Codice Penale art. 262 - Rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione.Rivelazione di notizie di cui sia stata vietata la divulgazione. [I]. Chiunque rivela notizie, delle quali l'Autorità competente ha vietato la divulgazione [256], è punito con la reclusione non inferiore a tre anni. [II]. Se il fatto è commesso in tempo di guerra [310], ovvero ha compromesso la preparazione o la efficienza bellica dello Stato [268] o le operazioni militari, la pena è della reclusione non inferiore a dieci anni. [III]. Se il colpevole ha agito a scopo di spionaggio politico o militare [258], si applica, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, la reclusione non inferiore a quindici anni; e, nei casi preveduti dal primo capoverso, la pena dell'ergastolo (1). [IV]. Le pene stabilite nelle disposizioni precedenti si applicano anche a chi ottiene la notizia. [V]. Se il fatto è commesso per colpa [43], la pena è della reclusione da sei mesi a due anni, nel caso preveduto dalla prima parte di questo articolo, e da tre a quindici anni qualora concorra una delle circostanze indicate nel primo capoverso. (1) Per quanto previsto nell'ultimo inciso del presente comma il testo originario comminava la pena di morte. Per i delitti previsti nel codice penale e in altre leggi diverse da quelle militari di guerra, la pena di morte è stata soppressa e sostituita con l'ergastolo: d.lg.lt. 10 agosto 1944, n. 224 e d.lg. 22 gennaio 1948, n. 21. Per i delitti previsti dalle leggi militari di guerra, la pena di morte è stata abolita e sostituita con quella «massima prevista dal codice penale» (l. 13 ottobre 1994, n. 589). V. ora anche art. 27 4 Cost., come modificato dall'art. 1, l. cost. 2 ottobre 2007, n. 1. V. inoltre la l. 15 ottobre 2008 n. 179, di ratifica del Protocollo n. 13 del 3 maggio 2002 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, relativo all'abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza. competenza: Corte d'Assise; Trib. monocratico (parte prima del quinto comma) arresto: obbligatorio (primo, secondo e terzo comma); non consentito (parte prima del quinto comma); facoltativo (seconda parte del quinto comma) fermo: consentito; non consentito (parte prima del quinto comma) custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 2 bis, c.p.p.); non consentita (parte prima del quinto comma) altre misure cautelari personali: consentite; non consentite (parte prima del quinto comma) procedibilità: d'ufficio InquadramentoDelitto compreso nel Capo Primo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità internazionale dello Stato. Con riferimento al bene giuridico tutelato ed in genere all'intera struttura della fattispecie, può farsi un sostanziale richiamo — salvi gli elementi differenziali che di seguito si andranno ad esaminare — all'esposizione inerente all'art. 261. Per quanto attiene al profilo della legittimità costituzionale della norma, si segnala una nota decisione della Consulta. Trattasi della sentenza mediante la quale è stata giudicato infondata la questione di legittimità costituzionale della norma in esame, per asserito contrasto con il principio di tassatività della fattispecie e di riserva di legge in materia penale. La Corte Costituzionale ha inoltre dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità della medesima disposizione legislativa — in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost. — nella parte relativa al trattamento sanzionatorio (Corte Cost., n. 295/2002). I soggettiSarà qui sufficiente riportarsi in maniera integrale al commento relativo all’articolo che precede. MaterialitàAnche con riferimento alla condotta oggetto di previsione incriminatrice, possono mutuarsi le considerazioni già svolte in ordine all’art. 261. L'unico elemento differenziale rispetto all'incolpazione ex art. 261 è rappresentato dall'oggetto della rivelazione. Si punisce infatti ora — a vario titolo e secondo le modalità dettagliatamente riportate nel dettato normativo — la rivelazione a terzi non legittimati non già di notizie di carattere segreto (art. 261), bensì di notizie delle quali l'autorità competente abbia vietato la divulgazione. Gli interpreti della norma si sono ovviamente interrogati in ordine ai confini da porre nella materia, con specifico riferimento al sindacato sugli atti amministrativi. Le diverse impostazioni sono state così sintetizzate: “al fine di individuare un limite alla discrezionalità amministrativa, si è registrata, in dottrina, una duplice tendenza: da un lato, quella che fa capo alla concezione cd soggettiva, secondo la quale per le notizie di cui sia vietata la divulgazione vale solo il criterio della espressa manifestazione della volontà che le vieta, con la conseguenza che ogni notizia connessa ad un interesse pubblico è idonea a vedersi vietare la divulgazione; dall'altro, quella che sostiene come il divieto possa essere posto solo in relazione a materie omogenee a quelle cui si riferisce il segreto di Stato” (Aprile, in Rassegna Lattanzi-Lupo, VI, 2010, 125). Vi è poi concordia di opinioni, circa i modi impositivi del divieto, che si ritiene possa essere stabilito dall'autorità amministrativa mediante atti di qualsivoglia genere e rango (dunque sia servendosi di atti propriamente definibili tipici — quale può ad esempio essere una circolare — sia ricorrendo ad atti di natura più concreta e fattuale, non previamente classificabili sotto il profilo sistematico). La fattispecie delittuosa in esame è strutturata quale reato di pericolo, a mezzo del quale viene punita la condotta diffusiva di informazioni, che avvenga fuori della cerchia dei soggetti necessariamente autorizzati – in ragione dei compiti