Codice Penale art. 385 - Evasione (1).

Pierluigi Di Stefano

Evasione (1).

[I]. Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione da uno a tre anni (2).

[II]. La pena è della reclusione da due a cinque anni se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da tre a sei anni se la violenza o minaccia è commessa con armi [585 2-3] o da più persone riunite [112 1 n. 1] (3).

[III]. Le disposizioni precedenti si applicano anche all'imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento [284 c.p.p.] se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale.

[IV]. Quando l'evaso si costituisce in carcere prima della condanna [442 2, 533, 605 2 c.p.p.], la pena è diminuita [65] (5).

(1) Articolo così sostituito dall'art. 15 l. 12 gennaio 1977, n. 1, e poi modificato dall'art. 29 l. 12 agosto 1982, n. 532. Il testo originario recitava: «[I]. Chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade è punito con la reclusione fino a sei mesi. [II]. La pena è della reclusione fino a diciotto mesi se il colpevole commette il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, ovvero mediante effrazione; ed è da due a cinque anni se la violenza o minaccia è commessa con armi o da più persone riunite. [III[. Le disposizioni precedenti si applicano anche al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale. [IV]. Quando l'evaso si costituisce in carcere prima della condanna, la pena è diminuita»

(2) Comma modificato dall'art. 2 l. 26 novembre 2010, n. 199, che ha sostituito le parole «da sei mesi ad un anno» con le parole «da uno a tre anni».

(3) Comma modificato dall'art. 2 l. 26 novembre 2010, n. 199, che ha sostituito le parole «da uno a tre» con le parole «da due a cinque», e la parola «cinque» con la parola «sei».

(4) Per i provvedimenti in caso di evasione v. art. 90 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230. In tema di strumenti elettronici di controllo v. art. 18 d.l. 24 novembre 2000, n. 341, conv., con modif., in l. 19 gennaio 2001, n. 4.

competenza: Trib. monocratico

arresto: facoltativo anche fuori dei casi di flagranza (art. 3 d.l. n. 152 del 1991)

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: consentita (v. art. 3 d.l. n. 152 del 1991)

altre misure cautelari personali: consentite (v. art. 3 d.l. n. 152 del 1991; v. però per gli arresti domiciliari art. 284, comma 5 bis)

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

La norma in esame sanziona la condotta del soggetto sottoposto a detenzione in carcere o presso il domicilio e che evada ovvero si allontani. È evidente che l'interesse tutelato è il rispetto delle determinazioni dell'Autorità giudiziaria sotto i vari profili per i quali possono essere disposte le misure privative della libertà, ovvero esecuzione della pena, misure cautelari, misure precautelari disposte dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero.

I soggetti

L'evasione è un reato proprio in quanto può essere commesso solo da coloro che versano nella condizione soggettiva indicata dalla norma. Soggetto “arrestato” è colui che è stato arrestato ai sensi dell'art. 379 ss. c.p.p., dalla polizia giudiziaria o dal privato nei casi in cui gli è riconosciuto tale potere. All'arrestato, secondo comune interpretazione, è equiparato il soggetto sottoposto a fermo ai sensi dell'art. 384 c.p.p. Il “detenuto” è il soggetto sottoposto a pena detentiva ovvero alla misura cautelare della custodia in carcere. Il soggetto in “stato di arresto nella propria abitazione” è colui che è sottoposto alla detenzione domiciliare ovvero agli arresti domiciliari. Vi è poi il caso del “semilibero” per il quale si realizza la condizione di evaso in caso di assenza senza giustificato motivo per oltre 12 ore dalla scadenza del tempo per l'ingresso nel carcere (art. 51 o.p. l. n. 354/1975), nonché il caso dei detenuti che non rientrino dopo aver fruito di un permesso (art. 30 l. n. 354/1975).

Chiaramente esclusi dalla lettera della norma sono i soggetti sottoposti a misure di sicurezza detentiva (Cass. VI, n. 48648/2014), a misure di prevenzione per la parte limitativa della libertà personale, alle prescrizioni di limitazione dell'allontanamento dalla abitazione in determinati orari che possono essere disposte nei confronti del soggetto sottoposto all'obbligo di dimora.

