Codice Penale art. 418 - Assistenza agli associati.

Marco dell'Utri
Sergio Beltrani

Assistenza agli associati.

[I]. Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato [110] o di favoreggiamento [378], dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a taluna delle persone che partecipano all'associazione è punito con la reclusione da due a quattro anni (1).

[II]. La pena è aumentata [64] se l'assistenza è prestata continuatamente (2).

[III]. Non è punibile chi commette il fatto in favore di un prossimo congiunto [307 commi 3 e 4, 384 comma 1].

(1) Comma dapprima così modificato dall'art. 1 5-bis d.l. 18 ottobre 2001, n. 374, conv., con modif., nella l. 15 dicembre 2001, n. 438, che ha sostituito, in sede di conversione, le parole da «dà rifugio» a «comunicazione» alle parole «dà rifugio o fornisce il vitto». Successivamente le parole «da due a quattro anni» sono state sostituite alle parole «fino a due anni» dall'art. 1 3 l. 5 dicembre 2005, n. 251.

(2) Comma modificato, in sede di conversione, dall'art. 15-ter d.l. n. 374, cit.

competenza: Trib. monocratico

arresto: facoltativo

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Il reato in esame tutela il bene dell'ordine pubblico in relazione alle condotte di coloro che, pur non concorrendo nel reato associativo e pur non rendendosi responsabili di favoreggiamento, forniscono, alle persone che partecipano ad associazioni a delinquere, anche di tipo mafioso, attualmente operanti, rifugio o vitto, ospitalità, mezzi di trasporto o strumenti di comunicazione, allo scopo di assistere questi ultimi singolarmente e non già il sodalizio criminoso in quanto tale.

La pena è aumentata nel caso in cui la prestazione dell'assistenza agli associati assuma carattere continuativo, non limitata a circostanze d'occasione.

Là dove il fatto sia commesso in favore di un prossimo congiunto, la legge prevede una specifica causa di non punibilità dell'agente.

Soggetti

Soggetto attivo

Il delitto in esame può essere commesso da chiunque, purché estraneo a un'associazione a delinquere comune o di tipo mafioso.

Bene giuridico

Il reato di assistenza agli associati tutela (quale bene giuridico) l'ordine pubblico (su cui v. artt. 414 ss.) inteso come il complesso delle condizioni materiali da cui dipende l'ordine e la tranquillità collettiva; condizioni suscettibili d'esser turbate dalle condotte consistenti nella prestazione di assistenza in favore di soggetti che partecipano a sodalizi (attualmente operanti al momento della condotta) organizzati allo scopo di commettere reati, anche nelle forme dell'associazione di tipo mafioso.

La ratio dell'incriminazione appare fondata, più che sul disvalore oggettivo della condotta punita, sulla riprovevolezza soggettiva di colui che aiuti dei criminali; l'aiuto dev'essere prestato al singolo e non all'associazione nel suo complesso, con ciò distinguendosi dal concorso nel reato associativo, anche se può essere prestato in modo continuativo e/o a più persone diverse (De Francesco, 315).

Il delitto in esame è un reato di pericolo.

Materialità

Modalità della condotta

Il delitto di assistenza agli associati ricorre quando, fuori dal concorso nel reato associativo o dall'ipotesi del favoreggiamento, si dà rifugio o si fornisce vitto a taluna delle persone che partecipano all'associazione per delinquere; il contributo dell'agente, cioè, non viene prestato, nel reato de quo, a vantaggio dell'organizzazione nel suo complesso (perché in tal caso concreterebbe gli estremi di una condotta di partecipazione all'associazione) (cfr. Cass. VI, n. 48545/2016), ma è rivolto nei confronti di un singolo associato, anche se può, di volta in volta, riguardare soggetti diversi della stessa organizzazione, la quale, d'altro canto, deve risultare attualmente operante, perché una volta consumato il reato associativo la medesima condotta configura il diverso delitto di favoreggiamento (Cass., VI, n. 1644/1995).

