Codice Penale art. 319 - Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (1) (2) (3).Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (1) (2) (3). [I]. Il pubblico ufficiale [357], che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro od altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da sei a dieci anni [32, 32-quater, 319-bis, 319-ter, 320, 321, 322 2, 4, 323-bis; 381 2b, 4 c.p.p.] (4). (1) Articolo così sostituito dall'art. 7 l. 26 aprile 1990, n. 86. (2) Per la confisca di denaro, beni o altre utilità di non giustificata provenienza, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta, v. ora artt. 240-bis c.p., 85-bis d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 301, comma 5-bis,d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (per la precedente disciplina, v. l'art. 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992, n. 356). (3) In tema di responsabilità amministrativa degli enti v. art. 25 d.lg. 8 giugno 2001, n. 231. (4) L'art. 1 l. 27 maggio 2015, n. 69, ha sostituito le parole "da quattro a otto anni" con le parole "da sei a dieci anni". L'art. 1, comma 75, l. 6 novembre 2012, n. 190 aveva sostituito le parole «da due a cinque» con le parole «da quattro a otto». competenza: Trib. collegiale arresto: facoltativo fermo: consentito custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoIl delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio consiste nel fatto del pubblico ufficiale che riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa per omettere o ritardare un atto del suo ufficio o per averlo omesso o ritardato oppure per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri d'ufficio. L'ipotesi in esame non è stata mutata nella struttura dalla l. n. 190/2012, che si è limitata ad un sensibile ritocco verso l'alto del trattamento punitivo, in linea con il generale inasprimento della punizione dei delitti contro la pubblica amministrazione. Un ulteriore aggravamento punitivo si deve alla l. n. 69/2015. Bene giuridico tutelatoSul bene giuridico tutelato dalla norma in commento si registrano opinioni divergenti. Un primo orientamento rintraccia l'oggettività giuridica nel prestigio della pubblica amministrazione (Levi, 310 ss.). Secondo una diversa opinione, esso andrebbe individuato invece nel divieto per il pubblico funzionario di accettare una retribuzione privata (Pagliaro, 64). Altra autorevole dottrina, infine, sostiene che la corruzione propria offende i principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione (Fiandaca-Musco, PS I 2002, 221). Con specifico riferimento all'oggettività giuridica citata da ultimo, la Suprema Corte ha escluso che la corruzione propria, antecedente e/o susseguente, sia configurabile nei confronti di un parlamentare, ostandovi il combinato disposto degli artt. 64,67 e 68 Cost. Ad avviso dei giudici di legittimità, la fattispecie in esame sarebbe incompatibile con la sfera di libertà del parlamentare, rispetto alla quale non è ravvisabile un riferimento al bene del buon andamento e dell'imparzialità, essendo egli libero di esprimere nel modo che preferisce l'interesse della Nazione, quand'anche si risolva ad assecondare liberamente intendimenti altrui. In sostanza, l'autonomia del parlamentare, di cui l'immunità è espressione, influisce sulla qualificazione del suo esercizio, precludendo la possibilità di conferirle una connotazione in termini di contrarietà ai doveri (Cass. VI, n. 40347/2018, relativa ad un caso di “compravendita di senatori”, ossia di passaggio del parlamentare da uno schieramento all'altro dietro pattuizione di un compenso in denaro). SoggettiSoggetto attivo Soggetti attivi della corruzione per l'esercizio della funzione sono il pubblico ufficiale e, in forza dell'estensione operata dall'art. 320 (così come modificato dalla l. n. 190/2012), anche l'incaricato di un pubblico servizio (a prescindere che rivesta anche la qualifica di pubblico impiegato), nonché colui che dà o promette al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio il denaro o altra utilità (art. 321), che può essere un privato oppure un altro pubblico ufficiale estraneo all'ufficio. L'ambito soggettivo del delitto in esame comprende anche i soggetti indicati all'art. 322-bis c.p., al cui commento si rinvia. Soggetto attivo può essere anche il funzionario di fatto, ossia colui che esercita le funzioni pubbliche senza una qualifica formale. Elemento indefettibile ai fini della configurabilità del delitto in esame è che il soggetto, al momento del fatto, possegga la qualifica richiesta (se il soggetto accetta un compenso in vista della futura assunzione della qualifica non sarà punibile) (Fiandaca-Musco, PS I 2002, 221; contra