Codice Penale art. 276 - Attentato contro il Presidente della Repubblica (1).Attentato contro il Presidente della Repubblica (1). [I]. Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Presidente della Repubblica è punito con l'ergastolo [290-bis, 301] (2). (1) Articolo così sostituito dall'art. 2 l. 11 novembre 1947, n. 1317. Il testo originario recitava: «Attentato contro il Re, il Reggente, la Regina, il Principe Ereditario e i Principi della Famiglia Reale. [I]. Chiunque attenta alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Re o del Reggente è punito con la morte. [II]. La stessa pena si applica se il fatto è diretto contro la vita, la incolumità o la libertà personale della Regina o del Principe Ereditario. [II]. Chiunque attenta alla vita di un'altra persona della Famiglia Reale è punito, nel caso di attentato alla vita, con la reclusione non inferiore a venti anni e, negli altri casi, con la reclusione non inferiore a dieci anni. Se dal fatto deriva la morte, si applica la pena di morte, nel caso di attentato alla vita; e l'ergastolo, negli altri casi». (2) Cfr. altresì, in ordine alla punibilità dell'attentato contro la persona del Sommo Pontefice, art. 81 Trattato 11 febbraio 1929 fra la Santa Sede e l'Italia. competenza: Corte d'Assise arresto: obbligatorio fermo: consentito custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoDelitto compreso nel Capo Secondo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità interna dello Stato. L'attuale testo dell'articolo è conseguenza dell'intervento dell'art. 2 l. n. 1317/1947. Rientra inoltre nell'alveo previsionale di questa norma anche l'attentato condotto nei confronti del Pontefice, ai sensi dell'art. 8 l. n. 810/1929 di ratifica dei Patti Lateranensi [(legge di esecuzione del Trattato, dei quattro Allegati annessi e del Concordato, sottoscritti in Roma fra la Santa Sede e l'Italia, l'11 febbraio 1929 — legge pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 5 giugno 1929, n. 130, Supplemento ordinario e scambio delle ratifiche il 7 giugno 1929 (in Gazzetta Ufficiale 8 giugno 1929, n. 133)]. Il testo di tale disposizione definisce sacra ed inviolabile la persona del Pontefice; equipara pertanto sia l'attentato, sia le offese commesse contro lo stesso, ai medesimi fatti perpetrati nei confronti della persona del Re (naturalmente, deve intendersi attualmente trasmessa al Pontefice la protezione che l'ordinamento italiano accorda non più al Re, bensì al Presidente della Repubblica). L'applicazione più nota della norma in esame è stata ovviamente rappresentata dalla condanna di Mehmet Alì Agca, per l'attentato alla vita di Giovanni Paolo II. Si tratta di una previsione che tende ad apprestare una particolare protezione alla invulnerabilità fisica personale del Presidente della Repubblica; tutela che costituisce ovviamente espressione della stabilità dell'assetto istituzionale dello Stato. L'interesse primario sotteso alla previsione incriminatrice, pertanto, è da ricercarsi nell'esigenza di impedire aggressioni alle funzioni essenziali dello Stato e quindi, indirettamente, all'ordine pubblico ed al normale funzionamento della vita democratica del Paese. Il Capo dello Stato, pertanto, è destinatario di tale primaria ed accentuata forma di tutela, proprio in ragione delle elevate funzioni di rango costituzionale che gli sono riconosciute. Oggetto di salvaguardia sono peraltro beni giuridici anche di rango alquanto disomogeneo tra loro, quali la vita, l'incolumità e la libertà personale. E qualche perplessità ha destato qui proprio la equipollenza sanzionatoria, stabilita in relazione a condotte di aggressione che prendono di mira beni giuridici di importanza tra loro differente. La previsione incriminatrice, peraltro, ingloba in una tipizzazione unitaria sia condotte che si blocchino allo stadio del tentativo, sia fatti materialmente già giunti a consumazione (in dottrina, vedere Pelissero, 32). Sul punto, la dottrina ha ritenuto che: “L'equiparazione, sotto il profilo sanzionatorio, delle aggressioni rispettivamente rivolte contro la vita, l'incolumità e la libertà personale