Codice Penale art. 437 - Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro. [I]. Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. [II]. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni [449, 451]. competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.) arresto: facoltativo (primo comma); obbligatorio (secondo comma) fermo: non consentito (primo comma); consentito (secondo comma) custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoLa norma in esame prevede diverse fattispecie incriminatrici distinte sulla base della natura omissiva o commissiva della condotta dell'agente. La prima ipotesi è relativa alla condotta omissiva di colui il quale, essendone giuridicamente obbligato, trascura di provvedere alla dovuta collocazione di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, sì da creare pericolo per la sicurezza collettiva dei lavoratori interessati o comunque delle persone coinvolte. La seconda ipotesi, viceversa, sanziona la condotta di colui che rimuove o danneggia detti impianti, apparecchi o segnali, determinando il pericolo descritto. La pena è inasprita se dal fatto deriva un disastro o anche solo un infortunio. SoggettiSoggetto attivo Il delitto di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro è un reato comune (potendo essere commesso da chiunque) in relazione all'ipotesi commissiva (chi rimuove o danneggia le misure antinfortunistiche); è viceversa reato proprio in relazione all'ipotesi omissiva (Fiandaca-Musco, PS I, 530; Padovani, 25; Zagrebelsky 1980, 6), potendo in tale secondo caso essere commesso unicamente dagli appartenenti alle specifiche categorie di soggetti cui la legislazione antinfortunistica attribuisce obblighi di prevenzione, quali garanti dell'incolumità dei lavoratori (come il datore di lavoro, i dirigenti o i preposti: v. quanto previsto dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81; v. altresì, in giurisprudenza, in relazione alla ripartizione delle responsabilità e dei rischi relativi all'organizzazione del lavoro nelle strutture complesse, Cass. S.U., n. 38343/2014). Nel senso che la norma implicitamente rinvia, mediante il richiamo a condotte di tipo omissivo, alle disposizioni della legislazione antinfortunistica, sempre che quest'ultima riguardi “apparecchi, impianti e segnali”, v. Alessandri 1988, 150; Pulitanò, 103. I principali soggetti che, ai sensi del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, risultano destinatari, diretti o indiretti, dei precetti antinfortunistici, sono i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti. Come chiarito in dottrina, il soggetto responsabile viene individuato in base alla qualifica rivestita in forza della normativa di organizzazione interna dell'impresa, in relazione alle funzioni esercitate, secondo un principio di effettività che esclude la rilevanza della mera qualifica formale non sorretta dalla titolarità dei poteri sufficienti ad attuare le misure prescritte (La Cute, 15; Padovani, 418; Smuraglia, 151). Sempre in relazione alle figure garanti, deve essere richiamata la disciplina della delega di funzioni, ai sensi degli artt. 16 ss. del d.lgs. n. 81/2008. Bene giuridicoLa norma in esame tutela la pubblica incolumità (Cass. I, n. 12367/1990; Cass. IV, n. 7939/2021) con specifico riferimento all'ambiente di lavoro. In particolare essa tende a prevenire le conseguenze dannose che derivano dalla mancata adozione, dalla rimozione o dal danneggiamento di mezzi destinati a fini antinfortunistici (Martorelli, 70; Sabatini, 548; Zagrebelsky 1980, 10) prima ancora che un disastro si sia realizzato (Smuraglia 1972, 3). A tal fine, non è necessario che il rischio di eventi disastrosi incomba su un numero rilevante di lavoratori: purché siano indeterminati a priori e fungibili i soggetti minacciati (Alessandri 1980, 273), il reato si configura anche nel caso in cui il pericolo di infortunio finisca in concreto col coinvolgere una sola persona (Fiandaca-Musco, PG, 529 s.; Castellani, 809; La Cute, 146; Smuraglia 1980, 154; Nuvolone, 520; Padovani, 179; Alessandri 1980, 263; Zagrebelsky 1969, 760). Parte della giurisprudenza ritiene che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie di cui all'art. 437 concerna la sicurezza sul lavoro di una comunità ristretta di lavoratori od anche di singoli lavoratori (in tale ultimo senso v. Cass. I, n. 2033/1990; Cass. I, n. 4217/1988), in quanto tale disposizione incrimina espressamente la rimozione o l'omissione dolosa di cautele