Pagliaro, PS I 2000, 139). MaterialitàCondotta L'elemento materiale che caratterizza la corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio consiste, dal lato dell'intraneus, nel ricevere o nell'accettare la promessa, e, dal lato dell'extraneus, nel dare o nel promettere denaro o un'altra utilità (per l'analisi strutturale della condotta si rinvia al commento dell'art. 318). La corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio è un reato a forma libera, in quanto la ricezione e l'accettazione non richiedono una particolare forma sacramentale né una dichiarazione espressa, ben potendo risultare, al contrario, anche da un comportamento concludente delle parti. La condotta deve essere posta in essere per omettere o ritardare, ovvero per avere omesso o ritardato un atto di ufficio, o per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio. In questo caso emerge, dunque, la contrapposizione tra corruzione antecedente e corruzione susseguente, peraltro di rilievo meramente descrittivo (salvo un recupero in chiave di dosimetria della pena ex art. 133). L'omissione consiste nel mancato compimento dell'atto; il ritardo implica il compimento dello stesso dopo che sia spirato il termine di scadenza. Anche in questa figura delittuosa, la nozione di atto di ufficio deve essere intesa in una accezione molto ampia (per le relative questioni v. subart. 318), comprensiva di qualsiasi atto a vario titolo collegato all'ufficio ricoperto dall'intraneus e quindi concreto esercizio dei poteri inerenti all'ufficio, come gli atti amministrativi, le proposte, gli atti di diritto privato, gli atti di governo, i comportamenti materiali (come la sostituzione di una pratica, la materiale collocazione della stessa in maniera tale che ne sia anticipato o posticipato l'esame: Cass. VI, n. 5226/1993), e persino i pareri allorché essi assumano rilevanza decisiva nella concatenazione degli atti che compongono la complessiva procedura amministrativa, e quindi incidano sul contenuto dell'atto finale (Cass. VI, n. 21740/2016). Ciò che va sicuramente escluso dalla nozione di "atto di ufficio" è la condotta commessa "in occasione" dell'ufficio che non concreta l'uso di poteri funzionali connessi alla qualifica soggettiva dell'agente (Cass. VI, n. 7731/2016 che ha annullato la sentenza di condanna emessa nei confronti di un amministratore comunale che aveva redatto ricorsi amministrativi, nell'interesse di privati, finalizzati all'annullamento di sanzioni irrogate da altri funzionari comunali, ritenendo tale attività del tutto estranea alle competenze funzionali del suo ufficio). L'espressione contrarietà ai doveri d'ufficio, invece, ha suscitato dubbi interpretativi. Al riguardo si ritiene che per atto contrario ai doveri di ufficio debba intendersi quell'atto contrario ai principi di imparzialità e buon andamento, nonché contrastante con i singoli e specifici doveri dell'ufficio stesso (Cass. VI, n. 21943/2006). In dottrina Fiandaca- Musco, PS I 2002, 224). Costituiscono fonte dei doveri di ufficio la legge, i regolamenti, le circolari, le istruzioni del capo dell'ufficio e le norme consuetudinarie. Come già messo in evidenza, la giurisprudenza riteneva che, ai fini della configurabilità dell’illecito, non fosse necessaria l'individuazione specifica dell'atto oggetto dell'accordo corruttivo, in quanto l'atto d'ufficio oggetto di mercimonio non va inteso in senso formale, comprendendo tale locuzione qualsiasi comportamento che comunque violi i doveri di fedeltà, imparzialità, onestà, che debbono osservarsi da parte di chiunque eserciti una pubblica funzione (Cass. VI, n. 23804/2004). Deve perciò ritenersi sussistente il reato di corruzione ogniqualvolta si accerti che la consegna del denaro al pubblico ufficiale sia stata effettuata in ragione delle funzioni dallo stesso esercitate e per retribuirne i favori. Tale linea interpretativa, nata dalla difficoltà di colpire i fenomeni più gravi di corruzione (quelli legali al generale asservimento della funzione pubblica ad interessi privatistici) con uno strumento punitivo che richiedeva fra i suoi elementi costitutivi l'individuazione di un specifico atto (omesso, ritardato o contrario ai doveri d'ufficio) spesso mancante, deve, a nostro avviso, essere ora riletto alla luce dell'introduzione di una fattispecie che appare destinata a stigmatizzare proprio la messa a disposizione del soggetto pubblico nei confronti del privato. Il nuovo art. 318, nella sua portata generale, svincolata da un ancoraggio ad atti pubblici specifici, dovrebbe innescare una interpretazione più rigorosa degli elementi costitutivi del più grave delitto in esame, che non può più prescindere dal requisito della individuazione dell'atto