Codice Penale art. 416 ter - Scambio elettorale politico-mafioso 1 2 .

Marco dell'Utri
Sergio Beltrani

Scambio elettorale politico-mafioso  12.

[I]. Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all'articolo 416-biso mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità o in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione mafiosa è punito con la pena stabilita nel primo comma dell'articolo 416-bis.

[II]. La stessa pena si applica a chi promette, direttamente o a mezzo di intermediari, di procurare voti nei casi di cui al primo comma.

[III]. Se colui che ha accettato la promessa di voti, a seguito dell'accordo di cui al primo comma, è risultato eletto nella relativa consultazione elettorale, si applica la pena prevista dal primo comma dell'articolo 416-bis aumentata della metà.

[IV]. In caso di condanna per i reati di cui al presente articolo, consegue sempre l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

 

competenza: Trib. collegiale

arresto: facoltativo (1° e 2° comma); obbligatorio (3° comma)

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita (ma v. art. 275, comma 3, c.p.p.)

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

[1] Articolo inizialmente inserito nel codice penale dall’art. 11-ter d.l. 8 giugno 1992, n. 306, conv. dalla l. 7 agosto 1992, n. 356.  Il testo originario della disposizione prevedeva quanto segue: « La pena stabilita dal primo comma dell’articolo 416-bis si applica anche a chi ottiene la promessa di voti prevista dal terzo comma del medesimo articolo 416-bis in cambio della erogazione di denaro ». Per effetto dell’art. 1 l. 17 aprile 2014, n. 62, in vigore dal 18 aprile 2014, la disposizione fu così riformulata: « Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. – La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma». Per effetto del successivo  art. 1, comma 5, l. 23 giugno 2017, n. 103, in vigore dal 3 agosto 2017, le parole « da quattro a dieci anni » furono sostituite dalle parole « da sei a dodici anni ». L' articolo è stato da ultimo sostituito dall’art. 1 l. 21 maggio 2019, n. 43, in vigore dall'11 giugno 2019.

[2] V., per una particolare aggravante, l’art. 71 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, sub art. 270-bis.

Inquadramento

La disciplina del reato di scambio elettorale politico-mafioso, nel descrivere il carattere penalmente rilevante della promessa o dell'accordo concluso secondo il tenore della norma in commento, prevede due distinte condotte penalmente rilevanti, consistenti, da un lato, nell'accettare, in occasione di competizioni di carattere politico o amministrativo, la promessa di procurare voti attraverso il ricorso al cosiddetto ‘metodo mafioso' (art. 416-bis) in cambio dell'erogazione (o della promessa di erogazione) di denaro o di altra utilità; e, dall'altro, nel promettere di procurare voti mediante il ricorso alle medesime modalità.

Il reato in esame è diretto alla tutela dell'ordine pubblico, inteso quale ordinato sviluppo della vita civile, con particolare riguardo allo svolgimento dei procedimenti elettorali di selezione della classe politica e amministrativa, significativamente compromessi dalle distorsioni indotte dalla violenza mafiosa e dal connubio tra mafia e politica.

La pena per il reato in commento è stata aumentata, dall’art. 1, comma 5, l. n. 103/2017, dalla reclusione da quattro a dieci anni, a quella della reclusione da sei a dodici anniLa norma incriminatrice in esame è stata significativamente novellata, sotto più profili, dalla legge n. 43 del 2019 (cfr. amplius § 9. ss.).

Soggetti

Soggetto attivo

Il delitto in esame, nella forma dell'accettazione della promessa, può essere commesso da chiunque, tanto se direttamente candidato a una competizione politico-amministrativa, quanto se agente in nome o per conto di questi, purché estraneo a un'associazione di tipo mafioso (dovendosene diversamente predicare la diretta partecipazione al sodalizio: Fiandaca e Musco, 499). Nella forma nel rilascio della promessa, il reato può essere commesso da un qualunque soggetto, purché legato a un gruppo di tipo mafioso.

Nel caso di accettazione della promessa, trattandosi di un reato-contratto (ossia di una condotta penalmente rilevante che consiste nella conclusione di un accordo avente i contenuti definiti dalla legge), lo stesso può essere integrato unicamente dalla partecipazione di (almeno) due persone.

Bene giuridico

Il reato di scambio elettorale politico-mafioso tutela (quale bene giuridico) l'ordine pubblico (su cui v. artt. 414 ss.) nella sua materiale consistenza che si esprime nell'ordinato svolgimento della vita comune da cui dipende il sentimento della tranquillità della comunità civile. In particolare, il reato in esame colpisce l'ordine pubblico in occasione di quei particolari momenti legati alla selezione della classe dirigente politico-amministrativa (coincidenti con i procedimenti elettorali); momenti che appaiono particolarmente e significativamente distorti o pregiudicati dall'esercizio della violenza nelle forme dell'intimidazione mafiosa, esercitata in conformità al cosiddetto metodo descritto dall'art. 416-bis, segnatamente nei casi di connubio tra classe politica e criminalità mafiosa.

Secondo la giurisprudenza, il reato di scambio elettorale politico-mafioso è integrato dalla promessa di voti elettorali in cambio di somme di denaro o altra utilità fatta a un candidato da un personaggio di spicco di un'organizzazione mafiosa mediante l'assicurazione dell'intervento dei membri della stessa organizzazione, ed è volto a tutelare l'ordine pubblico, leso da qualsiasi connubio tra politica e mafia (Cass., II, n. 23186/2012).

La ragione giustificatrice dell'introduzione dell'illecito penale in esame andrebbe quindi individuata nell'esigenza di prevenire la stipulazione di accordi tra organizzazioni mafiose ed esponenti politici candidati alle elezioni: accordi aventi a contenuto la promessa di un appoggio elettorale con metodo mafioso, in cambio della prestazione di utilità da parte dei candidati stessi (Fiandaca e Musco, 498). Il legislatore avrebbe dunque sentito la necessità di criminalizzare specificamente la condotta di erogazione di denaro, sul presupposto che nessun altro tipo di accordo elettorale potrebbe esser punito, in quanto tale, sotto il titolo del reato associativo (Fiandaca, 129; contra, Grosso, 122).

