Codice Penale art. 270 bis - Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico (1) (2).Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico (1) (2). [I]. Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico (3) è punito con la reclusione da sette a quindici anni. [II]. Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. [III]. Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo [270-sexies] ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale. [IV]. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego [270-septies]. (1) Articolo dapprima aggiunto dall'art. 3 d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, conv., con modif., nella l. 6 febbraio 1980, n. 15 e poi così sostituito, in sede di conversione, dall'art. 1, comma 1, d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, conv., con modif., nella l. 15 dicembre 2001, n. 438. Il testo previgente era il seguente: «Associazioni con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico. - [I]. Chiunque promuove, costituisce, organizza o dirige associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni. [II.] Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da quattro a otto anni. (2) Ai sensi dell’art. 1, comma 3 bis, d.l. 18 febbraio 2015, n. 7, conv., con modif. in l. 17 aprile 2015, n. 43, la condanna per i delitti previsti dagli articoli 270-bis, 270-ter, 270-quater, 270-quater.1 e 270-quinquies del codice penale comporta la pena accessoria della perdita della potestà genitoriale quando è coinvolto un minore (3) All'espressione «eversione dell'ordine democratico» corrisponde ora, per ogni effetto giuridico, l'espressione «eversione dell'ordinamento costituzionale»: v. art. 11 l. 29 maggio 1982, n. 304. competenza: Corte d'Assise arresto: obbligatorio fermo: consentito custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 3, c.p.p.) altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoDelitto compreso nel Capo Primo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità internazionale dello Stato. L'articolo è stato inserito nel Codice ad opera dell'art. 2 d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, conv., con modif., nella l. 6 febbraio 1980, n. 15; è stato poi novellato dall'art. 1 d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, conv., con modif., in l. 15 dicembre 2001, n. 438. Per ciò che attiene alla ratio della norma, si può sottolineare come si tratti di una disposizione introdotta quale risposta al nuovo quadro internazionale, nonché alle emergenze che si erano venute a creare all'indomani degli attacchi terroristici verificatisi negli Stati Uniti d'America l'11 settembre 2001. Il riferimento al terrorismo anche internazionale serve evidentemente a rimarcare il carattere sovranazionale dell'emergenza ed a sottolineare il ruolo di primo piano che l'Italia intende svolgere, nella lotta globale al terrore. Con specifico riferimento al bene giuridico oggetto di tutela, la norma mira alla salvaguardia dell'ordine democratico e dell'assetto costituzionale dello Stato. Il richiamo al terrorismo anche internazionale mira poi palesemente, come sopra accennato, ad attribuire a tale norma una funzione di tutela non circoscritta ai confini del Paese, bensì orientata a contribuire al mantenimento della sicurezza sopranazionale. Sul punto, si è scritto che: “la dottrina tradizionale ha ritenuto che l'oggetto della tutela sia duplice, dovendosi cogliere, da un lato, nell'interesse relativo alla personalità dello Stato e, dall'altro, nell'ordine pubblico, leso per effetto del programma di violenza che deve connotare il sodalizio. Parte della dottrina ha ritenuto che il bene giuridico sia destinato a rimanere invariato anche all'indomani delle modifiche introdotte dalla l. n. 438/2001, anche nel caso in cui gli atti di violenza siano stati programmati contro uno stato estero o un organismo internazionale. Altro autorevole orientamento dottrinario ha invece escluso che l'incriminazione di associazioni dedite al terrorismo internazionale sia diretta a tutelare la personalità interna dello Stato e l'ordine pubblico, dovendosi invece ritenere che la stessa è funzionale alla piena attuazione degli obblighi assunti dallo Stato italiano mediante l'adesione alle convenzioni in materia di terrorismo internazionale. La modifica del legislatore sarebbe così a presidio della sicurezza pubblica mondiale, cioè della sicurezza della comunità internazionale dagli attacchi terroristici pianificati da organizzazioni terroristiche sovranazionali o da cellule operanti sul territorio nazionale” (Delpino-Pezzano, 32). In ordine alle ulteriori forme associative vietate, rintracciabili nel nostro ordinamento, si veda il commento all'art. 270. I soggettiSoggetto attivo Si tratta di un reato plurisoggettivo a concorso necessario, per la realizzazione del quale occorre una molteplicità di soggetti attivi; dal momento però che il dettato normativo, così come avviene nel caso dell'art. 306, non prevede il numero minimo di tre partecipanti (a differenza di quanto invece sancito dagli artt. 416 e 416-bis), si è molto dibattuta la questione inerente al numero minimo di correi richiesti, perché resti integrata la figura tipica. Vi è ormai una sostanziale concordia di opinioni — in dottrina, come in giurisprudenza — circa il fatto che il numero minimo di sodali, la cui partecipazione possa dare origine ad una associazione conforme al modello legale, sia di due soggetti. Trattasi inoltre di un reato comune, visto che può rendersene protagonista chiunque (dunque il cittadino italiano, ma anche lo straniero ed indipendentemente da qualsivoglia veste soggettiva). Si osserva infine come — fuori dall'ambito previsionale diretto e specifico della norma — emerga comunque uno spazio residuo, utile per giungere all'ipotizzabilità del cd. concorso esterno nel fatto di associazione. Occorrerà allora qui adoperare, mutatis mutandis, i canoni ermeneutici enucleati in tema di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, per cui potrà esser chiamato a rispondere di tale fatto il soggetto che resti estraneo alla struttura organizzata e sia privo dell'affectio societatis, offrendo però un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo; contributo che appaia dotato di efficacia causale, rispetto ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell'associazione. Soggetto passivo Questo è, in via primaria, lo Stato italiano, titolare dei beni giuridici sopra evidenziati, protetti dalla norma. Il terzo comma prevede poi che la finalità di terrorismo sia integrata anche laddove gli atti violenti siano posti in essere in danno di uno Stato estero, ovvero di un'istituzione, o infine di un organismo internazionale. Tali definizioni devono essere intese nel senso che segue. Per Stato estero deve intendersi lo Stato che abbia ottenuto il riconoscimento da parte del Governo italiano; e quindi — volendo offrire una definizione comunemente accettata — il legislatore ha voluto riferirsi qui agli Stati esteri concepiti come Nazione. Laddove invece si richiama la nozione di istituzioni internazionali, si vuole evidentemente far riferimento a quelle strutture — o organizzazioni, comunque denominate ed operanti in campi oltremodo vari — che abbiano avuto origine