Codice Penale art. 277 - Offesa alla libertà del Presidente della Repubblica (1).

Angelo Valerio Lanna

Offesa alla libertà del Presidente della Repubblica (1).

[I]. Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, attenta alla libertà del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da cinque a quindici anni [290-bis, 301, 313] (2).

(1) Articolo così sostituito dall'art. 2 l. 11 novembre 1947, n. 1317. Il testo originario recitava: «Offesa alla libertà del Re, del Reggente, della Regina, del Principe Ereditario e dei Principi della Famiglia Reale. [I]. Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, attenta alla libertà del Re o del Reggente è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. [II]. Se il fatto è diretto contro la Regina o il Principe Ereditario, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni; e da tre a dieci anni, se diretto contro un'altra persona della Famiglia Reale».

(2) Cfr. altresì, in relazione alla persona del Sommo Pontefice, art. 81 Trattato 11 febbraio 1929 fra la Santa Sede e l'Italia.

competenza: Corte d'Assise

arresto: obbligatorio

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: con l'autorizzazione del Ministro della giustizia

Inquadramento

Delitto compreso nel Capo Secondo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità interna dello Stato.

Il testo ora vigente di questo articolo è stato introdotto dall'art. 2 l. 11 novembre 1947, n. 1317. A puro fine storiografico ed informativo, si riporta il testo previgente della norma, al tempo intitolata “Offesa alla libertà del Re, del Reggente, della Regina, del Principe Ereditario e dei Principi della Famiglia Reale”: ”Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente, attenta alla libertà del Re o del Reggente è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Se il fatto è diretto contro la Regina o il Principe Ereditario, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni; e da tre a dieci anni, se diretto contro un'altra persona della Famiglia Reale”. Si veda il commento all'art. 276, per ciò che inerisce alla equiparazione — agli effetti della presente norma- della persona del Pontefice a quella del Presidente della Repubblica, ai sensi dell'art. 8 l. 27 maggio. 1929, n. 810, di ratifica del Trattato Lateranense.

Per ciò che attiene al bene giuridico tutelato, il paradigma normativo in commento mira ad apprestare una particolare tutela alla libertà del Presidente della Repubblica; tale forma avanzata di protezione costituisce ovviamente espressione della stabilità dell'assetto istituzionale dello Stato. L'interesse primario sotteso alla previsione incriminatrice, pertanto, è da ricercare nell'esigenza di impedire limitazioni di qualsivoglia genere, rispetto alle funzioni essenziali dello Stato e quindi, indirettamente, in relazione all'ordine pubblico ed al normale funzionamento della vita democratica del Paese. Il Capo dello Stato, insomma, è destinatario di tale accentuata forma di tutela proprio in ragione delle elevate funzioni di rango costituzionale che gli sono riconosciute. Questa figura tipica è stata infatti considerata come strumento di “tutela della libertà individuale del Presidente della Repubblica” (Gallo-Musco, 166).

Oggetto della protezione accordata dalla norma è come detto il bene giuridico della libertà, indicata qui come categoria residuale rispetto alla più ampia e specifica previsione contenuta nell'articolo precedente. Viene dunque protetta — purché riconnettibile alla figura del Capo dello Stato — ogni forma di libertà che sia diversa da quella personale, già oggetto di previsione ex art. 276. Ci si riferisce quindi, palesemente, alla libertà morale, di autodeterminazione, oppure alla inviolabilità della corrispondenza o dell'espressione, oppure anche al mantenimento della riservatezza ovvero della segretezza. Sul punto specifico si è scritto che: “Il concetto di libertà cui fa riferimento ricomprende sia la libertà morale sia le altre libertà che ineriscono alla personalità” (Fiandaca-Musco, 24).

I soggetti

Soggetto attivo

Anche la figura delittuosa in esame — come del resto la disposizione normativa che la precede e della quale è evidentemente norma residuale — è delineata dal legislatore quale reato comune. Di essa si può pertanto rendere protagonista chiunque, sia esso cittadino o straniero.