Il delitto di scambio elettorale politico-mafioso è un reato di pericolo che va accertato in relazione alla concreta idoneità della promessa mafiosa o dell'accordo concluso tra i due contraenti a porre in pericolo l'ordine pubblico. In particolare, ai fini della configurabilità del delitto, trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente che, nell'accordo concernente lo scambio tra voto e denaro o altra utilità, il soggetto che s'impegna a reclutare i suffragi sia persona la quale esercita un condizionamento diffuso fondato sulla prepotenza e sulla sopraffazione, e le cui indicazioni di voto sono percepite all'esterno come provenienti da un sodalizio mafioso, mentre non sono necessarie né l'attuazione né l'esplicita programmazione di una campagna attuata mediante intimidazioni (Cass., VI, n. 37374/2014).

Materialità

Modalità della condotta

Le condotte che integrano il reato in commento consistono nell'accettare, ovvero nel rilasciare, la promessa di procurare voti avvalendosi della condizione di assoggettamento e di omertà che deriva, a carico dei soggetti i cui voti risulteranno procurati, dall'intimidazione esercitata dal promittente in connessione ai rapporti da questi intrattenuti con un sodalizio di natura mafiosa. Tale promessa viene rilasciata — e accettata — dietro l'erogazione (o la promessa di erogazione), in favore del promittente, di denaro o altra utilità.

La promessa consiste nell'assunzione, da parte dell'agente, del vincolo (di evidente indole morale, attesa l'invalidità giuridica del patto), in cambio dell'erogazione di denaro o di utilità, avente come contenuto l'impegno di procurare voti in favore di un candidato, in occasione di consultazioni elettorali, attraverso la forza d'intimidazione del vincolo associativo tipico delle organizzazioni a delinquere di tipo mafioso e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva (Cass. V, n. 23005/2013).

L'accettazione della promessa si materializza nella prestazione del consenso rispetto a quanto prospettato dal promittente; tanto se quest'ultimo si sia determinato spontaneamente a formulare la proposta, quanto se tale proposta sia stata avanzata a seguito della corrispondente sollecitazione della controparte.

Ai fini della configurabilità del reato, l'oggetto materiale dell'erogazione offerta in cambio della promessa di voti può essere rappresentato non solo dal denaro, ma da qualsiasi bene traducibile in un valore di scambio immediatamente quantificabile in termini economici (ad es., mezzi di pagamento diversi dalla moneta, preziosi, titoli, valori mobiliari, ecc.), restando invece escluse dal contenuto precettivo della norma incriminatrice altre “utilità” che solo in via mediata possono essere oggetto di monetizzazione (Cass. VI, n. 20924/2012; fattispecie nella quale l’utilità oggetto dello scambio elettorale politico-mafioso era consistita nel permettere agli esponenti del sodalizio criminale di occupare per lungo tempo e sine titulo un immobile di proprietà comunaleCass. II, n. 46922/2011).

In conformità alla descrizione legislativa della condotta tipica, deve escludersi, ai fini della consumazione del reato, l'effettivo compimento delle attività d'intimidazione, secondo le forme di cui all'art. 416-bis, da parte del promittente, ovvero l'effettiva consegna del denaro o il concreto conseguimento delle utilità previste quali corrispettivo dell'attività volta a procurare i voti (Cass. VI, n. 37374/2014). In tal senso, ai fini della sussistenza del reato di scambio elettorale politico-mafioso, non è necessario che, nello svolgimento della campagna elettorale, vengano posti in essere singoli e individuabili atti di sopraffazione o di minaccia, ma è sufficiente che l'indicazione di voto sia percepita all'esterno come proveniente dal ‘clan' e come tale sorretta dalla forza intimidatrice del vincolo associativo (Cass. I, n. 3859/2004).

Successione di leggi nel tempo

A seguito della legge n. 62/2014 (modificativa dell'art. 416-ter), un isolato orientamento ha inizialmente ritenuto penalmente irrilevanti le condotte consistenti in pattuizioni politico-mafiose che non abbiano espressamente previsto, quale contenuto dell'accordo, l'impegno del gruppo malavitoso ad attivarsi nei confronti del corpo elettorale anche dispiegando concretamente, se necessario, il proprio potere di intimidazione per il procacciamento dei voti (Cass. VI, n. 36382/2014).

In senso contrario, l'orientamento ormai assolutamente dominante ritiene che la predetta modifica normativa, riguardante il contenuto dell'accordo criminoso, non abbia comportato una parziale abolitio criminis, in quanto, anche nel vigore della precedente formulazione della norma, occorreva, ai fini della configurazione del reato, la promessa di acquisizione del consenso elettorale facendo ricorso alle tipiche modalità mafiose della sopraffazione e dell'intimidazione (Cass. I, n. 36079/2016); nel medesimo senso, si è ribadito che, ai fini della configurabilità del delitto nel testo vigente dopo le modifiche introdotte dalla l. n. 62/2014, deve escludersi la necessità che l'accordo contempli l'attuazione (o l'esplicita programmazione) di una campagna elettorale mediante intimidazioni quando il soggetto che s'impegna a reclutare i suffragi è persona legata a una consorteria di tipo mafioso, ed agisce per conto e nell'interesse di quest'ultima, poiché in tal caso il ricorso alle modalità di acquisizione del consenso tramite la modalità di cui all'art. 416-bis può dirsi immanente all'illecita pattuizione ( Cass. VI, n. 16397/2016 Cass. VI, n. 25302/2015 ). Qualora il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi sia una persona estranea alla consorteria di tipo mafioso, ovvero un soggetto intraneo che agisca uti singulus, é necessaria la prova della pattuizione delle modalità di procacciamento del consenso con metodo mafioso (Cass. I, n. 19230/2016: la S.C. ha precisato che, diversamente, detta prova può ritenersi manifesta nel caso in cui il promittente sia un intraneo che agisce in rappresentanza e nell'interesse dell'associazione, atteso che la logica causale della scelta di quello specifico interlocutore, da parte del candidato, è determinata proprio dalla sua fama criminale e dalle modalità con cui sarà attuato il reclutamento elettorale).