attraverso contrattazioni o convenzioni a livello governativo e che siano classificate come tali dai singoli Stati. In tale larga categoria — da alcuni tacciata di essere piuttosto vaga ed indeterminata — sembrano potersi ricomprendere tutte le entità sovranazionali, che comunque presentino caratteristiche di tipo latamente pubblicistico. Che abbiano dunque una personalità giuridica internazionale, ovvero che — pur essendo interamente riconducibili all'ordinamento giuridico nazionale — espletino però la loro attività anche in campo sovranazionale. Che quindi possano costituire in re ipsa un obiettivo rilevante, per attacchi di tipo terroristico, laddove questi intendano prendere di mira strutture operanti in vari settori ed in ambito territoriale particolarmente esteso. Giova del resto rammentare come la l. n. 146/2006 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 e il 31 maggio 2001), abbia fornito la nozione del reato transnazionale (reato per il quale si preveda una pena edittale massima non inferiore ad anni quattro e che venga commesso in più ambiti statali differenti, ovvero che — pur se interamente perpetrato in uno Stato — coinvolga comunque soggetti operanti all'estero, o infine che riverberi in più Stati i propri effetti). Tale norma è dunque espressiva della intenzione del legislatore di perseguire forme di criminalità che rivestano un carattere sovranazionale. L'accezione da attribuire infine al concetto di organismo internazionale è invece estremamente ampia. Essa comprende tutte quelle strutture che abbiano una personalità giuridica riconosciuta in ambito internazionale, che si rapportino a vario livello con altre organizzazioni appartenenti ad una tipologia similare e che, infine, agiscano in base a normative di carattere e vigenza ultranazionale. Cass. VI, n. 32712/2024 ha meglio delineato la nozione di “Stato estero”, da adottare ai fini che ora interessano, precisando come tale definizione si riferisca anche ai casi in cui in cui le condotte tipiche, volte a intimidire la popolazione civile vengano poste in essere all'interno di zone illegittimamente occupate, oltre che all'esterno dei confini nazionali riconosciuti dall'ordinamento internazionale. La condotta di tipo terroristico, infatti, assume rilevanza per il sol fatto di essere finalizzata a ledere lo Stato estero, indipendentemente dall'ambito territoriale in cui essa si svolge. La struttura del reatoIl paradigma normativo è articolato in maniera molto composita. Esso ha anzitutto una natura genuinamente plurioffensiva, visto che i fatti oggetti di previsione incriminatrice colpiscono condotte lesive di beni giuridici riconducibili ad una pluralità di titolari. A soggetti singolarmente individuati, ma anche a comunità intere, a Paesi, ad enti o istituzioni anche internazionali. Il delitto in commento è inoltre connotato da un sensibile arretramento della soglia di punibilità. La ricomprensione entro il perimetro descrittivo della norma anche di condotte solo preparatorie pone, come è ovvio, il problema dell'individuazione di offensività effettiva della condotta: è infatti imperativo scongiurare sempre ricostruzioni che si muovano secondo una chiave logica meramente presuntiva o soggettivistica, o che si affidino all'ormai inaccettabile canone dogmatico del tipo d'autore. Trattasi infine di un reato di pericolo presunto. MaterialitàLe varie tipologie di condotta punita Le condotte oggetto di previsione incriminatrice sono distinte secondo il ruolo che esse assumono all'interno della struttura associativa, nonché in base all'importanza della loro partecipazione. Si differenziano dunque nettamente le condotte di rango superiore (quelle che testualmente — secondo il dettato normativo — si concretano nel fatto di promuovere, o di costituire, o di organizzare, ovvero di dirigere o finanziare l'associazione), rispetto a quelle da ritenersi di livello inferiore, in quanto connotate dalla mera partecipazione del soggetto ad una compagine già esistente, costituita da altri ed in grado di proseguire agevolmente l'attività, anche in assenza dell'apporto causale del mero partecipe. Il Supremo Collegio ha precisato come – in tema di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico – possa discorrersi di partecipazione penalmente rilevante solo in presenza di una condizione di persistente e organica compartecipazione del soggetto, rispetto alla struttura organizzativa della compagine delinquenziale. Ciò che interessa è dunque – prescindendo anche dal riconoscimento esplicito dello status di appartenente al sodalizio – che sia attribuibile al soggetto una veste di tipo dinamico e funzionale. In consonanza con tale ruolo, il partecipe dovrà essere inserito e partecipare al fenomeno associativo, restando a disposizione del gruppo per il raggiungimento degli scopi criminosi condivisi. La Corte ha poi anche sottolineato come la prova dell'organicità del singolo al tessuto organizzativo possa procedere attraverso l'analisi di condotte univocamente sintomatiche; queste possono concretizzarsi – oltre che nell'inserimento del soggetto agente nell'organigramma del sodalizio - anche nell'espletamento di compiti prodromici, rispetto alla realizzazione del programma criminoso (Cass. II, n. 25452/2017).
Secondo Cass. VI, n. 13421/2019, la condotta di partecipazione all'Isis (oppure ad altre organizzazioni internazionali di ispirazione islamica, che siano strutturate secondo una modalità di adesione aperta) può evincersi – nella fase cautelare – anche dal manifestato intento del soggetto di effettuare una trasferta per combattere i cd. infedeli, oppure da una annunciata volontà di martirio o anche dallo svolgimento di un'opera di insegnamento o apprendimento; a patto però che la condotta del singolo aderente vada a inserirsi nella compagine associativa, nel senso che sia riscontrabile un pur indiretto contatto effettivo fra il soggetto e la struttura, la quale acquisisca quindi – sebbene in via mediata – conoscenza dell'avvenuta adesione del singolo stesso. Già sotto l'impero della norma nel testo antecedente alla novella del 2001, la dottrina aveva ritenuto che — mediante il già allora vasto ventaglio previsionale delle condotte punite — il legislatore avesse “inteso coprire tutte le ipotesi di attività particolarmente rilevante per quanto attiene alla nascita ed al funzionamento delle strutture associative prese in considerazione, contrapponendole alla semplice militanza. Ed è naturale che alle funzioni di creazione, impulso e direzione si ricolleghi la comminatoria di pena più grave” (Antolisei, 1020). Per quanto attiene ai concetti di promuovere, costituire, organizzare o dirigere l'associazione, così come per quanto inerisce all'accezione da attribuire qui al termine partecipare, si rimanda alla lettura del commento sub art. 270. Con il termine finanziare si vuole indicare il fatto di chi fornisca le risorse economiche utili, per la costituzione o per il mantenimento in vita dell'associazione illecita. È opportuno evidenziare l'emanazione di un decreto del Ministero dell'Interno 25 settembre 2015 (G.U. 7 ottobre 2015, n. 233), che contiene l'elencazione di una serie di indicatori di anomalie, evocativi della possibile esistenza di operazioni sospette di