Codice Penale art. 286 - Guerra civile.

Angelo Valerio Lanna

Guerra civile.

[I]. Chiunque commette un fatto diretto a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato [4 2] è punito con l'ergastolo [275 3, 5, 299 2 c.p.p.].

[II]. Se la guerra civile avviene, il colpevole è punito con l’ergastolo  (1).

(1) Il comma era il seguente: «Se la guerra civile avviene, il colpevole è punito con la morte». Per i delitti previsti nel codice penale e in altre leggi diverse da quelle militari di guerra, la pena di morte è stata soppressa e sostituita con l'ergastolo: d.lg.lt. 10 agosto 1944, n. 224 e d.lg. 22 gennaio 1948, n. 21. Per i delitti previsti dalle leggi militari di guerra, la pena di morte è stata abolita e sostituita con quella «massima prevista dal codice penale» (l. 13 ottobre 1994, n. 589). V. ora anche art. 27 4 Cost., come modificato dall'art. 1, l. cost. 2 ottobre 2007, n. 1. V. inoltre la l. 15 ottobre 2008 n. 179, di ratifica del Protocollo n. 13 del 3 maggio 2002 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, relativo all'abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza. In tema di misure di prevenzione, v. art. 4, comma 1 lett. d)e (per una particolare aggravante) 71 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.

competenza: Corte d'Assise

arresto: obbligatorio

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Delitto compreso nel Capo Secondo del Titolo Primo del Libro Secondo del Codice (Titolo intitolato “Dei delitti contro la personalità dello Stato”), tra i delitti contro la personalità interna dello Stato. La pena di morte originariamente prevista al secondo comma è ora sostituita dall'ergastolo, ai sensi del d.lgs. lt. n. 224/1944. L'art. 27 Cost. ha infatti stabilito che non è ammessa la capitale. Il d.lgs. n. 21/1948 ha abolito tale sanzione, in relazione ai delitti previsti da leggi penali speciali diverse da quelle militari; infine la l. n. 589/1994 ha sostituito, con la pena dell'ergastolo, la pena di morte prevista dal c.p.m.g. e dalle leggi militari di guerra.

La ratio della norma è da ricercare nella necessità di assicurare la protezione dello Stato, che risulterebbe ovviamente compromessa dalla nascita di una lotta armata tra fazioni di cittadini; cosa che metterebbe in pericolo sia l'ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, sia lo stesso assetto delle istituzioni statali. La dottrina ha pertanto scritto che: “L'interesse che viene immediatamente offeso è l'interesse dei cittadini al pacifico e democratico regolamento delle controversie politiche in conformità alle indicazioni costituzionali” (Fiandaca e Musco, 18).

Viene insomma assicurata un adeguata tutela alla prosecuzione stessa della vita dello Stato, riguardata non solo sotto il profilo della pacifica convivenza tra consociati, ma anche con riferimento alla conservazione dei poteri dello Stato, questi riporterebbero naturalmente profondo nocumento dal deflagrare di un conflitto tra cittadini. Da questo evento, infatti, trarrebbero origine conseguenze dannose sia per l'ordine pubblico e la sicurezza, sia per la concordia sociale e la civile convivenza tra cittadini, in tutte le articolazioni possibili.

I soggetti

Soggetto attivo

La norma è costruita alla stregua di un reato comune, visto che di essa si può rendere autore chiunque; quindi, tanto il cittadino, quanto lo straniero. Qui il soggetto agente è ovviamente da ricercare tra coloro che appaiano organicamente inseriti in una delle fazioni, che direttamente siano coinvolte in una situazione di imminente conflitto, ovvero che si accingano allo scontro, oppure infine che lo cagionino.

La tipologia stessa del reato, nonché quella che si definisce abitualmente portata macrolesiva dell'evento in esso contemplato, escludono — per la verità proprio sotto il profilo logico — una possibilità di commissione monosoggettiva del fatto. Trattasi dunque di fattispecie a realizzazione necessariamente plurisoggettiva.