Materialità

Elemento oggettivo

La norma espressamente pone quale presupposto che il provvedimento in esecuzione sia conforme alle norme dell'ordinamento (“legalmente arrestato...”). Ne consegue che non v'è evasione ove la misura sia illegale. L'illegalità peraltro va riferita al momento della esecuzione della misura (p. es. arresto di p.g. fuori dai casi previsti dalla legge) e non a momenti successivi (p. es. omessa richiesta di convalida o mancato rispetto dei termini per la richiesta) (Cass. VI, n. 34083/2013). L'evasione sussiste anche quando la misura cautelare sia stata revocata o sostituita in termini più favorevoli in un momento successivo all'allontanamento (Cass. VI, n. 15208/2009).

Trattandosi, quindi, di rispetto di una misura sostanzialmente in vigore e non del rispetto della autorità in quanto tale, è invece escluso il delitto di evasione qualora il soggetto si sia sottratto all'esecuzione di un provvedimento non (più) attuale, pur non avendone avuto comunicazione e non essendovi stata formale esecuzione della revoca. Ciò riguarda il caso dell'allontanamento allorquando il provvedimento coercitivo originario sia comunque già stato annullato con formale provvedimento dell'Autorità giudiziaria emesso prima dell'allontanamento dal luogo degli arresti (Cass. VI, n. 33874/2015) o quando la misura abbia perso efficacia per essere scaduto il relativo termine massimo di durata, pur in assenza di un provvedimento formale dell'Autorità giudiziaria (Cass. VI, n. 10282/2001).

Il reato, invece, è stato ritenuto integrato nel caso in cui passi in giudicato la sentenza di condanna alla pena detentiva superiore alla custodia cautelare sofferta; in questo caso il soggetto non è formalmente libero sino alla notifica dell'ordine di esecuzione ed in quanto il passaggio in giudicato della sentenza non è previsto tra le cause di estinzione delle misure cautelari di cui all'art. 300 c.p.p. (Cass. VI, n. 18733/2008).

Premessa per la definizione della condotta di evasione è che si tratta di un reato a forma libera, quindi ciò che importa è l'effetto, comunque raggiunto, di sottrazione alla legittima detenzione.

Innanzitutto si è ritenuto non strettamente necessario che sia materialmente iniziata la condizione di detenzione ritenendosi che il reato sia integrato anche nel caso di esecuzione degli arresti domiciliari con autorizzazione della persona sottoposta a recarsi da sola presso il domicilio, in caso di violazione di tale ultimo obbligo; qui l'evasione precede la materiale esecuzione, non essendo il soggetto ancora nel luogo di detenzione ma neanche sotto il controllo diretto dell'Autorità, come invece avviene per il soggetto arrestato prima dell'accompagnamento in carcere (Cass. IV, n. 45928/2017).

Va poi definito il concetto di evasione che è certamente semplice a fronte della considerazione del suo momento di piena esecuzione, ma pone qualche problema con riferimento al momento dal quale inizia l'arresto-detenzione ed al momento in cui si realizza la “evasione” o l'“allontanamento”:

- Il provvedimento limitativo della libertà opera dal momento nel quale vi è stata la legale comunicazione che la parte è in arresto e, quindi, non può più allontanarsi liberamente e senza essere ostacolato. 

-  È sufficiente la semplice intimazione orale (Cass. VI, n. 22014/2006)   a prescindere dalla redazione di un verbale di arresto che rappresenta la mera documentazione dell'attività della p.g. (Cass II, n. 21044/2016).

-  L'evasione di realizza con  una condotta di allontanamento che comporti la necessità di una nuova attività di cattura.

Per quanto riguarda gli arresti o detenzione domiciliari, si tratta di definire l’allontanamento, nei termini che seguono.

Domicilio

Il problema dell'estensione del domicilio è una questione di fatto che va risolta applicando nel caso concreto la regola generale che per abitazione deve intendersi il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altro spazio, quali dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non ne costituisca parte integrante (Cass. VI, n. 5436/2012). Il problema è se esiste o meno una frattura spaziale, per cui non può essere escluso dal concetto di abitazione un'area condominiale, un giardino o un cortile che non presentino soluzioni di continuità con la medesima e siano di uso esclusivo (Cass. VI, n. 36639/2014); ma tali aree non sono, invece, assimilabili all'abitazione quando (Cass. VI, n. 47897/2014) siano di libero accesso ed uso da parte di altri condomini o, a fortiori, di terzi.

