Codice Penale art. 270 - Associazioni sovversive (1).Associazioni sovversive (1). [I]. Chiunque nel territorio dello Stato [4 2] promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette e idonee a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato ovvero a sopprimere violentemente l'ordinamento politico e giuridico dello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. [II]. Chiunque partecipa alle associazioni di cui al primo comma è punito con la reclusione da uno a tre anni. [III]. Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni di cui al primo comma, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento. (1) Articolo così sostituito dall'art. 2 l. 24 febbraio 2006, n. 85, con effetto a decorrere dal 28 marzo 2006. Il testo dell'articolo era il seguente: «Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni. - Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della società. - Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da uno a tre anni. - Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni predette, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento». competenza: Corte d'Assise (primo comma); Trib. collegiale (secondo e terzo comma) arresto: obbligatorio (primo comma); non consentito (secondo e terzo comma) fermo: consentito (primo comma); non consentito (secondo e terzo comma) custodia cautelare in carcere: consentita (primo comma v. anche art. 275, comma 3, c.p.p.); non consentita (secondo e terzo comma) altre misure cautelari personali: consentite (primo comma); non consentite (secondo e terzo comma) procedibilità: d'ufficio InquadramentoDelitto compreso nel Capo Primo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità internazionale dello Stato. Per quanto attiene al bene giuridico tutelato, giova premettere come la figura delittuosa de qua abbia subito — rispetto alla struttura preesistente — delle profonde modifiche; queste sono state evidentemente finalizzate a renderla maggiormente aderente ai vigenti principi democratici e costituzionali. Sono così scomparse le palesi connotazioni ideologiche, dalle quali essa era in origine permeata; e per comprendere quanto radicalmente la novella abbia inciso, sulla struttura complessiva della norma, sarà sufficiente leggere la stesura iniziale della stessa, introdotta con r.d. 19 ottobre 1930, n. 1398, quindi previgente rispetto alle modifiche apportate — con decorrenza dal 28 marzo 2006 — ad opera dell'art. 2 l. 24 febbraio 2006, n. 85. Ecco dunque il testo antecedente alla novella del 2006: «Chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni dirette a stabilire violentemente la dittatura di una classe sociale sulle altre, ovvero a sopprimere violentemente una classe sociale o, comunque, a sovvertire violentemente gli ordinamenti economico-sociali costituiti nello Stato, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni. Alla stessa pena soggiace chiunque nel territorio dello Stato promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni aventi per fine la soppressione violenta di ogni ordinamento politico e giuridico della società. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da uno a tre anni. Le pene sono aumentate per coloro che ricostituiscono, anche sotto falso nome o forma simulata, le associazioni predette, delle quali sia stato ordinato lo scioglimento.». E' stato giustamente scritto che: “bene tutelato dalla disposizione è l'ordine democratico e pluralistico dello Stato, la sua personalità interna, di riflesso, internazionale, ossia l'interesse che attiene alla vita e all'esistenza dello Stato nella sua essenza unitaria nei confronti di aggressioni interne che tendano a sovvertirne violentemente l'ordine.