L'art. 77 c.p.mil.p. prevede poi l'applicabilità dell'art. 277, allorquando se ne renda protagonista un militare, con aumento di pena da un terzo alla metà; parimenti, l'art. 78 c.p.mil.p. punisce l'istigazione a commettere un fatto conforme al sopra specificato modello legale, quando tale istigazione sia posta in essere da un militare.

Soggetto passivo

Giova rammentare come, ai sensi dell'art. 290-bis — al cui commento si rinvia per una più approfondita analisi della questione — il reato in esame resti integrato anche allorquando l'azione sia perpetrata in danno del Presidente del Senato; ciò nel caso in cui questi — ex art. 86 Cost. — faccia le veci del Presidente della Repubblica.

Come è stato detto in ordine all'articolo che precede, il soggetto passivo immediato — inteso quale persona fisica — è il Presidente della Repubblica, sin dal momento del giuramento e dunque dell'assunzione delle funzioni presidenziali. Una parte minoritaria della dottrina ritiene, peraltro, che la norma in esame possa trovare applicazione anche dopo che un determinato Presidente abbia abbandonato le sue funzioni per qualsivoglia causa, purché il fatto di attentato venga perpetrato in suo danno a causa o nell'esercizio delle sue cessate funzioni. Si argomenta quasi a contrario, in tema, muovendo dal dettato dell'art. 360. Qui è infatti stabilito che — laddove la legge preveda, quale elemento costitutivo o come circostanza aggravante di una data fattispecie delittuosa — la qualità di pubblico ufficiale, di incaricato di pubblico servizio o di esercente di un servizio di pubblica necessità — la cessazione da tale carica al tempo della perpetrazione del reato stesso non ne impedisca la configurabilità, allorquando il fatto appaia commesso proprio con riferimento all'ufficio prima ricoperto. Secondo tale tesi, dunque, risulterebbe illogico non applicare una norma di carattere estensivo — che opera in relazione a tutti i pubblici ufficiali — proprio al Presidente della Repubblica, “che nella gerarchia statale occupa il posto più elevato” (Antolisei, 1027).

Soggetti passivi mediati della tutela apprestata alla persona fisica del Capo dello Stato sono invece lo Stato ed il suo assetto democratico.

La struttura del reato (rinvio)

Possono mutuarsi sostanzialmente molti dei concetti espressi in sede di commento all'art. 276. Trattasi quindi, in primo luogo, di un reato di attentato e, che rappresenta ovviamente poi anche un reato di pericolo; l'archetipo normativo non postula inoltre —quale elemento costitutivo — la concretizzazione dell'evento avuto di mira dall'azione del soggetto agente. L’art. 301 (al quale si rimanda per un esame più specifico), stabilisce che — allorquando l’offesa contro la persona rappresenta elemento costitutivo di altro reato — si verifica la scissione del reato complesso. L’aggressione rivolta in danno della libertà del Capo dello Stato resta pertanto punita ex art. 277, mentre la residua condotta viene ascritta in base all’ordinario meccanismo che regolamenta il concorso di reati.

Materialità

La tipologia di condotta punita (rinvio)

Si è già sopra chiarito (v. supra), come la norma in commento sia costruita — sotto il profilo tecnico e strutturale — in maniera sostanzialmente analoga a quella che precede. Trattasi dunque di figura tipica costruita secondo lo schema del delitto di attentato, per il cui esame più approfondito può farsi integrale richiamo a quanto espresso in relazione proprio all'art. 276.

Il bene giuridico oggetto di aggressione

Come sopra accennato, la norma de qua cristallizza una previsione residuale, sussidiaria e di chiusura rispetto alla condotta punita ex art. 276, come si evince dall'espressa dizione adoperata dal legislatore (“fuori dei casi preveduti dall'articolo precedente”).