La figura criminosa dell'assistenza agli associati è dunque delimitata dalla riserva contenuta nell'art. 418, nel senso che l'assistenza non deve essere tale da costituire concorso nell'associazione per delinquere, né dev'essere tale da integrare un'ipotesi di favoreggiamento personale, e cioè d'aiuto prestato dopo l'esaurimento dell'attività criminosa dell'associazione. Realizzatesi queste condizioni, l'aiuto ai singoli membri dell'associazione (al fine di escludere il delitto di cui all'art. 416 e concretare il reato di cui all'art. 418) deve consistere nel dare rifugio oppure nel fornire vitto (Cass., I, n. 1896/1987).

L'espressione che allude al «dare rifugio» va identificata con qualunque forma di protezione logistica (precaria o stabile, temporanea o permanente) offerta al singolo associato; «fornire vitto» significa assicurare al beneficiato quanto necessario al vivere, vale a dire quel complesso di beni, come il cibo, il vestiario e altri generi necessari alle esigenze soggettive del singolo individuo, indispensabili per assicurare il minimo vitale ad una persona (Cass., VI, n. 1644/1995).

A differenza del reato di favoreggiamento dall'art. 378 (che postula un reato già commesso), l'art. 418 richiede un'assistenza consapevolmente prestata ai singoli componenti dell'associazione quando la stessa è ancora viva ed operante e, quindi, prima che sia cessata la permanenza e cioè il reato sia ancora sussistente (Cass., I, n. 2131/1987).

Presupponendo, il delitto di assistenza agli associati, l'estraneità dell'agente rispetto al sodalizio criminale e la coincidenza temporale dell'attività di assistenza con l'operatività dell'associazione, la fornitura di vitto o rifugio compiuta in favore dei singoli associati dopo la cessazione del sodalizio può integrare eventualmente il delitto di favoreggiamento personale di cui all'art. 378 (Cass., VI, n. 13085/2013). Quest'ultimo delitto, peraltro, può ben configurarsi anche durante la permanenza del reato associativo: in tal caso, il discrimine tra i due reati sarà costituita dalla finalità e dagli effetti della condotta, con la conseguenza che integrerà il reato di cui all'art. 418 (e non quello di favoreggiamento) la condotta di chi fornisce rifugio o vitto agli associati qualora, essendo tuttora operante l'associazione per delinquere, non siano in corso investigazioni o ricerche da parte dell'autorità giudiziaria per non esserne stata ancora accertata la sua esistenza (Cass., VI, n. 9879/1997; Cass., VI, n. 17704/2004).

La condotta di assistenza resta assorbita dall'art. 416-bis quando sia prestata da un aderente a vantaggio dell'intera consorteria, nell'ambito dei doveri solidaristici incombenti sui compartecipi, secondo il pactum sceleris (Cass., VI, n. 13085/2013; Cass., VI, n. 15668/2011). In tal senso, integra il delitto di partecipazione a un'associazione mafiosa (e non quelli meno gravi di assistenza agli associati o di favoreggiamento personale), la condotta di colui che curi sotto il profilo logistico la latitanza del capo del sodalizio, assicurandogli al contempo in maniera stabile la possibilità, per il suo tramite, di mantenere i contatti con gli altri associati e di continuare a dirigere l'organizzazione, perché detta condotta rende palese la volontà di agevolare non solo il soggetto latitante ma l'intera associazione (Cass., VI, n. 2533/2009). Allo stesso modo, risponde di partecipazione ad associazione per delinquere e non di assistenza agli associati chi, facendo parte organica dell'organizzazione, in tale veste abbia talora operato come vivandiere o come ospitante dei partecipi all'associazione (Cass., I, n. 9242/1988).