contrario ai doveri d'ufficio (Andreazza-Pistorelli, 4; Pulitanò, 7; Seminara, 1236). Tuttavia, la giurisprudenza continua a ricondurre dentro il paradigma punitivo dell'art. 319 le ipotesi di asservimento della funzione, per denaro, agli interessi privati (Cass. VI, n. 33881/2014, secondo la quale l'elemento sinallagmatico della fattispecie prevista dall'art. 319 è integrato anche dalla mera disponibilità mostrata dal pubblico ufficiale a compiere in futuro atti contrari ai doveri del proprio ufficio, ancorché non specificamente individuati) e a ritenere che l'atto contrario ai doveri di ufficio, oggetto dell'accordo illecito, non debba essere individuato nei suoi connotati specifici, essendo sufficiente che esso sia individuabile in funzione della competenza e della concreta sfera di intervento del pubblico ufficiale, così da essere suscettibile di specificarsi in una pluralità di singoli atti non preventivamente fissati o programmati, ma appartenenti al genus previsto (Cass. fer., n. 32779/2012; in dottrina Levi, 268). Integra la figura delittuosa in esame anche la rinuncia del pubblico ufficiale, dietro compenso, al retto esercizio della funzione che per legge gli spetta, e quindi la rinuncia all'esercizio di poteri discrezionali, ovvero l'utilizzo della discrezionalità medesima in modo distorto, con ciò ponendo in essere una attività contraria ai doveri di ufficio. In particolare, deve ritenersi violato il dovere d'ufficio di agire con imparzialità nella ricerca dell'interesse pubblico quando, a fronte della possibilità di adottare più soluzioni, il pubblico ufficiale operi la sua scelta in modo da assicurare il maggior beneficio del privato a seguito del compenso promesso o ricevuto, poiché in tal caso essa trova il suo fondamento prevalentemente nell'interesse del privato (Cass. VI, n. 26248/2006). Ed a tal riguardo non può assumere rilievo scriminante la circostanza che gli atti amministrativi posti in essere dal pubblico ufficiale abbiano superato il vaglio di legittimità del giudice amministrativo, trattandosi di risultato contingente e particolare, connesso alle concrete modalità di impostazione e di svolgimento del giudizio amministrativo e non potendo esso valere ad escludere l'illiceità penale della condotta (Cass. VI, n. 38698/2006). Ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria non è determinante il fatto che l'atto d'ufficio o contrario ai doveri d'ufficio sia ricompreso nell'ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, ma è necessario e sufficiente che si tratti di un atto rientrante nelle competenze dell'ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto (Cass. VI, n. 23355/2016). In conclusione, devono considerarsi contrari ai doveri d'ufficio non soltanto gli atti illeciti (cioè vietati da atti imperativi) o illegittimi (ossia dettati da norme giuridiche riguardanti la loro validità ed efficacia), ma anche quelli che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volontà del pubblico ufficiale (o dell'incaricato di pubblico servizio), dall'osservanza dei doveri istituzionali (fedeltà, obbedienza, segretezza, vigilanza, ecc.), espressi in norme di qualsiasi livello, compresi quelli di correttezza e d'imparzialità (Cass. VI, n. 30762/2009, relativa a pagamenti di fatture effettuati da un'azienda ospedaliera con tempi anticipati rispetto all'ordine cronologico, sebbene le sofferenze di cassa impedissero la regolare e puntuale liquidazione di quanto dovuto ai vari fornitori di beni e servizi ospedalieri, determinando così il sacrificio dei legittimi interessi degli imprenditori che, non avendo prezzolato il pubblico ufficiale, si sono visti ritardare ulteriormente i pagamenti, malgrado la maggiore risalenza dei loro crediti; in dottrina Segreto-De Luca, 360). L'atto d'ufficio oggetto dell'accordo criminoso può essere vincolato oppure discrezionale. In quest'ultimo caso il delitto di corruzione propria è integrato dalla condotta del pubblico ufficiale che, dietro elargizione di un indebito compenso, accetta di non esercitare la discrezionalità che gli è attribuita oppure di esercitarla in modo distorto, rinunciando ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato (Cass. III, n. 23335/2021). Il reato sussiste anche quando questo esito risulta coincidere, ex post, con l'interesse pubblico, e salvo il caso di atto sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di corretto adempimento delle funzioni, in quanto, ai fini della sussistenza del reato in questione e non di quello di corruzione impropria, l'elemento decisivo è costituito dalla «vendita» della discrezionalità accordata dalla legge (Cass. VI, n. 6677/2016). Ciò detto, sebbene l'art. 319 non parli, a differenza di