destinate a prevenire infortuni sul lavoro, i quali riguardano di solito singoli soggetti e non indistinte collettività di persone (Cass. I, n. 12464/2007): il pericolo che la norma mira a prevenire, infatti, non deve necessariamente interessare la collettività dei cittadini o, comunque, un numero rilevante di persone, potendo esso riguardare anche gli operai di una piccola fabbrica, in quanto in questa norma sono previsti anche pericoli di semplici infortuni individuali tutelando essa l'incolumità dei singoli lavoratori; da ultimo, Cass. IV (Cass. I, n. 18168/2016; Cass. I, n. 2033/1990). Si è, ad esempio, ritenuto che il reato di cui all'art. 437 sia integrato anche nel caso in cui il pericolo interessi soltanto il singolo lavoratore addetto alla macchina priva del dispositivo atto a prevenire gli infortuni (Cass. IV n. 57673/2017). Altro orientamento (Cass. IV, n. 10812/1989; Cass. I, n. 18168/2016; da ultimo, v. Cass., I, n. 2547/2022) ritiene necessario per la configurabilità dell'ipotesi delittuosa descritta dall'art. 437 che l'omissione, la rimozione o il danneggiamento dolosi degli impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire infortuni sul lavoro s'inseriscano in un contesto imprenditoriale nel quale la mancanza o l'inefficienza di quei presidi antinfortunistici abbia l'attitudine, almeno in astratto, a pregiudicare l'integrità fisica di una collettività di lavoratori, o comunque di persone gravitanti attorno all'ambiente di lavoro, sufficiente, secondo l'apprezzamento del giudice di merito, a realizzare la condizione di una indeterminata estensione del pericolo; in difetto, mancherebbe in radice la possibilità di una offesa al bene giuridico tutelato. Quest'ultimo orientamento è stato ribadito anche più recentemente , affermandosi che, ai fini dell'integrazione del reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro è necessaria l'astratta potenzialità della condotta a determinare una situazione di pericolo per una pluralità di persone – ancorché numericamente e spazialmente determinata – trattandosi di delitto contro la pubblica incolumità, con la conseguenza che il reato non è configurabile laddove l'impianto o l'apparecchiatura, difettante delle cautele destinate a prevenire infortuni sul lavoro, non sia destinato all'utilizzazione contemporanea da parte di una pluralità di lavoratori o non sia idonea a sprigionare una forza dirompente in grado di coinvolgere numerose persone ( Cass., IV, n. 7939/2020 , conf. a (Cass. I, n. 4890/2019), è condiviso anche dalla dottrina dominante, per la quale non potrebbe configurarsi il reato in esame in una qualsiasi minuscola impresa, dove il lavoratore è tutelato sufficientemente dalle norme antinfortunistiche previste dalle leggi speciali, mentre per le stesse limitatissime dimensioni dell'impresa è obiettivamente esclusa l'insorgenza del pericolo alla pubblica incolumità v. Cass. I, n. 384/1978.Altra parte della dottrina, invece, ritiene che l'art. 437 comprenda non solamente il disastro ma anche il semplice infortunio individuale, sicché il reato risulterebbe configurabile anche nel caso in cui si configuri una situazione di pericolo che possa coinvolgere una sola persona (Castellani, 809; La Cute, 146; Smuraglia, 154; Nuvolone, 520; Padovani, 179; Alessandri, 263; Zagrebelsky, 760). Ancora, in dottrina si sottolinea come il profilo della diffusibilità dell'offesa non si estrinseca nel numero più o meno elevato dei lavoratori impegnati, ma nell'indeterminabilità e sostituibilità dei soggetti che in concreto possono trovarsi a fronteggiare situazioni sguarnite dei necessari presidi antinfortunistici (Alessandri, 273). Si critica, dunque, l'orientamento giurisprudenziale che richiede l'idoneità della condotta a porre in pericolo una collettività lavorativa, cioè una massa di lavoratori la cui entità pone la condizione della diffusibilità del pericolo, con ciò escludendo la configurabilità del reato in una impresa di piccole dimensioni (Alessandri, 273; Castellani, 812; La Cute, 146). Nell'ambito di tutela della norma non sono ricompresi, oltre ai lavoratori, gli estranei che eventualmente si siano introdotti nel luogo di lavoro o che comunque rimangano coinvolti dall'evento disastroso (Cass. I, n. 2181/1994; Cass. IV, n. 6638/1984; Cass. I, n. 3374/1980; in dottrina Martorelli, 71; Nori, 901). In senso contrario, si è ritenuto che la condizione di pericolo possa riguardare tutti i frequentatori dell'ambiente di lavoro e dunque anche gli