“ (Farini-Trinci, 34). L'associazione vietata dalla norma presenta, infine, un connotato eminentemente politico. L'associazione penalmente rilevante e le garanzie costituzionaliIl tipo di associazione vietato L'ordinamento tutela la libertà di associazione, prescindendo dal fine sotteso a tale fenomeno umano. La sola legge penale può quindi qualificare in termini di illiceità una data manifestazione associativa; con la correlata puntualizzazione che un determinato gruppo può essere ritenuto avulso dalle regole costituzionali — e quindi caratterizzarsi quale illecito — solo allorquando esso si ponga come obiettivo un risultato che la legge vieta anche per il singolo (in questo senso Ridola, 7, e Barile, 192). La coerenza al sistema — per le norme che proibiscono fenomeni associativi umani — è allora da rintracciare nel diritto-dovere dello Stato, di difendere il proprio ordinamento giuridico e la propria essenza. La disposizione normativa in esame non vieta pertanto il fatto associativo in quanto tale; nemmeno tende a reprimere o contrastare — in base ad una preconcetta opzione ideologica — le finalità, di natura genuinamente politica, che siano sottese a tale forma di aggregazione. Ciò che invece è oggetto di repressione è il metodo violento di attuazione (Galterio, 13). Il concetto di associazione deve poi essere qui inteso in senso molto ampio, comprensivo non solo delle società vere e proprie, bensì anche di comitati o gruppi comunque qualificati, rivestano essi un carattere stabile o delimitato nel tempo, siano essi più o meno conosciuti. Viene quindi punito il fatto stesso di costituire un qualunque gruppo umano — comunque denominato — che si riconosca nell'utilizzo di metodi violenti (Galterio, 13). Sotto il profilo squisitamente definitorio, l'associazione rilevante ai fini che ora interessano è rappresentata dalla unione — avente connotazioni precipue di stabilità e di permanenza — costituita da più persone, le quali abbiano un obiettivo condiviso. Tale vincolo comune vale, in primo luogo, a marcare il confine rispetto alla mera riunione tra persone (caratterizzata invece da una modalità di raduno, di concentrazione tra più soggetti, che presenti una natura episodica, spontanea, non teleologicamente orientata). Inoltre, la natura finalistica e strumentale dell'unione tra più persone, nonché il fatto che esse condividano — in maniera duratura — determinati obiettivi comuni, sono le caratteristiche che distinguono le associazioni dai meri assembramenti (Maggiore, 58, e Galterio, 13). È peraltro sempre esistito un forte contrasto dottrinale, concernente la descrizione delle modalità violente volute dalla norma. Modalità mediante le quali la norma postula appunto che vengano perseguiti gli esiti del sovvertimento o della soppressione, indicati alternativamente quali finalità della struttura associativa. Alcuni interpreti considerano infatti sufficiente che il metodo violento sia solo propugnato, anche rimanendo esso confinato allo stadio di forma astratta di esplicazione dell'ideologia. Dunque «come proiezione di un'eversione destinata a realizzarsi in forza di un processo storico di maturazione rivoluzionaria e di una correlativa azione politica intrinsecamente non violenta» (Padovani, 826). Altri invece pensano che la norma richieda la ricomprensione effettiva della modalità violenta, nell'ambito del programma del sodalizio e nella sua concreta attuazione (Gallo-Musco, 43). Sul punto, si è scritto che: "preferibile appare la tesi secondo cui il richiamo alla violenza debba connotare il programma operativo dell'associazione: in questo caso, il fondamento della sua rilevanza penale poggia sul perseguimento strumentale di condotte che sono senz'ombra di dubbio inibite al singolo dalla legge penale; così come accade del resto nell'ipotesi dell'art. 270-bis c.p., dove il fine di eversione dell'ordine democratico si caratterizza per il fatto di essere perseguito mediante il compimento di atti di violenza” (Padovani, 826). Quindi. Il punto di discrimine tra una associazione che si prefigga scopi in qualche modo «rivoluzionari» — senza però sconfinare nel campo dell'associazionismo penalmente illecito — e l'associazione politica vietata, deve essere collocato sulla linea della valutazione degli scopi e del tipo di programma dell'associazione stessa. La norma in esame esige infatti che la finalità stessa dell'associazione risulti delinquenziale, in maniera concettualmente ed ideologicamente indipendente, rispetto ad una concorrente finalità più squisitamente politica. L'obiettivo programmatico illecito deve dunque improntare l'intera attività dell'insieme di persone associate; le quali devono sentirsi accomunate dalla scelta di servirsi di comportamenti violenti. L'atteggiamento psichico fatto di