quanto faceva il vecchio dell'art. 318, di retribuzione per indicare il nesso che avvince la prestazione del pubblico ufficiale e quella del privato, la dottrina prevalente ritiene che anche la corruzione propria (antecedente) sia caratterizzata dal sinallagma che lega le due prestazioni; tra di esse deve pertanto sussistere un rapporto di proporzione, con la conseguenza di escludere l'illecito in parola nel caso di piccoli donativi o nel caso di palese squilibrio tra le due prestazioni (Fiandaca-Musco, PS I 2002, 222). Di diverso avviso, invece, la giurisprudenza prevalente, secondo la quale le piccole regalie d'uso possono escludere la configurabilità solo del reato di corruzione per il compimento di un atto dell'ufficio come previsto dall'art. 318, mai di quello di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio previsto dall'art. 319, perché solo nel primo caso è possibile ritenere che il piccolo donativo di cortesia non abbia avuto influenza nella formazione dell'atto stesso (Cass. VI, n. 2804/1995). Oggetto materiale della condotta è il denaro o altra utilità (sui relativi concetti v. sub art. 318). È indifferente ai fini della configurabilità del delitto in esame una eventuale riserva mentale dell'intraneus (Fiandaca-Musco, PS I 2002, 225). Viceversa, se il pubblico ufficiale simula l'accettazione di danaro o altra utilità, ovvero della sua promessa con l'intenzione di denunciare il fatto e di assicurare alla giustizia il privato, non si potrà configurare il delitto di corruzione mancando un'accettazione effettiva, necessaria per integrare il reato, e il privato risponderà di istigazione alla corruzione (Cass. VI, n. 11680/1988). Per concludere, occorre rilevare che il delitto, facendo riferimento ad un atto contrario ai doveri d'ufficio come elemento costitutivo, legittima in capo al giudice penale il potere di operare dei controlli ex post sull'attività discrezionale per accertarne la legittimità, con il solo limite del merito amministrativo, inteso come valutazione delle regole di opportunità e di convenienza che l'amministrazione ha ritenuto di osservare per realizzare gli obiettivi a lei assegnati (Segreto-De Luca, 363). Elemento psicologicoCon riferimento all'elemento soggettivo, occorre distinguere il dolo specifico della corruzione propria antecedente, che consiste nella rappresentazione e volontà della condotta descritta dalla norma e nel fine di omettere o ritardare un atto di ufficio o di compiere un atto contrario ai doveri di ufficio (Cass. III, n. 1899/2003; in dotttrina Fiandaca-Musco, PS I 2002, 229), dal dolo generico della corruzione propria susseguente (dove manca lo scopo al quale sono finalizzate le azioni del corruttore e del corrotto), che consiste nella rappresentazione e volontà, rispettivamente di accettare e di dare la retribuzione per l'atto contrario già compiuto (Fiandaca-Musco, PS I 2002, 230). Il pubblico ufficiale deve essere consapevole di esercitare una pubblica funzione, che l'atto è contrario ai doveri d'ufficio e che la dazione o la promessa sono indebite. L'eventuale errore sull'esercizio di una pubblica funzione, in quanto errore su legge extrapenale, esclude il delitto di corruzione propria degradando il fatto a corruzione per l'esercizio della funzione. Consumazione e tentativoIl reato in commento si consuma nel tempo e nel luogo in cui il soggetto pubblico riceve la prestazione indebita oppure ne accetta la promessa. Infatti, essendo la fattispecie in esame di tipo alternativo, la corruzione si consuma anche con il mero raggiungimento dell'accordo, non essendo necessaria l'effettiva dazione di ricompensa (Cass. VI, n. 17222/1989). Il delitto di corruzione può ritenersi consumato anche quando fra le parti sia stato raggiunto solo un accordo di massima sulla ricompensa da versare in cambio dell'atto o del comportamento del pubblico agente, anche se restino da definire ancora dettagli sulla concreta fattibilità dell'accordo e sulla precisa determinazione del prezzo da pagarsi (Cass. VI, n. 13048/2013). Anche in questa ipotesi non rileva, ai fini della sussistenza del reato, il mancato compimento dell'atto contrario ai doveri d'ufficio, in vista del quale la retribuzione è stata elargita o la promessa formulata, oppure l'inadempimento della promessa (Cass. VI, n. 4177/2013; in dottrina Fiandaca-Musco, PS I 2002, 230; Segreto-De Luca, 386). Da tale premessa la giurisprudenza ha tratto un ulteriore principio secondo il quale il reato in esame non verrebbe meno qualora non fosse concretamente individuato il singolo atto che il pubblico funzionario avrebbe dovuto compiere, omettere o ritardare, contro i propri doveri d'ufficio, essendo sufficiente l'accertamento che egli ha ricevuto