del Presidente della Repubblica, suscita gravi riserve, apparendo irragionevole trattare allo stesso modo condotte aggressive di beni giuridici di rango eterogeneo, pur se a giudizio del legislatore concretanti modalità di lesione del medesimo interesse alla inviolabilità del Capo dello Stato” (Fiandaca-Musco, 23). I soggettiSoggetto attivo Trattasi di una figura delittuosa costruita alla stregua di un reato comune, visto che di essa si può rendere autore chiunque. L'art. 77 c.p.mil.p. prevede poi l'applicabilità dell'art. 276, allorquando se ne renda protagonista un militare, con aumento di pena da un terzo alla metà; parimenti, l'art. 78 c.p.mil.p. prevede l'istigazione a commettere un fatto conforme al sopra specificato modello legale, quando tale istigazione sia commessa da un militare. Soggetto passivo Il soggetto passivo immediato, inteso come persona fisica, è il Presidente della Repubblica sin dal momento del giuramento. Un orientamento dottrinale in verità alquanto minoritario ritiene, inoltre, configurabile il fatto tipico in esame anche nei confronti di ex Presidenti della Repubblica, che siano ormai cessati dalla carica e divenuti senatori a vita; ciò a condizione che il fatto sia perpetrato in danno di questi “a causa e in ragione dell'ufficio prestato” (Pelissero, 31). Giova poi rammentare come, ai sensi dell'art. 290-bis, il reato in esame resti integrato anche allorquando l'azione sia perpetrata in danno del Presidente del Senato laddove questi — ex art. 86 Cost. — faccia le veci del Presidente della Repubblica. Soggetto passivo mediato della tutela apprestata alla persona fisica del Capo dello Stato è invece lo Stato con il suo assetto democratico, quale titolare del bene giuridico protetto dalla norma. Tale configurazione rende la norma in commento un reato plurioffensivo. Si può anche evidenziare come la sopra menzionata disposizione, derivante dal Trattato Lateranense, accordi la medesima protezione prevista in favore del Presidente della Repubblica anche al Sommo Pontefice. Tale estensione la norma accordava al Pontefice — facendo propria l'impostazione teorica del tempo — non solo in quanto Capo dello Stato della Città del Vaticano, bensì anche in ragione della ritenuta inviolabilità della persona, quale Capo della religione al tempo considerata predominante in Italia (si veda, sul punto, Quadri, 50; l'Autore sottolinea altresì come, secondo l'opinione dottrinaria prevalente, il succitato art. 8 l. n. 810/1929 « dia competenza all'ordinamento italiano non solo quoad poenam, ma anche quoad delictum e cioè nel senso che dovrebbe aversi riguardo alla legislazione italiana sulla protezione del capo dello Stato, nei suoi mutamente successivi »). Si è peraltro molto agitata — in sede di ermeneusi della norma — la questione attinente alla portata da attribuire al nuovo Concordato stipulato tra Italia e Santa Sede il 18 novembre 1984. Segnatamente, si è discusso circa la permanenza in vigore del sopra citato art. 8 del Trattato, da alcuni ritenuto ormai implicitamente abrogato. Ciò dovrebbe comportare — attenendosi a tale impostazione concettuale — la sostanziale impossibilità di stabilire ancora una parificazione, ai fini della previsione penalistica, tra le figure del Presidente della Repubblica e del Pontefice. Il quale dovrebbe pertanto. attenendosi a tale linea interpretativa — ricavare la fonte della sua protezione dal dettato dell'art. 295, dunque semplicemente nella qualità di Capo di uno Stato estero. La struttura del reatoEssendo riconducibile alla schiera dei reati di attentato, tale delitto costituisce anche un reato di pericolo, che non postula la concretizzazione dell'evento quale elemento costitutivo. Si tratta inoltre, con tutta evidenza, di un reato a condotta libera. L’art. 301 (al quale si rimanda per un esame più specifico), stabilisce che — allorquando l’offesa contro la persona rappresenta elemento costitutivo di altro reato — si verifica la scissione del reato complesso. L’aggressione rivolta in danno del Capo dello Stato resta pertanto punita ex art. 276, mentre la residua condotta viene ascritta in base