Soggetto passivo

Questo è lo Stato, “cui si rivolge l'offesa rappresentata dalla messa in pericolo della sua stessa esistenza”(Farini e Trinci, 34).

La struttura del reato

Trattasi di un delitto riconducibile alla categoria classica dell'attentato, del quale ricalca lo schema ordinario della protezione anticipata. Tale modello tipico postula la perpetrazione di atti materialmente percepibili — ricadenti sotto il sistema senso-percettivo — che siano idonei ed univocamente diretti alla causazione di una guerra civile. Il paradigma normativo non richiede l'effettivo verificarsi di un evento definibile guerra civile; cosa che eventualmente può dar vita all'aggravante di cui al secondo comma (da reputarsi ormai priva di valenza pratica, stante l'abolizione della pena di morte ivi originariamente prevista).

È pacificamente un delitto di pericolo concreto, tanto che lo si è ritenuto non configurabile in caso di compimento di atti a carattere meramente preparatorio, ossia antecedenti rispetto al momento attuativo. Questi sono infatti intrinsecamente non idonei a rappresentare un pericolo per il bene giuridico protetto, laddove la nozione di pericolo deve reputarsi connessa alla alta probabilità di concretizzazione dell'evento.

Si è infine sottolineato come — in assenza di una specifica descrizione, all'interno del modello tipico, del “fatto diretto a suscitare la guerra civile” — la fattispecie delittuosa ora sottoposta ad esame debba ritenersi strutturata quale reato a forma libera; sono quindi immaginabili una infinità di modalità realizzative, a patto che ricorra il requisito della idoneità (Gallo e Musco, 194).

Materialità

La condotta punita

Occorre che vengano posti in essere atti concretamente apprezzabili e che siano tali — per l'alto livello organizzativo raggiunto, per la vastità del coinvolgimento di soggetti, per l'imponenza di mezzi bellici e dei materiali che siano impiegati — da far insorgere un fondato pericolo che possa da essi originarsi una guerra civile.

La conformazione dell'archetipo normativo in termini di delitto di attentato (art. 241), esige che siano presenti i requisiti essenziali del tentativo punibile, ossia l'idoneità e la univoca direzione degli atti posti in essere.

Si richiama l'art. 5, secondo comma, l. n. 304/1982, emanata con riferimento al fenomeno del pentitismo in ambito terroristico, laddove è previsto che il colpevole del delitto in esame, il quale cooperi efficacemente per impedire l'evento susseguente ai reati da lui commessi, debba soggiacere alla sola pena inerente alla condotta tenuta, quando questa di per sé costituisca reato.

Al delitto in analisi si applicano le norme dettate dal Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, ex art. 4 lett. d) d.lgs. n. 159/2011.

Parte della dottrina ha ancorato la valutazione in tema di idoneità dell'azione, alla contestualizzazione storico — politica del fatto. Nel senso che l'idoneità concreta dei fatti posti in essere, rispetto alla conflagrazione di una guerra civile propriamente detta, dovrebbe valutarsi avendo riguardo ad alcuni fattori specifici. Questi sarebbero rappresentati dalle capacità di reazione dell'esercito regolare, nonché dalla sua attitudine ad imporsi — in ragione di una presumibile superiorità tecnica e numerica, nonché grazie ad un più adeguato armamento — sull'insorgere di focolai di lotta armata. Una situazione invece di ridotta capacità dello Stato — perché magari impegnato in conflitti esterni, ovvero indebolito da qualsiasi altro fattore, umano o naturale — potrebbe rendere idoneo alla causazione della guerra civile anche un accadimento violento di portata limitata (Gallo e Musco, 194).