condivisione del metodo violento e la traduzione del pensiero in atti concreti finiranno poi per porre l'associazione in una posizione esterna, rispetto alle regole dell'ordine democratico. In relazione proprio allo specifico tema, giova anche rimarcare come le associazioni militari aventi scopi politici e le associazioni segrete, nonché il disciolto partito fascista (vedi infra), siano invece considerate dal legislatore illecite in quanto tali; il che equivale a dire che sono illecite per il puro e semplice scopo che esse si prefiggono, addirittura indipendentemente da qualsivoglia concreta modalità attuativa del programma. Qui ovviamente entra in gioco una considerazione ontologica dei caratteri intrinseci di tali forme associative. Il partito fascista è infatti intimamente — proprio in re ipsa — espressione di una ideologia marcatamente autoritaria, totalitaria; non può quindi che tendere alla nuova istaurazione di un sistema sociale ed ordinamentale di tipo dittatoriale. Parimenti, la costituzione di una associazione politico-militare implica inevitabilmente il ricorso ad un metodo basato sulla sopraffazione, in quanto contrassegnato proprio dall'utilizzo di strumenti e tecniche di tipo militare, bellico (la concreta esecuzione violenta del programma, quindi, sembra qui essere proprio connaturata alla struttura stessa del tipo di associazione). Nell'ultimo caso, la segretezza pone il gruppo automaticamente all'esterno dell'ambito delle aggregazioni lecite, in quanto lo colloca aprioristicamente fuori dall'agone democratico e dall'ambito del pluralistico confronto di idee (per i profili essenziali della questione, si vedano Di Francesco, 135 e 148, nonchè Padovani, 827). Compatibilità con i principi costituzionali L'assoggettamento a sanzione penale del fatto associativo in quanto tale — puramente considerato nella sua essenza, scollegato dalla realizzazione di reati-fine — rappresenta una difficile scelta di politica legislativa e criminale. Infatti, si ritiene da più parti che l'incriminazione della pura e semplice associazione — si ripete, prima ed indipendentemente dalla commissione di specifici reati — presenti evidenti profili di incompatibilità, rispetto ai principi di libertà di associazione e di espressione ex artt. 18 e 21 Cost. Non vi è però chi non rilevi come il tipo di associazione che mostri i caratteri delineati dal legislatore — con riferimento al paradigma normativo in analisi, ma anche in relazione ad altre forme associative vietate — rappresenti già qualcosa di molto concreto; un fenomeno che si presenta quindi già ben più formato, rispetto ad uno stadio embrionale, solo progettuale e meramente preparatorio, oppure anche rispetto al mero raggrumarsi di ideologie e di propositi. Tale associazione costituisce infatti già un pericolo per il bene giuridico protetto; cosa che legittima lo Stato a prevederne la punizione (Galterio, 13). I soggettiSoggetto attivo Si tratta di un reato plurisoggettivo a concorso necessario, per la realizzazione del quale occorre la presenza di una molteplicità di soggetti attivi. Dal momento però che il modello legale — così come avviene ad esempio anche nel caso dell'art. 306 — non prevede il numero minimo di tre partecipanti (a differenza di quanto invece espressamente sancito dagli artt. 416 e 416-bis), si è molto dibattuta la questione inerente al numero di correi indispensabile, perché si possa reputare integrata la figura tipica. Si è però ormai raggiunta una unanimità di opinioni — in dottrina ed in giurisprudenza — circa il fatto che debbano essere almeno due, i soggetti la cui partecipazione è in grado di dar vita ad una associazione conforme all'archetipo normativo in argomento Trattasi inoltre di un reato comune, visto che può rendersene protagonista chiunque. Soggetto passivo Questo è, in via esclusiva, lo Stato italiano. Quest'ultimo è infatti titolare del bene giuridico — strettamente correlato proprio alla personalità dello Stato — della salvaguardia contro la costituzione di gruppi che mirino a capovolgere l'attuale struttura democratica del Paese. La norma peraltro non contempla — a differenza di quanto invece avviene grazie alla previsione di cui all'art. 270-bis secondo comma — l'estensione della punibilità