Forma della condotta

Il reato in esame è un reato a forma vincolata, nel senso che le modalità penalmente rilevanti di assistenza agli associati consistono esclusivamente nel dare rifugio o nel fornire vitto, ospitalità, mezzi di trasporto o strumenti di comunicazione in favore di partecipanti a sodalizi criminosi, anche di tipo mafioso, attualmente operativi. La contestuale prestazione di rifugio e di vitto, così come delle altre forme di assistenza, costituisce un unico reato. Ogni altra forma di assistenza nei confronti delle medesime persone deve ritenersi penalmente irrilevante ai sensi dell'articolo in esame.

Natura della condotta

Il delitto di assistenza agli associati è un reato di mera condotta, consistente nel compimento di taluna delle modalità di assistenza specificamente descritte dalla norma in commento in favore dei soggetti ivi menzionati. Le condotte dirette a integrare la fattispecie criminosa dell'assistenza agli associati sono tutte attive, non potendo ipotizzarsene la realizzazione in forma meramente omissiva.

La circostanza aggravante speciale e la causa di non punibilità

Costituisce circostanza aggravante tipica del reato in esame l'aver prestato l'assistenza descritta dalla norma in commento in modo continuativo, ossia in forme ripetitive non limitate a circostanze occasione.

L'aggravante in esame — di carattere oggettivo — costituisce una soluzione intermedia tra il considerare le condotte successive post-factum non punibile ovvero nuovi reati avvinti dal vincolo della continuazione (Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, 1159).

La prestazione dell'assistenza in esame in favore di prossimi congiunti costituisce una specifica causa di non punibilità dell'agente. Non è richiesto un particolare vincolo affettivo (Romano, 67; Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, 1159). Secondo una diversa opinione, si tratterebbe di una “causa speciale di esclusione della pena” (Antolisei, 254; Fiandaca e Musco, 500, che precisa che ha natura soggettiva).

Per la nozione di prossimi congiunti v. l'art. 307.

Assistenza agli associati e circostanza aggravante ex art. 7 d.l. n. 152/1991 (ora art. 416- bis .1 c.p.)

L'aggravante del metodo mafioso (art. 7 d.l. n. 152/1991, conv. in l. n. 203/1991, e da ultimo trasfuso, in attuazione del principio della riserva di codice, nell’art. 461-bis.1 c.p.)) — nella forma dell'agevolazione dell'attività di un'associazione di tipo mafioso — è circostanza relativa ai singoli reati, diversi da quello associativo, ed è compatibile con il reato di cui all'art. 418 che presuppone la coincidenza temporale dell'attività di assistenza prestata dal soggetto attivo con l'operatività dell'associazione criminale (Cass., II, n. 30942/2012).

Rapporti con altri reati

Il reato di assistenza agli associati differisce dall'ipotesi del concorso esterno in associazione mafiosa (per la mancata contribuzione al sodalizio criminoso in quanto tale), nonché dal reato di cui all'art. 378 (favoreggiamento), che concerne solo una particolare forma di aiuto, prestato per agevolare l'elusione delle investigazioni e la sottrazione alle ricerche dell'autorità (Cass., V, n. 6929/2000).

Con particolare riguardo al rapporto con la fattispecie del concorso esterno in associazione di tipo mafioso, la giurisprudenza di legittimità ha di recente riaffermato, traendola dalla norma in commento, un'indicazione di carattere sistematico, rilevando come, nell'escludere l'ipotesi del concorso nel reato associativo (al fine di integrare la fattispecie dell'assistenza agli associati), l'art. 418 fornirebbe una conferma testuale della configurabilità di detto concorso proprio a livello legislativo (Cass. II, n. 22447/2016; Cass. II, n. 18132/2016;Cass., II, n. 34147/2015). La notazione (che riprende argomentazioni contenute anche in Cass. S.U., n. 16/1994) trova riscontro nell'osservazione per cui la clausola di sussidiarietà, escludendo i casi di concorso, anziché più semplicemente “i casi previsti nell'articolo precedente”, consente di ipotizzare più possibili forme di concorso (Cerase, 2685); la clausola posta all'incipit della norma creerebbe, in definitiva, una doppia esclusione, riferibile, non solo al caso di partecipazione, ma anche a quello di concorso esterno all'associazione (v. in dottrina Pelissero-Riverditi, 273).