estranei che in qualche modo possano essere coinvolti in un infortunio o disastro (Smuraglia 1980, 102; Zagrebelsky 1980, 11). Sulla questione, v. anche Piergallini, 19. È controversa la natura del pericolo per la pubblica incolumità implicato dalla norma in esame, dividendosi le opinioni tra coloro che rinvengono, nella disposizione in esame, una fattispecie a pericolo presunto (Padovani, 79; Piccoli, 430; in giurisprudenza Cass. I, n. 8054/1998 ; Cass. I, n. 11161/1996 ; Cass., IV, n. 5273/2016 ), e coloro i quali ritengono viceversa necessaria la verifica dell'effettiva situazione di pericolo concreto (in tal senso, Fiandaca-Musco, PS I, 531). Secondo altri autori l'effettiva pericolosità deve ritenersi elemento intrinseco alla valutazione della specifica funzione preventiva cui sono destinate le cautele menzionate dalla norma, in quanto quest'ultima esige il preliminare accertamento della potenzialità lesiva di una determinata situazione di lavoro seguito dall'individuazione, su base tecnica ed empirica, dei mezzi necessari ad impedire che quella potenzialità si trasformi in effettività (Alessandri 1980, 267; Nuvolone, 524). MaterialitàModalità della condotta Le condotte che integrano il reato in esame consistono, da un lato, nell'omettere di collocare le apparecchiature antinfortunistiche prese in considerazione dalla norma e, dall'altro, nel rimuovere o danneggiare dette apparecchiature. Ai fini della realizzazione in forma omissiva del reato è necessario che l'agente violi un obbligo giuridico che gli imponga la collocazione degli strumenti antinfortunistici nel luogo e con modalità adatte a renderne possibile la specifica funzionalità (Cass. I, n. 9630/1984; in dottrina, Fiandaca-Musco, PS I, 530; Zagrebelsky, 8). Nella nozione di omissione dolosa rientra anche il mancato, consapevole, ripristino di apparecchiature antinfortunistiche, che a causa di precedente manomissione abbiano perduto la loro efficacia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (Cass. I, n. 28850/2009). Ai fini della sussistenza del reato, è irrilevante l'emanazione di diffide da parte degli organi amministrativi deputati al controllo del rispetto delle dotazioni antinfortunistiche dell'impresa, essendo queste destinate a evitare il protrarsi di situazioni di pericolo connesse a violazioni già in atto, senza influire sulla sussistenza degli illeciti già commessi (Cass. I, n. 8054/1998). Rientra nella nozione di rimozione non soltanto la materiale asportazione, dalla macchina, dei congegni di sicurezza, ma anche ogni attività che ne frustra il funzionamento in relazione alla finalità antinfortunistica cui essi sono predisposti, rendendo possibile il verificarsi di un infortunio che sarebbe, per contro, impossibile in caso di normale funzionamento delle apparecchiature antinfortunio realizzate e poste sulla macchina stessa (Cass. I, n. 2181/1994; Cass. I, n. 9967/1994). In breve, rimozione e danneggiamento si hanno per avvenuti qualora i mezzi antinfortunistici siano posti in condizioni da non poter servire allo scopo, in tutto o in parte (Zagrebelsky 1980, 6; Alessandri 1987, 152). Per impianti s'intendono le installazioni, più o meno fisse, destinati a prevenire infortuni; per apparecchi deve intendersi l'insieme dei diversi congegni di sicurezza; per segnali, i segni e i simboli idonei a fungere da avvertimento o richiamo (Fiandaca-Musco, PS I, 530). Nel complesso, tali nozioni alludono a tutti i prodotti della tecnica aventi una destinazione preventiva sul piano antinfortunistico, escluse quindi, le sostanze naturali e le cautele consistenti in particolari metodi di lavoro (Zagrebelsky 1980, 8). I prodotti in questione sono quelli che le norme sulla prevenzione degli infortuni rendono obbligatori e quelli che, comunque, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessari a tutelare l'integrità fisica dei lavoratori (cfr. art. 2087 c.c. Sull'obbligo istituito da detto articolo v. Pulitanò, 110; Alessandri 1980, 264; Smuraglia 1980, 133; Zagrebelsky 1980, 7; Fiandaca-Musco, PS I, 530 s.). In tal senso si è rilevato che la destinazione antinfortunistica dei dispositivi non è di tipo normativo ma di tipo tecnico (Alessandri 1980, 269). Le condotte di omissione, di rimozione o danneggiamento devono aver riguardo a dispositivi cautelari destinati a impedire disastri o infortuni sul lavoro; in tal senso, non è configurabile il reato in esame in caso di omissione, da parte del responsabile di un pubblico esercizio, di cautele destinate, non a salvaguardare l'incolumità dei lavoratori dipendenti o di altri soggetti che, per ragioni di lavoro, frequentino i locali del detto esercizio, ma piuttosto a garantire essenzialmente la sicurezza degli avventori (Cass. I, n. 2495/1998). Per la nozione di disastro v. supra subart. 