finanziamento del terrorismo. In base a tale previsione, tutte le amministrazioni dello Stato — e in tale enumerazione rientrano ad esempio anche scuole, enti locali, università, aziende a partecipazione pubblica — avranno maggiori possibilità di procedere alla segnalazione di operazioni di natura finanziaria, che possano apparire anomale e che vengano poste in essere da persone fisiche o giuridiche con le quali esse si troveranno ad operare. Bisogna inoltre che il programma associativo si distingua per metodologie esecutive e per un programma che siano di natura squisitamente violenti. Nonostante ciò, non è poi richiesto l'effettivo compimento di atti in concreto definibili violenti, essendo sufficiente la predisposizione di un generico programma associativo, direttamente indirizzato a porre in essere condotte violente connotate dal suddetto fine. Circa l'accertamento in concreto della natura violenta del programma associativo, gli interpreti si sono posti il problema del rapporto esistente tra la nozione di atti di violenza, contenuta nel dettato normativo in analisi ed il concetto di grave danno delineato — nell'ambito della definizione legislativa del concetto di finalità di terrorismo — dalla lettera dell'art. 270-sexies. Sullo specifico tema, si è scritto quanto segue: “... posto che l'introduzione dell'articolo 270-sexies del Cp non possa avere alcuna efficacia abrogans nei confronti dell'articolo 270-bis, la soluzione interpretativa è quella che vede le due norme in combinato disposto, sì da richiedere un doppio accertamento in concreto. In altri termini, ai fini dell'individuazione di un'associazione con finalità di terrorismo, l'interprete dovrà prima individuare il programma concreto di atti violenti — giusto il disposto dell'articolo 270-bis— e poi valutare se tali atti violenti siano idonei a cagionare un «grave danno» a un Paese.... Sicché, il normativizzato requisito della violenza dovrà far ritenere escluse quelle condotte che, prive di un tale connotato, risulteranno invece essere legittime manifestazioni della libertà di espressione costituzionalmente garantita” (Bauscio-Dambruoso, 92). Gli atti che costituiscono modalità di indottrinamento, nonché forme di proselitismo e di propaganda apologetica e che rivestano un carattere prolungato e ripetitivo, dimostrano l'intraneità del soggetto agente ad associazione con finalità di terrorismo (Cass. V, n. 17079/2022). Le finalità specifiche dell'associazione L'associazione deve essere dotata di una specifica attitudine al compimento di atti che si connotino — in via alternativa — per la finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico. Per la nozione legislativa del concetto di terrorismo, occorre fare riferimento alla lettera dell'art. 270-sexies. Il valore semantico e letterale, di uso comune, del termine terrorismo è peraltro ben noto. Esso rimanda all'esplicazione di una violenza illegittima, che sia specificamente indirizzata ad incutere indiscriminatamente un generalizzato panico, un terrore collettivo nei membri di una comunità organizzata, oltre che a destrutturarne l'ordine costituito e le normali organizzazioni sociali. Il tutto attraverso il compimento di atti di vario genere (ad esempio stragi, rapimenti, dirottamenti di navi o aerei, sequestri di persona, omicidi mirati, eccetera). Azioni poste in essere da gruppi operanti in maniera sinergica tra loro, ovvero da esecutori singoli che si muovano isolati; azioni che debbono essere teleologicamente indirizzate, inoltre, a modificare in maniera radicale un certo quadro istituzionale, orientato in senso democratico e pluralistico. La dottrina ha tradizionalmente fatto ricorso ad una ampia definizione del concetto di terrorismo, inteso quale “ricorso sistematico a mezzi di violenza diretti indiscriminatamente contro persone e cose idonei a diffondere sull'intera collettività effetti psicologici di paura indotti dal singolo atto delittuoso” (Bonilini-Confortini, 1384). Viene altresì fissato — in maniera unanimemente condivisa — negli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 a New York lo spartiacque ideologico tra due diverse concezioni del terrorismo. Dalla prima, tradizionale percezione del fenomeno, quale fattore atto a portare nocumento alla stabilità delle relazioni diplomatiche internazionali (dunque, una visione in qualche modo statalista del problema), a “minaccia globale alla pace, in grado di determinare conseguenze catastrofiche per l'umanità” (Cadin, 618). Per ciò che attiene invece alla finalità di eversione dell'ordine democratico, essa deve essere intesa quale volontà di capovolgere, di stravolgere dalle fondamenta i principi basilari dell'ordinamento costituzionale. Si identifica, pertanto, nella precisa volontà di giungere alla deviazione da quell'insieme di principi costituzionali fondamentali, che rappresentano l'essenza più intima dell'ordinamento pluralistico e democratico (Garofoli, 57). Le due finalità che possono ispirare il momento genetico dell'associazione, nonché poi connotarne l'operatività (ossia, il terrorismo e l'eversione), sono ora — soprattutto all'indomani dell'intervento legislativo operato nel 2001 — nettamente distinte sotto il profilo ontologico e tra loro posizionate secondo una relazione di alternatività. La definizione da attribuire, quindi, al concetto di finalità di eversione — per la quale non è dato in effetti rinvenire una espressa enunciazione normativa — è stata così ben scolpita: “Non è dato invece rinvenire una definizione apposita per le condotte con finalità di eversione, anche se possiamo affermare che esse sono costituite da quelle condotte tese a stravolgere violentemente l'ordine costituzionale, ossia quel complesso di principi ed istituti previsti dalla Carta fondamentale di uno Stato” (Farini-Trinci, 9). Anche il significato del termine ordine democratico non ha una esegesi autentica. Il testo dell'art. 11 L. 29 maggio 1982, n. 304, però, ne consente l'assimilazione al concetto di ordine costituzionale. Si è peraltro precisato come la finalità di eversione dell'ordine democratico rappresenti un concetto non sovrapponibile a quello di terrorismo, non potendosi identificare nel compimento di azioni violente politicamente o ideologicamente ispirate. Esso finisce allora per sostanziarsi nello scopo di capovolgimento e di radicale elisione del “…basilare assetto istituzionale e nello sconvolgimento del suo funzionamento”, nonché nell’adozione di mezzi di lotta politica atti a capovolgere e destabilizzare i pubblici poteri, erodendo le regole basilari della civile convivenza. Si richiede poi che le modalità adoperate siano effettivamente idonee a porre in pericolo i cardini stessi della democrazia (si vedano i principi enunciati da Cass. V, n. 25428/2012, sotto richiamati). Elemento psicologicoIl coefficiente psicologico postulato dalla norma è il dolo specifico. Il soggetto agente, infatti, deve non solo avere la consapevolezza dell'esistenza e dell'operatività della struttura associativa, ma anche la volontà di prendere parte alle attività della stessa, rappresentandosi e volendo anche il perseguimento degli scopi di terrorismo o eversione, nei termini sopra specificati, mediante il compimento di atti violenti. Si è detto come il dolo