denaro per tali attività (Cass. VI, n. 21943/2006). Tuttavia, secondo l'orientamento giurisprudenziale più recente, ove alla promessa faccia seguito la consegna del bene, è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l'offesa tipica, il reato viene a consumazione (Cass. VI, n. 50078/2014, che, sulla base di tale principio, individua il giudice territorialmente competente in quello del luogo in cui è avvenuta la dazione; contra Cass. VI, n. 7505/1994, ad avviso della quale il compenso corrisposto in epoca successiva all'accordo procrastina l'esecuzione e non la consumazione del reato, già perfetto in ogni suo elemento sin dal raggiungimento dell'accordo). Inoltre, per stabilire se ad una pluralità di condotte remunerative corrisponda o meno un unico reato occorre verificare se ciascuna remunerazione sia stata effettuata ed accettata in esecuzione del medesimo patto corruttivo, congiuntamente posto in essere dal pubblico ufficiale con più soggetti tutti interessati al compimento della medesima attività contraria ai doveri di ufficio, ovvero se ad ogni retribuzione corrisponda una distinta pattuizione, posta in essere con un distinto soggetto ed avente ad oggetto soltanto la promessa dell'utilità corrispondente alla singola retribuzione (Cass. VI, n. 33435/2006). In riferimento alla configurabilità del tentativo, v. sub art. 318. Forme di manifestazioneCircostanze Il legislatore ha previsto delle circostanze aggravanti speciali per il delitto corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio. L'art. 319-bis dispone, infatti, che la pena è aumentata se il fatto di cui all'art. 319 ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni o la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l'amministrazione alla quale il pubblico ufficiale appartiene nonché il pagamento o il rimborso di tributi (ipotesi, quest'ultima, aggiunta dal d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010). La disposizione in parola, introdotta dalla riforma del 1990, riproduce la circostanza aggravante prevista nel numero 1) del comma 2 dell'art. 319, con l'eliminazione delle onorificenze dal novero delle situazioni che danno luogo ad un inasprimento della pena. Si ritiene che la circostanza aggravante in esame si applichi anche agli incaricati di un pubblico servizio (in forza del disposto del già citato art. 320 c.p.) e al privato corruttore. Quanto alle singole aggravanti, per pubblici impieghi o stipendi, si intendono gli impieghi di natura pubblica conferiti dallo Stato o da qualsiasi altro ente pubblico, con esclusione dei rapporti di tipo privatistico (ad es.: quelli dei lavoratori stagionali) (Segreto-De Luca, 384); a tal fine non risultano pertanto sufficienti il semplice favore di carriera o l'aumento di stipendio (Pagliaro, PS I 2000, 216). Per pensione si intende, invece, ogni prestazione che imponga all'erario un obbligo continuativo di corresponsione di somme, a prescindere dalla misura dell'erogazione. Per quanto attiene, infine, all'aggravante relativa alla stipulazione di contratti nei quali sia interessata la pubblica amministrazione, si ritiene che la stessa sia configurabile non solo quando la pubblica amministrazione sia parte sostanziale del contratto, ma anche quando il soggetto pubblico vi abbia un interesse specifico diverso da quello generico alla riscossione di tasse o imposte sugli affari. Si ritiene tuttavia che la circostanza in esame non ricorra quando l'accordo criminoso intervenga successivamente alla stipulazione di contratti regolari, e cioè nel corso dell'esecuzione di essi (Cass. VI, n. 21192/2007). La circostanza aggravante è stata ritenuta applicabile anche ai dirigenti di aziende municipalizzate in relazione ai contratti che essi abbiano stipulato in loro nome (Cass. VI, n. 38698/2006). La giurisprudenza ha ritenuto applicabile l'aggravante in questione, ad esempio, nel caso di assegnazione di appalti pubblici attuata attraverso un sistema rotativo tra poche imprese privilegiate disposte a versare compensi corruttivi (Cass. VI, n. 7505/1994). Al delitto in esame è applicabile la circostanza attenuante speciale della particolare tenuità del fatto prevista dall'art. 323-bis, comma 1. Al delitto di indebita induzione si applica la circostanza attenuante comune di cui all'art. 323-bis, comma 1, che prevede una diminuzione della pena fino ad un terzo quando i fatti sono di particolare tenuità. L'attenuante richiede una valutazione globale del fatto e non solo una verifica delle conseguenze di carattere patrimoniale. Al riguardo, la giurisprudenza è dell'avviso che possa configurarsi un concorso tra l'attenuante di cui all'art. 62, n. 4, e quella di cui all'art. 323-bis, in quanto quest'ultima si riferisce