In sostanza la valutazione circa l'idoneità è quindi — in subiecta materia — strettamente ed inevitabilmente connessa al contesto storico ed ambientale, nonchè alle qualità dei partecipanti ed alle mutevoli situazioni contingenti. Riteniamo però indispensabile che la condotta si collochi in un rapporto di efficienza causale, rispetto alla deflagrazione di un conflitto interno di proporzioni almeno tendenzialmente ampie, oltre che comunque dotato di una capacità diffusiva che sia almeno potenzialmente vasta. Con netta esclusione, quindi, di focolai di lotta a carattere localistico e tra loro non coordinati.

Esiste infine una schiera di esegeti della norma che ritiene di poter sussumere, entro l'alveo previsionale della stessa, anche la condotta che si estrinsechi in una mera azione di propaganda. Si è però condivisibilmente obiettato a tale impostazione come — in ossequio al generale diritto alla libera espressione del pensiero — debbano ritenersi avulse, rispetto al modello legale in commento, tutte le attività che si risolvano in una opera di semplice proselitismo ed apologia della guerra civile; queste infatti non integrano il livello di attentato che è postulato dalla fattispecie tipica (Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, 538).

Il delitto in commento, infine, concorre con gli ulteriori reati che vengano magari perpetrati al fine di suscitare una guerra civile.

Gli eventi derivanti dall'azione

Notiamo innanzitutto che esiste un vincolo di territorialità, nel senso che la condotta deve dimostrarsi idonea a provocare lo sviluppo di una guerra civile, che però si svolga entro i confini dello Stato (“nel territorio dello Stato”). Sembra pacifico, inoltre, che un eventuale conflitto possa interessare anche solo una parte del territorio italiano, non essendo richiesta dalla norma l'estensione all'intero Paese.

Si intende con il termine guerra civile un conflitto — evidentemente da reputarsi armato — che presenti però una dimensione tendenzialmente ampia e che interessi una vasta porzione di territorio, nel quale le fazioni belligeranti siano essenzialmente composte da soggetti facenti parte del medesimo popolo e che, pertanto, appartengano originariamente allo stesso Stato. La guerra civile si svolge infatti proprio all'interno di uno Stato ed è anzi finalizzata appunto ad accaparrarsi il controllo di questo. Una delle due fazioni può anche esser costituita da quello stesso Stato che, in origine, controllava l'intero territorio statale. I due schieramenti in conflitto all'interno della stessa nazione si propongono, quale obiettivo della lotta, l'annientamento fisico e ideologico della fazione avversa. Il concetto di guerra civile è stato così scolpito in dottrina: “caratteri imprescindibili del fatto tipico saranno quindi la lotta armata, decisa inizialmente anche da una sola delle parti, perseguita con continuità e con una espansione tale da coinvolgere una fazione del popolo contro l'altra. L'uso delle armi è da ritenersi implicito nella nozione stessa di guerra, anche in assenza di un richiamo letterale nella norma” (Bonilini e Confortini, 1450).

Così ancora in dottrina: «L’evento cui tende la condotta (il cui verificarsi in concreto è  indifferente per l’integrazione della fattispecie) è la promozione della guerra civile, da intendersi come lo scontro fra due o più fazioni della popolazione dello Stato, connotata da pericolosità, da una certa organizzazione da entrambe le parti e dal carattere duraturo degli scontri» (CARINGELLA, DE PALMA, FARINI, TRINCI, 36).

Si è giustamente osservato come un eventuale conflitto, che incongruamente si concretizzasse in una lotta condotta senza l'uso delle armi integrerebbe — al massimo della sua capacità di suscitare allarme — gli estremi del tumulto. Non potrebbe però mai rivestire i caratteri distruttivi propri della guerra, che consentono di porre seriamente in pericolo i fondamenti delle istituzioni (Fiandaca e Musco, 19).

Mentre l'accezione comunemente adoperata del termine rivoluzione rimanda più che altro ad una sollevazione popolare, in vista di una ristrutturazione complessiva dell'assetto organizzativo statale, la guerra civile è più propriamente realizzata dallo scontro fra eserciti contrapposti, ovvero anche tra moltitudini armate e schierate in fazioni contrapposte. Questo peraltro anche indipendentemente dal verificarsi di vere e proprie battaglie campali. La guerra civile si differenzia infine anche dalla insurrezione, per il suo connotato prolungato e non meramente episodico.