specifico necessario per l’integrazione dell’archetipo normativo debba essere in qualche modo oggettivizzato, dunque quasi portato a trasmigrare nell’ambito materiale della norma. Ossia, nel reato in commento il fine specificamente eversivo o terroristico dell’atto, vale certamente a connotare uno dei requisiti fondamentali dell’associazione. La mancanza del dolo specifico, quindi, si rifletterà addirittura sull’elemento oggettivo del reato. Si è infatti sul punto scritto che: “...la mancanza di detta finalità non solo rileva sotto il profilo soggettivo, ma anticipatamente anche sotto il profilo dell’elemento materiale, poiché, risolvendosi in una mancanza della qualità dell’associazione, determina la mancanza di un elemento costitutivo del reato. In questo senso, la componente soggettiva da una parte realizza l’anticipazione della soglia di punibilità e dall’altra connota e qualifica l’elemento materiale” (Alpa-Garofoli, 75). Consumazione e tentativoIl delitto giunge a consumazione nel momento e nel luogo in cui vengano realizzate le singole condotte tipizzate. Esso ha carattere permanente (v. art. 270). La figura delittuosa in esame può essere inoltre definita alla stregua di un reato formale e di pericolo presunto. Questo comporta che esso si consuma anche indipendentemente dalla perpetrazione degli atti che ne costituiscono il fine stesso e, in definitiva, caratterizzano l’essenza dell’associazione. In tal caso, ovviamente, la tipologia terroristica o eversiva del gruppo deve essere ricostruita mediante un processo induttivo ex post, quindi attraverso l’esame degli atti preparatori già posti in essere, nonché della predisposizione di uomini e mezzi. Verrà allora in rilievo una valutazione in ordine all’esistenza di una pur rudimentale organizzazione; la quale deve però presentare un grado di effettività tale da rendere almeno possibile l’attuazione di tale programma e da giustificare la valutazione legale di pericolosità, correlata alla idoneità della struttura stessa rispetto al compimento di una serie indeterminata di reati, alla cui realizzazione è finalizzata la costituzione dell’associazione (Cass. I, n. 34989/2007). Non appare configurabile il tentativo. In senso negativo si è infatti espressa Cass. V, n. 10380/2019. Qui i Giudici di legittimità hanno ritenuto non configurabile - relativamente al modello legale della associazione con finalità di terrorismo anche internazionale - la fattispecie del tentativo, sul presupposto che la norma incriminatrice de qua, strutturata quale reato di pericolo presunto, già contiene una anticipazione della soglia di punibilità; essa infatti sanziona il proposito di compiere atti di violenza finalizzati all’eversione, mediante la creazione di una compagine associativa formata appunto per la concretizzazione di tale proposito. Forme di manifestazioneIl proselitismo in rete L’art. 2 comma 1 del d.l. 18 febbraio 2015, n. 7, ha aggiunto un periodo al comma 1 dell’art. 302. Si prevede dunque un aumento di pena, laddove il fatto di istigazione — concernente uno dei delitti non colposi previsti dai Capi primo e secondo del Titolo primo del Codice — venga commesso mediante l’utilizzo di strumenti informatici o telematici. È una previsione he sembra estremamente coerente ed appropriata, in ragione delle enormi capacità diffusive offerte dai moderni mezzi di comunicazione; i quali mezzi sono oggi in grado di amplificare a dismisura messaggi di qualsivoglia genere, così consentendo purtroppo anche un uso distorto delle informazioni, oltre che una deviata finalità di proselitismo. Chiaro è che non sembra però sufficiente l’utilizzo di strumenti informatici isolati, apparendo invece necessario — perché possa dirsi integrata l’aggravante in esame — un inserimento in rete, oltre che una particolare attitudine alla propalazione dei discorsi o degli scritti. Circostanza aggravante L'art. 71 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 prevede una aggravante, nel caso in cui del reato in esame si renda protagonista un soggetto sottoposto a misure di prevenzione. Disposizioni speciali in tema di confiscaLa misura cautelare reale Il comma 4 della disposizione de qua stabilisce che — in caso di condanna — debba essere obbligatoriamente disposta la confisca di alcune cose. Si disporrà dunque la confisca di ciò che servì o che fu destinato a commettere il reato (ossia, delle cose che risultino riconducibili alla perpetrazione del fatto, secondo un nesso di strumentalità); si confischerà poi il prezzo del reato (sarebbe a dire, della controprestazione pattuita per la commissione di un fatto-reato), nonché il prodotto dello stesso (trattasi dell'esito fenomenico, materialmente apprezzabile dell'opera illecita e quindi delle cose che — per effetto della stessa — vengano comunque ad esistenza); si sottoporrà poi a confisca il profitto del reato (questo è rappresentato dal lucro derivante dalla commissione dello stesso, ossia dal vantaggio, dal beneficio che il reo incamera per effetto — diretto ed immediato, ma in ipotesi anche indiretto — della commissione del fatto), ovvero, infine, di tutto ciò che ne costituisce l'impiego. Ulteriori forme di controllo Si segnala la previsione del secondo comma dell'art. 2 d.l. n. 7/2015, laddove sono dettate le modalità attraverso le quali è effettuato il controllo delle attività dei siti internet, che svolgano una attività in qualche modo apologetica. La polizia giudiziaria, dunque, appronta e tiene costantemente aggiornato un elenco, che sarà poi adoperabile per le cd. operazioni sotto copertura consentite — ex art. 9 l. 16 marzo 2006, n. 146 — per la lotta ai delitti connotati dal fine terroristico. Lo stesso art. 2 d.l. n. 7/2015, attribuisce inoltre al p.m. il potere — quando proceda per i delitti di cui agli articoli 270-bis, 270-ter, 270-quater e 270-quinquies commessi con finalità di terrorismo — di emettere un decreto motivato, mediante il quale è possibile ordinare ai fornitori dei servizi di hosting o ai soggetti che comunque provvedano alla somministrazione dei servizi di immissione e di gestione, la rimozione del contenuto reso accessibile al pubblico. Questo sarà consentito nel caso in cui esistano dati oggettivi, attraverso i quali desumere, in concreto, che le attività incriminate vengano poste in essere anche per via telematica. Si è scritto in merito che: « Ciò significa che, mediante il ricorso al sequestro preventivo, è possibile anche l'oscuramento di un sito web, con l'unica eccezione che si tratti della pagina web di una testata giornalistica telematica regolarmente registrata. In definitiva, la disposizione normativa, ponendosi in linea con la giurisprudenza prevalente (recepita dalla citata decisione delle sezioni Unite), conferma che gli spazi comunicativi sul web, non essendo “giornali”, non godono della speciale protezione prevista per la libertà di stampa. Ciò sul rilievo che l'art. 21 Costituzione, dopo l'affermazione di carattere generale sulla libertà di manifestazione del pensiero, riserva la disposizione limitativa sul sequestro alla sola manifestazione del pensiero che avvenga attraverso la stampa» (Amato, 86). Discende da ciò che, in relazione a tutte le forme telematiche di comunicazione (social network comunque