anche in relazione ai fatti perpetrati in danno di uno Stato estero, di un'istituzione o di un organismo internazionale. MaterialitàCaratteristiche strutturali e finalità proprie dell'associazione La nuova veste assunta dalla disposizione legislativa in esame — all'esito della succitata legge di riforma — appare perfettamente ossequiosa del principio di offensività; la norma, infatti, postula ora espressamente la sussistenza del requisito dell'idoneità della formazione associativa, rispetto al conseguimento delle finalità proprie del tipo di organizzazione. Le quali finalità sono rappresentate — sotto il profilo materiale ed attuativo — dal compimento di atti di violenza, connotati dal fine di sovversione degli ordinamenti economici o sociali dello Stato, ovvero dell'ordinamento politico e giuridico dello stesso. La figura delittuosa in esame può quindi oggi essere definita — contrariamente alla definizione dogmatica che poteva esserle attribuita in passato — alla stregua di un reato di pericolo concreto. È poi anzitutto espressamente richiesto dalla norma che la condotta oggetto di incriminazione venga attuata nel territorio dello Stato (art. 4). L'associazione deve essere inoltre dotata di una specifica attitudine al sovvertimento dell'ordinamento economico o sociale costituito nello Stato. E deve caratterizzarsi per metodi e programma violento, sebbene poi la norma non richieda l'effettivo compimento di atti genuinamente definibili violenti, bastando la predisposizione di un programma associativo concretamente atto alla sovversione violenta. Per ciò che infine attiene al termine sovvertire, adoperato dal legislatore, è stato evidenziato come esso presenti connotazioni sostanzialmente omogenee, rispetto al concetto di eversione; la differenza essenziale è riscontrabile solo nella differente collocazione storica, apparendo il secondo termine più consono ad una sensibilità moderna e risentendo invece il termine sovversione della diretta derivazione dal periodo del fascismo (Farini-Trinci, 10). Descrizione delle singole condotte Le condotte oggetto di previsione incriminatrice sono distinte secondo il ruolo che esse assumono all'interno della struttura associativa, nonché in base all'importanza del contributo. Si differenziano dunque nettamente le condotte di rango superiore (quelle che testualmente — secondo il dettato normativo — si concretano nel fatto di promuovere, o di costituire, o di organizzare, ovvero di dirigere l'associazione), rispetto a quelle da ritenersi di livello inferiore, in quanto connotate dalla mera partecipazione del soggetto ad una compagine già esistente (che sia stata dunque già costituita da altri e che sia in grado di proseguire agevolmente l'attività, anche in assenza dell'apporto causale del mero partecipe). Si è inoltre specificato in dottrina come i ruoli del promotore e del costitutore presuppongano — già sotto il profilo logico e semantico — che la struttura associativa si trovi ancora ferma ad uno stadio meramente genetico; le ulteriori vesti soggettive previste dalla norma si collocano, al contrario, in un momento successivo, rispetto alla costituzione dell'associazione. Naturalmente, la stessa natura illecita del gruppo comporta l'inesistenza di limiti ontologici demarcati ed immutabili, fra i diversi ruoli. Cosa che non desta difficoltà applicative, posto che le condotte di rango superiore sono indifferentemente assoggettate alla medesima sanzione penale. Attenendosi alla lettera della norma, è allora dato distinguere le seguenti condotte, che sono poste dal legislatore in un rapporto di alternatività reciproca e che sono, pertanto, tutte atte ad integrare il paradigma normativo in commento: a) promuovere significa dare l'avvio, adoperarsi affinché sorga, favorire la nascita dell'organismo associativo, diffondendone e propagandandone gli scopi e l'attività, facendo proseliti e creando consenso; b) costituire indica l'attività di chi materialmente faccia sorgere l'associazione, di chi la renda percepibile all'esterno, tramite una attività di cooptazione di nuovi sodali e di reperimento di mezzi e strutture logistiche; c) organizzare significa dar vita ad una pur rudimentale ed elementare forma di organizzazione gerarchica ed