Codice Penale art. 265 - Disfattismo politico.

Angelo Valerio Lanna

Disfattismo politico.

[I]. Chiunque, in tempo di guerra [310], diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose, che possano destare pubblico allarme o deprimere lo spirito pubblico o altrimenti menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico, o svolge comunque un'attività tale da recare nocumento agli interessi nazionali [269, 501, 656; 77 c.p.m.g.], è punito con la reclusione non inferiore a cinque anni.

[II]. La pena è non inferiore a quindici anni:

1) se il fatto è commesso con propaganda o comunicazioni dirette a militari;

2) se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze con lo straniero.

[III]. La pena è dell'ergastolo se il colpevole ha agito in seguito a intelligenze col nemico [268, 313].

competenza: Corte d'Assise

arresto: obbligatorio

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 2 bis, c.p.p.)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: con l'autorizzazione del Ministro della giustizia

Inquadramento

Delitto compreso nel Capo Primo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità internazionale dello Stato.

La figura tipica postula la sussistenza di una condizione bellica. Ciò trae evidentemente origine da una valutazione che ha connotazioni più sociologiche ed antropologiche, che prettamente giuridiche: la guerra è infatti una condizione intrinsecamente atta a fiaccare massimamente lo spirito di resistenza della popolazione. È proprio in tempo di guerra, pertanto, che l'azione del disfattismo può determinare il tipo di nocumento che ne legittima la inibizione mediante sanzione penale (Marconi, 631).

La norma mira dunque aproibire — mediante la predisposizione di un precetto penale la cui violazione è punita in maniera anche piuttosto rigorosa — azioni che siano in grado, anche solo potenzialmente, di deprimere le attitudini della popolazione alla resilienza, dinanzi alle avversità inevitabilmente connesse ad una situazione bellica. Ad un tempo, la disposizione normativa in commento mira ad impedire che vi siano cedimenti nel contrasto al nemico, o comunque lesioni di qualsivoglia genere agli interessi nazionali, durante lo svolgimento della guerra. Si è dunque scritto che: “l'interesse è quello di evitare che voci o notizie false possano menomare o indebolire la capacità di resistenza dello Stato di fronte al nemico” (Farini-Trinci, 63). La ratio della norma è in definitiva da ricercare nell’interesse dello Stato ad evitare che vengano posti in essere determinati comportamenti, che siano idonei a far scemare la resistenza della Nazione di fronte al nemico, ovvero che possano comunque ledere interessi collegati alla situazione di belligeranza (Pannain, 1126).

I soggetti

Soggetto attivo

Trattasi di un reato comune, come si evince dall'utilizzo del termine chiunque per indicarne l'autore. Se ne può dunque rendere protagonista tanto il cittadino, quanto lo straniero.

E addirittura, in astratto, potrebbe commettere il reato anche il nemico. È stato infatti giustamente scritto che: “... neanche al nemico può esser lecito iniettare il veleno del disfattismo, ancorché gli sia lecito far tutto quello che può per la difesa della propria patria” (Pannain, 1126).

Il fatto può essere peraltro commesso — sempre in tempo di guerra — anche da un militare. In tal caso, laddove vengano propalate notizie non rispondenti al vero sull'ordine pubblico, sull'economia nazionale ovvero su altri aspetti di pubblico interesse, troverà applicazione l'art. 77 c.p.mil.g., ma in via solo residuale, ossia fuori dei casi in cui resti integrato l'articolo in commento.

Soggetto passivo

Questo è sicuramente lo Stato italiano. Stante però la parificazione operata dall'art. 268, il fatto resta integrato anche mediante una condotta rivolta nei confronti di uno Stato che sia alleato o associato — a fine di guerra — con l'Italia. La ragione logica di tale estensione risiede evidentemente nella convinzione che una certa situazione dannosa — pur se prodottasi, in via immediata, in danno delle capacità belliche o di resistenza civica di tali Stati — riverbererebbe poi inevitabilmente i suoi effetti malaugurati anche sullo Stato italiano.

La struttura del reato

Il modello legale è qui delineato come un reato di pericolo. Il reato postula inoltre la sussistenza di uno stato di guerra (per la nozione penalisticamente rilevante di guerra, si legga l'art. 310).

Una previsione per certi versi analoga si trova nell'ipotesi contravvenzionale ex art. 656. Essa è però anzitutto realizzabile solo in tempo di pace; è inoltre fondata su una attitudine lesiva dell'ordine pubblico e non della capacità di resistenza bellica della nazione.