Forma della condotta

Il reato in esame è un reato a forma libera, nel senso che, tanto la promessa quanto la sua accettazione, possono rivestire qualsivoglia forma comunicativa idonea a consentire l’incontro delle volontà criminose delle parti.

Natura della condotta

Le condotte dirette a integrare la fattispecie criminosa dello scambio elettorale politico-mafioso sono tutte attive, non potendo ipotizzarsene la realizzazione in forma meramente omissiva. In tal senso, deve escludersi il carattere propriamente omissivo dell’atteggiamento inerte o del silenzio (dell’agente cui in ipotesi si predichi l’adesione all’accordo) obiettivamente interpretato, alla luce delle circostanze concrete e degli indici di fatto rigorosamente individuabili in concreto, come inequivoca espressione di una manifestazione di volontà di accettazione o di rilascio della promessa descritta dall’articolo in commento; in tal caso, infatti, il comportamento dell’agente deve comunque intendersi alla stregua di una forma (positiva) di manifestazione concreta (seppur non dichiarativa) della propria volontà criminale.

Evento

Il delitto di scambio elettorale politico-mafioso è un reato di mera condotta, consistente nel compimento dell'atto di accettazione, ovvero nel rilascio della promessa diretta al compimento delle attività criminali descritte dalla norma in commento.

Nel solo caso in cui si ritenga di dover subordinare la rilevanza penalistica delle condotte in esame alla disciplina civilistica degli atti di promessa e accettazione (disconoscendone, dunque, il significato penalistico per il caso della relativa invalidità o inefficacia per motivi diversi dall'illiceità penale), varrà porsi il problema (proprio dei c.d. atti ricettizi, ossia degli atti che assumono efficacia solo ove giunti a conoscenza dei relativi destinatari) della valenza tipica dell'evento costituito dalla conoscenza della promessa (o, correlativamente, dell'accettazione) ad opera della controparte. Da tale punto di vista (come di regola avviene nella riflessione sulle figure dei c.d. reati-contratto), un valore decisivo assumerà il richiamo al significato dei principi di offensività e di colpevolezza, al fine di intendere l'effettiva volontà del legislatore sul terreno dell'anticipazione della tutela del bene giuridico.

Scambio elettorale politico-mafioso e concorso ‘eventuale' nell'associazione a delinquere

Ai fini della commissione del reato di scambio elettorale politico-mafioso è sufficiente un accordo elettorale tra l'uomo politico e l'associazione mafiosa, avente per oggetto la promessa di voti in cambio del versamento di denaro, mentre non è richiesta la conclusione di ulteriori patti che impegnino l'uomo politico ad operare in favore dell'associazione in caso di vittoria elettorale. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui tali ulteriori patti vengano conclusi, occorre accertare se la condotta successivamente posta in essere dal predetto a sostegno degli interessi dell'associazione che gli ha promesso o procurato i voti assuma i caratteri della partecipazione ovvero del concorso esterno all'associazione medesima, configurandosi, oltre il reato sopra indicato, anche quello di cui all'art. 416-bis (Cass., VI, n. 43107/2011; Cass. I, n. 19092/2021).

Al riguardo, varrà evidenziare come la condotta di ‘concorso esternò nel delitto associativo di tipo mafioso — consistendo in un qualunque contributo (purché concreto, specifico, consapevole e volontario), da parte di persona priva dell'affectio societatis ed estranea alla struttura, che eserciti un'effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento dell'associazione, e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del suo programma criminoso — ben può connettersi a un accordo mediante cui un esponente politico s'impegni, in cambio della promessa di voti nell'ambito di elezioni amministrative, a favorire l'organizzazione criminale nell'aggiudicazione di appalti ed in genere nei futuri rapporti con la P.A. Rispetto a tale ipotesi, la specifica previsione di cui all'articolo in commento mira piuttosto a estendere la punibilità ai casi nei quali lo scambio elettorale politico-mafioso, non risolvendosi in un contributo al mantenimento o rafforzamento dell'associazione, resterebbe irrilevante secondo il combinato disposto degli artt. 110 e 416-bis (Cass., I, n. 4043/2003).

Ciò posto, mentre nel reato di scambio elettorale politico-mafioso non è necessario che il politico aderisca, quale componente o concorrente esterno, alla struttura malavitosa (essendo semplicemente previsto che egli abbia ottenuto promessa di appoggio elettorale, contro effettivo versamento di denaro), nell'ipotesi in cui l'associazione mafiosa s'impegni per ostacolare il libero esercizio del diritto di voto o per procurare voti ad un determinato candidato (art. 416-bis comma 3, ultima parte), quest'ultimo o sarà un aderente, a pieno titolo, alla suddetta associazione, ovvero, in quanto uomo politico estraneo all'associazione, ma disponibile al soddisfacimento delle esigenze della stessa, potrà eventualmente rivestire, in ragione del suo concreto comportamento, il ruolo di concorrente esterno; ciò in quanto, anche se non intraneus alla societas sceleris, potrà allacciare con la stessa un rapporto collaborativo ed una relazione di reciproca utilità (Cass., V, n. 4893/2000).

