Codice Penale art. 423 - Incendio.

Marco dell'Utri
Sergio Beltrani

Incendio.

[I]. Chiunque cagiona un incendio è punito con la reclusione da tre a sette anni.

[II]. La disposizione precedente si applica anche nel caso d'incendio della cosa propria, se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica [425, 449].

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.)

arresto: obbligatorio

fermo: consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Il reato in esame punisce la condotta del soggetto che causa (non un mero fuoco, bensì) un incendio, da intendere come un fuoco che, per le caratteristiche che lo individuano, vale a determinare un pericolo per la sicurezza della vita, dell'integrità fisica o della salute di un numero indeterminato di persone, ovvero un fuoco che divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo la incolumità di un numero indeterminato di persone (Cass. I, n. 14263/2017).

La pena prevista per tale condotta si applica altresì all'incendio appiccato alla cosa di proprietà dell'autore, là dove dal fatto derivi pericolo per la pubblica incolumità.

Soggetti

Soggetto attivo

Il delitto di incendio può essere commesso da chiunque.

Bene giuridico

Il reato in esame tutela (quale bene giuridico) l’incolumità pubblica (v. Ardizzone, 324) intesa quale sicurezza della vita, dell’integrità fisica o della salute di una collettività. In tal senso, l’eventuale esposizione a pericolo, ovvero il danno provocato a singoli soggetti rileva, sotto il profilo della tutela del bene giuridico protetto dalla norma, esclusivamente nel caso in cui il fattore di pericolo assuma connotazioni o proporzioni che trascendono la singola persona per interessare un numero indeterminato di individui.

Materialità

Modalità della condotta. L'incendio di cosa altrui

La condotta che integra il reato in commento consiste nel compiere qualunque attività che provochi la deflagrazione di un incendio.

Ai fini della norma in commento, occorre distinguere tra il concetto di fuoco e quello d'incendio, in quanto si ha incendio solo quando il fuoco divampi irrefrenabilmente, in vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, così da porre in pericolo la incolumità di un numero indeterminato di persone (Cass. IV, n. 43126/2008  e Cass. IV, n. 46402/2021). Ne deriva che, non ogni fuoco è, di per sé ab origine, qualificabile come incendio; è tale, secondo la fattispecie legale prevista dall'art. 423, solo quando le fiamme, non controllate e non controllabili, assumano i connotati di cui sopra (Cass. IV, n. 2805/1988).

Più in particolare, gli elementi costitutivi del reato d'incendio vanno identificati nella vastità delle proporzioni delle fiamme, nella diffusività delle stesse (ossia nella tendenza a progredire e ad espandersi) e nella difficoltà di spegnimento (Cass. I, n. 14592/1999; Cass., I n. 1802/1995).

L'incendio di cosa propria

Ai sensi del secondo comma dell'articolo in commento, risponde del reato di incendio anche colui che incendia una cosa propria, a condizione che dal fatto derivi un pericolo per la pubblica incolumità.

La diversa disciplina rispetto all’incendio di cosa altrui è dovuta a due ragioni di fondo: nel caso dell’incendio di cosa propria, il legislatore si è preoccupato di conciliare o bilanciare l’esigenza di proteggere la incolumità pubblica con il diritto del proprietario a disporre della cosa propria come meglio gli aggrada (diritto disconosciuto solo di fronte alla reale esistenza del pericolo per la pubblica incolumità); nel medesimo tempo, l’azione incendiaria realizzata dallo stesso proprietario è, di regola, più circoscrivibile e meglio controllabile che non l’incendio appiccato su cose appartenenti ad altri (Fiandaca, Musco, 513).

Per cosa propria deve intendersi una cosa su cui insiste il diritto di proprietà dell'agente, non essendone sufficiente il solo possesso, un diritto reale limitato o la mera detenzione giustificata sulla base di un titolo giuridico (Cass. I, n. 41931/2016).

L'incendio scaturito dal fuoco appiccato alla cosa propria dell'agente è stato da taluno qualificato come una condizione obiettiva di punibilità (Battaglini, Bruno, 542, e in giurisprudenza, da Cass. I, n. 937/1982; Cass. II, n. 527/1971), da altri come un elemento essenziale del reato (Fiandaca e Musco, 515).