434. Al riguardo, si è ritenuto che la nozione di disastro non comprende soltanto gli eventi di vasta portata o tragici, ma anche quegli eventi lesivi connotati da diffusività e non controllabilità che pure, per fattori meramente casuali, producano un danno contenuto, sicché i parametri della ‘imponenza' e della ‘tragicità' non possono essere assunti come misura del disastro genericamente inteso (Cass. I, n. 20370/2006). Peraltro, l'art 437, facendo riferimento a norme da cui derivi l'obbligo di adottare apparecchiature dirette a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, prevede, come concetto diverso dal disastro, il semplice infortunio, il quale, pertanto, non è necessario che assuma o minacci di assumere dimensioni disastrose, tali, cioè da porre in pericolo la pubblica incolumità (Cass. I, n. 5887/1977). Per infortunio sul lavoro deve intendersi l'alterazione dell'organismo determinata da causa violenta in occasione di lavoro; deve ritenersi estranea a tale definizione la malattia professionale, in quanto la relativa insorgenza prescinde da una causa violenta (Fiandaca-Musco, PS I, 531 s.; Panagia, 523; Zagrebelsky-Vaudano, 91); Contra, nel senso che ai fini della configurabilità del delitto, tra gli infortuni rientrano le ‘malattie-infortunio', intendendosi per tali le sindromi morbose imputabili all'azione lesiva di agenti diversi da quelli meccanico-fisici, purché insorte in esecuzione di lavoro. Esse rientrano tra quelle professionali in senso lato ma non le esauriscono, mentre nelle malattie professionali in senso stretto rientrano tutte quelle manifestazioni morbose contratte nell'esercizio e a causa di lavoro ma che non siano prodotte da agenti esterni (Cass. I, n. 12367/1990; Cass. I, n. 350/1998). Il pericolo derivante dalla rimozione od omissione di apparecchi destinati a prevenire infortuni sul lavoro deve avere il carattere della diffusività, nel senso che l'insufficienza deve avere l'attitudine di pregiudicare, anche solo astrattamente, l'integrità fisica delle persone gravitanti attorno l'ambiente di lavoro (Cass. I, n. 6393/2005); la diffusività del pericolo presuppone infatti l'esistenza di una collettività lavorativa, in quanto, nel caso contrario, manca la possibilità di pericolo per la pubblica incolumità, che costituisce l'oggetto giuridico del delitto in esame (Cass. IV, n. 6638/1984). L'effettiva verificazione di un disastro o di un infortunio sul lavoro costituisce circostanza aggravante (Smuraglia 1980, 165; Zagrebelsky 1980, 11; Fiandaca-Musco, PS I, 532). In giurisprudenza Cass. IV, n. 5273/2016; Cass. I, n. 20370/2006; Cass. I, n. 6207/1981. Tale circostanza aggravante, peraltro, è configurabile unicamente quando gli infortuni o i disastri siano accaduti sul luogo di lavoro in cui le cautele non sono state adottate, e non anche allorché essi abbiano avuto luogo altrove (Cass. I, n. 7337/2006). In termini diversi, secondo Cass. IV, n. 10048/1993, poiché la disposizione di cui all'art. 437, comma secondo, non prevede una circostanza aggravante in senso proprio bensì un'ipotesi di concorso formale di reati (quello di omissione di impianti antinfortunistici e quello di disastro colposo, unificati ai fini della pena per evitare la maggiore severità del cumulo materiale), è sufficiente, per l'applicabilità di tale norma, la consapevolezza della condotta tipica del reato di disastro colposo, e non anche dell'evento che aggrava il delitto di cui all'art. 437 sicché non è invocabile la regola dell'art. 59, comma 2. Secondo altre interpretazioni, l'evento individua un'ipotesi di condizione obiettiva di punibilità (Nori, 901); di delitto aggravato dall'evento (Martorelli, 82; La Cute, 152); di delitto preterintenzionale (Piergallini, 34). Forma della condotta La condotta in esame integra, nella sua dimensione commissiva, un reato a forma libera, nel senso che assume rilevanza penale qualunque attività diretta a rimuovere o distruggere le misure antinfortunistiche indicate dalla norma. Natura della condotta Mentre la condotta omissiva espressamente prevista dalla norma in esame non ammette modalità equivalenti di realizzazione in forma commissiva, deve ritenersi che le ipotesi di condotta