La giurisprudenza (Cass. II, n. 45402/2018; conforme, in precedenza, Cass. S.U., n. 33748/2005, in motivazione)ha, da ultimo, chiarito che il concorso esterno nel reato di associazione di tipo mafioso è configurabile anche nell'ipotesi del "patto di scambio politico-mafioso", in forza del quale un uomo politico, non inserito stabilmente nel tessuto organizzativo dell'associazione, si impegna, a fronte dell'appoggio richiesto all'associazione mafiosa in vista di una competizione elettorale, a favorire gli interessi del gruppo. Per l'integrazione del reato è necessario che:

a) gli impegni assunti dal politico a favore dell'associazione mafiosa presentino il carattere della serietà e della concretezza, in ragione della affidabilità e della caratura dei protagonisti dell'accordo, dei caratteri strutturali del sodalizio criminoso, del contesto storico di riferimento e della specificità dei contenuti;

b) all'esito della verifica probatoria ex post della loro efficacia causale, risulti accertato, sulla base di massime di esperienza dotate di empirica plausibilità, che gli impegni assunti dal politico abbiano inciso effettivamente e significativamente, di per sé ed a prescindere da successive ed eventuali condotte esecutive dell'accordo, sulla conservazione o sul rafforzamento delle capacità operative dell'intera organizzazione criminale o di sue articolazioni settoriali.

Rapporti con altri reati

Nel delitto di scambio elettorale politico-mafioso, il ricorso all'intimidazione ovvero alla prevaricazione mafiosa, con le modalità precisate nel terzo comma dell'art. 416-bis, per impedire ovvero ostacolare il libero esercizio del voto e per falsare il risultato elettorale, assume un valore determinante ai fini ai fini della distinzione tra la figura di reato in questione e i similari illeciti elettorali di cui agli artt. 96 e 97 T.U. delle leggi elettorali approvato con d.P.R. n. 361/1957 (Cass., VI, n. 18080/2012).

Il reato di corruzione elettorale e il delitto di scambio elettorale politico-mafioso, infatti, differiscono tra loro in quanto nel primo di essi viene punito il candidato che, per ottenere il voto, offre, promette o somministri danaro, valori ovvero qualsiasi altra utilità, mentre nel secondo la promessa di voti viene fatta, in cambio di erogazione di denaro, da un aderente a associazione mafiosa mediante l'assicurazione dell'intervento di membri della medesima, sì che in esso è tipico il ricorso alla forza d'intimidazione derivante dal vincolo associativo mafioso (Cass., I, n. 27655/2012); è stato conseguentemente ritenuto configurabile il concorso formale tra i due reati, che si pongono in rapporto di specialità reciproca tra loro (Cass. I, n. 19230/2016).

Elemento soggettivo

Il dolo

Il delitto in esame richiede la coscienza e volontà di accettare, ovvero di rilasciare, una promessa intesa a procurare voti mediante il ricorso al cosiddetto metodo mafioso, dietro l'erogazione (o la promessa di erogazione) di denaro o altra utilità.

La colpa

Il reato di scambio elettorale politico-mafioso non è punibile a titolo di colpa.

Consumazione

Il delitto di scambio elettorale politico-mafioso si consuma al momento delle reciproche promesse, indipendentemente dalla materiale erogazione del denaro, essendo rilevante — per quanto attiene alla condotta dell'uomo politico — la sua disponibilità a venire a patti con la consorteria mafiosa, in vista del futuro e concreto adempimento dell'impegno assunto in cambio dell'appoggio elettorale (Cass., I, n. 32820/2012; Cass., V, n. 4293/2002).

Neppure rilevante, ai fini della consumazione, deve ritenersi la circostanza dell'ottenimento concreto dei voti, da parte dell'associazione criminale (Fiandaca e Musco, 500).

Casistica

La promessa di voti elettorali fatta, in cambio di somme di danaro, a un candidato da personaggio di spicco di un'associazione mafiosa mediante l'assicurazione dell'intervento di membri dell'associazione stessa integra il reato di cui all'art. 416-ter e non quello previsto dall'art. 96 d.P.R. n. 361/1957 (offerta di denaro o altra utilità ad elettori per ottenerne il voto), dovendosi ravvisare nell'apporto attivo degli aderenti al sodalizio criminoso il ricorso alla forza d'intimidazione derivante dal vincolo associativo (Cass., VI, n. 10785/2004).

Le novità introdotte dalla legge n. 43 del 2019

L'art. 416-ter è stato profondamente novellato sotto più profili dalla legge n. 43 del 2019, in vigore dall'11 giugno 2019.

Al dichiarato fine di rendere più incisiva la «  risposta punitiva nei confronti di un fenomeno di elevato allarme sociale qual è la contiguità politico-mafiosa di tipo elettorale e, soprattutto, la facile aggregazione di consensi intorno a leggi che incidono su fatti diffusamente disapprovati dalla collettività, ma senza generare oneri economici a carico dello Stato  » (Amarelli, 2019), la novella ha interessato non soltanto il trattamento sanzionatorio (inasprito attraverso un triplice intervento, ovvero attraverso l'innalzamento della pena edittale, la previsione di una nuova pena accessoria e di una nuova circostanza aggravante), ma anche il precetto (modificato attraverso l'ampliamento del novero dei possibili soggetti attivi e la previsione che il reato è integrato anche dalla mera disponibilità del promissario “a soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione mafiosa”).   

Secondo la dottrina (Amarelli, 2019), alla novella va riconosciuta una mera “valenza simbolico-espressiva”, in quanto “ nessuno dei cambiamenti realizzati appare convincente”, poiché alcuni “risultano del tutto irrilevanti”, altri “assolutamente irrazionali” ; peraltro, come si vedrà in sede di esame delle singole modifiche, questo giudizio aspramente critico ci appare non del tutto condivisibile.