Non sussiste violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza nell'ipotesi in cui, contestato il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, sia ritenuto invece sussistente quello di assistenza agli associati, sussistendo tra i due delitti un rapporto di progressione o di complessità (Cass., II, n. 3555/1986).

L'ipotesi criminosa prevista dall'art. 307, che concerne l'assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata, corrisponde a quella prevista dall'art. 418, dalla quale differisce per la qualità della persona aiutata (Cass., I, n. 617/1983), e può trovare applicazione, secondo l'espressa previsione legislativa, al di fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento, qualora il dare rifugio o fornire vitto sia attuato in favore di taluna delle persone che partecipano all'associazione o alla banda, ossia a singoli componenti e non all'associazione o alla banda nel suo complesso. Nel caso di assistenza, in qualsiasi forma prestata consapevolmente non ai singoli, ma all'associazione o alla banda, si ha concorso nel reato qualora tale assistenza si risolva in un consapevole contributo all'esistenza stessa dell'associazione o della banda ed alla sua permanenza, cioè in una adesione agli scopi della stessa, e quindi, giuridicamente, in una partecipazione criminosa al sodalizio (Cass., I, n. 3160/1988).

Elemento soggettivo

Il dolo

Il delitto in esame richiede la consapevolezza e la volontà di prestare assistenza a taluno dei partecipanti a un'associazione a delinquere, anche di tipo mafioso, che sia attualmente esistente, senza alcuna volontà di prender parte a dette associazioni o di compiere condotte di favoreggiamento.

La colpa

Il reato di assistenza agli associati non è punibile a titolo di colpa; deve, al riguardo, escludersi una forma di agevolazione colposa, implicando il dolo la consapevolezza della qualità del soggetto aiutato (Rosso, 163).

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il delitto di assistenza agli associati, in quanto reato istantaneo, si consuma nel momento in cui l'agente presta materialmente, in favore di un partecipante a un'associazione a delinquere, anche di tipo mafioso, rifugio od ospitalità, ovvero fornisce vitto, mezzi di trasporto o strumenti di comunicazione.

Tentativo

È configurabile il tentativo di assistenza agli associati, consistente nel compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a prestare assistenza, nelle specifiche forme descritte nella norma in commento, in favore dei soggetti ivi menzionati, in particolare quando l'associato non riesca a ricevere la prestazione per fatto non dipendente dall'agente (Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, 1159).

Profili processuali

Gli istituti

Il reato di assistenza agli associati è reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale monocratico.

Per tale reato:

a) l' arresto in flagranza è facoltativo;

b) il fermo non è consentito;

c) l'applicazione della custodia cautelare in carcere non è consentita;

d) l'applicazione delle altre misure cautelari personali è consentita.

Bibliografia

Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Milano, 2008; Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, Trattato di diritto penale, parte speciale, 1, III, Torino, 2008-2013; Cerase, Brevi note sul concorso eventuale nei reati associativi, in Cass. pen. 1994; De Francesco, Associazione per delinquere e associazione di tipo mafioso, in Digesto pen., I, Torino, 1987; Fiandaca e Musco, Diritto penale. Parte speciale, Bologna, 2012; Pelissero-Riverditi, Reati contro la personalità dello Stato e contro l'ordine pubblico, in Trattato teorico-pratico di diritto penale diretto da Francesco Carlo Palazzo - Carlo Enrico Paliero, vol. IV, Torino, 2010; Romano, Cause di giustificazione, cause scusanti, cause di non punibilità, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1990; Rosso, Ordine pubblico (delitti contro l'), in Nss. D.I., XII, Torino, 1965; Siracusano, Il concorso esterno e le fattispecie associative, in Cass. pen. 1993; Visconti, Il concorso «esterno» nell'associazione mafiosa: profili dogmatici ed esigenze politico criminali, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1995.

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