commissiva (rimozione o danneggiamento di dispositivi antinfortunistici) possano essere realizzate anche in forma omissiva (impropria), là dove l'agente, avendo l'obbligo giuridico di impedire la manomissione di apparecchiature antinfortunistiche, ometta consapevolmente e volontariamente di impedirne la rimozione o il danneggiamento. Evento Il delitto è un reato di mera condotta nella forma omissiva (Cass. IV, n. 41184/2012); costituisce, viceversa, una fattispecie di reato di evento con riguardo alla modalità commissiva: in tal caso, l'evento di reato deve ritenersi integrato dalla concreta rimozione o dal danneggiamento dei dispositivi antinfortunistici descritti dalla norma. In ordine all'accertamento del nesso causale, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato la necessità di verificare non soltanto la sussistenza di un decorso reale e l'individuazione di un comportamento alternativo lecito, ma altresì se il comportamento alternativo ipotizzato sarebbe stato in concreto effettivamente idoneo a impedire l'evento (Cass. S.U., n. 38343/2014). Elemento soggettivoIl dolo Il delitto in esame richiede il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di omettere la collocazione, ovvero di danneggiare o rimuovere i dispositivi antinfortunistici, con la consapevolezza, tanto della specifica destinazione prevenzionistica dei dispositivi (Battaglini-Bruno, 558; Alessandri 1980, 269; Zagrebelsky 1980, 11), quanto del pericolo di disastri o di infortuni sul lavoro (Alessandri 1980, 269; Zagrebelsky 1980, 11. Contra Nori, 901; Smuraglia 1972, 164; LA Cute, 149; Fiandaca-Musco, PS I, 532. Secondo parte della dottrina (Smuraglia, 163), occorre operare una distinzione tra l'ipotesi commissiva e quella omissiva del reato in esame: nel primo caso, il dolo deve investire tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, ivi compresi gli aspetti che qualificano l'oggetto materiale del reato ed in particolare la qualificazione funzionale; nel secondo caso, il soggetto attivo del reato (il datore di lavoro) non potendo addurre l'ignoranza degli obblighi che gli fanno capo, per il divieto di cui all'art. 5, non può invocare l'ignoranza della destinazione degli apparecchi o degli impianti. Nel senso della consapevolezza del pericolo per la pubblica incolumità v. Cass. I, n. 17214/2008; Cass. IV, n. 4675/2006; contra Cass. I, n. 6207/1981; nel senso che non è richiesta l'intenzione di recar danno alle persone v. Cass. I, n. 783/1993). Prevale comunque l'opinione che occorra la consapevolezza del pericolo derivante dalla condotta delittuosa (Cass. I, n. 17214/2008; Cass. IV, n. 4675/2006), opinione secondo la quale, se la condotta, pur tipica secondo la descrizione contenuta nell'art. 437, è adottata senza la consapevolezza della sua idoneità a creare la situazione di pericolo, non può essere ritenuto esistente il dolo, che richiede una rappresentazione anticipata delle conseguenze della condotta dell'agente anche nel caso in cui queste conseguenze non siano volute ma comunque accettate. Mentre ai fini della consumazione del reato, non può essere attribuita rilevanza assoluta alle ripercussioni vantaggiose derivanti dalla realizzazione di economie per il mancato apprestamento delle apparecchiature, ovvero alle precedenti violazioni di norme analoghe (in quanto dalla reiterata violazione dell'obbligo imposto non necessariamente discende una volontà cosciente), dette circostanze si configurano tuttavia idonee, sul piano probatorio, a far ritenere sussistente nell'agente l'elemento psicologico richiesto dal delitto in esame (Cass. I, n. 9630/1984). La colpa Il reato di cui all'art. 437 è previsto nella sola forma dolosa, non essendo ricompreso tra i delitti colposi di danno previsti dall'art. 449 (Cass. IV, n. 4675/2006). Consumazione e tentativoConsumazione Il reato si consuma, nella forma omissiva, nel momento della scadenza del termine ancora utile per la collocazione degli impianti, apparecchi o segnali destinati alla prevenzione antinfortunistica; nella forma commissiva, nel momento in cui l'agente concretamente rimuove o danneggia tali misure. La giurisprudenza ha precisato che il reato di cui all'art. 437, comma 1, ove la condotta consista nell'omissione (e non nella rimozione) di cautele contro infortuni sul lavoro, ha natura permanente, e la permanenza cessa quando il dispositivo omesso sia collocato o non sia più utilmente collocabile ovvero, trattandosi di reato proprio, quando la posizione di garanzia