Soggetto attivo

 La novella precisa che sia la promessa che l'accettazione possono avere luogo “direttamente o a mezzo di intermediari”; si precisa, inoltre, che la promessa di procurare voti può esse fatta “da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all'articolo 416-bis”: quest'ultima modifica “punta ad evitare che la punizione della condotta di scambio evapori in presenza delle cc.dd. mafie silenti, per le quali il ricorso al metodo dell'intimidazione e dell'assoggettamento si rende meno evidente e meno sistematico” (Cisterna, 2019).

La prima modifica appare, in realtà, priva di un concreto effetto innovativo poiché l'art. 416-ter sanzionava, in precedenza, “chiunque”, e quindi anche il mero “intermediario”; anche a prescindere da tale rilievo, non appare dubbio che, in precedenza, la condotta tenuta da un intermediario potesse assumere rilevanza penale quanto meno quale contributo concorsuale ex art. 110 c.p. La novella si è, al più, limitata a prevedere come tipico un contributo concorsuale in precedenza atipico, ma non ha certo introdotto una nuova incriminazione.

Anche l'espressa previsione che il soggetto che promette di procurare i voti possa essere anche un soggetto intraneo al sodalizio di tipo mafioso ha destato perplessità: “non solo pure in questo caso la previsione pregressa già annoverava tali soggetti tra i possibili autori del delitto, rivolgendosi indistintamente a chi prometteva di procurare i voti senza distinzioni di sorta, ma questa volta sorgono non pochi dubbi su come debba intendersi questa categoria di soggetti “appartenenti” a clan mafiosi; vale a dire, se a tal fine si debba richiedere la condanna definitiva per il delitto di cui all'art. 416-bis c.p.. oppure ci si possa accontentare di altro, come, ad esempio, una condanna di primo grado, l'applicazione di una misura cautelare o di una misura di prevenzione” (Amarelli, 2019).

A nostro avviso, peraltro, la seconda modifica ha una valenza meramente descrittiva, ma è in realtà priva di un concreto effetto innovativo poiché, anche in precedenza, la corrispondente condotta, se tenuta da un soggetto intraneo al sodalizio di tipo mafioso (come, invero, è fisiologico che nella maggior parte dei casi accada) assumeva rilevanza penale ex art. 416-ter.

Non appare inopportuno precisare che, secondo tecnica di incriminazione consueta (cfr., ad esempio, artt. 648 ss. quanto all'individuazione del reato presupposto), non occorre che l'appartenenza del promittente alle associazioni di cui all'articolo 416-bis sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, ben potendo essere accertata incidentalmente nell'ambito del processo avente ad oggetto il delitto di cui all'art. 416-ter; e dovrà trattarsi di vera e propria appartenenza alle predette associazioni, non essendo sufficiente il mero accertamento del ricorrere dei presupposti per l'applicazione al soggetto in questione di una misura di prevenzione.

Segue. Conseguenze in tema di successione di leggi nel tempo

La dottrina (Amarelli, 2019) ha osservato che la prima modifica “potrebbe dare vita a qualche incertezza sul fronte del diritto intertemporale, portando la giurisprudenza ad interrogarsi se tale puntualizzazione non rappresenti una nuova incriminazione”.

Trattasi di dubbi che non ci sentiamo di condividere, poiché riteniamo pacifica la rilevanza penale delle condotte degli intermediari anche ante-novella: in realtà, si è al cospetto (non di una nuova incriminazione, bensì) di una modifica che si pone in continuità normativa con la precedente fattispecie di reato; naturalmente, per i fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della novella troveranno applicazione le più favorevoli disposizioni previgenti in tema di circostanze aggravanti e trattamento sanzionatorio.

Ad analoghe conclusioni riteniamo si debba giungere anche con riguardo alla seconda modifica.

La condotta

Per quanto riguarda la materialità del reato, ed in particolare le modalità della condotta, la novella ha incriminato anche chi accetta (direttamente od a mezzo di intermediari) la promessa di procurargli voti, assicurando, in cambio, la mera “disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione mafiosa”.

Particolarmente critico è il giudizio della dottrina su questa innovazione: “essa appare poco ragionevole e difficilmente compatibile con i principi di offensività, extrema ratio e proporzionalità della pena, andando ad incriminare con le stesse pene comminate per altri comportamenti più determinati e gravi una condotta decisamente meno disvalorata qual è la semplice disponibilità futura ed incerta del candidato o del suo intermediario a soddisfare in modo indistinto le richieste della associazione. Se davvero si voleva allargare così tanto il raggio di azione della fattispecie includendovi anche condotte prodromiche come questa, forse sarebbe stato più opportuno prevedere una figura autonoma o una circostanza attenuante ad effetto speciale per disciplinare in modo meno severo tale eventualità, sulla falsariga di quanto già fatto in materia di corruzione per la funzione e per la corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, dove si è differenziata ragionevolmente la risposta sanzionatoria sulla scorta della tipologia più o meno concreta e definita della prestazione di una delle parti di quell'accordo illecito, la semplice funzione o l'atto contrario ai doveri di ufficio” (Amarelli, 2019).

La citata dottrina ha, inoltre, giudicato “del tutto irrilevante (…) l'aggiunta dell'aggettivo indefinito “qualunque” prima della locuzione “altra utilità”, dal momento che già quest'ultima era talmente ampia da poter ricomprendere al suo interno le più disparate forme di vantaggio che un soggetto poteva trarre da un patto elettorale illecito, sia di natura patrimoniale che di altro tipo”.

Trattasi di una affermazione apodittica, che non considera lo stato della giurisprudenza e non può essere condivisa: come già ricordato supra, la giurisprudenza era, in precedenza, orientata nel senso che l'oggetto materiale dell'erogazione offerta in cambio della promessa di voti poteva essere rappresentato dal denaro o da qualsiasi altro bene suscettibile di essere tradotto in un valore di scambio immediatamente quantificabile in termini economici (ad es., mezzi di pagamento diversi dalla moneta, preziosi, titoli, valori mobiliari, ecc.), ma non anche da altre “utilità” solo in via mediata suscettibili di essere monetizzate (Cass. VI, n. 20924/2012; Cass. II, n. 46922/2011); la novella ha, all'evidenza, inteso superare questo “distinguo”, prevedendo che il reato in esame è configurabile quale che sia la natura dell'utilità che ne sia derivata in favore del promittente.