denominati, chat, newsletter, mailing list, eccetera), non operano i limiti imposti dall'art. 21 Cost. Tali siti, con la sola eccezione dei giornali telematici regolarmente registrati, sono pertanto assoggettabili a sequestro preventivo, da eseguirsi mediante cd. oscuramento. Ancora in tema di sequestro, si legga quanto segue: “Le garanzie costituzionali previste dall'articolo 21, comma 3, della Costituzione e dalle norme attuative della legge ordinaria (artt. 1 e 2 r.d.lgs. 31 maggio 1946 n. 561), in tema di sequestro della stampa, sono quindi estensibili ai giornali telematici, editi mediante tecnologia elettronica e diffusi attraverso la rete, con la conseguenza che il riconosciuto generale divieto del sequestro preventivo della stampa (essendo ammesso dalla richiamata normativa solo il sequestro probatorio nei casi di stampa clandestina e delle pubblicazioni oscene) deve valere anche per la stampa telematica, in ossequio al principio della libertà di manifestazione del pensiero.” (Amato, 86). Casisticaa) Sotto la vigenza della precedente formulazione normativa, il Supremo Collegio ha indicato in almeno due i soggetti, la cui partecipazione è in grado di dar vita ad una struttura associativa minimale, tale da essere conforme al paradigma normativo in argomento. A mente di tale decisione, infatti, il reato in esame si connota — sotto il profilo dogmatico — quale delitto formale e di pericolo presuntoiuris et de iure. Esso si può concretizzare mediante la creazione di un sodalizio fra almeno due, o anche più persone, le quali si propongano il conseguimento dei fini indicati nella stessa norma, da raggiungere tramite il compimento di atti di violenza. Tale struttura — hanno inoltre precisato i Giudici di legittimità — esclude, sotto il profilo logico, che possa realizzarsi la figura del reato impossibile, così come rende non configurabile l'ipotesi dell'inidoneità dell'azione per assenza di pericolo concreto (Cass. I, n. 6952/1987); b) l'eversione dell'ordine democratico si sostanzia, secondo la Corte, nella finalità di sconvolgere il fondamentale assetto delle istituzioni e di gettare scompiglio nelle stesse, così da inibirne la normale funzionalità. Ricorre parimenti tale scopo eversivo, allorquando si adottino metodi di lotta politica atti a destrutturare i pubblici poteri, erodendo il sistema comunemente accettato di regole della civile convivenza tra cittadini sotto l'impero delle leggi. La figura tipica postula, inoltre, che ci si prefigga il fine di minare, sul piano strutturale e funzionale, il sistema democratico costituzionale. (Cass. V, n. 25428/2012); c) con riferimento al bene giuridico tutelato, la Suprema Corte ha reputato — contrariamente all'opinione espressa da buona parte della dottrina — che il reato in esame non presenti le peculiarità proprie del reato plurioffensivo, avendo esso ad oggetto la tutela dell'unico bene giuridico rappresentato dalla personalità internazionale dello Stato (Cass. V, n. 12252/2012); d) per ciò che attiene alle caratteristiche dell'organizzazione, all'efficienza operativa ed alla stabilità della struttura associativa, giova richiamare diversi arresti giurisprudenziali: - in primo luogo, la Cassazione ha chiarito come il reato in esame possa restare integrato anche allorquando si crei una struttura associativa estremamente rudimentale ed embrionale. Ciò che realmente segna la linea di discrimine, però, è l'attitudine di tale pur elementare forma associativa a perpetrare gesti di violenza in danno di enti o istituzioni, così influenzandone la normale funzionalità (Cass. II, n. 18581/2009); - il tipo di struttura organizzativa pretesa dal legislatore non si risolve necessariamente nella predisposizione di schemi organizzativi ordinari; è invece necessario un modulo aggregativo che integri quel minimo necessario di organizzazione, tale da rendere apprezzabile l'esistenza della struttura stesa e dei fini che la connotano. Deriva da ciò che non è l'estensione della struttura a delinearne la pericolosità. Anche forme di aggregazione minimali — quasi pulviscolari — tali da rimodellarsi in base alle varie esigenze operative, secondo i crismi della massima flessibilità, realizzano il paradigma normativo. Anzi, proprio tale duttilità consente alle organizzazioni — pur se parcellizzate sul territorio, anche se attive a grandi distanze territoriali, sebbene magari in contatto tra loro in maniera solo episodica — di operare anche in più Stati, facendo progressivamente opera di proselitismo. La struttura terroristica, così, non appare una forma organizzativa monolitica ed immutabile, bensì elastica ed adattabile alle esigenze. Una forma organizzativa diffusa in modo capillare, che diviene una sorta di rete, nella quale i soggetti comunque condividono un generico programma politico e militare di stampo terroristico, che è sostanzialmente tale da valere quale affectio societatis aggregante tra i sodali (Cass. V, n. 31389/2008; si veda anche Cass. II, n. 28753/2016, a mente della quale la realizzazione di atti definibili violenti e di matrice anarchica non comporta la concretizzazione del reato associativo in esame, laddove emerga una mera adesione individuale al programma criminoso di un’associazione che sia permeata da tale impostazione ideologica. Ciò che invece comporta l’integrazione del modello legale è il raggrumarsi di una “cellula associativa”, ovvero di un “gruppo di affinità”, cui possa ricondursi il compimento degli atti violenti; sul tema è intervenuta anche Cass. V, n. 50189/2017, che ha precisato come integri il reato in commento il fatto di chi aderisca ad un’associazione terroristica, entrando in una cellula operativa che sia connotata dalla divulgazione dell'ideologia estremista religiosa di matrice "jihadista". Qui si è in effetti sanzionata la condotta di rendersi in concreto disponibile a porre in essere attentati in Italia e in Paesi stranieri, mediante condotte di addestramento ed autoaddestramento ad azioni terroristiche violente). Riassumendo. L’impostazione costante dei Giudici di legittimità è nel senso che - ai fini della configurabilità del delitto di associazione con finalità di terrorismo internazionale - la necessità dell’esistenza di una struttura organizzativa effettiva, nonché in grado di rendere realizzabile il programma criminale, non postuli il rinvio a schemi organizzativi ordinari; il modello legale in esame è invece pienamente conciliabile con la sussistenza di strutture di tipo cellulare, che sono proprie delle associazioni di matrice islamica. Queste sono connotate da una marcata flessibilità interna e da una forte adattabilità alle contingenze; hanno l’attitudine a operare anche contestualmente in più Stati, in tempi diversi e mediante contatti telefonici o informatici pure sporadici, tra sodali che possono magari venire progressivamente arruolati; trattasi peraltro di cellule a volte dedite anche solo ad attività di supporto, assistenza, propaganda o proselitismo. Piuttosto che una forma statica, in questi casi l’organizzazione assume dunque la struttura di una rete di soggetti accomunati dal medesimo progetto politico-militare, che rappresenta il fulcro dell'affectio societatis e lo scopo stesso della compagine (si vedano Cass. VI, n. 46308/2012 e Cass II, n. 