operativa; d) dirigere è, pacificamente, il fatto di chi assuma una posizione apicale, di colui che detti quindi regole comportamentali e che indirizzi le azioni degli altri associati, fornendo loro le linee-guida per l'esplicazione dell'attività illecita; e) partecipare — secondo l'accezione qui utilizzata dal legislatore — significa porre in essere qualsivoglia attività di carattere materiale, esteriormente percepibile, che abbia una matrice meramente esecutiva, attuativa e che sia teleologicamente indirizzata al conseguimento della finalità associativa. La partecipazione è sicuramente il ruolo che è necessario tenere maggiormente distinto rispetto agli altri, visto che per esso è prevista una pena più lieve. In dottrina si è molto agitata la questione attinente alla portata da attribuire al termine partecipare. Trattasi infatti di una nozione sicuramente permeata di una vena di adesione psicologica, rappresentata dalla coscienza e volontà di far parte di una struttura delinquenziale, condividendone gli scopi. Eppure, laddove si reputasse bastevole tale atteggiamento della volontà, si giungerebbe a sovrapporre il tema della condotta di partecipazione ad un puro contegno soggettivo, sebbene già verbalmente espresso. Occorre quindi colmare di contenuti sostanziali tale adesione meramente interna, mediante l'introduzione — nella enunciazione della condotta cristallizzata nel precetto — di un contenuto materiale di pur minima entità. Peraltro, il contributo partecipativo è stato spesso demarcato in forma residuale, ossia negativa, facendovi quindi rientrare tutti i comportamenti inidonei ad esser definiti quali forme di promozione, di costituzione o di organizzazione. Si è così definito partecipe chi espleta funzioni solo esecutive e non essenziali per la operatività e per la prosecuzione della vita dell'associazione sovversiva; lo si è definito come protagonista di condotte del tutto fungibili, carenti quindi di valenza decisiva, per il destino della societas sceleris; oppure, si è tentato di descrivere la mera partecipazione ponendo l'accento sul carattere episodico, occasionale del contributo offerto alla struttura criminosa. Una effettiva valenza definitoria, però, può essere rinvenuta solo in formule non di tipo negativo e sussidiario, ma che siano dotate di un reale — pur se minimo — contenuto positivo e materiale; formule che evochino quindi una effettiva forma di contributo concreto rispetto agli scopi dell'associazione (Fiandaca-Musco, 28). È comunque vero che quest'ultima modalità di adesione presenta essenzialmente connotazioni solo attuative e fungibili, che si estrinsecano in forme varie di assistenza. Che deve essere prestata, giova sottolinearlo, non al singolo associato in quanto tale — individuato dunque per qualità o condizioni correlate alla sua individualità — bensì all’associazione nella sua interezza; ovvero anche al singolo partecipe, ma in quanto espressione dell’esistenza e dell’operatività di un insieme strutturato (Bonilini-Confortini, 1373). Elemento psicologicoIl coefficiente psicologico postulato dalla norma è rappresentato dal dolo specifico. Il soggetto agente, infatti, deve non solo avere la consapevolezza dell'esistenza e dell'operatività della struttura associativa, ma anche la volontà di prendere parte alle attività della stessa, rappresentandosi e volendo anche il perseguimento degli scopi di sovversione, nei termini sopra specificati. Tale dolo specifico è rappresentato dal fine ultimo di giungere alla violenta soppressione o al violento capovolgimento dell'assetto democratico e pluralista, secondo le modalità esecutive indicate dalla norma (Galterio, 13). Consumazione e tentativoIl delitto giunge a consumazione nel momento e nel luogo in cui vengano realizzate le singole condotte tipizzate. Visto che la norma è strutturata alla stregua di un reato formale e di pericolo, pare inimmaginabile la configurabilità del tentativo. La dottrina maggioritaria lo considera in effetti non ipotizzabile, sul presupposto che la realizzazione di atti minimamente idonei ed univocamente diretti potrebbe dare già luogo alla realizzazione del delitto nella forma compiuta. E peraltro, alcune delle condotte tipizzate dalla norma (si pensi al fatto di