Non sono mancate decisioni che hanno considerato la sostanziale irrilevanza di minime violazioni quali il muoversi nell'ambito del condominio, ma è stato chiarito che non può che confermarsi la comune tesi che è rilevante qualsiasi uscita dalla abitazione per permanere in ambiti “aperti”, pur limitati alle dipendenze quali aree condominiali, cortili eccetera. Infatti (Cass. II, n. 13825/2017; Cass. VI, n. 47317/2016), con riferimento agli arresti domiciliari quale misura cautelare, si nota come vada considerato il profilo funzionale: fine primario e sostanziale della misura degli arresti domiciliari è quello di impedire i contatti con l'esterno e il libero movimento delle persone quale mezzo di tutela delle esigenze cautelari. Quindi anche uscire dall'abitazione e trattenersi in spazi comuni rappresenta una significativa violazione della misura, tale da poter consentire anche la realizzazione di quelle situazioni che la misura intende evitare.

Sulla scorta di queste regole, l'ambito spaziale degli arresti o detenzione domiciliare va individuato nell'abitazione con eventuali aree strettamente connesse, nei limiti in cui si tratti di parti di accesso esclusivo per gli occupanti l' abitazione.

I casi particolari, quando all'ambito in cui vi è diritto di esclusione di terzi si aggiungono aree necessariamente comuni (come nel caso di detenzione in comunità, ospedali, alberghi, con stanze private ma servizi comuni), vanno risolti sulla scorta delle specifiche disposizioni dell'Autorità. In un caso quale quello degli arresti domiciliari in un campo nomadi, in una roulotte, si è giustificato l'equivoco della parte che aveva ritenuto di potersi muovere nell'ambito del campo così interpretando in buona fede l'indicazione di mantenersi nelle pertinenze della abitazione (Cass. n. 12301/2000).

Violazione delle prescrizioni

Le varie possibilità date al soggetto in stato di arresto presso l'abitazione di allontanarsene pongono poi il tema della qualificabilità o meno quale evasione delle varie ipotesi di violazione. La regola fondamentale è che le specifiche prescrizioni del permesso di uscita (per lavoro, visite mediche etc) non rappresentano mere «prescrizioni modali» dell'autorizzazione ma rappresentano vere e proprie condizioni di efficacia della stessa (Cass. VI, n. 10256/1999). Ovvero, l'autorizzazione ad assentarsi dal luogo degli arresti attiene all'operatività stessa del provvedimento di restrizione, che viene momentaneamente sospeso in stretta connessione con le esigenze prese in considerazione. Ne deriva che l'allontanamento per esigenze non autorizzate è inidoneo a determinare la sospensione del provvedimento restrittivo della libertà, il quale resta così pienamente operante anche ai fini dell'integrazione del reato di evasione (Cass. VI, n. 45279/2011).

Tendenzialmente, quindi, tutte le violazioni sono ritenute integrare il reato di evasione:

Nel caso di autorizzazione a recarsi fuori dalle mura domestiche per incombenti predeterminati, costituisce evasione profittare dell'autorizzazione per fini diversi (come nel caso del soggetto autorizzato a recarsi in una casa di cura che era stato rinvenuto in tutt'altro luogo: Cass. VI, n. 6693/2015). Ciò vale anche nell'ipotesi di detenzione domiciliare in ordine alla quale il Tribunale di sorveglianza abbia autorizzato allontanamenti per sopperire a indispensabili esigenze di vita (come nel caso del ricorrente scoperto in aperta campagna a bordo di un'automobile e in compagnia di altre persone: Cass. VI, n. 47273/2015). Il reato sussiste anche in caso di mancato rispetto della fascia oraria in cui l'uscita è stata autorizzata, pur se, in riferimento a casi minimi, si è specificato che il diverso orario deve porsi “in termini di apprezzabile inconciliabilità” rispetto alla autorizzazione del giudice (Cass. n. 21975/2006).

Con riferimento all'autorizzazione al lavoro esterno all'abitazione si è affermato che questo comporta un diverso dislocamento della sede di svolgimento della misura e lascia immutato l'obbligo di ininterrotta permanenza nella sede “esterna”. L'inosservanza di tale divieto di allontanamento dal posto di lavoro costituisce quindi reato di evasione (Cass. VI, n. 11738/2012). Anche la mancata osservanza degli orari e dei percorsi in fase di arrivo o di partenza dal posto di lavoro è ritenuta una evasione pur se, laddove occasionale e limitata nel tempo, può essere ritenuta una semplice trasgressione delle prescrizioni (Cass. VI, n. 47172/2013).