38208/2018). Permane però l’esigenza di collegare il contributo causale del singolo adepto con l’operatività del sodalizio nella sua globalità; ciò in quanto la mera adesione ideologica alla dottrina integralista islamica non costituisce dato probatorio bastevole, al fine dell’attribuzione al singolo della veste di partecipe all'associazione terroristica (così Cass. VI, n. 14503/2017 e Cass. 1, n. 22719/2013). Viene allora in rilievo la oggettiva difficoltà di rinvenire canoni ermeneutici atti a segnare la linea di discrimine, fra la condotta che sia funzionale all'esistenza e al raggiungimento degli scopi tipici della compagine terroristica e invece la lecita manifestazione del pensiero, tutelata ex art. 21 Cost. anche laddove eticamente più che biasimevole e limitata solo dalla tutela del buon costume, dalla necessità di proteggere beni di rilievo costituzionale e dall'esigenza di prevenire o bloccare turbamenti della sicurezza pubblica (Corte Cost., n. 65/1970). La recente Cass II n. 7808/2020 ha però anche precisato come l’esclusione dall’alveo delle condotte di partecipazione, della semplice adesione psicologica ad un'ideologia violenta ed estremista (eventualmente riconducibile al paradigma normativo ex art. 414), debba comunque essere raccordata all’esame delle effettive caratteristiche dell'associazione e dei comportamenti dei singoli agenti, nella prospettiva di poterne coglierne la possibile portata incriminante. La condotta che si caratterizzi per propaganda, apologia e proselitismo non sconta quindi un deficit di materialità, tale da renderla inadatta a oltrepassare la soglia della punibilità. Tali attività ideologiche non possono infatti essere lette quali mere manifestazione di opinioni, attraverso le quali i partecipanti confrontino il reciproco consenso o dissenso; rappresentano al contrario espressioni indubitabili dell’esistenza di aggregazioni virtuali le quali - avvalendosi di modalità di rielaborazione e diffusione – fondano l’emulazione, dirigono il consenso, istigano alla violenza finendo così per irrobustire, proprio mediante l’ampia propagazione, il messaggio violento divulgato (si veda anche Cass. II, n. 22163/2019, relativamente al tema della piena cittadinanza, nel sistema penale, di un contributo partecipativo che sia di tipo eminentemente psichico, ma che sia destinato poi a fondersi nella oggettività della condotta lesiva del correo e pertanto a non esaurirsi nel solo stato soggettivo dell’ideazione e volizione). - secondo la Corte, infine, perché possa configurarsi il modello legale, non è indispensabile la concreta realizzazione dei reati prefigurati nel programma criminoso; ciò che la norma infatti postula come indefettibile, è invece l'esistenza stessa del programma; - che abbia i requisiti di attualità e concretezza — riguardante il compimento di atti di violenza, finalizzati al terrorismo o all’eversione dell’ordine democratico. La norma esige inoltre la creazione di una struttura associativa, pur rudimentale, che abbia le concrete potenzialità per giungere all’attuazione del suddetto programma (Cass. VI, n. 25863/2009). e) Con riferimento alla possibilità di sequestro preventivo e, più in particolare, alla tematica dell'oscuramento dei siti, si segnala che le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito come la testata giornalistica telematica sia concettualmente riconducibile sotto l'egida normativa dell'art. 1 l. 8 febbraio 1948, n. 47. Trattasi infatti di una modalità divulgativa funzionalmente equiparabile alle tradizionali forme cartacee di diffusione; essa è quindi da considerarsi uno strumento editoriale garantito, tanto dalla normativa di rango costituzionale in materia di libera manifestazione del pensiero, quanto dalla normativa di livello ordinario, concernente le modalità di conduzione al pubblico delle informazioni. Tutto ciò comporta che le testate giornalistiche telematiche non possano essere sottoposte a sequestro preventivo (Cass. S.U., n. 31022/2015). A differenza, ha anche precisato la Suprema Corte, delle altre forme di comunicazione telematica oggi comunemente adoperate con vastissima diffusione (trattasi dei cc.dd. blog, chat, newsgroup, mailing list, newsletter, social network, eccetera). Queste ultime infatti — pur costituendo modalità attraverso le quali si manifesta liberamente il pensiero — non godono della tutela di rango costituzionale accordata alla stampa propriamente detta. Nella medesima pronuncia, la Corte ha inoltre sancito la piena legittimità del sequestro preventivo — al ricorrere dei noti requisiti del fumus commissi delicti e del periculum in mora — di un intero sito web, ovvero di una singola pagina telematica. Il magistrato può anche ingiungere al fornitore dei servizi di accesso alla rete di procedere all'oscuramento di una fonte elettronica, nonché di impedire l'accesso agli utenti, a mente degli artt. 14,15 e 16 d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70. La ragione di tale potere è da rintracciare nel fatto che i dati informatici sono da equiparare alle res giuridicamente intese; con la conseguenze che la inibitoria attinente alla propalazione via internet consente di scongiurare il protrarsi delle conseguenze dannose del reato. f) Considerato che, a norma dell'art. 10 l. 3 agosto 2004, n. 206, nei procedimenti penali, civili, amministrativi e contabili è assicurato il patrocinio a totale carico dello Stato a beneficio delle vittime di atti di terrorismo e delle stragi di tale matrice, nonché dei loro superstiti, tale diritto deve restare sganciato dalla considerazione inerente all'entità delle lesioni fisiche patite (Cass. IV, n. 28440/2013). g) La Corte ha chiarito come vi possa essere una condotta apologetica anche in relazione ad un reato associativo, in particolare in ordine al delitto di associazione con finalità di terrorismo anche internazionale ex art. 270-bis comma 2 c.p.. Il pericolo concreto derivante dalla condotta apologetica, dunque, può essere attinente non soltanto alla commissione di atti singoli strettamente definibili terroristici, bensì anche alla partecipazione di taluno dei destinatari ad un’associazione di stampo terroristico. I Giudici di legittimità hanno poi ribadito come L’Isis sia una associazione terroristica a tutti gli effetti — come peraltro già chiarito da numerose risoluzioni dell’Onu — e non uno Stato propriamente detto. La collocazione territoriale di tale organizzazione — tendenzialmente stabile, sebbene poi l’attività criminale sia ramificata praticamente a livello globale — è quindi determinata da una situazione di occupazione illegittima di terre, che erano prima ricomprese nella Siria o nell’Iraq, piuttosto che da una qualsivoglia forma di sovranità statale (Cass. I, n. 47489/2015). Si è ritenuta integrata la condotta di partecipazione ad un'associazione conforme alla tipizzazione ex art. 270 bis, nel fatto di chi offra ospitalità a soggetti appellati come “fratelli”, fornendo poi loro falsi documenti d'identità, nonché operando una capillare propaganda - nell'ambito dei luoghi deputati al culto – al fine di promuovere la raccolta di somme di denaro destinate ai mujaeddin ed ai familiari di persone definite “martiri”. La Corte ha qui evidenziato come tali condotte apportino un forte