Codice Penale art. 408 - Vilipendio delle tombe.Vilipendio delle tombe. [I]. Chiunque, in cimiteri o in altri luoghi di sepoltura, commette vilipendio di tombe, sepolcri o urne, o di cose destinate al culto dei defunti, ovvero a difesa o ad ornamento dei cimiteri [425 n. 1, 724 2], è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. competenza: Trib. monocratico arresto: non consentito fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: non consentita altre misure cautelari personali: non consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoFigura tipica inserita nel Titolo IV (denominato ”Dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti“), del Libro Secondo del Codice, precisamente nel Capo II dedicato ai ”Delitti contro la pietà dei defunti“. Esso esige che vengano posti in essere atti di vilipendio, ossia condotte che rappresentino espressione di dispregio e che siano dirette nei confronti di una tomba, di un sepolcro o di un’urna; occorre inoltre che la condotta conforme al paradigma normativo si compia in luoghi ben determinati, vale a dire all’interno di un’area cimiteriale, ovvero in altri siti comunque destinati alla sepoltura. Tali comportamenti devono poi rivelarsi idonei ad arrecare offesa al sentimento collettivo di pietà che è generalmente destinato ai defunti. SoggettiSoggetto attivo Trattasi di un reato comune, come dimostrato dall’utilizzo – ad opera del Legislatore – del termine ”chiunque “ per indicarne l’autore. Bene giuridicoLa fattispecie in commento appresta tutela al sentimento di pietà riservato ai defunti e, correlativamente, ai luoghi che ne accolgono le spoglie mortali. Trattasi di un sentimento profondamente radicato nell’uomo, sin da tempi remotissimi; esso è da reputarsi sostanzialmente indipendente dalle attribuzioni di tipo religioso, che nel corso delle varie epoche storiche spesso vi si sono accompagnate. La deferenza e la devozione che sono riservati ai siti che accolgono i morti costituiscono - secondo il comune modo di sentire - una manifestazione del senso di onore, stima,, rispetto e devozione che generalmente viene riservato ai defunti stessi.
Secondo la dottrina: «Si ritiene che in questo caso siano da ricomprendersi anche i cenotafi, perché ad essere tutelata è in primo luogo la sacralità dei luoghi e non le spoglie mortali dei singoli defunti» (Garofoli, 606). Rammentiamo come per cenotafio si debba intendere un monumento di natura comunque sepolcrale, all’interno del quale non siano però collocati i resti mortali del soggetto in onore del quale esso sia stato edificato o comunque ricavato. MaterialitàCondotta La condotta oggetto di incriminazione si realizza nell’arrecare vilipendio nei confronti di tombe, sepolcri o urne (per le relative nozioni, si veda sub art. 407), ovvero alle res sacrorum (sarebbe a dire a oggetti deputati al culto dei defunti, oppure che siano posti a difesa o ornamento dei cimiteri). Il tutto deve appunto svolgersi, come sopra accennato, in luoghi ben determinati, ossia in un cimitero o in altro luogo comunque destinato ad accogliere resti mortali. Il concetto del vilipendere rimanda al compimento di atti evocativi di disprezzo, scherno o irrisione; di gesti o parole che manifestino denigrazione, disistima, che insomma sviliscano le qualità del destinatario dell’offesa, che lo espongano alla pubblica derisione. La dottrina ha precisato quanto segue: «Per cose destinate al culto dei defunti devono intendersi quelle cose che servono a mantenere viva la memoria dei defunti (croci, statue, lapidi, ecc.). Per cose destinate a difesa o ad ornamento dei cimiteri devono intendersi quelle cose che servono alla protezione o al corredo dei cimiteri, cioè dei luoghi dove sono depositati i resti umani» (Caringella, De Palma, Farini, Trinci, 492); <<Il vilipendio può essere altresì diretto contro le cose destinate al culto dei defunti o a difesa o ad