dirigere), già logicamente escludono la configurabilità del tentativo. Vi sono stati però Autori che hanno ipotizzato l’ammissibilità del tentativo, sostanzialmente in presenza di una costituzione progressiva e frazionata della struttura associativa. Stando a tale impostazione, si potrebbe ad esempio astrattamente immaginare un tentativo di organizzare l’associazione sovversiva; non certo, però, un tentativo di promozione o di partecipazione, atteso che la prima condotta integrerebbe già il delitto perfetto (Pannain, 1109). Il delitto ha infine un carattere permanente, in quanto l’offesa al bene giuridico protetto si protrae sicuramente nel tempo, stante la persistenza della condotta volontaria dell’agente. Forme di manifestazioneLa ricostituzione L'ultimo comma prevede una circostanza aggravante ad effetto speciale, da reputarsi ora sostanzialmente priva di una pratica possibilità di applicazione. Tale previsione, infatti, si rapportava al disposto dell'art. 210 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (t.u.l.p.s.), laddove era espressamente previsto il potere — in capo al Prefetto — di procedere allo scioglimento delle associazioni, degli enti o degli istituti che fossero ritenuti dediti allo svolgimento di una attività contraria agli ordinamenti politici costituiti nello Stato. L' art. 210 r.d. n. 773/1931 è stato però ormai colpito da declaratoria di incostituzionalità (Corte cost. n. 114/1967). È forse utile evidenziare come abbandonare la struttura associativa — dopo averla promossa o organizzata — possa valere per il riconoscimento della circostanza attenuante ex art 62 n. 6, senza però che venga meno la penale responsabilità del soggetto. Panorama delle ulteriori forme associative vietatePer quanto concerne le ulteriori forme associative vietate, rintracciabili nel nostro ordinamento, sembra opportuno richiamare brevemente le seguenti disposizioni legislative: a) d.lgs. 14 febbraio 1948, n. 43. Tale norma punisce il fatto di promuovere, costituire, organizzare o dirigere associazioni di carattere militare, a patto che queste perseguano — pur se in via indiretta — finalità di tipo politico. Qui il legislatore fornisce anche una dettagliata descrizione delle caratteristiche che le associazioni devono possedere, perché le si possa considerare di carattere militare. Sono infatti tali quelle che si caratterizzano per esserne gli appartenenti inquadrati in corpi o reparti, organizzati in forma gerarchica analoga a quella militare, anche mediante l’utilizzo di gradi e uniformi. Che siano inoltre strutturate per essere impiegate in azioni collettive anche violente o minacciose. b) art. 1 l. 20 giugno 1952, n. 645, attuativa del dettato della XII norma transitoria della Costituzione, che sancisce il divieto di ricostituzione del disciolto partito fascista. Anche qui, la descrizione contenuta nella norma risulta adeguatamente articolata ed analitica. Si è quindi in presenza di tale ricostituzione, quando un insieme comunque denominato di persone — in numero non inferiore a cinque — si prefigga il perseguimento di quegli scopi antidemocratici che erano peculiari del partito fascista. Quando dunque si espleti la lotta politica propugnando l’uso della violenza e mirando all’abolizione delle libertà costituzionali, oppure denigrando la democrazia, le istituzioni della stessa e i valori della Resistenza. Quando infine il metodo di confronto politico si fondi sul razzismo; o quando venga compiuta l’esaltazione di qualsivoglia principio, simbologia o iconografia distintiva dell’ideologia fascista. c) artt. 1-6 l. 25 gennaio 1982, n. 17, attuativa del dettato dell'art. 18 Cost. Trattasi delle norme che fissano il divieto di costituzione di associazioni segrete, oltre ad imporre lo scioglimento della associazione denominata Loggia P2. Secondo l'espresso dettato normativo, sono da considerare segrete ai fini penalistici, e quindi proibite, le associazioni occulte — anche se inserite nei gangli di gruppi palesi — che si adoperino per ingerirsi nel normale funzionamento di organi costituzionali, di pubbliche amministrazioni, di enti pubblici anche economici, o infine di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale. CasisticaSi segnalano le seguenti pronunce del