al fatto di reato nella sua globalità (condotta, elemento psicologico, evento), mentre la prima prende in esame il solo aspetto del danno o del lucro, che deve essere connotato da speciale tenuità (Cass. VI, n. 7919/2012). Il concorso va invece escluso quando la circostanza attenuante speciale in esame venga riconosciuta esclusivamente in ragione della ritenuta esiguità del danno economico cagionato dal reato, poiché in essa rimane assorbita quella comune del danno patrimoniale di speciale tenuità (Cass. VI, n. 34248/2011). La specifica attenuante in commento, quindi, non è correlata alla (modesta) entità del danno o del vantaggio patrimoniale, bensì alla particolare tenuità dell'intera fattispecie di reato. Il giudice deve quindi valutare il fatto nella sua globalità al fine di stabilire se presenti una gravità contenuta, dovendo considerare ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato (Cass. VI, n. 190/2011). Si applica anche la circostanza attenuante ad effetto speciale di cui al capoverso dell'art. 323-bis, che prevede una diminuzione della pena da un terzo a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l'individuazione degli altri responsabili, ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite. Si tratta di una misura premiale finalizzata a favorire la rottura del patto corruttivo, che rappresenta uno degli strumenti più efficaci per l'accertamento dei fatti corruttivi, soprattutto di fronte alle peculiari caratteristiche assunte dalle nuove forme di manifestazione della corruzione sistemica. L'attenuazione del trattamento sanzionatorio trova fondamento nella minore capacità a delinquere dimostrata dal colpevole che, successivamente alla commissione del reato, si sia efficacemente adoperato per conseguire, in via alternativa, uno dei risultati previsti dalla norma. Poiché la norma richiede che l'autore del reato si adoperi «efficacemente», occorre che l'ausilio fornito sia sostanziale, determinante e decisivo per conseguire i risultati indicati dalla norma, prima che gli stessi siano autonomamente conseguiti dalle autorità inquirenti. In altri termini, è richiesta la realizzazione di un risultato che torni utile e proficuo agli organi giudiziari, nel senso che, senza la collaborazione del colpevole, valutando il complesso degli elementi processuali sussistenti al momento del suo sorgere, non si sarebbe innescato quel processo conducente alla raccolta delle prove o all'individuazione degli altri responsabili o al sequestro delle somme o delle altre utilità trasferite all'intraneus. Va osservato che la collaborazione processuale in esame, a differenza di altre disposizioni premiali, non è sottoposta ad alcun limite temporale (es. prima del giudizio o prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna): essa, quindi, potrà essere utilmente prestata in qualsiasi fase del processo, ma non oltre il giudizio di primo grado, potendo il giudice di appello conoscere del procedimento limitatamente ai punti della decisione cui si riferiscono i motivi proposti dall'appellante. Poiché il delitto di corruzione è determinato da motivi di lucro, ad esso è applicabile la circostanza aggravante comune inerente alla gravità del danno patrimoniale prevista dall'art. 61, n. 7, c.p. (Cass. VI, n. 10303/1982). Non è invece applicabile la circostanza attenuante comune del danno patrimoniale di speciale tenuità (art. 62, n. 4), trattandosi di un reato bilaterale che non permette di identificare un soggetto danneggiato e un soggetto danneggiante (Cass. VI, n. 23776/2009). Per quanto riguarda la circostanza aggravante del nesso teleologico (art. 61, n. 2), la giurisprudenza l'ha ritenuta non configurabile rispetto a quegli illeciti penali (come l'omissione di atti di ufficio, l'abuso di ufficio, l'omissione di rapporto, la rivelazione di segreti di ufficio, ecc.) che alla corruzione sono legati da immediato rapporto esecutivo, in forme intrinsecamente espressive della violazione dei doveri d'ufficio. Per contro, essa ben può applicarsi, a quelle altre trasgressioni di natura penale (il concorso in contrabbando, nel falso, nell'associazione per delinquere, ecc.) che, pur indirettamente ed in via mediata derivanti dallo stesso fatto corruttivo, si pongano oltre le forme tipiche direttamente esplicative della violazione degli stessi doveri, attingendo l'offesa di ulteriori e diversi interessi protetti (Cass. VI, n. 1112/1996). Concorso di persone La giurisprudenza è consolidata nell'ammettere il concorso eventuale di terzi nel delitto di corruzione. Esso ricorrerà, in base alle regole ordinarie, sia nel caso in cui il contributo si realizzi nella forma della determinazione o del suggerimento fornito al privato corruttore