Materialità

Il paradigma normativo descrive due condotte tra loro alternative.

La prima consiste nel fatto di diffondere o comunicare voci o notizie che siano false, esagerate o tendenziose e che abbiano la specifica attitudine a suscitare un allarme generalizzato, ovvero a deprimere lo spirito pubblico, o comunque a menomare la capacità di resistere dinanzi al nemico. La seconda modalità realizzativa è invece rappresentata — in maniera più ampia e con previsione volutamente più generica ed onnicomprensiva — dallo svolgimento di attività tali da arrecare nocumento agli interessi nazionali.

Lo scrutinio del dettato legislativo deve dunque qui procedere, anzitutto, attraverso l'accurata analisi semantica e concettuale dei termini contenuti nella norma. Termini che sono definibili nel modo che segue:

a) il verbo diffondere indica il fatto che determinate notizie vengano portate a conoscenza di una moltitudine molto ampia e indifferenziata di destinatari, che dunque vengano propalate in maniera vasta, con una idoneità — almeno potenziale — al raggiungimento di un livello molto esteso di diffusione;

b) il verbo comunicare restituisce, al contrario, l'idea di una espansione di minor portata, che venga effettuata esclusivamente a beneficio di una cerchia determinata — e tendenzialmente alquanto ristretta — di percettori;

c) le voci sono i cicalecci infondati, le leggende o le percezioni immotivate ed insussistenti, che corrono irrefrenabili e si propagano con andamento travolgente — senza che esista la possibilità di opporvi una seria confutazione — in maniera più o meno occulta e mediante qualsivoglia modalità diffusiva.  Restano naturalmente escluse le mere opinioni — magari anche catastrofiche — che rientrino nell'ambito della libera manifestazione del pensiero, quando non si uniscano a notizie o voci prive di fondamento.

Rimane nell’indifferente penale, dunque, l’espressione di mere valutazioni, siano esse magari anche radicalmente negative e contenenti previsioni funeste e catastrofiche; a patto però che non contengano voci fasulle. La norma in commento, insomma, non incide in alcun modo sulla possibilità di esprimere giudizi critici anche aspri, in ordine all’andamento delle operazioni belliche (Cristiani,129).

d) le notizie debbono apparire false (prive di fondamento naturalistico, logico o giuridico), esagerate (laddove offrano una visione distorta o dilatata, per ciò che afferisce ad alcuni profili fattuali correlati all'accadimento riportato), oppure infine tendenziose (id est capziose, subdolamente faziose, settarie, ingannevoli e fallaci);

e) le voci o notizie — oltre a presentare i sopra esposti requisiti — devono altresì essere alternativamente dotate della specifica attitudine a: destare pubblico allarme (sarebbe a dire: suscitare panico ingiustificato nella coscienza collettiva); deprimere lo spirito pubblico (quindi, a destare una sensazione di scetticismo e scoramento, ossia danneggiare, diminuire la tenacia e la capacità di sopportazione della generalità della popolazione — o almeno di una parte rilevante della stessa — così determinandone una condizione di avvilimento e demoralizzazione, tali da depauperarne in maniera sostanziale le virtù morali); menomare la resistenza della nazione di fronte al nemico (che significa: compromettere, mutilare significativamente la tempra della popolazione e la sua capacità di far fronte, in maniera determinata e compatta, alle inevitabili rovine, ai dolori e ai lutti derivanti dalla guerra).

Per ciò che invece inerisce alla seconda tipologia di condotta, pure rientrante nell'alveo normativo in esame — consistente nel fatto di svolgere attività tali da recare nocumento agli interessi nazionali — si è giustamente sostenuto in dottrina che: “Si tratta di una formula così ampia da apparire un guscio vuoto, per cui rimane affidata al giudice la determinazione del comportamento punibile. Gli interessi nazionali sono soltanto quelli connessi con lo stato di guerra. Il nocumento deve essere effettivo e non soltanto potenziale” (Fiandaca-Musco, 105). La dottrina ha infatti rimarcato l’esistenza di una marcata vena di vaghezza, nella descrizione legislativa del fatto tipico (Grasso, 489). Si sono fatti rientrare in tale alveo previsionale, ad esempio, «i pronostici allarmanti o le ipotesi catastrofiche» (Antolisei, 571, il quale appunto ritiene che «la formula è tanto ampia che potrebbe ritenersi leso il principio di determinatezza»).