Elemento psicologico

Il coefficiente psicologico preteso dalla norma consiste nel dolo generico. Esso si sostanzia nella coscienza e volontà di porre in essere un comportamento idoneo a provocare la guerra civile ed univocamente a ciò diretto.

Parte minoritaria della dottrina ha, in verità, ritenuto di poter individuare nella condotta tipica un dolo specifico; ciò in quanto l'azione potrebbe anche essere teleologicamente rivolta al raggiungimento di uno scopo diverso dalla guerra civile e quindi risultare eventualmente punibile ad altro titolo. E' stato però giustamente osservato come si tratti di un orientamento non condivisibile, in quanto: «... la guerra civile rappresenta il risultato che aderisce a tutto lo sviluppo del piano oggettivo dell'attentato e non ha uno scopo ulteriore rispetto a questo» (Nuzzo, 336).

Consumazione e tentativo

Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui vengano posti in essere gli atti diretti a provocare la guerra civile, dunque indipendentemente dall'effettivo verificarsi di questa.

Il tentativo è da ritenersi inammissibile.

Casistica

Il Supremo Collegio ha ripetutamente chiarito come non possa ravvisarsi un rapporto né di specialità, né di assorbimento, né di sussidiarietà, tra il delitto in esame e quello di banda armata. Quest'ultimo è infatti solo un reato-mezzo, destinato eventualmente a concorrere con il reato fine (il principio di diritto si trova espresso — sostanzialmente sempre nei medesimi termini — in diverse pronunce, tra le quali citiamo Cass. I, n. 2600/1986; Cass. I, n. 3212/1985 e Cass. I, n. 933/1984).

Ancora in tema di rapporti tra le varie figure delittuose, si segnala Cass. I, n. 54/1983. Attenendosi al binario concettuale tracciato da tale decisione, deve ritenersi che la linea di discrimine tra il delitto in esame e quelli di cospirazione politica mediante associazione e di banda armata risieda nell'essere questi ultimi confinati alla fase della preparazione ideologica, ovvero della predisposizione strumentale, rispetto alla effettiva realizzazione di uno scontro tra vasti schieramenti, che a sua volta sia qualificabile come guerra civile. Trattasi, pertanto, di un rapporto tra reati-mezzo e reato-fine.

Per la definizione ontologica del delitto di guerra civile, quale lotta armata tra diverse fazioni, si veda Cass. I, n. 2028/1982.

Profili processuali

Gli istituti

Il reato in esame è reato procedibile d'ufficio e di competenza della Corte d'Assise; è prevista la celebrazione dell'udienza preliminare.

Per esso:

a) è possibile disporre intercettazioni;

b) l'arresto in flagranza è previsto come obbligatorio; il fermo è consentito;

c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

Bibliografia

Alpa e Garofoli, Manuale di Diritto Penale - Parte speciale, Roma, Tomo I, 2015; Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte Speciale, II,  Milano, 1986; Bonilini e Confortini, Codice penale commentato, a cura di Ronco e Romano, Milano, 2012; Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, Trattato di diritto penale - Parte speciale - Vol. I, “I delitti contro la personalità dello Stato”, Torino, 2008; Caringella, De Palma, Farini, Trinci, Manuale di Diritto Penale, Parte speciale, Roma, 2016; Farini e Trinci, Diritto Penale - Parte Speciale, Roma, 2015; Fiandaca e Musco, Diritto Penale - Parte speciale, Vol. I, Bologna, 1988; Gallo e Musco, Delitti contro l'ordine costituzionale, Bologna, 1984; Nuzzo, Commento all'art. 286 c.p. in AA.VV. Codice Penale, Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da Lattanzi e Lupo, Milano, 2010.

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