ornamento dei cimiteri. Le prime sono quelle cose che servono a mantenere viva la memoria dei defunti come croci, statue, lapidi ecc.; le seconde, quelle che servono alla protezione dei cimiteri, cioè di luoghi destinati alla deposizione dei resti umani>> (Fiandaca e Musco, 338). Le nozioni di tomba, sepolcro, urna, o di cose destinate al culto dei defunti ovvero a difesa o ad ornamento dei cimiteri Con riferimento alle nozioni di tomba, di sepolcro e di urna è sufficiente operare un richiamo all’approfondimento contenuto nel commento all’articolo che precede. Giova solo ribadire come rientrino sotto l’egida normativa della presente figura delittuosa anche quelle condotte che si rivolgano verso luoghi – quali i cenotafi – che non ospitano spoglie mortali. La dottrina ha chiarito che: «Sono cose destinate al culto dei defunti i simboli sacri, le lapidi e gli epitaffi, i ritratti pittorici e fotografici dei defunti, i ceri, le statue e le cappelle. Sono invece cose destinate a difesa e ornamento dei cimiteri le mura, i cancelli, le porte, o anche le iscrizioni o i monumenti non pertinenti a una determinata tomba o sepolcro o urna>> (Garofoli, 607). La nozione di cimitero o altro luogo di sepoltura Per cimitero si intende un sito deputato ad accogliere le spoglie mortali; si può trattare sia di spazi a tanto destinati ad opera della pubblica autorità competente, sia di aree di pertinenza di altre strutture, quali ad esempio conventi o chiese, ma anche i sepolcri provvisori e gli ossari di guerra. Luoghi di sepoltura sono gli spazi anche di appartenenza privata, che ospitano resti umani. Così si è espressa la dottrina: “Cimitero è il luogo normalmente destinato alla sepoltura dei cadaveri ed alla custodia delle ceneri. Altri luoghi di sepoltura sono tutti quelli, diversi dai cimiteri, in cui si trovi una tomba, un sepolcro o, comunque, sia seppellito un cadavere (ossari di guerra, sepolcreti provvisori, etc.). Non sono né cimiteri, né altri luoghi di sepoltura il monumento al Milite Ignoto e le tombe private autorizzate>> (Delpino e Pezzano, 202). Forma della condotta Si tratta di una figura tipica strutturata secondo lo schema dei reati a forma libera. Essa può allora essere integrata mediante la realizzazione di ogni fatto che si riveli atto ad apportare vilipendio a quanto specificamente indicato nel dettato normativo. Le condotte di oltraggio possono quindi sostanziarsi in parole o scritti, ma anche in imbrattamenti e insozzamenti, a patto che vengano poste in essere nei sopra detti luoghi e si rivolgano verso gli oggetti già indicati. Il delitto è costruito come reato commissivo; la forma commissiva mediante omissione è pure immaginabile, ma solo a fronte di uno specifico obbligo – gravante su un soggetto ben determinato – di impedire l’evento. Trattasi di reato di offesa. Evento Il delitto in esame costituisce reato di evento se si intende scindere - sotto il profilo concettuale – la condotta vilipendiosa atta ad arrecare offesa alla pietas riservata ai deceduti, dalla comprensione empirica di tale condotta, ad opera di almeno un altro soggetto. Laddove al contrario non voglia operarsi tale distinguo, ritenendosi ininfluente che l’offesa venga percepita da altri, tale figura dovrebbe essere considerata alla stregua di reato di mera condotta. Elemento soggettivoLa fattispecie in commento postula la sussistenza del solo dolo generico, che si sostanzia nella coscienza e volontà di vilipendere una tomba, un sepolcro, un’urna, ovvero cose destinate al culto dei defunti, ovvero poste a difesa o ad ornamento di cimiteri. Occorre poi la coscienza della connotazione offensiva della condotta. Il reato in commento non è previsto nella declinazione di reato colposo. Consumazione e tentativoConsumazione È un reato che giunge a consumazione nel tempo e nel luogo in cui si concretizza la condotta vilipendiosa. Secondo la dottrina, “La