o al pubblico ufficiale corrotto, sia nell'ipotesi in cui si risolva in un'attività di intermediazione finalizzata a realizzare un collegamento tra gli autori necessari dell'illecito (Cass. VI, n. 33435/2006). Per quanto riguarda il ruolo dell'intermediario, egli può rispondere sia di concorso morale, se ha fatto nascere o rafforzare il proposito criminoso dell'esecutore materiale, oppure di concorso materiale, se ha agevolato fattivamente il conseguimento dell'obiettivo finale. In ogni caso, poiché ai fini dell'integrazione del delitto di corruzione, sebbene non abbia rilevanza l'individuazione dell'identità del funzionario corrotto, che può restare ignoto, è però indispensabile che non sussistano dubbi circa l'effettivo concorso di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio nel fatto di corruzione, la semplice consegna sine titulo di ingenti somme di denaro ad un intermediario non è sufficiente ad affermare con certezza, in mancanza di ulteriori elementi, che si sia consumato un episodio di corruzione, ben potendo tale condotta integrare alternativamente altri reati (Cass. VI, n. 1/2014). La giurisprudenza ritiene ipotizzabile l'esistenza del vincolo associativo di cui all'art 416 tra corruttore e corrotto (Cass. VI, n. 1032/2010). Detto vincolo, peraltro, sortisce l'effetto di rafforzare il pactum sceleris, nonché la stessa struttura della organizzazione delinquenziale, attraverso un più stretto ed ancor più compromettente collegamento interpersonale (Cass. VI, n. 6240/1999). Sanzioni accessorieAl reato in esame si applicano le sanzioni accessorie previste dall’art. 317-bis, al cui commento si rinvia. La causa di non punibilità della collaborazioneAl reato in esame si applica la causa di non punibilità prevista dall’art. 323-ter, al cui commento si rinvia. Rapporti con altri reatiCorruzione per l'esercizio della funzione Cfr. sub art. 318. Concussione Cfr. sub art. 317. Utilizzazione di segreti di ufficio Non sussiste alcun rapporto di specialità fra il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio ex art. 319 e quello di utilizzazione di segreti di ufficio di cui all'art. 326, comma terzo, data la diversità degli elementi strutturali delle rispettive fattispecie incriminatrici, la prima contemplando un reato bilaterale a concorso necessario, in cui la condotta antidoverosa del pubblico agente si pone come prestazione di un accordo sinallagmatico corruttivo, e la seconda, incentrata sulla utilizzazione del segreto, avendo ad oggetto un reato monosoggettivo “di mano propria”, a concorso solo eventuale dell'extraneus, in cui il profitto indebito degrada ad elemento di dolo specifico (Cass. V, n. 5390/2022). Truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale I reati di corruzione e di truffa aggravata commessi da pubblico ufficiale, pur avendo in comune la qualità del soggetto passivo e l'abuso da parte di questi della pubblica funzione al fine di conseguire un indebito profitto, si differenziano per il fatto che, nella corruzione colui che dà o promette non è vittima di un errore ed agisce su di un piano di parità con il pubblico ufficiale nel concludere un negozio giuridico illecito in danno della pubblica amministrazione; nella truffa, invece, il pubblico ufficiale si procura un ingiusto profitto sorprendendo la buona fede del soggetto passivo mediante artifici o raggiri ai quali la qualità di pubblico ufficiale conferisce maggiore efficacia. Integra perciò il reato di corruzione e non quello di truffa la condotta del pubblico ufficiale che riceve una somma di danaro per un atto contrario ai doveri di ufficio consegnatagli spontaneamente e non in conseguenza di artifici e raggiri (Cass. VI, n. 19002/2016). Il concorso materiale fra i due reati è configurabile quando gli effetti dell'accordo corruttivo abbiano determinato l'induzione in errore nei confronti di un pubblico ufficiale diverso da quello corrotto (Cass. VI, n. 37653/2021). Concorso di reatiCfr. sub artt. 318 (corruzione per l'esercizio della funzione), 323 (abuso d'ufficio), 328 (omissione di atti d'ufficio), 346 (millantato credito), 346-bis (traffico di influenze illecite), 353 (turbata libertà degli incanti), 356 (frode nelle pubbliche forniture), 378 (favoreggiamento personale), 640 (truffa aggravata dalla qualità di pubblico ufficiale), 640-bis (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche). Collusione di militare della Guardia di Finanza La collusione di militare della Guardia di Finanza (art. 3 l. 9 dicembre 1941, n. 1383), non essendo un reato complesso, ma perfezionandosi con il semplice accordo fraudolento tra finanziere e privato, non assorbe come suo elemento costitutivo il reato di corruzione, il quale ha una