suffragio ai fini dell'associazione terroristica e garantiscano un aiuto materiale ai sodali della stessa, così adeguandosi al complessivo progetto jiadista. Tanto che chi se ne renda protagonista ben può vedersi attribuire il ruolo di organizzatore dell'associazione suddetta (Cass. V, n. 2651/2015). h) La Corte ha poi anche spiegato come una struttura associativa possa assumere rilievo penale – agli effetti che ora interessano – solo allorquando essa si proponga concretamente la realizzazione di atti violenti qualificati dalla finalità terroristica. Un sodalizio risulterà pertanto conforme al modello legale ex art. 270 bis sia al ricorrere di obiettivi rappresentati dal compimento di atti violenti di natura terroristica, sia in relazione al parametro costituito dalla effettiva idoneità della struttura associativa, rispetto all'attuazione di tale programma. Al contrario, l'attività di mero indottrinamento, teso ad indurre i destinatari ad offrire una generica disponibilità ad unirsi a coloro che combattono per la causa islamica, non costituisce attività collimante con il paradigma normativo, restando carente l'individuazione degli atti violenti che sono l'oggetto tipico dell'associazione de qua. Si realizzerà, insomma, un'attività di semplice proselitismo, diretta ad infondere una concezione positiva in ordine alla lotta volta all'affermazione della supremazia dell'islam; rivolta inoltre ad ammantare favorevolmente la morte incontrata per il conseguimento di tale obiettivo, presentandola quale valore da perseguire. Tutto ciò rappresenta ovviamente il substrato ideologico e la condizione essenziale, perché possa poi costituirsi una associazione atta al compimento di atti genuinamente definibili terroristici; non integra però ancora gli estremi costitutivi del reato in commento (Cass. V, n. 48001/2016). Il Supremo Collegio è poi tornato sullo spinoso tema del confine fenomenologico esistente fra la libera manifestazione di una ideologia — pur se sussumibile eventualmente entro l’alveo previsionale dell’art. 414 c.p.— e la partecipazione ad una struttura associativa finalizzata al compimento di atti di natura terroristica (Cass. V, n. 50189/2017). Si è qui ribadito come integri il paradigma normativo in commento la composizione di una pur rudimentale e minimale struttura organizzata — comunemente denominata cellula — che presenti una chiara matrice jihadista e che sia scevra da formule sacramentali, nonché avulsa dagli ordinari schemi associativi; ciò nel caso in cui si disponga della prova tanto dell’esistenza di una ispirazione ideologica eversiva, fondata sull’adozione della violenza quale metodo di lotta, quanto della effettiva attitudine alla realizzazione — pur se in forma di supporto ed ausilio ad altri - di alcuna delle condotte integranti attentati terroristici, ovvero anche forme di propaganda, proselitismo, addestramento o autoaddestramento alla guerra. Del resto, si assiste alla sempre maggior diffusione di forme di partecipazione ad organizzazioni terroristiche che presentano connotazioni “aperte”, scarsamente rituali, di natura spontaneistica e perennemente in divenire. Modalità di adesione che però poggiano su una comune estrazione religiosa estremista e che derivano spesso da una propaganda che - anche su scala internazionale — si alimenta attraverso la propalazione di comunicati, immagini e video. Proprio nel caso delle moderne cellule estremistiche di matrice jihadista, si presentano forme di partecipazione che sono connotate da una adesione “fluida”. In Cass. VI, n. 46308/2012 era già stato spiegato come il reato in esame possa ritenersi sussistente pure in presenza di strutture organizzative di tipo “cellulare” o "a rete"; rammentandosi però come la norma postuli la presenza di una almeno potenziale capacità attuativa, nonché la concretizzazione almeno di una delle condotte di supporto funzionale all’attività terroristica di organizzazioni, quale può essere anche la propaganda. Si è poi ritenuto che la partecipazione all’Isis o ad associazioni similari su base sovranazionale di ispirazione islamica – conformate secondo formule organizzative che consentono una adesione aperta – possa evincersi, almeno in fase cautelare, da specifici elementi sintomatici. In particolare, possono a tal fine assumere rilievo la manifestata volontà di partire per andare a combattere contro persone ritenute infedeli, nonché la dichiarata vocazione al martirio, oppure anche la condotta che si risolva in un indottrinamento. Tutto ciò, a condizione che sia riscontrabile l’inserimento del singolo nella compagine organizzata. Ossia, che vi sia un pur debole contatto esecutivo, fra il singolo aderente e la struttura (Cass. VI, n. 14503/2017). Profili processualiIl reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza della Corte d'Assise; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare. Per esso: a) è possibile disporre intercettazioni; b) l'arresto in flagranza è previsto come obbligatorio; il fermo è consentito; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali, ma solo al ricorrere dell'ipotesi di cui al primo comma. In tema di misure cautelari personali, si segnala l'art. 275, comma 3, c.p.p., a mente del quale viene stabilita una presunzione di adeguatezza. Nel testo di tale articolo, infatti, come modificato dall'art. 4 comma 1 l. 16 aprile 2015, n. 47, in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine — tra gli altri — al reato in commento, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che vengano raccolti elementi dai quali si possa desumere l'insussistenza di esigenze cautelari. Si segnala il d.l. 25 luglio 2018 n. 91 («Proroga di termini previsti da disposizioni legislative»), convertito con modificazioni nella l. 21 settembre 2018, n. 108 che modifica la disciplina transitoria dettata dall'art. 9 comma 1 del d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 (c.d. riforma delle intercettazioni). L'art. 2 comma 2 ha disposto della nuova norma dispone dunque — a decorrere dal 26 luglio 2018, ossia dal momento della sua entrata in vigore e fino alla data del 15 febbraio 2019 — la sospensione dell'efficacia delle modifiche che erano state apportate dall'art. 1 comma 77, 78 e 79 l. 