In concreto, quanto agli orari, si è ritenuto che ricorra evasione nel caso di colui che invece che nel domicilio sia stato rinvenuto nel posto di lavoro, avendo abbandonato il luogo di custodia ordinaria ben prima dell'orario consentito dall'autorizzazione (Cass. n. 14992/2014). Allo stesso modo risponde di evasione colui che viene trovato fuori della abitazione oltre mezz'ora dopo l'orario previsto per il rientro (Cass. n. 3744/2013) ) o “rientri con un breve ritardo” (Cass. VII, n. 51855/2017).

In modo più articolato, si è chiarito che non può ritenersi evasione la sola violazione dell'obbligo di seguire il percorso più breve, sia perché la semplice scelta della via più lunga non è certo tale da impedire la normale possibilità di controllo da parte della polizia giudiziaria, sia perché nel provvedimento di autorizzazione ad uscire all'abitazione è implicito un pur minimo ambito di libertà di azione e movimento (Cass. VI, n. 48917/2015).

Un caso particolare è quello del soggetto sottoposto agli arresti domiciliari che non può liberamente allontanarsi dal domicilio per recarsi a un'udienza del Tribunale essendo rimesso al giudice che ha imposto la custodia valutare se autorizzarlo a recarsi liberamente in udienza (Cass. n. 4519/2012). Opportunamente, però, si osserva che, pur se obiettivamente è un caso di evasione, comunque in concreto può esservi errore scusabile dovuto alla convinzione di essere autorizzato ad allontanarsi avendo ricevuto notifica dell'avviso di udienza fissata proprio per il riesame della misura cautelare applicata (Cass. n. 27124/2011).

Segue. Ritardi sino a 12 ore

Tre particolari previsioni limitano l'ipotesi di evasione alla assenza dal luogo di detenzione per oltre 12 ore.

Secondo l'art. 47-sexies dell'ordinamento penitenziario (l. n. 354/1975) la donna condannata ammessa a quel particolare regime di detenzione domiciliare è ritenuta evasa laddove si assenti dal domicilio senza giustificato motivo per oltre 12 ore. Secondo l'art. 51 del medesimo o. p. il soggetto ammesso al regime di semilibertà è ritenuto evaso laddove rimanga assente all'istituto senza giustificato motivo oltre 12 ore. La stessa regola si applica, ai sensi dell'art. 30 o.p. al detenuto che fruisca di un permesso e ritardi il rientro oltre 12 ore.

La prima regola è riferibile esclusivamente alle madri di figli infradecenni o al padre in caso di decesso o impossibilità della madre  (sia che si tratti di detenzione domiciliare ordinaria ex art. 47 ter o.p. sia che si tratti di detenzione domiciliare speciale ex art. 47 quinquies o.p.: Corte cost. n. 177/2008 e Corte cost. n. 2011/2018  (quindi non riguarda il caso di detenzione domiciliare concessa a chi non sia genitore di figlio infradecenne) (Cass. VI, n. 50014/2015; Cass. VI, n, 8051/2021). In tali casi, se l'assenza è inferiore a questo periodo non vi è evasione indipendentemente dal motivo del ritardo. Ciò è stato affermato anche nel caso in cui la donna ammessa alla particolare detenzione domiciliare durante un'assenza inferiore alle dodici ore aveva commesso una rapina (Cass. n. 4394/2014).

Tale disciplina non è estensibile né in via interpretativa né ritenendo ingiustificata la diversità di trattamento ad altre ipotesi, quali il “comune” condannato ammesso alla detenzione domiciliare. (Cass. VI, n. 8156/2012) e le misure cautelari (Cass. VI, n. 47274/2015) che, diversamente dalle sanzioni definitive, sono basate su “attuali” esigenze cautelari; l'evasione, quindi, non realizza l'elusione della sanzione ma quei pericoli che la misura intende prevenire proprio con la limitazione della libertà.