Conseguenza in tema di successione nel tempo

Le nuove incriminazioni disposte dalla novella con riferimento alle modalità della condotta possono naturalmente avere ad oggetto unicamente condotte commesse dopo l’11 giugno 2019.

Circostanze aggravanti

La novella ha introdotto una nuova circostanza aggravante ad effetto speciale, prevedendo un aumento della pena prevista per il reato non circostanziato (nella misura fissa della metà della pena base) nel caso che il candidato alle elezioni che ha accettato la promessa di voti incriminata sia risultato eletto nella relativa competizione elettorale.

Secondo la dottrina, “anche l'irragionevolezza di questa ipotesi circostanziale è macroscopica, tanto quanto la sua incompatibilità con il principio rieducativo e con quello di proporzionalità della pena. Innanzi tutto, non si comprende su cosa risieda l'aumento di pena in questo caso, essendo collegato ad un dato neutro e potenzialmente indipendente dal voto di scambio qual è l'elezione del candidato e comunque indimostrabile in sede processuale considerando il principio della segretezza del voto che non consentirebbe mai di poter verificare se effettivamente gli elettori compulsati dal mafioso abbiano rispettato le ‘consegne' e, dunque, abbiano inciso causalmente con i loro voti sull'esito della consultazione elettorale. Inoltre, la previsione di un aumento di pena fisso, peraltro della metà di una pena base già elevatissima, produce l'esito paradossale di infliggere una pena di 22 anni al politico beneficiario della promessa e, quindi, una pena ben più alta di quella riservata dal codice ad un partecipe effettivo di una associazione mafiosa e, addirittura, ad un suo vertice, prevedendo il primo comma una pena massima di 18 anni di reclusione. Senza trascurare che una variazione di pena così consistente ma non modulabile in base alle peculiari situazioni di fatto impedisce quella individualizzazione della risposta sanzionatoria che è alla base della istanza rieducativa a cui tutte le sanzioni penali devono tendere per espressa indicazione costituzionale” (Amarelli, 2019).

Ancora una volta, si tratta di perplessità che non possono essere incondizionatamente condivise.

La ratio della previsione risiede all'evidenza nel pericolo per la “purezza” delle dinamiche politico-elettorali, maggiormente inquinata in caso di elezione, piuttosto che di non elezione, di candidati che abbiano preventivamente accettato promesse di sostegno elettorale in odore di mafiosità, e rientra certamente nella discrezionalità del legislatore prevedere in questo caso un inasprimento di pena, a maggior tutela di un bene – interesse di rilievo centrale nell'ambito del disegno costituzionale.

Tuttavia, i più recenti orientamenti della Corte costituzionale (cfr., ad esempio, Corte cost. n. 222/2018, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 216, ultimo comma, l. fall., nella parte in cui disponeva che « la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa », anziché: « la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni ») impongono di interrogarsi sulla legittimità di una circostanza aggravante che preveda aumenti di pena in misura fissa, predeterminata dal legislatore, in quanto non modulabili dal giudice, a discapito delle esigenze d'individualizzazione del trattamento sanzionatorio.

Non si tratta, invero, di una disciplina strutturalmente nuova, poiché essa riprende quella già presente all'interno del codice, ad esempio nell'art. 99, comma 4, c.p., il quale prevede a sua volta aumenti di pena in misura fissa, per giunta con significativi limiti quanto alla “bilanciabilità” della circostanza in caso di concorso con circostanze attenuanti, che il novellato art. 416-ter non prevede. Nondimeno, nella appena citata decisione, la Corte costituzionale ha osservato che simili rigidità applicative non possono che “generare la possibilità di risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso – e dunque in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. – rispetto ai fatti (…) meno gravi; e appare comunque distonica rispetto al (…) principio dell'individualizzazione del trattamento sanzionatorio”.

Il che sembrerebbe lasciar presagire che, in parte qua, la novella non avrà lunga vita, e ciò anche a prescindere dalle fondate perplessità già manifestate unanimemente dalla dottrina in punto di prova (tenuto conto del fatto che il voto è tendenzialmente segreto, come potrà il pubblico ministero dimostrare che il candidato promissario sia stato effettivamente – “a seguito dell'accordo”, id est, grazie all'accordo - eletto in conseguenza della stipula  del patto elettorale de quo ?).

Segue. Conseguenze in tema di successione di leggi nel tempo

La nuova circostanza aggravante introdotta dalla novella può naturalmente avere ad oggetto unicamente condotte commesse dopo l’11 giugno 2019

Trattamento sanzionatorio

Ad appena due anni dal precedente inasprimento del trattamento sanzionatorio, operato dalla l. n. 103 del 2017, la novella introduce un nuovo inasprimento, richiamando il trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 416-bis, comma 1, c.p. per il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa con ruolo non verticistico; in tal modo, il reato è punito con la reclusione (non più da sei a dodici anni, bensì) da dieci a quindici anni.

Secondo la dottrina, “sicuramente questa rappresenta la opzione più manifestamente irragionevole esercitata dal legislatore della riforma, introducendo una assurda parificazione tra situazione fortemente eterogenee come quelle della partecipazione associativa e del concorso esterno, da un lato, e del mero scambio elettorale, dall’altro. È abbastanza evidente, infatti, come il disvalore di quest’ultimo comportamento, che si esaurisce in una mera condotta (teoricamente consistente anche nella semplice definizione di una fugace intesa elettorale tra un mafioso silente ed un candidato che si limiti a dimostrare una disponibilità futura ad assecondare le sue richieste), sia sensibilmente meno grave tanto rispetto a quello del partecipe, individuato secondo il ‘modello misto’ consegnatoci dalle Sezioni unite Mannino 2005, e dunque facendo leva sia sulla affectio societatis, quanto sul contributo dinamico fornito alla vita associativa, tanto rispetto a quello del concorrente esterno che, sempre secondo le S.U. 2005, non è integrato da una mera condotta potenzialmente idonea ad aiutare un gruppo mafioso, ma dalla effettiva causazione in termini condizionalistici di un macro evento di rafforzamento o mantenimento in vita dell’intero sodalizio” (Amarelli, 2019).