Il pericolo

La differenza tra l'ipotesi del primo comma e quella di cui al secondo comma dell'art. 423 viene generalmente ricondotta alla natura del pericolo provocato dall'incendio; pericolo da ritenere presunto, nel caso dell'incendio di cosa altrui (Battaglini, Bruno, 557; Delitala, 1738; Sammarco, 34), laddove, in caso di incendio di cosa propria, il pericolo provocato dev'essere concretamente accertato (Cass. II, n. 527/1971).

Secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità risalente nel tempo, i delitti contro l'incolumità pubblica sono caratterizzati, con criterio generale, dal “comune pericolo”, che si definisce nella possibilità, remota o prossima, di espansione del pericolo o del danno attuale in una sfera che coinvolge un numero indeterminato di persone. Detto pericolo, inteso sempre in senso oggettivo, è presunto in modo assoluto per alcune fattispecie legali, dove la potenza espansiva del nocumento è insita nella natura stessa del fatto, secondo ciò che comunemente accade nella realtà sperimentale; per altre invece, nelle quali solo eventualmente può essere collegato all'attività del colpevole, è richiesto espressamente come condizione di punibilità e deve essere accertato in concreto (categoria quest'ultima, qualificata nel linguaggio del legislatore con la formula ‘se dal fatto deriva pericolo per l'incolumità pubblica). Sulla base di tale distinzione, il delitto di incendio di cosa altrui apparterrebbe alla prima categoria (Cass. II, n. 915/1960).

Muovendo da tale impostazione, si è sostenuto che, in caso di incendio di cosa altrui, per la sussistenza del reato non è necessaria la ricorrenza di un pericolo concreto per l'incolumità pubblica (Cass. I, n. 921/1981), essendo il pericolo, in tal caso, oggetto di una presunzione assoluta, sì da ritenersi superflua ogni indagine circa la ravvisabilità di un pericolo effettivo (Cass. IV, n. 1103/1981). Tale presunzione di pericolo deve ritenersi sussistente anche quando l'autore del fatto agisca su cosa solo parzialmente altrui (Cass. I, n. 28843/2009), ovvero in cooperazione con il proprietario del bene rispetto al quale si sia sviluppato l'incendio (Cass. IV, n. 4232/1979).

Viceversa, nel caso di incendio di cosa propria la sussistenza di un pericolo concreto ed effettivo per la incolumità pubblica è richiesta, non essendo sufficiente quel pericolo presunto che è normalmente insito nell'incendio di cosa altrui. Se pertanto il fuoco appiccato alla cosa propria è di tale entità e di tale potere diffusivo da costituire un pericolo, in concreto, per la pubblica incolumità, il fuoco deve essere qualificato incendio ed il fatto configura il reato consumato di incendio della cosa propria (Cass. I, n. 937/1982).

La distinzione tra la natura presunta o concreta del pericolo provocato dall'incendio tende tuttavia a sfumare ove, sulla scia dei successivi orientamenti fatti propri dalla giurisprudenza costituzionale (v. sent. Corte cost. n. 286/1974; Corte cost. n. 71/1979), l'interprete privilegi una nozione di incendio incline a riconoscerne la penale rilevanza nei soli casi in cui, per l'entità o la proporzione del fenomeno incendiario, il pericolo per la pubblica incolumità debba ritenersi necessariamente implicito, ovvero deducibile in via normale.

In tal senso, si è ritenuto possibile accreditare un'interpretazione costituzionalmente compatibile della norma in esame nella misura in cui, (non solo nel caso di incendio di cosa propria, bensì) anche nel caso di incendio di cosa altrui, il pericolo provocato per l'incolumità pubblica sia effettivo (Fiandaca e Musco, 514; Vannini, 149), valendo al riguardo il richiamo al rispetto del principio di necessaria offensività del reato (Brocca, 548; Caroleo, Grimaldi, 602; Gallo E., 32; Panagia, 13; Patalano, 73).

In forza di tali ultime premesse, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l'incendio consiste in un fuoco avente caratteristiche tali, per proporzione e violenza, da porre un pericolo effettivo per la pubblica incolumità (Cass. I, n. 8041/1982).