istituzionali loro demandati - a conoscere tali notizie; viene quindi meno l'offensività della condotta allorquando le informazioni - in momento antecedente alla loro diffusione - siano già divenute di pubblico dominio, mentre risulta giuridicamente non rilevante il fatto che le stesse siano state rese note a chi era legittimato a conoscerle (Cass. I, n. 20445/2021, cfr. Cass. I, n. 3929/1989). Ricordiamo anche che – secondo il dictum di Cass. 1, n. 42887/2018, il provvedimento che impone il segreto di Stato o che inibisce la divulgazione di atti, documenti e notizie cd. "riservati" deve sottostare al sindacato di legittimità del giudice penale. Tale sindacato involge un duplice profilo, che è rappresentato sia dalla pertinenza ad uno degli interessi politici specificati nella normativa di riferimento, sia dall’attitudine della divulgazione ad arrecare nocumento a tali interessi. Elemento psicologico (rinvio)Si possono anche qui richiamare i concetti enucleati in ordine all'art. 261. L'elemento soggettivo si connota in termini di dolo generico, in relazione ai casi di cui al primo ed al comma 2; è invece richiesto il dolo specifico in ordine al comma 3, ossia l'agire a scopo di spionaggio politico o militare, dunque con la coscienza e volontà di rivelare la notizia proprio per tale scopo). È infine richiesta la colpa, per ciò che attiene alle ipotesi indicate nel comma 5. Il soggetto che riceva la notizia non può esser chiamato a rispondere del delitto, laddove la sua condotta si connoti in termini di colpa. Giova precisare come il modello legale sia qui costruito secondo lo schema delle norme penali in bianco. Il paradigma normativo postula infatti l'esistenza di un divieto di divulgazione, che promani dall'autorità a ciò competente. Tale provvedimento andrà poi a trasfondersi nel dettato dell'articolo in esame; esso diverrà così parte integrante del precetto penale e, in relazione ad esso, l'ignoranza non potrà più essere invocata a scusante. Consumazione e tentativo. (rinvio)Si veda quanto esposto nel commento all'articolo che precede. Forme di manifestazione (rinvio)Il secondo ed il terzo comma descrivono ipotesi circostanziali ad effetto speciale. Anche sul punto, è possibile operare un rinvio a quanto esposto nell'esame dell'articolo 261. CasisticaSi segnalano le seguenti pronunce del Supremo Collegio, che si ritengono maggiormente evocative delle più importanti problematiche interpretative emerse: a) per quanto inerisce alla individuazione della tipologia di notizie, rispetto alle quali è apprestata tutela, la Corte ha stabilito quanto segue. Il delitto in esame non può ritenersi integrato, allorquando l'oggetto della divulgazione sia una notizia che — sebbene catalogata tra quelle riservate, ai sensi dell'art. 42 l. 3 agosto 2007, n. 124, nonché dichiarata tale per mezzo di atti delle pubbliche amministrazioni coinvolte — appaia in concreto estranea agli interessi che legittimano l'imposizione del divieto di divulgazione, in quanto priva di una specifica attitudine ad arrecare nocumento a tali interessi, ove propalata. (Cass. I, n. 47224/2013 e, nello stesso senso, Cass. I, n. 23036/2009). Ancora con riferimento all'ambito di applicazione della norma, la Cassazione ha sancito che la figura tipica si realizza mediante la divulgazione di notizie che l'autorità a ciò legittimata abbia giudicato opportuno mantenere riservate. Con tale termine dovendosi intendere il fatto che la p.a. — muovendosi sulla scorta di valutazioni proprie discrezionali ed avendo di mira la cura di interessi di carattere generale — abbia reputato opportuno tenerle occultate ad una conoscenza ampia ed indifferenziata (Cass. I, n. 39514/2007); b) in ordine alla sindacabilità da parte del giudice dei provvedimenti che impongano il mantenimento del segreto, ovvero stabiliscano un divieto di divulgazione di determinate notizie, i Giudici di legittimità hanno poi stabilito la sindacabilità — ad opera del giudice — dell'atto impositivo del segreto ovvero del divieto di divulgazione. Provvedimento, quest'ultimo, che integra l'elemento costitutivo oggettivo — rappresentato della «segretezza» o «riservatezza» — dei delitti di cui agli artt. 256, 261 e 262. E il sindacato giurisdizionale si potrà incentrare tanto sull'aspetto della pertinenza e della attitudine offensiva delle informazioni, quanto sulla natura eversiva o meno dei fatti dei quali è stata vietata la divulgazione (Cass. I, n. 3348/2001). Profili processualiGli istituti Il reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza — con riferimento ai casi di cui al primo, al secondo, al terzo ed al quinto comma seconda ipotesi — della Corte d'Assise; diviene invece competente il Tribunale in composizione monocratica, in relazione all'ipotesi di cui al quinto comma, prima ipotesi; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare in ordine a tutte le ipotesi, con la sola eccezione di quella prevista dal comma quinto, primo periodo. Per esso: a) è possibile disporre intercettazioni (con la sola eccezione delle ipotesi di cui all'ultimo comma); b) l'arresto in flagranza è obbligatorio in relazione ai casi previsti dal primo, dal secondo e dal terzo comma, mentre diviene facoltativo in presenza dell'ipotesi di cui al quinto comma secondo periodo e non consentito in relazione al caso di cui all'ultimo comma, prima ipotesi; il fermo è consentito solo al ricorrere delle ipotesi di cui al primo, al secondo, al terzo ed al quinto comma secondo periodo; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali, ma solo al ricorrere delle ipotesi sanzionate dal primo, dal secondo, dal terzo e dal quinto comma seconda ipotesi. BibliografiaV. sub art. 261. |