Nessun problema, poi, di costituzionalità in quanto l'evidente disomogeneità tra la posizione dell'imputato in custodia cautelare e quella del condannato in espiazione di pena giustificano la diversa risposta nel caso di violazione delle rispettive misure restrittive (Cass. VI, n. 34253/2011).

Elemento psicologico

Il reato è punito a titolo di dolo generico: è sufficiente cioè la consapevolezza dell'agente di trovarsi legalmente in stato di arresto e di violare volontariamente il divieto di allontanarsi dal luogo di esecuzione del provvedimento restrittivo, senza la prescritta autorizzazione, senza che abbiano alcun rilievo i motivi del suo comportamento (Cass. VI, n. 10425/2012). In particolare sono irrilevanti, nel caso di autorizzazione all'esercizio di un'attività lavorativa, i motivi dell'allontanamento dal luogo in cui tale attività si deve svolgere, essendo sufficiente per configurare il dolo di evasione la consapevolezza di non essere autorizzati ad allontanarsi dal luogo di lavoro (Cass. VI, n. 19218/2012). Non può invocarsi l'ignoranza della legge penale perché il divieto di uscire dall'abitazione e la necessità di chiedere un'autorizzazione al giudice costituiscono prescrizioni assai semplici, di comune cognizione per chi sia sottoposto a misura autocustodiale (Cass. VI, n. 36123/2014).

Si è già detto sul possibile errore giustificabile che esclude il dolo di chi ritiene che la citazione innanzi al tribunale del riesame autorizzi l'uscita per recarsi in udienza, soprattutto per lo straniero che può male comprendere il contenuto dell'atto (Cass. VI, n. 4286/2014).

Consumazione e tentativo

Il reato è istantaneo con effetti eventualmente permanenti (Cass. VI, n. 14037/2015) e, quanto alla restrizione domiciliare, è consumato con l'arbitrario allontanamento, ancorché limitato nel tempo e nello spazio in quanto non si richiede l'allontanamento definitivo o la mancanza di animus revertendi (Cass. I, n. 30438/2015). L'effetto permanente cessa quando l'evaso torna nel luogo dal quale non avrebbe dovuto allontanarsi, interrompendo in tal modo l'elusione del controllo da parte dell'autorità vigilante (Cass. VI, n. 25976/2010; Cass. VI, n. 38864/2021).

Il tentativo è compatibile con il reato. Ciò è abbastanza ovvio per l'ipotesi di fuga dal carcere che necessariamente prevede condotte sufficientemente complesse per potersi realizzare allo stadio del tentativo (Cass. VI, n. 14024/1989). In giurisprudenza si è osservato come il tentativo ben si possa collocare nel momento della esecuzione del provvedimento restrittivo: è stato ritenuto nel caso della condotta del soggetto che riesca svincolarsi dagli agenti che lo scortano ma viene catturato dopo pochi metri (Cass. VI, n. 716/1986) o nel caso del soggetto che ha avuto notizia del provvedimento di cattura e tenti di fuggire dal locale in cui è in attesa della notificazione del provvedimento (Cass. VI, n. 8520/1976).

Forme di manifestazione

Remissione in libertà

Come già detto, la norma non sanziona il mancato rispetto formale ma la concreta violazione sostanziale che quindi non si realizza se la detenzione non è attuale. Per questa ragione, ove vi sia un ordine di scarcerazione il fatto non sussiste ancorché l'allontanamento sia avvenuto nelle more dell'esecuzione (Cass. VI, n. 15382/2013). Invece, laddove non vi sia una automatica cessazione della misura od esecuzione la pena, l'evasione si realizza anche se si è realizzata la causa di (futura) cessazione del provvedimento restrittivo; è stato affermato in tema di indulto, il quale non opera automaticamente ma solo a seguito di provvedimento da parte dell'A.G.: questo comporta che risponde del delitto di evasione il detenuto che, di sua iniziativa, si allontani dagli arresti domiciliari senza attendere il provvedimento di rimessione in libertà che deve essere ufficialmente comunicato (Cass. VI, n. 8812/2013).

Aggravanti

Il secondo comma prevede varie aggravanti per l'uso di violenza e minaccia, di armi, per la presenza di più persone, per la effrazione. La configurabilità delle aggravanti non pone particolari problemi affermandosi, secondo lo schema comune per reati con l'uso di violenza o minaccia, che risultano assorbiti se del caso i reati di minacce o percosse mentre concorre il reato di lesioni. Il reato, poi, va posto in concorso formale con l'eventuale resistenza a pubblico ufficiale attesa la diversa oggettività giuridica dei due reati.