Forma della condotta

Il reato in esame è un reato a forma libera, nel senso che vale a integrarlo qualunque condotta idonea alla causazione di un incendio (uso di fiammiferi, bombe, attivazione di cause meccaniche, chimiche, etc.) (Fiandaca e Musco, 513).

La condotta consiste, generalmente, nell'appiccare il fuoco, ma il reato si sostanzia indifferentemente in comportamenti attivi od omissivi (come il mancato controllo di reazioni chimiche) (Ardizzone, 321). Si ritiene che mezzo idoneo a cagionare l'incendio sia ogni strumento atto a generarlo in seguito ad una attività del soggetto agente, sia questa diretta (uso di fiammiferi, bombe incendiarie, ecc.) o indiretta (cause meccaniche o chimiche provocate; predisposizione di un corto circuito elettrico; produzione di scintille tramite fili elettrici; apprestamento di micce (Sammarco, 956).

Natura della condotta

Le condotte dirette a integrare la fattispecie criminosa dell'incendio possono essere tanto attive, quanto omissive: in tal ultimo caso, ai sensi dell'art. 40, comma 2, il reo risponde del delitto di incendio allorquando, avendone l'obbligo giuridico, abbia consapevolmente e volontariamente omesso di impedirne la verificazione.

In tema di incendio colposo, ai fini del riconoscimento della responsabilità ex art. 40, comma 2, c.p. di colui al quale sia attribuibile il ritardato o l'omesso spegnimento delle fiamme dolosamente appiccate da un terzo, è necessario valutare, alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, se un tempestivo intervento avrebbe impedito l'incendio in concreto sviluppatosi, a fronte della rapidità e dell'intensità del propagarsi delle fiamme (Cass., IV, n. 2496/2022).

Evento

Il reato di incendio è un reato di evento, consistente nella verificazione di un incendio che, per le proporzioni o l'entità assunte, abbia posto il pericolo la pubblica incolumità.

Elemento soggettivo

Il dolo

Il delitto in esame richiede il dolo generico (Cass. I, n. 37892/2016; Cass. I, n. 11026/1998), ossia la coscienza e volontà di dar vita a un fuoco che, in ragione dell'entità e delle proporzioni (di per sé tali da porre in pericolo la pubblica incolumità) abbia le caratteristiche proprie dell'incendio penalmente rilevante (Cass. I, n. 8041/1982).

La colpa

Per l'esame del reato di incendio colposo v. art. 449.

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il reato di incendio si consuma nel momento in cui il fuoco provocato dall'agente assume entità e proporzioni tali da porre in pericolo la pubblica incolumità.

Tentativo

È ammissibile il tentativo di incendio, che consiste nel compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco alla provocazione di un evento incendiario penalmente rilevante (Cass. I, n. 5362/1997). In tal senso, posto che per la configurazione di un pericolo per la pubblica incolumità è necessaria la verificazione di un incendio di vaste proporzioni che abbia tendenze a diffondersi e sia difficile a spegnersi, l'eventuale ricorrenza di un fuoco che venga domato sul nascere (o quando non ha ancora assunto le caratteristiche anzidette) può solo dar luogo (se poteva progredire o diffondersi al punto di porre in pericolo un numero indeterminato di persone) a un'ipotesi di reato tentato (Cass. I, n. 4417/2009; Cass. I, n. 6313/1984).

Si è ritenuto viceversa inammissibile il tentativo di incendio di cosa propria, tenuto conto della circostanza secondo cui, diversamente, si anticiperebbe irrazionalmente la soglia di punibilità, reprimendo il pericolo di un pericolo (Cass. I, n. 6392/1997; Cass. I, n. 175/1995).

Integra il delitto tentato di incendio, e non quello di danneggiamento seguito da incendio, la condotta di chi agisce al fine di danneggiare quando a tale specifica finalità si associa la coscienza e la volontà di cagionare un fatto di entità tale da assumere le dimensioni di un fuoco di non lievi proporzioni, ove l'azione non si compia o l'evento non si verifichi, in quanto anche nel tentativo occorre accertare se l'incendio rientra, come evento, nella proiezione della volontà dell'agente (Cass, III, n. 30265/2021). Sui rapporti fra il reato di incendio e quello di danneggiamento seguito da incendio di cui all’art. 424, si rinvia amplius sub art. 424.

Forme di manifestazione.