consumazione del reato avviene nel luogo di sepoltura ovvero nel cimitero, nel momento in cui si manifesta il vilipendio alla tomba, al sepolcro, all’urna ovvero alla cosa di culto o destinata a difesa od ornamento del cimitero>> (Caringella, De Palma, Farini, Trinci, 492). Tentativo Nessun dubbio sussiste, in ordine alla possibilità di ritenere integrato il tentativo, in presenza di una condotta idonea e inequivocamente diretta a vilipendere – in cimitero o altro luogo di sepoltura - le cose che rappresentano l’oggetto materiale dell’aggressione. Rapporti con altre figure delittuose .Risulta ben immaginabile il concorso fra il reato in commento e altre fattispecie incriminatrici, occorrendo solo che la condotta contenga un quid pluris, rispetto al mero fatto vilipendioso (quindi che il fatto ulteriore eventualmente concorrente non rappresenti esso stesso forma di manifestazione del modello legale in commento). Il caso di più immediata percezione attiene al possibile concorso con il reato di danneggiamento ex art. 635. Non si può escludere poi il concorso con il delitto di diffamazione, dovendosi ricordare che l’art. 597 riserva ai prossimi congiunti di un defunto la facoltà di querelare chi si adotti espressioni offensive della memoria di quest’ultimo (Caringella, De Palma, Farini, Trinci, 492). CasisticaI Giudici di legittimità (Cass. III, n. 43093/2021) hanno ribadito come il fatto tipico in commento si connoti per la presenza del dolo generico, in relazione al quale è bastevole la coscienza e volontà di porre in essere l'atto di vilipendio, accompagnato dalla consapevolezza in ordine alla specificità dei luoghi che – stando al dettato normativo – devono divenire teatro della condotta. Non assume quindi rilevanza alcuna l'atteggiamento interiore, attinente al movente dell'azione; nemmeno occorre che sussista la volontà di recare offesa ad un defunto ben individuato. Nella medesima decisione, la Corte ha altresì spiegato come il paradigma normativo de quo si realizzi attraverso il compimento di atti evocativi di spregio e denigrazione, nei confronti di cose che siano state allocate nei luoghi deputati ad accogliere i defunti. Oggetti quindi che devono svolgere la funzione di richiamare il sentimento di pietà riservato a questi ultimi. La condotta può poi sostanziarsi nello sporcare tali oggetti, nel marcarli con grafica significativa di disprezzo, nel rimuoverli pure in parte, sostituendoli con altre cose di differente significazione. Il reato sussiste anche se il soggetto agente si sia proposto di manifestare oltraggio non al defunto, bensì alla persona che tali oggetti aveva colà sistemato (si veda anche Cass. III, n. 4038/1985). Profili processualiGli istituti Si è in presenza di un reato procedibile d'ufficio, in relazione al quale è competente il Tribunale monocratico. Per tale reato: a) non sono consentiti né l'arresto in flagranza, né il fermo; b) non si possono applicare la custodia in carcere e le altre misure cautelari personali. BibliografiaCaringella, De Palma, Farini, Trinci, Manuale di Diritto Penale – Parte Speciale, Roma, 2015; Chiarotti, Defunti (delitti contro la pietà dei), in Enciclopedia del Diritto, Milano, 1962; Delpino e Pezzano, Manuale di Diritto Penale – Parte Speciale, Napoli, 2015; Fiandaca, Pietà dei defunti (delitti contro la), in Enciclopedia Giuridica, XXIII, Roma, 1990; Fiandaca e Musco, Diritto Penale, Parte speciale, Vol. I, Bologna, 1988; Garofoli, Manuale di Diritto Penale – Parte Speciale, Tomo I, Roma, 2015; Romano, Secolarizzazione, diritto penale moderno e sistema dei reati, in AA.VV., Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno, a cura di Lombardi Vallauri-Dilcher, Milano, 1981; Rossi Vannini, Pietà dei defunti (delitti contro la), in Digesto penale, IX, Torino, 1995; Siracusano, I delitti in materia di religione. Beni giuridici e limiti dell’intervento penale, Milano, 1983. |