Supremo Collegio, precedute dall'indicazione dei profili in esse sviscerati. a) Con riferimento al numero minimo dei partecipanti all'associazione sovversiva, i Giudici di legittimità hanno precisato come la fattispecie delittuosa in esame si concretizzi per il solo fatto della creazione di un sodalizio fra due o più persone, ovvero della realizzazione di una intesa o della condivisione del vincolo associativo, finalisticamente orientati al perseguimento degli scopi indicati nel dettato normativo (Cass. I, n. 6952/1987; il Supremo Collegio ha qui anche chiarito come — in riferimento a tale delitto — non sia logicamente ipotizzabile lo schema teorico del reato impossibile; è parimenti inimmaginabile ritenere inidonea un'azione in base all'assenza di un concreto pericolo). b) Per quanto attiene all'interpretazione dei termini “ordinamenti economici e sociali”, quali elementi costitutivi del reato, si è specificato come essi vadano letti in stretta correlazione semantica e ideologica con l'esistenza di un substrato democratico e pluralistico, immanente ormai al vigente assetto costituzionale dello Stato. Ne deriva come la tutela qui apprestata dal legislatore non debba restare confinata alle istituzioni propriamente dette, bensì sia destinata ad estendersi a qualunque formazione sociale, all'interno della quale i consociati esercitino i diritti inviolabili e le libertà costituzionalmente garantite (Cass. V, n. 40111/2013; nello stesso senso, si veda anche Cass. V, n. 40348/2013, a mente della quale il paradigma normativo de quo ricomprende qualsivoglia condotta che si prefigga il risultato ultimo di mutilare l'esercizio delle libertà fondamentali, che costituiscono poi la traduzione pratica dell'idea democratica e pluralistica dell'assetto statale. Una ideologia che mira quindi a salvaguardare la titolarità dei diritti fondamentali, garantendone a tutti la libera esplicazione, sia come singoli, sia nelle formazioni sociali nelle quali si esprime la personalità individuale. La terminologia adoperata — «ordinamenti sociali» — non richiama le sole istituzioni, pur se in senso ampio, ma protegge proprio le basilari strutture aggregative, attraverso le quali riceve attuazione lo schema costituzionale fondato sul pluralismo. c) Per quanto attiene agli elementi discretivi rispetto alla figura delittuosa di cui all'art. 270-bis, la Cassazione ha posto l'accento sulla necessità di considerare attentamente la natura della violenza adoperata, per lo specifico fine costitutivo della societas sceleris. E infatti, l'associazione in esame si connota per una forma generica di condotta violenta, laddove l'art. 270-bis esige la sussistenza di una violenza di tipo terroristico, che dunque contempli l'uso della violenza a soggetto passivo indifferenziato e finalizzata proprio allo spargimento del panico (Cass. V, n. 46340/2013). d) Per ciò che inerisce ai caratteri della struttura postulata dalla norma, i Giudici di legittimità (Cass. VI, n. 39810/2019) hanno chiarito come sia richiesta la sussistenza di una compagine organizzata, che abbia un programma indirizzato alla violenta sovversione dell'ordinamento dello Stato, oltre ad esser dotata di mezzi strumentali atti al conseguimento di tale risultato; non basta quindi il semplice perseguimento di un'idea di tipo eversivo (trattavasi nel caso di specie di una associazione finalizzata ad ottenere l'indipendenza di alcune regioni del Paese, i componenti della quale avevano solo posto in atto gesti eclatanti come l'occupazione di Piazza San Marco a Venezia; essi non avevano però mai avuto a disposizione risorse finanziarie e mezzi idonei a conseguire gli scopi di cui all'art. 270, la cui sussistenza è stata infatti esclusa). Profili processualiIl reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza — in relazione all'ipotesi di cui al primo comma — della Corte d'Assise; diviene invece competente il Tribunale in composizione collegiale, al ricorrere delle ipotesi tipizzate al secondo ed al terzo comma. È prevista la celebrazione dell'udienza preliminare, tranne che per l'ipotesi di cui al secondo comma. Per esso: a) è possibile disporre intercettazioni, ma limitatamente all'ipotesi di cui al primo comma; b) l'arresto in flagranza è previsto come obbligatorio, con riferimento all'ipotesi di cui al primo comma, mentre non è consentito in relazione alle ipotesi sussunte nel secondo e nel terzo comma; il fermo è consentito esclusivamente in ordine all'ipotesi di cui al primo comma; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali, ma solo al ricorrere dell'ipotesi di cui al primo comma; d) La competenza territoriale deve essere individuata in relazione al luogo di costituzione e di operatività essenziale della struttura associativa, non rilevando il luogo di commissione dei singoli reati fine. L'art. 344-bis c.p.p.(Improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione), nel testo introdotto dall'art. 2 lett. a) l. 27 settembre 2021, n. 134 (in G.U. n. 237 del 4 ottobre 2021 e in vigore a partire dal 19 ottobre 2021), ha previsto che – in presenza di giudizio di impugnazione particolarmente complesso, tanto in relazione al numero di parti o imputazioni, quanto con riferimento alla complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare – possa disporsi una prima proroga del relativo giudizio. Tale proroga potrà avere la durata di un anno per il giudizio di appello e di un anno e sei mesi per quanto attiene al giudizio di cassazione ed è adottata con ordinanza motivata; trattasi di ordinanza poi ricorribile in Cassazione senza che si produca alcun effetto sospensivo sul giudizio, ad opera dell'imputato e del Difensore e ciò entro il termine - previsto a pena di inammissibilità - di cinque giorni, decorrente dalla lettura del provvedimento o, in mancanza, dalla notificazione dello stesso. Il medesimo art. 344 bis comma 4 c.p.p. ha poi inserito la fattispecie di cui al terzo comma della norma in commento, fra quelle per le quali sono consentite ulteriori proroghe (successive quindi a quella succitata, come detto pari a un anno per l'appello e a un anno e sei mesi per la cassazione). Esclusione dall’indultoL'indulto concesso con l. 31 luglio 2006, n. 241 non si applica, ex art. 2 della stessa legge, ai fatti previsti dal comma 1 del presente articolo. Casi di non punibilitàL'art. 1 l. 29 maggio 1982, n. 304 prevedeva dei casi di non punibilità, per coloro che si fossero resi protagonisti — per finalità di terrorismo o eversione — di uno o più tra i reati di cui agli artt. 270, 270-bis, 304,305 e 306 c.p. Tale non punibilità era condizionata al fatto che — salve alcune eccezioni ivi riportate — tali soggetti non avessero concorso alla perpetrazione di alcun reato-scopo e che, prima dell'intervento di pronuncia irrevocabile, avessero disciolto l'associazione o la banda (ovvero avessero determinato tale accadimento). Oppure avessero manifestato recesso dagli accordi, o si fossero ritirati dall'associazione, ovvero infine si fossero consegnati (senza opporre resistenza o abbandonando le armi, nonché fornendo comunque informazione sulla struttura e sulla organizzazione della associazione stessa). Altro caso di non punibilità era previsto in relazione a coloro che avessero impedito l'esecuzione di reati-fine. L'art. 12 l. n. 304/1982 prevedeva un termine di centoventi giorni — decorrenti dal 3 giugno 1982, data di entrata in vigore della legge stessa — entro i quali si sarebbero dovuti tenere i comportamenti significativi del pentitismo. Termine poi differito di ulteriori centoventi giorni, in virtù dell'art. 1 del d.l. 1° ottobre 1982, n. 695, convertito in l. 29 novembre 1982, n. 882.
BibliografiaBarile, Diritti dell'uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984; Bonilini-Confortini, Codice penale commentato, Torino, 2012; De Francesco, I reati di associazione politica. Storia, Costituzione e sistema nell'analisi strutturale della fattispecie, Milano, 1985; Farini -Trinci, Diritto Penale - Parte Speciale, Roma, 2015; Fiandaca-Musco, Diritto Penale - Parte speciale, 1, Bologna, 1988; Gallo-Musco, Delitti contro l'ordine costituzionale, Bologna, 1984; Galterio, voce Personalità dello Stato, (delitti contro la personalità dello Stato), in Enc. giur., XXIII, Roma, 1990; Maggiore, Diritto Penale, II, 1, Bologna, 1960; Padovani, voce Stato (reati contro la personalità), in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990; Ridola, voce Associazione in Enc. giur., III, I, Roma, 1988. |