Quanto all'"effrazione", non si tratta del generico danneggiamento bensì della rottura di dispositivi volti ad evitare la fuga mediante la ritenzione fisica del detenuto. Non rientra, invece, in tale ipotesi la recisione del braccialetto elettronico che non ha tale funzione di blocco fisico ma serve solo a controllare continuamente la presenza dell'indagato entro il perimetro in cui gli è consentito muoversi (Cass. VI, n. 23043/2017) .

Attenuanti

L'attenuante del quarto comma (laddove “l'evaso si costituisce in carcere”) è applicabile anche alla detenzione domiciliare, in virtù del comma ottavo dell'art. 47-ter dell'ordinamento giudiziario (o.p. l. n. 354/1975) (Cass. VI, n. 43776/2014). Non è, però, integrata per il solo fatto che l'imputato rientri spontaneamente nel luogo di esecuzione della misura (Cass. VI, n. 32383/2008), essendo necessario che si presenti presso un istituto carcerario o si consegni a un'autorità che abbia l'obbligo di tradurlo in carcere (Cass. VI, n. 1560/2021). Per quest'ultimo caso, si deve trattare di un organo che ufficialmente constati la cessazione della condizione di evaso (Cass. VI, n. 9715/2013).

L'attenuante del quarto comma è incompatibile ed alternativa rispetto all'attenuante comune del ravvedimento operoso (Cass. VI, n. 44281/2011).

Cause di giustificazione: stato di necessità

La prassi vede di frequente opporre vere o presunte situazioni di stato di necessità per giustificare l'allontanamento dal domicilio. Per i casi in cui tale stato di necessità sia configurabile, si è affermato che in ragione della natura istantanea del reato (con effetti eventualmente permanenti), la presenza di un'iniziale causa di giustificazione impedisce di rilevare l'antigiuridicità della condotta per tutto il tempo in cui l'evasione si protragga senza soluzione di continuità — quindi la protrazione della assenza, pur venuto meno lo stato di necessità, non integra da sola il reato (Cass. VI, n. 14037/2015).

In termini concreti, rammentato che lo stato di necessità consiste nel pericolo di un nocumento caratterizzato da profili di immanenza, indilazionabilità e cogenza, ipotesi comune è quella della presunta urgenza di abbandono del domicilio per cercare cure mediche all'esterno. L'esimente è stata quindi esclusa laddove si sia ritenuto che la condizione fisica non presentasse caratteri di indilazionabilità e necessità tale da non lasciare altra alternativa che l'abbandono del domicilio. In particolare è stata esclusa per l'insorgenza di un dolore alla gamba ad ore di distanza da un trauma (Cass. n. 47519/2013) ed è stata esclusa per un mal di denti (Cass. n. 33076/2003) e per l'insorgenza di una macroematuria (Cass. n. 9925/2012). Si tratta, invero, di questione che trova soluzione caso per caso, tenuto conto che la casistica è fondamentalmente legata ad ipotesi in cui la malattia era indicata quale tardiva giustificazione.

Altri casi particolari: Non ricorre lo stato di necessità in presenza della mera circostanza che un soggetto tossicodipendente versi in crisi di astinenza, trattandosi della conseguenza di un atto di libera scelta e quindi evitabile da parte dell'agente Cass. n. 45068/2014.

Non costituisce stato di necessità un asserito deterioramento dei rapporti con i congiunti conviventi quando non vi sia apprezzabile un pericolo di danno alla persona.

Inoffensività della condotta

La formulazione della disposizione comporta che ogni violazione è caratterizzata da offensività: non si può ritenere al di fuori dell'azione tipica una qualsiasi forma di evasione, ancorché temporalmente limitata.

Varie decisioni, evidentemente anche collegate alla specificità del caso concreto, affrontano il tema della realizzazione dell'azione tipica in riferimento a condotte di minima entità.