 

Circostanze

Al reato di incendio trovano applicazione le circostanze di cui all'art. 425 (su cui v. infra).

Con il delitto di incendio sono state ritenute altresì compatibili la circostanza aggravante dell'eversione dell'ordine democratico (Cass., II, n. 39504/2008) e la circostanza attenuante del danno di lieve entità (Cass., I, n. 16510/1989).

Rapporti con altri reati e concorso di reati

È generalmente escluso il concorso tra il reato di incendio e quello di danneggiamento seguito da incendio di cui all'art. 424: in argomento, si rinvia amplius sub art. 424.

Il criterio distintivo tra il delitto di strage e quello di incendio e gli altri delitti contro la pubblica incolumità è costituito dal fine di uccidere: l'incendio, quando sia stato determinato dal fine di uccidere, integra sempre il delitto di cui all'art. 422, anche quando non sia stata cagionata la morte di alcuno (Cass. I, n. 11394/1991; Cass. I, n. 7489/1984).  In tal caso, quindi, non si ha concorso, ricorrendo solamente il delitto di cui all’art. 442 (Battaglini, Bruno, 546; Sammarco, 957).

Quando i reati di crollo (o altro disastro doloso di cui all'art. 434) e di incendio siano posti in essere mediante la stessa condotta materiale, arrecando un'identica offesa agli interessi tutelati, sussiste tra essi un rapporto di sussidiarietà o di consunzione, nel senso che, se il reato di crollo viene commesso cagionando un incendio, trova applicazione soltanto la norma che incrimina il crollo doloso aggravato in quanto reato più grave (Cass. I, n. 7629/2006).

La norma di cui all'art. 642 — che prevede il reato di fraudolenta distruzione della cosa propria e mutilazione fraudolenta della propria persona al fine di conseguire il prezzo di un'assicurazione contro infortuni —, con la locuzione “infortuni” non intende riferirsi solo alle evenienze lesive della persona, ma abbraccia tutti gli eventi che producano un danno patrimoniale alle cose assicurate; ne consegue che tale reato concorre con quello di incendio, se quest'ultimo investa la cosa propria, volontariamente in tal modo distrutta, a fini di frode all'assicurazione (Cass. I, n. 7745/1996; Cass. I, n. 39767/2018, per la quale sussiste concorso formale di reati, e non assorbimento, fra il reato di cui all'art. 642 e quello di cui all'art. 423, comma 2, aggravato ai sensi dell'art. 61, comma 1, n. 2, c.p., allorchè la fraudolenta distruzione della cosa propria sia avvenuta tramite incendio da cui sia derivato un pericolo per la pubblica incolumità, trattandosi di fattispecie di reato che tutelano diversi beni giuridici e non ricorrendo l'ipotesi del reato complesso di cui all'art. 84).

Di tale opinione è anche la dottrina (Battaglini, Bruno, 547).

È configurabile il concorso tra il delitto di incendio e quello di omicidio, anche nella forma del tentativo, non potendosi identificare il pericolo per l'incolumità pubblica, proprio del primo reato, nel pericolo per la vita e l'incolumità delle singole persone (Cass. I, n. 27542/2010).

I reati di incendio doloso e di incendio colposo possono concorrere quando le imputazioni si riferiscono a persone diverse, ma non in relazione ad uno stesso imputato, dovendo escludersi che il medesimo evento possa essere attribuito alla stessa persona sia a titolo di colpa che di dolo (Cass. V, n. 43464/2002). In tal senso, l'accensione dolosa di un fuoco a fine di incendio, non esclude la responsabilità di chi renda possibile con la sua condotta colposa, il diffondersi del fuoco che divampi in incendio (Cass. IV, n. 875/1987), ammettendosi il concorso colposo nella causazione dell'incendio appiccato dolosamente da persona rimasta ignota (Cass. IV, n. 39680/2002).

Si ritiene in dottrina che il colpevole che dopo aver cagionato l'incendio ne ostacoli l'estinzione, debba rispondere anche del delitto previsto dall’art. 436 (Battaglini, Bruno, 547). In particolare, secondo l'opinione dominante, chi impedisce od ostacola l'estinzione di un incendio da lui cagionato realizza entrambi i reati (Battaglini, Bruno, 547; Sammarco, 958).