A noi la modifica non sembra così irragionevole: essa appare, invero, funzionale – quale che ne sia l’esito – all’esigenza di impedire contatti e commistioni tra esponenti politici ed ambienti in odore di mafiosità, senz’altro cogente, e che quindi legittima ogni possibile misura a tutela delle istituzioni democratiche, che dalle predette contiguità sono messe in gravissimo pericolo.

La novella ha anche previsto, in caso di condanna, l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici: “tra le diverse novità introdotte questa è la meno problematica e, forse, la più razionale, limitandosi a prevedere che un candidato che sia stato condannato per un delitto legato al futuro esercizio di funzioni pubbliche cruciali quali sono quelle a cui si accede su base elettiva non possa più ricoprire incarichi pubblici. Certo, anche in questo caso la durata perpetua e non graduabilità della pena non consentono di individualizzare la risposta punitiva e di modulare l’entità della misura interdittiva sulla gravità complessiva del comportamento del reo” (Amarelli, 2019).

Rapporti con altri reati

Tutti da verificare restano i rapporti del reato di cui all'art. 416-ter, come ridefinito dalla novella in commento, e:

– da una parte, il reato di cui all'art. 416-bis c.p. ;

– dall'altra, il reato di corruzione impropria.

Quanto al primo problema, la dottrina (Cisterna, 2019) si è immediatamente chiesta “se il destinatario della promessa, oltre ad accettarla, pone in essere effettivamente le condotte prospettate nell'accordo politico-mafioso di cui si discute si è in presenza di un mero post factum irrilevante sul piano della contestazione (così come accade nella corruzione data per consumata al momento della promessa e solo portata ad esecuzione con il rilascio dell'atto compravenduto) ovvero questa seconda condotta integra ulteriori fattispecie criminose“, ovvero se l'effettivo adempimento del patto elettorale continui ad integrare anche gli estremi della partecipazione al reato associativo ovvero del concorso esterno ad esso, come attualmente ritiene la giurisprudenza.

La risposta resta a nostro avviso affermativa, in difetto di sicuri riferimenti testuali atti ad indurre a ripensare il sistema dei rapporti tra i reati di cui all'art. 416-ter da un lato, e 416-bis e 110/416-bis c.p., dall'altro, del quale dichiaratamente il legislatore della novella si è disinteressato.

La stessa dottrina si è anche chiesta “se lo scambio delle citate promesse illecite copra, ossia includa, l'adempimento successivo a cura dell'eletto ovvero se la pattuizione di cui si discute si proietti anche sul programmato mercimonio della funzione elettiva (o di governo) consumando il successivo distinto reato di corruzione impropria”, evidenziando che “al momento dell'accordo ex art. 416-ter c.p., il candidato destinatario della promessa di voto mafioso non era provvisto (ancora) della qualità di pubblico ufficiale, per cui pare difficile recuperare ex post detta qualifica con un'operazione combinatoria sostanzialmente retroattiva che dia per consumato ora per allora la promessa/accordo corruttivi. Nel caso in cui, invece, il candidato concorra per una rielezione dovrebbe ammettersi un concorso delle due fattispecie (corruzione e accordo ex art. 416-ter c.p.), visto che la promessa/accordo interviene “rivestita” dalla qualifica di pubblico ufficiale effettivamente ricoperta. Ulteriore è il caso in cui l'eletto realizzi in favore dell'associazione una condotta diversa da quelle ricadenti nel perimetro delle originarie pattuizioni. L'ampiezza della nuova fattispecie (necessità o esigenze) lascia prevedere che difficilmente potrebbe essere data la dimostrazione che il vantaggio dell'eletto in favore dell'elettore mafioso travalichi le promesse operate ex ante, tuttavia è questione di gradiente probatorio, come tale rimesso alla valutazione del caso singolo: si pensi all'ipotesi in cui l'eletto sia chiamato a mettersi a disposizione del clan che abbia sconfitto o annesso il gruppo mafioso con cui il candidato aveva raggiunto l'accordo ed operi in tal senso. Si avrebbero due distinti accordi (art. 416-ter c.p. e corruttivo) intercorsi con soggetti diversi e, quindi, distintamente puniti”.

Profili processuali

 

Gli istituti

Il reato di scambio elettorale politico-mafioso è reato procedibile d’ufficio e di competenza del Tribunale collegiale.

Per tale reato:

a) l’arresto in flagranza è facoltativo;

b) il fermo  è consentito;

c) l’applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali è consentita.

Misure cautelari

 Nel caso in cui sia contestata la fattispecie di cui all'art. 416-ter nei confronti di soggetto decaduto dalle cariche pubbliche e di partito, costituenti il presupposto fattuale della condotta contestata, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari non è vincibile sulla base di un'astratta applicazione della massima di esperienza secondo cui le organizzazioni camorristico-mafiose non hanno interesse a servirsi di politici “bruciati”, ma sono solite individuare referenti politici “dal potere in ascesa”, dovendosi invece verificare la continuità dei rapporti dell'indagato o dell'imputato con gli ambienti criminali e la eventuale persistenza degli interessi scambievoli che possono in concreto mantenere inalterato, nonostante la perdita delle cariche, il legame con il sodalizio criminoso (Cass. II, n. 21089/2018: fattispecie relativa a sindaco, dimessosi dalla funzione, la cui moglie era in carica come consigliere regionale ed aveva beneficiato durante le elezioni regionali dell'accordo con sodalizio mafioso del quale il marito risultava gravemente indiziato). Il delitto di scambio elettorale politico - mafioso rientra nel novero dei reati commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p., ed è, quindi, incluso fra le ipotesi contemplate dall'art. 407, comma 2, lett. a), n. 3, c.p.p.; ne consegue che il termine di fase della custodia cautelare, decorrente dall'inizio della sua esecuzione, è quello annuale previsto dall'art. 303, comma 1, lett. a), n. 3, c.p.p.