La condotta costituisce evasione in una ipotesi di soggetto trovato in compagnia di altre due persone pur se a pochi metri dalla abitazione (Cass. VI, n. 28118/2015); Costituisce reato il fatto di colui che, essendo agli arresti domiciliari con permesso di allontanarsi dalle ore 10 alle ore 12, venga colto alle ore 17,25 appoggiato su un muro esterno di un immobile prospiciente la sua abitazione (Cass. VI, n. 30179/2013).

Non costituisce reato il fatto di colui che, regolarmente autorizzato a recarsi in ospedale, si fermi all'interno di un bar sito lungo la strada che porta al nosocomio per il brevissimo tempo necessario a consumare un caffè (Cass. VI, n. 38757/2012). Per contro si è ritenuto che costituisse reato il fermarsi per breve tempo in un negozio, ubicato nel tragitto luogo degli arresti — luogo di lavoro (Cass. VI, n. 30774/2013). Costituisce evasione la condotta di chi, accompagnato nel luogo di esecuzione degli arresti domiciliari, se ne allontani per il mancato consenso a riceverlo da parte di chi ha la disponibilità della abitazione (Cass. n. 47728/2015).

 Il reato è stato ritenuto integrato nel caso del soggetto che si rechi dalla polizia per essere condotto in carcere (tipico il caso della “insostenibilità” della convivenza in famiglia) (Cass. VI, n. 36518/2020; Cass. VI, n. 52496/2018; Cass. VI, n. 8614/2016), anche se non sono mancate diverse decisioni sotto il profilo del dolo – ritenuto insussistente in tali casi -  o della inoffensività del fatto (Cass. VI, n. 32668/2010Cass. n. 10425/2012).

A giustificazione dell'evasione non può essere dedotta la presunta inidoneità del domicilio sia per la possibilità di chiedere la modifica che per il fatto stesso che si tratta del domicilio indicato dalla parte (Cass. I, n. 7524/2005).

Concorso con altri reati

Si è ritenuto il concorso formale in relazione a vari reati commessi nel contesto di evasioni: per il sequestro di persona (Cass. n. 755/1984), per la rapina (Cass. n. 2369/1985), per la violenza e resistenza a pubblico ufficiale (artt. 336 e 337) (Cass. n. 2369/1985).

Profili processuali

 

Gli istituti

7.1. Gli istituti. Il reato in esame è procedibile d'ufficio ed è di competenza del tribunale monocratico; è prevista la citazione diretta a giudizio nell'ipotesi del primo comma comma e del secondo comma, con esclusione delle ipotesi in cui la violenza o la minaccia siano state commesse con armi o da più persone riunite.

Per esso:

a) Non sono in sé ammissibili le intercettazioni ma le stesse possono essere disposte ai fini di cattura del latitante (art. 295 c.p.p.);

b) Ai sensi dell'art. 3 d.l. n. 152/1991, conv. in  l. n. 203/1991, l'arresto è consentito anche fuori del caso di flagranza è consentito; il fermo non è consentito;

c) E' discusso se, a seguito di convalida dell'arresto, sia consentita l'applicazione della custodia in carcere anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'art. 274, comma primo lett. c) e dall'art. 280 c.p.p. in applicazione dell'art. 391, comma quinto, c.p.p. (in senso positivo, Cass. n. 40994/2015, in senso contrario Cass. VI, n. 16857/2018).

Bibliografia

Ardizzone, Evasione, in Enc. giur.; Iai, Il bene giuridico leso nell’« evasione impropria » (Nota a Cass., sez. VI, 16 febbraio 1999, Cesareo), in Giur. it. 1999; Cantone, L’attenuante della costituzione in carcere nell’ipotesi di evasione dagli arresti domiciliari (Nota a Cass., sez. VI, 13 giugno 2003, Boschi), in Cass. pen. 2005; Cantone, Evasione e procurata evasione [aggiornamento-2010], in Dig. pen., Torino, 2010; Ferrari, Questioni aperte in tema di evasione c.d. « impropria » (Nota a Cass., sez. VI, 10 febbraio 2005, Scardina), in Giur. it. 2006; Folla, Due fattispecie in tema di evasione c.d. « impropria » (Nota a Cass., sez. VI, 30 marzo 1995, Cascalisci e Cass., sez. VI, 13 marzo 1995, Montedoro) in Giur. it. 1996, II, 275; Giannelli-Maglio, I delitti di evasione, in Riv. pen. 2009; Pisa, Evasione, in Dig. pen., Torino, 1990.

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