venga dismessa (Cass. IV, n. 16715/2018: nella specie, relativa all'omessa adozione di cautele contro l'esposizione dei lavoratori ad amianto, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva dichiarato estinto il reato per prescrizione, ritenendo che il relativo termine decorresse, per ciascun imputato, dalla data di cessazione della carica). Il problema è stato successivamente affrontato con specifico riferimento alla decorrenza del termine di prescrizione: in proposito, premesso che il reato di cui all'art. 437, comma 1, ove la condotta consista nell'omissione di cautele contro infortuni sul lavoro, ha natura permanente, si è ritenuto che, nel caso in cui l'imputazione indichi il tempus commissi delicti con l'indicazione della data della cessazione della condotta illecita, il termine di prescrizione decorre da tale data, e non da quella di emissione della sentenza di primo grado, ferma la necessità di verificare se la permanenza sia cessata in epoca anteriore perché il dispositivo omesso sia stato collocato o non più utilmente collocabile ovvero, trattandosi di reato proprio, perché sia stata dismessa la posizione di garanzia (Cass. IV, n. 7564/2020). Nell'ipotesi aggravata dall'evento di cui al comma 2, il termine di prescrizione del reato inizia a decorrere, nei casi in cui l'infortunio consista nell’insorgere del mesotelioma asbesto-correlato, in prossimità dell'inizio dell'esposizione all'agente nocivo e, nel caso di esposizione durevole, deve farsi riferimento al più anteriore tra il tempo della cessazione dell'esposizione della persona offesa all'agente nocivo e il tempo della cessazione dell'imputato dalla posizione di garanzia (Cass. IV, n. 45935/2019). Tentativo È ipotizzabile la configurazione di atti idonei diretti in modo non equivoco alla commissione del reato in esame nella sua forma commissiva. Rapporti con altri reati ed illeciti amministrativiL'elemento differenziale tra i reati previsti dagli artt. 437 e 451 consiste nel fatto che, con il primo, il legislatore ha inteso prevenire disastri o infortuni nel lavoro, mentre con la seconda si è posto il fine di limitare i danni derivanti da incendio, disastro o infortunio già verificatisi. Ne deriva che, essendo assolutamente diverso l'oggetto delle due diverse previsioni legislative, non e consentito accostamento analogico tra le due suddette norme (Cass. IV, n. 1436/1979). Poiché la consapevolezza dell'omissione delle misure prescritte è comunque indispensabile per prevenire disastri o infortuni sul lavoro e l'accettazione del pericolo insito nell'operare senza le stesse sono sufficienti a integrare il delitto di cui all'art. 437, qualora si verifichino, benché non voluti, il disastro e l'infortunio sul lavoro, ricorre l'ipotesi di reato prevista dal comma secondo dell'art. 437, senza che il più grave evento non voluto sia idoneo a trasformare la consapevole e voluta omissione delle misure e il pericolo connesso nel delitto colposo di cui all'art. 451 (Cass. IV, n. 10048/1993). Tali orientamenti, favorevoli al concorso fra il delitto in commento e quelli di lesioni o omicidio colposi, sono stati condivisi anche dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass. S.U., n. 38343/2014). Il campo di operatività dell'art. 437 va individuato nella dolosa non collocazione o rimozione di impianti, apparecchi, segnali, destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro; tale lavoro deve essere collettivo, in quanto altrimenti mancherebbe la possibilità di pericolo per la pubblica incolumità, che costituisce l'oggetto giuridico del delitto in esame. Ne consegue che, l'omessa dotazione di quadri elettrici su una nave e sistemazione di verricelli di tonneggio e di argani, attenendo alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, integra l'ipotesi del reato suindicato e non dell'art. 1215 c. nav., che attiene esclusivamente alle condizioni di navigabilità della nave (Cass. III, n. 7891/1982). Secondo taluni autori, deve escludersi il concorso di reati tra il delitto in esame e le contravvenzioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (Fiandaca-Musco, PS I, 532; Alessandri1980, 258; Castellani, 821; Padovani, 176; Piccoli, 435; Zagrebelsky 1980, 13). Al contrario , secondo la giurisprudenza (e parte della dottrina Battaglini-Bruno, 558; Gobessi, 921; Nori, 928; Nuvolone, 525; Pisapia, 1101; Smuraglia1980, 166), mentre per la configurazione del delitto previsto dall'art. 437, occorre che la rimozione od omissione di