Elemento psicologico

Il coefficiente psichico richiesto dalla norma è il dolo generico. Questo si sostanzia nella coscienza e volontà di tenere la condotta tipizzata, con la consapevolezza dell’idoneità di questa, rispetto alla produzione di uno degli accadimenti dettagliatamente descritti nella previsione incriminatrice. Il dolo richiede infatti non solo la coscienza della natura mendace delle voci che vengano diffuse, ma anche la piena coscienza del fatto che esse siano atte a destare allarme, oppure ad abbattere lo spirito pubblico. L'elemento psichico necessario per l'integrazione della fattispecie resta dunque escluso, nel caso in cui il soggetto tenga un dato comportamento — pur se formalmente combaciante con la previsione tipica — ma nell'erroneo convincimento della natura non pericolosa dello stesso, per gli intessi nazionali (Antolisei, 571).

Le situazioni di pubblico allarme, di depressione dello spirito pubblico, di menomazione della resistenza, così come il nocumento agli interessi nazionali sono qui da intendere alla stregua di elementi costitutivi della fattispecie di reato, piuttosto che quali mere condizioni obiettive di punibilità. Se ne deduce che la possibilità di realizzazione di tali situazioni — in stretta correlazione causale rispetto alla condotta serbata dall'agente — dovrà rientrare nella sfera volitiva e rappresentativa di quest'ultimo.

Consumazione e tentativo

Il reato giunge a consumazione allorquando si concretizzino le condotte alternativamente descritte nel modello legislativo. Dunque — per quanto attiene alla previsione contenuta nella prima parte del primo comma dell'articolo in esame — il reato si consumerà quando e nel luogo in cui avvengano la diffusione o la comunicazione di voci o notizie; la seconda modalità esecutiva prevista dal legislatore si consumerà, invece, con il realizzarsi di un nocumento agli interessi nazionali.

La notevole pericolosità dei mezzi impiegati dall'agente — verosimilmente dotati di particolare attitudine alla propagazione — esclude che la punibilità della condotta possa restare subordinata alla effettiva realizzazione di una lesione, rispetto agli interessi tutelati dalla norma (Aprile, in Rassegna Lattanzi-Lupo, VI,  2010, 139).

Non sembrano residuare perplessità, circa la configurabilità del tentativo.

Forme di manifestazione

Circostanze

Al secondo comma si trovano due previsioni circostanziali.

La prima si realizza allorquando il fatto incriminato venga perpetrato mediante propaganda o comunicazioni dirette ai militari. Tale previsione trova evidentemente scaturigine nella maggior pericolosità, che è intrinsecamente connaturata ad una attività di disfattismo che venga condotta — in tempo di guerra — nei confronti dei militari.

Di una attività, cioè, che si sostanzi nello spargimento di pessimismo e catastrofismo e che veda come destinatari proprio quei soggetti che sono istituzionalmente deputati — in via primaria — ad opporsi al nemico; soggetti dal cui comportamento inevitabilmente derivano esiti decisivi per le sorti della guerra.

La previsione di cui al comma 2, n. 2) dell’articolo in esame, invece, tende a reprimere i fatti perpetrati in presenza di intelligenze con lo straniero. Tenere intelligenza è il fatto di chi in qualche modo trami — in maniera più o meno occulta — contro gli interessi nazionali; di chi fornisca informazioni o raggiunga comunque con uno straniero accordi — di qualsivoglia genere — che si rivelino contrari agli interessi del Paese.

L'elemento differenziale tra tale previsione e quella di cui all'ultimo comma è rappresentato dal fatto che le suddette intelligenze — prodromiche al fatto incriminato — siano intercorse semplicemente con uno straniero (art. 265, comma 2, n. 2), ovvero col nemico (art. 265 comma 3).

Profili processuali

Gli istituti

Il reato in esame è reato procedibile previa autorizzazione del Ministro della Giustizia e di competenza della Corte d'Assise; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare.

Per esso:

a) è possibile disporre intercettazioni;

b) l'arresto in flagranza è obbligatorio; il fermo è consentito;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

Bibliografia

Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, II, Milano, 1997; Cristiani, Disfattismo politico e economico, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964; Farini-Trinci, Diritto Penale - Parte Speciale, Roma, 2015; Fiandaca-Musco, Diritto Penale - Parte speciale, 1, Bologna, 1988; Grasso, Commento all'art. 265, in Commentario breve al Codice Penale, a cura di Crespi-Stella-ZuccalÀ, Padova, 1986; Marconi, voce Stato (Delitti contro la personalità internazionale dello), in Dig. pen., XIII, Torino, 1997; Pannain, Nss. d.i., diretto da Azara-Eula, XII, Torino, 1979.

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