Premesso che sussiste continuità normativa tra il vecchio ed il nuovo testo dell'art. 416-ter, poiché le modifiche introdotte dalla l. n. 43 del 2019 si sono limitate a delineare in dettaglio l'ambito applicativo della fattispecie tipica, che contempla ora qualsiasi accordo tra il politico e l'appartenente ad un sodalizio di tipo mafioso che preveda la disponibilità del primo a soddisfare esigenze ed interessi del secondo, senza nulla innovare quanto alla rilevanza penale dell'accordo politico-mafioso che preveda espressamente l'utilizzo del metodo mafioso, condizione quest'ultima immanente alla pattuizione illecita de qua, la giurisprudenza ha ritenuto che il termine di custodia cautelare di fase applicabile sia quello previsto dall'art. 303, comma 1, lett. a), n. 3, c.p.p., ovvero quello previsto per i reati commessi avvalendosi del metodo mafioso oppure al fine di agevolare i sodalizi di tipo mafioso (Cass. V, n. 42227/2021).

La prova e gli indizi

L'esistenza dell'intesa per il procacciamento di consensi elettorali con ricorso a modalità mafiose può desumersi anche in via indiziaria, mediante la valorizzazione di indici fattuali sintomatici della natura dell'accordo, quali la fama criminale del procacciatore, l'assoggettamento alla forza intimidatrice promanante dagli affiliati ad associazione di tipo mafioso e l'utilità del loro apporto per il reclutamento elettorale nella zona d'influenza, risultando, per converso, irrilevante il post factum costituito dal mancato incremento delle preferenze (Cass. VI, n. 9442/2019; conforme, Cass. V, n. 26426/2019: in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto esente da censure la decisione cautelare adottata in un caso nel quale il procacciatore era stato consapevolmente individuato dal candidato in ragione della sua “prossimità” al clan camorristico operante sul territorio e si era avvalso della collaborazione di soggetti coindagati per il delitto di estorsione commesso in danno di altri candidati).

Giudizio di rinvio e mutamento di giurisprudenza

Premesso che l'obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione per quanto riguarda ogni questione di diritto con essa decisa è assoluto ed inderogabile anche quando, a seguito di tale decisione, sia intervenuto un mutamento di giurisprudenza, si è ritenuto non doversi tenere conto del mutamento dell'orientamento giurisprudenziale relativo al delitto previsto dall'art. 416-ter, come modificato dalla l. n. 62/2014, secondo cui, ai fini della configurabilità del reato, non è necessario che l'accordo concernente lo scambio tra voto e denaro o altra utilità debba contemplare espressamente l'attuazione o la programmazione di una campagna elettorale mediante intimidazioni, qualora il soggetto che si impegna a reclutare i suffragi sia intraneo ad un sodalizio di tipo mafioso ed agisca per conto di quest'ultimo (Cass. II, n. 25722/2017, che ha anche escluso la possibilità di una rimessione della questione alle Sezioni Unite, attesa l'immodificabilità del giudicato già perfezionatosi sul punto di diritto deciso dalla sentenza di annullamento con rinvio).

La nuova causa di improcedibilità ex art. 344-bis c.p.p.

Il nuovo art. 344-bis c.p.p., che inserisce la previsione di termini da rispettare per la definizione dei giudizi di impugnazione a pena di improcedibilità, prorogabili per una sola volta per tutti i reati, per la particolare complessità dell'impugnazione,  consente per il delitto di cui all'art. 416-ter ulteriori proroghe, che possono essere disposte senza limiti, salvo unicamente l'onere di motivazione, del quale non è, peraltro, agevolmente possibile desumere l'oggetto: ragionevolmente andranno indicate le ragioni per le quali permangono le condizioni che avevano inizialmente legittimato la proroga. 

Bibliografia

Amarelli, La riforma dello scambio elettorale, in penalecontemporaneo.it, 2019; Cisterna, Voto di scambio politico-mafioso: la legge pubblicata in gazzetta, in quotidianogiuridico.it, 2019; De Felice, In tema di responsabilità penale per voto di scambio, in Studi in memoria di Dell'Andro, I, Bari, 1994; De Francesco, Gli artt. 416, 416 bis, 416 ter, 418 c.p., in AA.VV., Mafia e criminalità organizzata, Torino, 1995; Fiandaca, Accordo elettorale politico-mafioso e concorso esterno in associazione mafiosa. Una espansione incontrollata del concorso criminoso, in Foro It. 1996; Fiandaca e Musco, Diritto penale. Parte speciale, Bologna, 2012; Fonzo, Puleio, Lo scambio elettorale politico-mafioso. Un delitto fantasma?, in Cass. pen. 2005; Grosso, Accordo elettorale politico-mafioso e concorso esterno in associazione mafiosa. Una configurazione possibile, in Foro It. 1996; Morosini, Riflessi penali e processuali del patto di scambio politico-mafioso, in Foro It. 2001; Vairo, A proposito di corruzione elettorale o voto di scambio, in Giust. Pen. 1995; Visconti, Il reato di scambio elettorale politico-mafioso, in Ind. Pen. 1993; Visconti, Patto politico-mafioso e i problematici confini del concorso esterno, in Foro it. 1997.

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