cautele abbia posto in pericolo la pubblica incolumità e che l'agente abbia tenuto la condotta vietata nonostante la consapevolezza di tale pericolo, ai fini della sussistenza delle contravvenzioni in materia antinfortunistica, non occorre che si sia verificata una situazione di pericolo per la pubblica incolumità ed è sufficiente la semplice colpa (Cass. I, n. 459/1993; Cass. I, n. 783/1993). Ne consegue che il delitto di cui all'art. 437 e le contravvenzioni in materia antinfortunistica, presentando elementi strutturali diversi sotto l'aspetto sia oggettivo che soggettivo, non danno luogo a conflitto di norme, di guisa che le stesse possono concorrere tra loro (Cass. I, n. 350/1998). Si è quindi ritenuto insussistente la preclusione del ne bis in idem ove si proceda per il delitto previsto dall'art. 437 a carico di persona già condannata, con sentenza irrevocabile, per contravvenzione in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro , poiché la condotta descritta nell'art. 437 implica una correlazione tra omissione di cautele e pericolo per la pubblica incolumità; e quindi essa è diversa, sotto il profilo dell'interesse tutelato, da quella punita a titolo contravvenzionale, essendo, in quest'ultimo caso, le relative norme predisposte a preservare l'incolumità individuale del lavoratore (Cass. I, n. 8357/1982). Le contravvenzioni alle norme antinfortunistiche, si differenziano dunque dal reato di cui all'art. 437 per la diversa obiettività giuridica (incolumità pubblica) e per la diversità dell'elemento materiale di quest'ultimo, che consiste nell'omessa collocazione di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro; mentre le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro si materializzano nell'omissione delle cautele imposte — tra l'altro — nella predisposizione degli apparecchi o impianti adibiti allo svolgimento dell'attività lavorativa, al fine della tutela dei lavoratori. Quindi se tali impianti e apparecchi esistono, e sono strutturalmente idonei a preservare la pubblica incolumità, l'eventuale imperfezione o l'omessa adozione di talune delle cautele previste dalle norme infortunistiche, non può realizzare l'elemento materiale previsto dalla ipotesi delittuosa di cui all'art.437 (Cass. III, n. 2930/1986). Il contenuto costitutivo del reato descritto dall'art. 437 e quello del reato di lesioni colpose di cui all'art. 590 sono tra loro sostanzialmente diversi e l'uno non comprende l'altro; infatti, nel reato di lesioni colpose l'elemento soggettivo è costituito appunto dalla colpa, mentre nel reato ex art. 437 è richiesto il dolo, che consiste nella coscienza di non adempiere l'obbligo giuridico di collocare gli impianti; nello schema legale tipico del primo non è inclusa la condotta costitutiva descritta nella fattispecie legale del secondo; i due reati si differenziano anche per la diversità dell'evento che nel delitto di cui all'art. 437 è costituito dal comune pericolo di disastro o di un infortunio il cui effettivo verificarsi non è elemento costitutivo del reato medesimo perché costituisce ove si realizzi, circostanza aggravante; invece, nel delitto di cui all'art. 590 l'evento è costituito dalle lesioni subite dalla parte offesa (Cass. IV, n. 1648/1983). Ne deriva che la condotta del datore di lavoro che non adempia all'obbligo di garantire la sicurezza del posto di lavoro, oltre che integrare gli estremi del delitto di cui all'art. 437, integra altresì l'elemento costitutivo della colpa per inosservanza di leggi che connota il delitto di lesioni di cui all'art. 590 (Cass. I, n. 459/1993). Si è successivamente ribadito che, quando si verta in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, e si verifichino lesioni personali colpose derivanti dall'omessa adozione delle cautele necessarie ad eliminare la pericolosità di un macchinario, deve escludersi il rapporto di specialità tra la disposizione di cui all'art. 437 e quella di cui all'art. 590, comma 2, in difetto di un rapporto di continenza tra tali norme, per la diversità, nei due reati, dell'elemento soggettivo (dolo nel primo caso e colpa nel secondo), della condotta (non essendo inclusa nello schema legale del primo la condotta costitutiva del secondo) e dell'evento (costituito, nel primo caso, dal comune pericolo di disastro o di un infortunio - il cui effettivo verificarsi non è elemento costitutivo del reato medesimo perché costituisce ove si realizzi, circostanza aggravante - e dalle lesioni nel secondo