Saranno riconducibili all'alveo previsionale di tale figura tipica, allora, soltanto le tipologie di aggressione non dirette a ledere la vita, l'incolumità o la libertà personale del Presidente della Repubblica, bensì ad attaccare ogni altra forma di libertà differente da quella strettamente fisica. La dottrina ha in genere ricondotto alla vasta nozione delle libertà individuali (interesse del soggetto alla salvaguardia del proprio stato personale, in condizioni di piena libertà di autodeterminazione e quindi al riparo da ogni forma di assoggettamento alla altrui volontà), sia le libertà personali tutelate dall'art. 276, sia quella forma di libertà individuale che è oggetto di specifica protezione, proprio mediante la figura tipica ora in commento (Manzini, Trattato, IV, 390).

Nell'ambito della grande categoria concettuale delle libertà individuali deve poi operarsi una summa divisio, tra le libertà personali e tutte le altre forme di libertà, che — allorquando siano riconducibili al Presidente della Repubblica — riceveranno specifica tutela per il tramite della norma in analisi. Potranno quindi rientrare nel campo applicativo di quest'ultima gli attacchi alla libertà psichica o morale (da intendere quale attitudine al mantenimento dell'autonomia, nello stadio della volizione e della determinazione), ovvero anche altre forme di libertà, quale quella all'inviolabilità del domicilio o dei segreti. Sul punto, è stato infatti scritto che: “Affinché questa disposizione sia applicabile, è necessario che oggetto dell'attentato sia una specie di libertà diversa da quella considerata nell'articolo che precede e, perciò, per seguire il sistema del nostro codice, la libertà morale, la inviolabilità del domicilio e la inviolabilità dei segreti” (Antolisei, 1025).

È comunque necessario che le modalità di aggressione siano pur sempre atte — già indipendentemente dalla particolare qualifica personale del soggetto passivo — ad integrare specifiche fattispecie di reato. Le quali potranno dunque spaziare dalla violenza privata alla minaccia, alla violazione di domicilio, sino a giungere alle previsioni in tema di inviolabilità dei segreti.

Elemento psicologico

Il coefficiente psicologico richiesto dalla norma è il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di perpetrare l'azione di aggressione al bene giuridico sopra sviscerato. Restano estranei alla figura tipica i motivi che siano sottesi all'azione, così come l'aspetto teleologico dell'agire (lo scopo al quale tenda l'attentato). Elementi destinati quindi a rimanere circoscritti all'interno della impenetrabile sfera psichica interiore dell'agente.

Occorre invece che quest'ultimo sia pienamente conscio della qualità soggettiva del soggetto passivo. L'elemento psicologico deve, dunque, deve ricomprendere, sia la volontarietà degli atti, sia la consapevolezza di violare la libertà del Presidente della Repubblica (Andreazza, in Rassegna Lattanzi-Lupo, IV, 241). Una eventuale ignoranza in punto di conoscenza della qualità personali dell'offeso si risolverebbe dunque in un errore sul fatto rilevante ex art. 47.

Consumazione e tentativo

Il delitto giunge a consumazione nel momento e nel luogo in cui si realizza un attentato. Quindi, allorquando il soggetto agente concretizzi atti idonei e diretti in modo non equivoco a ledere una delle forme di libertà — che siano diverse dal bene giuridico della vita, dall'integrità fisica, o della libertà personale — riconducibili alla figura del Capo dello Stato.

La conformazione della norma quale delitto di attentato esclude, infine, che possa ipotizzarsi il tentativo.

Profili processuali

Il reato in esame è reato procedibile a seguito di autorizzazione del Ministro della Giustizia e di competenza della Corte d'Assise; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare.

Per esso:

a) è possibile disporre intercettazioni;

b) l'arresto in flagranza è previsto come obbligatorio; il fermo è consentito;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

Bibliografia

Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, II, Milano, 1986; Fiandaca-Musco, Diritto Penale - Parte speciale, 1, Bologna, 1988; Gallo-Musco, Delitti contro l'ordine costituzionale, Bologna, 1984.

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