propria autonomia e distinta obiettività giuridica, riguardante la tutela dell'interesse generale al buon funzionamento ed al prestigio della pubblica Amministrazione. Di conseguenza nell'ipotesi in cui il militare della Guardia di Finanza non si sia limitato ad accordarsi con degli estranei per violare la finanza, ma abbia percepito danaro o altre utilità, correttamente viene ritenuto responsabile anche del reato di corruzione (Cass. VI, n. 1319/1997). Di diverso avviso la dottrina, che esclude il concorso alla luce del principio di specialità (Martini, 381). Finanziamento illecito dei partiti La giurisprudenza ammette il concorso formale tra il reato di corruzione e quello di finanziamento illecito dei partiti (art. 7 l. n. 195/1974), in quanto diverse sono le condotte e diversi i beni giuridici tutelati dalle rispettive norme incriminatrici: il buon andamento della pubblica amministrazione, per quanto attiene alla corruzione, ed il metodo democratico, con riguardo all'altro reato (Cass. VI, n. 3926/1998). Contrabbando Il delitto di corruzione concorre materialmente con il delitto di contrabbando (art. 292 d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), sia esso tentato o consumato, poiché hanno una diversa obiettività giuridica, costituita per i primi dall'interesse dello Stato al corretto funzionamento della pubblica amministrazione e, per il secondo, dall'interesse dello Stato al regolare adempimento delle obbligazioni doganali nascenti dall'importazione di merci dall'estero (Cass. III, n. 1094/1984). Comparaggio È configurabile il concorso formale tra il reato di comparaggio (consistente nel dare o ricevere, anche a titolo di mera promessa, denaro o altra utilità allo scopo di agevolare la diffusione di specialità medicinali o di ogni altro prodotto a uso farmaceutico) ed il reato di corruzione impropria, stante la clausola di riserva dell'applicabilità delle norme sul concorso dei reati, espressamente prevista dal suddetto art. 170, comma 2, r.d. n. 1265/1934 che esclude il rapporto di specialità tra le due fattispecie incriminatrici (Cass. VI, n. 1207/2011). ConfiscaL'art. 319 è incluso nell'elenco tassativo delle fattispecie che consentono sia l'applicazione della confisca “diretta” che della confisca “per equivalente” di cui all'art. 322-ter, comma 1, al cui commento si rinvia. Occorre segnalare che in relazione ai beni sequestrati in vista della confisca di cui all’art. 322-ter, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, l’art. 322-ter.1, al cui commento si rinvia, prevede la possibilità di affidarli in custodia giudiziale agli organi della polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. Anche per la corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio è stata prevista la possibilità di disporre la confisca allargata dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito ( art. 240-bis c.p.). La sospensione condizionale della penaCfr. sub art. 317. Profili processualiGli istituti La corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio è un reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale in composizione collegiale. Per il delitto di corruzione per l'esercizio della funzione: a) è possibile disporre intercettazioni (anche tramite captatore informatico); b) sono consentiti l'arresto facoltativo in flagranza e il fermo; c) è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. L'applicazione della pena su richiesta delle parti Il comma 1-ter dell'art. 444 c.p.p., aggiunto dall'art. 6 l. n. 69/2015, subordina l'ammissione della richiesta di patteggiamento per il delitto in esame alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato. Le operazioni sotto copertura Cfr. sub art. 317. La concessione dei benefici penitenziariCfr. sub art. 317. BibliografiaAndreazza-Pistorelli, Relazione sulla Legge 6 novembre 2012, n. 190, in cortedicassazione.it; Levi, Delitti contro la pubblica amministrazione, Milano, 1935; Gatta, Riforme della corruzione e della prescrizione del reato: il punto sulla situazione, in attesa dell’imminente approvazione definitiva, in Dir. pen. cont., 17 dicembre 2018;Martini, Osservazioni sul rapporto strutturale tra collusione e corruzione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1981, 381; Pagliaro, La retribuzione indebita come nucleo essenziale dei delitti di corruzione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1967, 64; Pulitanò, Legge anticorruzione (L. 6 novembre 2012, n. 190), in Cass. pen., 2012, suppl. n. 11; Segreto-De Luca, Delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, Milano, 1999; Seminara, La riforma dei reati di corruzione e concussione come problema giuridico e culturale, in Dir. pen. e proc. 2012, 1235. |