caso) (Cass. IV, n. 6156/2018). Allo stesso modo, qualora dall'omissione dolosa di impianti diretti a prevenire disastri o infortuni su lavoro sia derivato un disastroso incendio nel quale abbiano perso la vita più operai nell'espletamento di attività lavorative, sussiste concorso formale tra il reato di cui all'art. 437, comma 2, e quello di omicidio colposo previsto dall'art. 589, atteso che le due fattispecie incriminatrici considerano situazioni tipiche distinte e tutelano beni giuridici differenti (Cass. IV, n. 27151/2015; Cass. I, n. 890/1984), cioè la pubblica incolumità e la vita umana. Poiché il danno alla persona non è compreso nell'ipotesi complessa di cui all'art. 437, comma 2, costituendo effetto soltanto eventuale e non essenziale del disastro o dell'infortunio, causato dall'omissione delle cautele, la morte, sia pure in conseguenza dell'omissione stessa, non viene assorbita dal reato ex art. 437, comma 2, ma costituisce reato autonomo. La punizione dell'uno e dell'altro reato, pertanto, non comporta duplice condanna per lo stesso fatto e, quindi, non viola il principio del ne bis in idem (Cass. IV, n. 10048/1993). Vi è contrasto, in giurisprudenza, quanto ai rapporti tra il reato di cui all'art. 437 e l'illecito amministrativo di cui all'art. 179 d.lgs. 285/1992 che sanziona la condotta di chi mette in circolazione un veicolo con cronotachigrafo manomesso): - un orientamento ritiene che tra le due disposizioni non sussista rapporto di specialità, stante la diversità non solo dei beni giuridici tutelati - rispettivamente la sicurezza della circolazione stradale e la sicurezza dei lavoratori - ma anche strutturale tra le fattispecie, sotto l'aspetto oggettivo e soggettivo (Cass. I, n. 47211/2016; Cass. I, n. 10494/2020: in applicazione del principio, quest'ultima decisione ha confermato la qualificazione ai sensi dell'art. 437 della condotta dell'imputato che circolava alla guida di un autotreno con cronotachigrafo dallo stesso manomesso mediante l'apposizione di un magnete sul sensore di movimento); - altro orientamento ritiene che il conducente del mezzo che circola con il cronotachigrafo manomesso o alterato è soggetto alla sola sanzione amministrativa prevista dall'art. 179 cit., sussistendo un rapporto di specialità tra il predetto illecito ed il reato di cui all'art. 437; sarebbe configurabile il reato di cui all'art. 437 qualora la violazione sia commessa dal datore di lavoro, o da altri su sua disposizione, per ragioni attinenti allo svolgimento dell'attività di impresa (Cass. I, n. 18221/2019; Cass. I, n. 2200/2018). CasisticaRientra nella previsione normativa dell'art. 437 la condotta di chi ometta di collocare in ambiente lavorativo impianti di aspirazione idonei ad impedire che agenti esterni chimici ‘aggrediscano' il fisico di chi sia ad essi esposto (Cass. I, n. 12367/1990). Integra il reato di rimozione od omissione dolosa di cautela contro gli infortuni la condotta di chi non impieghi dispositivi che abbiano una mera potenzialità antinfortunistica e nel contempo abbiano rilevanti funzioni tecniche per il funzionamento degli impianti (Cass. IV, n. 4675/2006). Risponde del delitto previsto e punito dall'art. 437 il titolare di un cantiere che, non solo ometta di collocare gli apparecchi di prevenzione degli infortuni sul lavoro e di tutela della pubblica incolumità così come prescritto dalla legge, ma volontariamente compia una simile omissione non ottemperando a quanto a lui precedentemente contestato con diffida (Cass. I, n. 9821/1983). Il delitto di omissione dolosa di cautele antinfortunistiche può arrecare un danno risarcibile anche a singoli lavoratori, e, quindi, è identificabile un interesse in astratto di singoli lavoratori costituiti parti civili ad una pronuncia che affermi la responsabilità degli imputati per il reato previsto dall'art. 437, comma 1 (Cass. IV, n. 41184/2012). Profili processualiIl reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro è reato procedibile d'ufficio e di competenza del Tribunale monocratico. Per tale reato: a) l' arresto in flagranza è facoltativo in relazione all'ipotesi di cui al 1° comma; è obbligatorio in relazione all'ipotesi di cui al comma 2; b) il fermo non è consentito in relazione all'ipotesi di cui al 1° comma; è consentito in relazione all'ipotesi di cui al comma 2; c) l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali è consentita. Le misure di sicurezza V. sub art. 423. 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