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. riforma Orlando) agli artt. 45-bis disp. att. c.p.p . (partecipazione al procedimento in camera di consiglio a distanza), 134-bis disp. att. c.p.p. (partecipazione a distanza nel giudizio abbreviato) e 146-bis disp. att. c.p.p. (partecipazione al dibattimento a distanza). Resta però ferma l'eccezione disposta dall'art. 1 comma 81 l. n. 103/2017, in relazione alle persone detenute per i delitti ivi indicati. Qui si era infatti previsto che le disposizioni di cui ai precedenti commi 77, 78, 79 e 80 fossero destinate a divenire operative una volta decorso il termine di un anno, dalla pubblicazione della legge stessa in G.U.; si era però contestualmente stabilita una deroga a tale differimento di efficacia, in ordine alle sole disposizioni di cui al comma 78 (modifica della disciplina di cui all'art. 146 bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p., di cui al d.lgs n. 271/1989) e limitatamente a quei soggetti in vinculis per il delitto — tra gli altri — ex art. 270-bis, primo comma. Tale sospensione quindi non trova applicazione, in relazione a persone detenute per aver espletato una funzione apicale all'interno di associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico. È stata rimessa alla Corte Costituzionale una questione di legittimità costituzionale dell'art. 275, comma 3, c.p.p. in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma e 27, secondo comma, della Costituzione, <<nella parte in cui - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'art. 270-bis del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari - non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure meno afflittive>> (questione rimessa dalla Corte di Assise di Torino, con ordinanza del 18 novembre 2019). La Corte cost. con sentenza n. 191/2020, ha dichiarato non fondata tale questione. Secondo la Consulta la presunzione assoluta di adeguatezza soltanto della misura carceraria, pur rappresentando effettivamente una eccezione rispetto ai principi generali, si fonda su una <<congrua base empirico-fattuale>> e sfugge alla valutazione di irragionevolezza, che ha invece raggiunto l'analoga presunzione prevista in relazione a differenti modelli legali. La limitazione dei poteri di scelta del giudice si basa qui – secondo i Giudici, del tutto ragionevolmente - su una scelta legislativa non censurabile sotto il profilo della legittimità costituzionale, finalizzata a garantire le esigenze di tutela della collettività, a fronte dei <<gravissimi rischi che potrebbero derivare dall'eventuale sopravvalutazione, da parte del giudice, dell'adeguatezza di una misura non carceraria a contenere il pericolo di commissione di reati, pur ritenuto sussistente nel caso di specie>>. I Giudici di legittimità non hanno peraltro mancato di ricordare come resti ovviamente intonso il dovere del giudice, di considerare adeguatamente - nella fase genetica e durante la vicenda cautelare nell’intero suo svolgimento - l'effettiva sussistenza e permanenza delle esigenze cautelari, così revocando la misura in esecuzione allorquando esse appaiano in concreto venute meno, alla luce del possibile allontanamento del soggetto dall'associazione e dai suoi programmi. d) Per ciò che attiene alla competenza territoriale, essa si radica non in relazione alla perpetrazione dei singoli reati attraverso i quali si esplica l'attività dell'associazione, bensì nel luogo in cui la stessa sia nata, ovvero abbia il suo centro nevralgico di operatività. I criteri regolativi della competenza funzionale sono invece dettati dagli artt. 328, comma 1-bis e 51 comma 3-quater c.p.p . Esclusione dall'indultoL'indulto concesso con l. 31 luglio 2006, n. 241, non si applica, ex art. 1 comma 2 lett.a) n. 2 stessa norma, ai fatti previsti dal presente articolo. Casi di non punibilitàL'art. 1 l. 29 maggio 1982, n. 304, prevedeva dei casi di non punibilità, per coloro che si fossero resi protagonisti — per finalità di terrorismo o eversione — di uno o più tra i reati di cui agli artt. 270, 270-bis, 304,305 e 306 c.p.. Tale non punibilità era condizionata al fatto che — salve alcune eccezioni ivi riportate — tali soggetti non avessero concorso alla perpetrazione di alcun reato-scopo e che, prima dell'intervento di pronuncia irrevocabile, avessero disciolto l'associazione o la banda (ovvero avessero determinato tale accadimento). Oppure avessero manifestato recesso dagli accordi, o si fossero ritirati dall'associazione, ovvero infine si fossero consegnati (senza opporre resistenza o abbandonando le armi, nonché fornendo comunque informazione sulla struttura e sulla organizzazione della associazione stessa). Altro caso di non punibilità era previsto in relazione a coloro che avessero impedito l'esecuzione di reati-fine. L'art. 12 l. n. 304/1982 prevedeva un termine di centoventi giorni — decorrenti dal 3 giugno 1982, data di entrata in vigore della legge stessa — entro i quali si sarebbero dovuti tenere i comportamenti significativi del pentitismo. Termine poi differito di ulteriori centoventi giorni, in virtù dell'art. 1 del d.l. 1 ottobre 1982, n. 695, convertito in l. 29 novembre 1982, n. 882. Responsabilità degli entiL’art. 25-quater comma 1 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, come introdotto dall’art. 3 l. 14 gennaio 2003, n. 7, prevede sanzioni pecuniarie nei confronti degli enti, in relazione alla commissione di delitti caratterizzati da finalità di terrorismo o eversione dell’ordine democratico. Nel caso in cui l’ente venga adoperato — anche mediante utilizzo di una singola articolazione dello stesso — in maniera stabile al fine unico, o almeno preminente, di consentire o rendere più agevole la perpetrazione di reati aventi scopo eversivo o terroristico, si applicherà in via definitiva la sanzione dell’interdizione dall’esercizio dell’attività svolta (art. 25-quater comma 3 d.lgs. n. 231/2001). Pene accessorieAi sensi dell’art. 1 comma 3-bis d.l. 18 febbraio 2015 n. 7, conv. con modif. in l. 17 aprile 2015, n. 43, il soggetto condannato in relazione al presente delitto subirà anche — allorquando in tali fatti sia coinvolto un minore — la pena accessoria della perdita della responsabilità genitoriale ai sensi dell’art. 34, come sostituito dall’art. 93 d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154. Ordinamento penitenziarioL’art. 4-bis l. 26 luglio 1975, n. 354 sull’ordinamento penitenziario prevede che — a meno che essi decidano di collaborare con la giustizia — non possano concedersi né l’assegnazione al lavoro all’esterno, né i permessi premio, né le misure alternative alla detenzione (con esclusione della liberazione anticipata), a coloro che si siano resi protagonisti, tra l’altro, di delitti commessi per finalità di terrorismo anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico, allorquando questi siano stati perpetrati mediante il compimento di atti di violenza.
Rapporti tra reatiI rapporti tra l'articolo in esame e le fattispecie di cui all'art. 270-quater, 270-quater.1 e 270-quinquies sono regolati dalla espressa clausola di riserva contenuta in tali disposizioni normative; queste infatti trovano applicazione, testualmente, solo laddove non ricorra il caso di cui all'art. 270-bis. BibliografiaAlpa-Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, Roma, tomo I, 2015; Amato, La sicurezza passa dal monitoraggio dei siti internet, in Guida dir., 2015, n. 11; Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, II, Milano, 1986; Bartoli, Lotta al terrorismo internazionale: tra diritto penale del nemico, jus in bello del criminale e annientamento del nemico assoluto, Torino, 2008; Bauscio-Dambruoso, In presenza di un requisito criptico c'è il rischio di valutazioni politico-giuridiche, in Guida dir., 2009, n. 16; Bonilini-Confortini, Codice penale commentato, a cura di Ronco-Romano, Milano, 2012; Cadin, voce Terrorismo, in Enc. giur., Milano, 2007; Delpino-Pezzano, Manuale di Diritto Penale, Parte speciale, Napoli, 2015; Farini-Trinci, Diritto Penale - Parte Speciale, Roma, 2015; Gallo-Musco, Delitti contro l’ordine costituzionale, Bologna, 1984; Garofoli, Manuale di diritto penale - Parte speciale, I, Milano, 2005; Marconi, Stato (delitti contro la personalità dello), in Digesto Penale, XIII, Torino 1997. |