verificazione (Cass., III, n. 33591/2015).

Profili generali

L'art. 229 prevede tre distinte ipotesi di applicazione della libertà vigilata (Gallucci, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1248):

- nel caso di condanna alla pena della reclusione superiore ad un anno;

- nel caso di commissione di c.d. quasi-reati;

- nelle ipotesi previste da altre disposizioni di legge.

Condanna alla pena della reclusione superiore ad un anno.

È necessario che la persona sia stata condannata per un delitto, anche colposo, a pena superiore ad un anno ma inferiore a dieci anni, poiché altrimenti trova applicazione l'art. 230, comma 1, n. 1 (v. infra, sub art. 230).

Nel caso di applicazione della misura all’esito del giudizio abbreviato, deve sempre aversi riguardo alla pena principale inflitta in concreto, come risultante a seguito della diminuzione effettuata per la scelta del rito (Cass. VI, n. 52900/2016).

I c.d. quasi-reati.

La libertà vigilata è poi applicabile a quei casi in cui una misura di sicurezza è prevista in relazione a fatti non preveduti dalla legge come reato, i c.d. quasi-reati (si tratta delle ipotesi di cui agli artt. 49 e 115, rispettivamente reato impossibile ed istigazione a commettere un delitto non accolta, ovvero istigazione accolta o accordo per commettere un delitto quando questo non sia commesso).

In fattispecie relativa a soggetto assolto per aver partecipato al mero accordo di commettere il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione ai sensi dell'art. 115, la S.C. ha ritenuto legittima l'applicazione della libertà vigilata, poiché i presupposti sono la realizzazione di un quasi reato, la volontarietà del comportamento e la pericolosità del soggetto, che il giudice deve accertare secondo i parametri di cui all'art. 133, considerando, soprattutto, il reato o i reati nella loro obiettività, specie quando, per gravità e specificità, assumano connotazioni di significativo rilievo (Cass., I, n. 25830/2015).

Le ipotesi previste da altre disposizioni di legge.

Infine, la libertà vigilata può essere applicata, previo accertamento della pericolosità sociale del condannato, in altri casi espressamente previsti dal codice o da altre disposizioni di legge.

Questa è una tipica norma di chiusura, che trova il suo fondamento nel carattere generale della libertà vigilata, cui si deve ricorrere ogniqualvolta la legge preveda l'applicazione di una misura di sicurezza senza determinarne la specie (Romano-Grasso-Padovani, Commentario, 563).

I casi sono i seguenti (Gallucci, in Rassegna Lattanzi-Lupo, 1249):

- art. 212, comma 3, che dispone l'applicazione della libertà vigilata in alternativa ad una misura di sicurezza detentiva.

- art. 219, comma 3, che prevede l'applicazione della libertà vigilata in alternativa alla casa di cura e custodia.

- art. 221, comma 2, che prevede la sottoposizione a libertà vigilata in alternativa alla casa di cura e di custodia per i condannati a pena inferiore a tre anni di reclusione per delitto commesso in stato di ubriachezza abituale o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti.

- art. 233, comma 3, che prevede l'applicazione della misura a persona già sottoposta a divieto di soggiorno in caso di trasgressione della misura.

- art. 234, comma 3, il quale prevede che la misura può essere applicata, in alternativa alla cauzione di buona condotta, al trasgressore del divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche.

- art. 713, che prevede l'applicazione della libertà vigilata al condannato per le contravvenzioni di cui agli artt. 705-712 (tale ultima ipotesi è di portata molto limitata, posto che l'art. 705 è stato depenalizzato dall'art. 56, d.lg. 31 dicembre 1999, n. 507; l'art. 706, è stato abrogato dall'art. 13, d.lg. 13 luglio 1994, n. 480; l'art. 708 è stato dichiarato incostituzionale dalla Corte cost. con sent. n. 370/1996; gli artt. 710 e 711 sono stati abrogati dall'art. 18, l. n. 205/1999. In definitiva, la possibile applicazione della misura di sicurezza riguarda ormai soltanto le fattispecie di cui agli artt. 707, 709 e 712).

- artt. 223 e 225, nonché alcune previsioni contenute nel d.P.R. n. 448/1988 cui si rinvia, ove la libertà vigilata è applicabile in una serie di casi a imputabili e non imputabili.

Da ultimo va segnalato che, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 253/2003, che ha dichiarato incostituzionale l'art. 222 nella parte in cui non prevedeva la possibilità di applicare, in luogo del ricovero in o.p.g., una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge ed in grado di assicurare adeguate cure all'infermo e a far fronte alla sua pericolosità sociale, la giurisprudenza ha ritenuto che la libertà vigilata, connotata da particolari prescrizioni, possa costituire una valida alternativa al ricovero in o.p.g. (Marinucci-Dolcini, Codice, 1770).

La giurisprudenza ha infine affermato che tale misura può essere applicata, in luogo della misura dell'assegnazione ad una casa di cura e di custodia, anche nei confronti del condannato seminfermo di mente, ove risulti in concreto capace di soddisfare le esigenze di cura e tutela della persona e di controllo della sua pericolosità sociale (Cass. III, n. 14260/2016).

Profili processuali

Contro la sentenza che applica la misura di sicurezza ex art. 229, n. 2, è ammessa impugnazione da parte dell'imputato ex art. 428 c.p.p., e sull'appello decide il Tribunale di sorveglianza ex artt. 579, comma 2, e 680, comma 2, c.p.p. (Cass., I, n. 6234/1994).

Casistica

Il presupposto per l'applicazione di una misura di sicurezza è da ricercarsi non tanto nella consumazione di un reato, quanto nella pericolosità dell'agente. Pertanto, applicata una misura di sicurezza per fatto non previsto dalla legge come reato, ad essa non possono essere estese le disposizioni estintive quali l'amnistia (Cass., VI, n. 12655/1987).

Bibliografia

Alessandri, Pena e infermità mentale, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1976; Caraccioli, I problemi generali delle misure di sicurezza, Milano, 1970; Musco, voce Misure di sicurezza, in Enc. dir. Aggiornamento, I, Milano, 1997.

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