alle norme sul concorso di reati. MaterialitàLa condotta punita Occorre anzitutto richiamare la nozione di attentato (v. sub art. 241), quale tipologia concettuale caratterizzata da una forte anticipazione della soglia di punibilità, ottenuta mediante la elevazione al rango di delitti già perfetti di condotte invece solo dirette alla commissione materiale del fatto. La più moderna teoria del diritto — facendo leva sulla formulazione dell'art. 49 in tema di reato impossibile — considera invece essenziale, per la configurabilità di un fatto riconducibile entro l'area del penalmente rilevante, il requisito della idoneità. Cosa che evidentemente conduce ad una sostanziale assimilazione tra le due categorie ontologiche dell'attentato e del tentativo. La norma punisce dunque la commissione — in danno del Presidente della Repubblica — di atti idonei e diretti a provocare, in via alternativa, la morte, una lesione fisica, ovvero una restrizione apprezzabile della possibilità di libera circolazione e movimento. Mentre risulta di comprensione piuttosto agevole il pacifico richiamo alle nozioni di vita e di incolumità personale, pare invece opportuno precisare come la forma di libertà, oggetto di specifica tutela nella norma in esame, sia quella cd. di locomozione; il legislatore ha quindi inteso far riferimento alla libertà di movimento, deambulazione ed autodeterminazione tutelata dall'art. 605 (Antolisei, 1025). L'archetipo normativo ricomprende allora in sé la commissione di una serie di delitti comuni — quali ad esempio possono essere l'omicidio, le lesioni personali, il sequestro di persona — che si connotino però per il fatto di esser rivolti in danno del Capo dello Stato. La dottrina maggioritaria reputa riconducibile entro l'alveo previsionale della norma in esame l'aggressione all'incolumità che raggiunga perlomeno una soglia minimale, rappresentata dalla lesione personale. Ne rimane dunque esclusa la semplice commissione di un fatto di percosse ex art. 581, in quanto privo di conseguenza fisiche veramente apprezzabili e di importanti sensazioni dolorose [per una opinione contraria, potrà leggersi Manzini, 393, secondo il quale dovrebbe riportarsi al modello legale in esame “ogni azione o omissione che alteri o tenti di alterare dannosamente le condizioni somatiche o psichiche attuali (nel momento del delitto) della persona di cui si tratta. Sono quindi da comprendersi in questa nozione i delitti consumati o tentati di percosse (art. 581), di lesioni personali volontarie d'ogni specie (art. 582 e ss.) e l'omicidio preterintenzionale (lesioni volontarie seguite dalla morte non voluta dal colpevole: art. 584)"]. Natura della condotta La condotta incriminata può essere di qualsivoglia genere, dunque sia commissiva che omissiva; tanto che si è discusso in dottrina circa la configurabilità del reato in caso di commissione — in danno del Capo dello Stato — di una omissione di soccorso. Sembra infatti convincente l'opinione che considera integrato il fatto tipico ex art. 276 anche in caso di perpetrazione — in danno ovviamente del Presidente della Repubblica — di una condotta conforme alla previsione di cui all'art. 593, non essendovi di ostacolo né ragioni sistematiche, né la struttura stessa dei due reati. Elemento psicologicoÈ richiesto il mero dolo generico, consistente anzitutto nella consapevolezza della qualità soggettiva dell'oggetto passivo dell'azione e, in secondo luogo nella coscienza e volontà di arrecare danno alla vita, alla libertà personale o alla libertà di movimento di questi. Rimangono avulsi dalla previsione incriminatrice i motivi che possano aver mosso il colpevole, nonché il versante finalistico dell'azione (lo scopo al quale miri l'attentato). Tutto ciò resterà dunque confinato entro la sfera soggettiva interna del reo. Occorre però che l'agente sia pienamente conscio della veste soggettiva della vittima dell'azione. Il coefficiente psicologico qui richiesto presuppone quindi — in aderenza alle regole di carattere generale — che il soggetto agente si rappresenti l'esistenza della carica ricoperta dalla persona contro cui dirige