Codice Penale art. 379 bis - Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale (1).Rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale (1). [I]. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque rivela indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per avere partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso, è punito con la reclusione fino a un anno. La stessa pena si applica alla persona che, dopo avere rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto imposto dal pubblico ministero ai sensi dell'articolo 391-quinquies del codice di procedura penale. (1) Articolo inserito dall'art. 21 l. 7 dicembre 2000, n. 397. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: non consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoLa norma, introdotta con la legge sulle indagini difensive, sanziona due condotte relative alla indebita diffusione di notizie segrete del procedimento penale. La prima disposizione, riguarda la condotta di chi diffonda “indebitamente” notizie segrete apprese avendo «partecipato o assistito» ad un atto del procedimento. La seconda la condotta di chi, avendo rilasciato dichiarazioni nel corso delle indagini preliminari, non osserva il divieto impostogli dal PM ai sensi dell'art. 391 quinquies c.p.p. di comunicare le circostanze di cui è a conoscenza. La prima disposizione, che ha carattere di norma sussidiaria in quanto applicabile laddove non siano integrati più gravi reati, deriva chiaramente dalle esigenze sorte con la normativa sulle indagini difensive. Difatti sanziona, in particolare, le condotte di coloro che, collaborando con la difesa, non sono di per sé obbligati al segreto, come invece avviene per i soggetti che collaborano alle indagini del pubblico ministero che, di norma, sono pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio e, quindi, destinatari del più grave reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio dell'art. 326. La seconda disposizione sanziona la violazione di un divieto parimenti introdotto con la normativa sulle indagini difensive: l'art. 391 quinquies c.p.p. difatti prevede che il pubblico ministero disponga con decreto, in presenza di “specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine”, il divieto nei confronti delle “persone sentite” di “comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell'indagine di cui hanno conoscenza”. Pur se la disposizione è inserita nel titolo relativo alle indagini difensive, il riferimento generico alle “persone sentite” non consente di distinguere fra soggetti sentiti dal pubblico ministero, polizia giudiziaria o dal difensore. I soggettiLa rivelazione di segreti inerenti a un procedimento penale è un reato proprio, in quanto può essere commesso solo da chi ha «partecipato o assistito» ad un atto del procedimento, ovvero da chi ha rilasciato dichiarazioni sulle quali il pubblico ministero ha esercitato il citato potere di segretazione. L'ampia definizione della prima ipotesi ricomprende tutti i soggetti che, comunque ed a qualsiasi titolo, siano stati coinvolti nel procedimento, anche senza svolgervi alcun ruolo attivo, ma assistendovi in maniera del tutto passiva. La giurisprudenza ha, però, chiarito che il riferimento è fatto esclusivamente ai soggetti che siano partecipi alla formazione e messa in esecuzione dell'atto processuale, tipicamente delegati e ausiliari dell' autorità giudiziaria o del difensore, ma non certo a chi riceve l'atto o è sottoposto ai suoi effetti. In concreto, ad es., si è escluso che del reato risponda il soggetto destinatario di un provvedimento finalizzato alla ricerca della prova (gli era stato chiesto di consegnare documenti in sua disponibilità) che abbia riferito di tale iniziativa dell'organo inquirente al difensore dell'indagato (Cass. VI, n. 47210/2021). MaterialitàLa “segretezza” che è alla base della prima fattispecie dell'articolo è concetto normativo che deve essere desunto dall'art. 329 c.p.p. secondo cui gli atti di indagine sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Pertanto, il divieto di rivelazione ha ad oggetto l'atto del procedimento in quanto tale, nonché la sua documentazione, ma non il fatto storico oggetto dell'atto e dell'indagine di cui il soggetto abbia avuto conoscenza in precedenza, cioè a prescindere dall'atto d'indagine. Si delinea quindi chiaramente il rapporto con la rivelazione indebita cui si riferisce l'art. 326; nel caso della disposizione in esame la peculiarità, oltre alla limitazione al contesto del procedimento penale, è, come detto, l'ampliamento della tutela penale rispetto alle condotte di soggetti che non hanno le qualifiche di pubblico ufficiale od incaricato di pubblico servizio. Diversa la seconda ipotesi, di violazione dell'art. 391-quinquies cod. proc. pen., in cui la tutela è ben più ampia: la disposizione del codice di rito, difatti, prevede espressamente che, in casi eccezionali e comunque per un periodo limitato (non oltre due mesi), la tutela riguardi, più ampiamente, i “fatti e le circostanze oggetto dell'indagine”, quindi a prescindere da un collegamento con l'atto d'indagine. Il soggetto “sentito”, quindi, deve astenersi da qualunque comunicazione di notizia che attenga all'oggetto dell'indagine. L'articolo prevede espressamente che la comunicazione debba avere carattere “indebito” solo quanto alla prima ipotesi; è comunque implicito che, anche nella seconda ipotesi, debba valutarsi se la condotta trovi una qualsiasi forma di giustificazione. Tale carattere “indebito” è definito nel senso di dovere essere la condotta priva di “giustificazione in base a una norma esimente ovvero a qualche ragione ammessa dall'ordinamento processuale” (Fiandaca Musco). Elemento psicologicoIl dolo richiesto è, evidentemente, generico. CasisticaSecondo Cass. VI, n. 20105/2011, essendo il divieto della prima ipotesi limitato al segreto “sull'atto”, il reato non sussiste se il soggetto cui sia stato sequestrato del materiale documentale ne diffonda il contenuto dopo che gli sia stato restituito. Secondo Trib. Trapani 30 aprile 2009 il reato sussiste nel caso dell'avvocato che abbia rivelato, nel corso di un'intervista, dati emersi dall'autopsia cui aveva partecipato il suo consulente di fiducia. Cass. I, n. 13854/2019 , considerato il carattere di norma sussidiaria della fattispecie di cui al primo comma, ha ritenuto che, quando le notizie vengano comunicate al soggetto sottoposto alle indagini al fine di consentirgli di eludere le indagini, il fatto integra il più grave reato di favoreggiamento personale. Profili processualiGli istituti Il reato in esame è procedibile d'ufficio ed è di competenza del tribunale monocratico; è prevista la citazione diretta a giudizio. Non è consentito l'arresto in flagranza né alcuna misura cautelare personale. BibliografiaGiunta, Le innovazioni ai delitti contro l'amministrazione della giustizia introdotte dalla legge sulle indagini difensive, in Studium iuris 2001; Picciotto, nota alla sentenza Tribunale Trapani 30/4/2009, in Giur. merito 2010. Tabacco, L'art. 379-bis c.p. al vaglio della Suprema Corte: cosa si intende per partecipazione o assistenza ad un atto processuale?, in Cass. Pen. 2022, 2267. |