Casistica

La diffusività del fuoco, richiesta come estremo del delitto di incendio, non deve essere necessariamente esterna all'oggetto dell'incendio, ma va, innanzitutto, stabilita con riferimento a tale oggetto. Si ha pertanto incendio penalmente rilevante nel caso di fuoco sviluppatosi su un vasto manufatto (capannone di oltre cinquanta metri quadrati contenente attrezzi da spiaggia) anche se isolato su una spiaggia, non circondato da vegetazione e distante da abitazioni, purché il fuoco, per violenza, capacita di propagarsi e vastità, abbia la tendenza a svilupparsi e ad estendersi a tutto l'oggetto materiale del reato, con conseguente difficolta di estinzione (Cass. II, n. 12232/1978).

Ai fini della consumazione del reato di incendio, l'elemento materiale, e cioè il fuoco-incendio, deve presentare caratteristiche tali da rendere deducibili, in via normale e alla stregua delle norme di esperienza, il pericolo per l'incolumità pubblica. Ne consegue che si versa nell'ipotesi delittuosa in esame se risulta dagli atti probatori acquisiti che il fuoco, dopo aver attaccato e distrutto le pareti e il soffitto, si sia esteso alle pareti dei corridoi che condurrebbero alle scale nonché al tratto di disimpegno che conduce alle vicinanze di un fabbricato (Cass. I, n. 970/1986).

Profili processuali

 

Gli istituti

Il reato di incendio è reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale monocratico.

Per tale reato:

a) l' arresto in flagranza è obbligatorio;

b) il fermo è consentito;

c) l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali è consentita.

Le misure di prevenzione

Secondo quanto previsto dall'art. 4, lett. d), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), nei confronti di coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongono in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, mediante la commissione di uno dei delitti previsti nel Capo I, Titolo VI, del Libro II del codice penale (o di uno degli altri reati specificamente indicati nella norma) può essere applicata una misura di prevenzione personale. L'art. 4, lett. h) del decreto stabilisce inoltre che le stesse misure possono essere applicate agli istigatori, ai mandanti e ai finanziatori dei reati elencati nelle precedenti lettere dello stesso art. 4.

Bibliografia

Angioni, Il pericolo concreto come elemento della fattispecie penale. La struttura oggettiva, 2a ed., Milano, 1994;  Ardizzone, Incendio, in Dig. pen., VI, Torino, 1992; Battaglini, Bruno, Incolumità pubblica (Delitti contro la), in Nss. D. I., VIII, Torino, 1962; Bergaglio, Responsabilità da reati conseguenti a certificazioni antincendio, in ISL: igiene e sicurezza del lavoro, 2016, 2,82; Brocca, Osservazioni sul rilievo del pericolo nella struttura del reato, in La Scuola Positiva, 1971, 543 ss.; Canestrari, Reato di pericolo, in Enc. giur., XXVI, Roma, 1991; Caroleo, Grimaldi, Brevi note intorno all’accertamento del « pericolo » nelle fattispecie di incendio, in Riv. it. dir. proc. pen. 1976, 599 ss.; Delitala, Reati di pericolo, in Studi in onore di Petrocelli, III, Milano, 1972; Di Lella, L'attività edificatoria in zona boschiva soggetta ad incendio, in Rivista giuridica dell'ambiente, 2014, 1; Fiandaca, Note sui reati di pericolo, in Temi nap, 1977, 173, 201; Gallo, Riflessioni sui reati di pericolo, Padova, 1970; Lai, Incendio, in Enc. giur., XVI, Roma, 1989; Mazza, L'art. 9 della legge 1.3.1975 n. 47 e le incriminazioni di incendio e di danneggiamento seguito da incendio di boschi, in Giust. amm., 1975, 648; Nappi, Condotta ed evento nei reati di pericolo, in Giur. it., 1983, II, 57; Panagia, Considerazioni sul delitto di incendio, in Giur. mer. 1972, 3 ss.; Parodi Giusino, I reati di pericolo tra dogmatica e politica criminale, Milano, 1990; Patalano, Significato e limiti della dommatica dei reati di pericolo, Napoli, 1975; Sammarco, Incolumità pubblica (reati contro la), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971; Vannini, Manuale di diritto penale, Parte Speciale, Milano, 1954.

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