l'offesa (Marconi, 245). La qualità di Presidente della Repubblica del soggetto passivo, infatti, integra uno degli elementi costitutivi del reato e deve essere saldamente presente nella rappresentazione psichica del soggetto attivo dello stesso. Una eventuale ignoranza sul punto specifico, infatti, si risolverebbe in un errore sul fatto rilevante ex art. 47, che determinerebbe le note conseguenze in tema di aberratio delicti e aberratio ictus (Andreazza, Rassegna Lattanzi-Lupo, 268). Consumazione e tentativoLa consumazione del reato avviene nel tempo e nel luogo in cui si concretizza un attentato, che sia conforme al sopra descritto modello legale. Segnatamente, il paradigma tipico giungerà a consumazione allorquando il soggetto agente realizzi atti idonei e diretti in modo non equivoco a ledere la vita, l'integrità fisica, ovvero la libertà personale del Capo dello Stato (Alpa- Garofoli, 95). La strutturazione della norma in termini di delitto di attentato — secondo quanto sopra chiarito — impedisce, naturalmente, che possa essere configurabile il tentativo. CasisticaPer quanto attiene all'individuazione del soggetto passivo del reato in esame, il Supremo Collegio ha chiarito che lo Stato italiano assume già, in genere, la qualifica di soggetto passivo di tutti i reati. Nel caso però dei delitti previsti dal capo secondo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice, esso assume la veste di soggetto passivo particolare, proprio in quanto titolare dei beni giuridici che sono specificamente protetti dalle norme. Questi sono rappresentati dagli interessi fondamentali riconducibili alla personalità dello Stato ed ineriscono alla intangibilità dell'attuale ordinamento politico, nonché alla esistenza, alla incolumità ed al decoro dei supremi organi dello Stato e, infine, al mantenimento del decoro della nazione. (Cass. I, n. 9357/1981). La Corte ha poi interpretato il disposto della l. 11 novembre 1947 n. 1317 quale intervento legislativo di mera modifica degli artt. 276, 277 e 278, finalizzato semplicemente ad adeguare il sistema penalistico al transito della forma istituzionale da monarchica a repubblicana (Cass. I, n. 7461/1972). Profili processualiIl reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza della Corte d'Assise; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare. Per esso: a) è possibile disporre intercettazioni; b) l'arresto in flagranza è previsto come obbligatorio; il fermo è consentito; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. d) L’art. 22 del Trattato Lateranense prevede la perseguibilità dell’autore del reato in analisi, allorquando questi si trovi in Italia ed anche se il fatto criminoso sia stato consumato in territorio appartenente alla Città del Vaticano; in tal caso, non vi sarà bisogno di attendere la richiesta del Ministro della Giustizia, ma si potrà procedere sulla scorta della mera richiesta direttamente promanante dalla Santa Sede, ovvero per delegazione. Causa di non punibilitàL'art. 5, comma 2, l. 29 maggio 1982, n. 304 prevedeva una speciale causa di non punibilità, riservata al soggetto che — dopo essersi reso protagonista del reato in esame — avesse fattivamente cooperato per scongiurare la realizzazione dell'evento dello stesso e salva la punibilità del fatto diverso, allorquando ne ricorressero gli estremi. La norma conserva ora un valore solo storico, stanti i limiti temporali previsti dall'art. 12 l. n. 304/1982 per l'esplicazione dell'attività di dissociazione. BibliografiaAlpa-Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, Roma, tomo I, 2015; Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, II, Milano, 1986; Fiandaca-Musco, Diritto Penale - Parte speciale, Vol. 1, Bologna, 1988; Marconi, voce Presidente della Repubblica (Reati contro il), in Enc. Dir., XXXV, Milano, 1986; Pelissero, Delitti di attentato, in Palazzo-Paliero, Trattato teorico-pratico di diritto penale, IV, Reati contro la personalità dello Stato e contro l'ordine pubblico, Torino, 2010; Quadri, voce Delitti contro gli Stati esteri, loro Capi e rappresentanti, III, in Enc. Dir., XII, Milano, 1964. |