Codice Penale art. 468 - Contraffazione di altri pubblici sigilli o strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione e uso di tali sigilli e strumenti contraffatti.

Francesca Romana Fulvi

Contraffazione di altri pubblici sigilli o strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione e uso di tali sigilli e strumenti contraffatti.

[I]. Chiunque contraffà il sigillo di un ente pubblico o di un pubblico ufficio, ovvero, non essendo concorso [110] nella contraffazione, fa uso di tale sigillo contraffatto, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 103 euro a 1.032 euro.

[II]. La stessa pena si applica a chi contraffà altri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione, ovvero, senza essere concorso [110] nella contraffazione, fa uso di tali strumenti [469, 470].

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.)

arresto: facoltativo

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

L'art. 468 delinea una disposizione a più norme, nelle quali è anticipata la tutela del bene a quelli che possono essere definiti atti preparatori, costituiti dalla contraffazione del sigillo o di altro strumento di autenticazione o certificazione.

L'anticipazione della tutela è giustificata dalla maggiore pericolosità insita in una cosa idonea a creare un numero indeterminato di impronte, rispetto ad un'attività diretta alla creazione di un'unica impronta contraffatta (De Martino, 298).

Bene giuridico

Secondo un orientamento dottrinario, fautore della plurioffensività dei reati di falso, la fattispecie di cui all'art. 468 non tutelerebbe solo il bene della «fede pubblica», ma anche quello del «buon andamento degli uffici della pubblica amministrazione», ai sensi dell'art. 97 comma 1 Cost.

Soggetti

Soggetto attivo

L'art. 468 prevede un generalizzato dovere di astensione, da parte di chi non sia legittimato a formare o usare gli strumenti destinati ad apporre i contrassegni. Pertanto al fine di individuare l'autore del reato si deve fare riferimento alle norme che attribuiscono il potere di formare o di usare gli strumenti destinati ad apporre le impronte. Il fatto può essere commesso sia dal privato sia dal pubblico ufficiale, anche in occasione dell'esercizio della pubblica funzione di cui sia titolare. In quest'ultima ipotesi, troverà applicazione l'aggravante di cui all'art. 61 n. 9 (Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, 165).

Elemento oggettivo

Oggetto materiale

Oggetto materiale del reato sono i mezzi destinati a formare il contrassegno:

(a) i sigilli di un ente pubblico o di un pubblico ufficio

(b) altri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione.

Per sigillo s'intende quel particolare strumento destinato ad imprimere su un determinato documento un disegno o una didascalia costituente lo stemma o il contrassegno indicativo della provenienza da un ente pubblico o da un pubblico ufficio (Catelani, 122).

Sono annoverati nella categoria dei pubblici sigilli tutti gli strumenti capaci di un'indeterminata ripetizione dell'impronta autenticatrice (v. in giurisprudenza Cass. V, n. 32573/2007).

In merito agli altri sigilli pubblici la dottrina prevalente ha sottolineato che il legislatore ha adottato un criterio soggettivo di qualificazione, poiché sono tutelati in quanto propri degli enti o uffici pubblici (Marini, 668). Si tratterebbe in sostanza di un criterio di «appartenenza» funzionale all'ufficio o servizio prestati. Rientrano, in via esemplificativa, nella categoria: a) i sigilli delle Autorità dello Stato che recano l'impronta dello stemma della Repubblica Italiana e l'indicazione dell'Autorità in legenda; b) i sigilli delle Regioni, delle Province e dei Comuni che recano l'impronta dello stemma dell'ente territoriale e la sua denominazione; c) i sigilli degli enti sottoposti per legge alla tutela dello Stato o degli altri enti territoriali; d) i sigilli dei notai che recano l'impronta dello stemma della Repubblica ed in legenda le generalità del notaio e l'indicazione del distretto in cui è legittimato a svolgere la sua attività (v. in giurisprudenza Cass. V, n. 1977/1997).

In dottrina è controverso se anche i c.d. enti pubblici economici rientrino nel genus degli enti pubblici. Un primo indirizzo dottrinale risponde affermativamente (Papa, 84), mentre un altro negativamente (Fiandaca, Musco, 560).

La giurisprudenza ha aderito al primo orientamento dottrinale e ha chiarito che il reato di cui all'art. 468 comma 1 punisce chiunque contraffà il sigillo di un ente pubblico, senza esclusione degli enti pubblici economici. In merito, inoltre, è stato evidenziato che a seguito delle interferenze tra diritto comunitario e diritto interno, la nozione di ente pubblico è stata sostituita da quella più ampia di origine comunitaria di organismo di diritto pubblico, cioè di soggetti giuridici collettivi, non necessariamente appartenenti al settore pubblico. I sigilli degli enti pubblici economici, pertanto, potrebbero assumere rilievo ai sensi del dell'art. 468 comma 2, se espressione di funzioni pubbliche, proprio perché gli altri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione sono tutelati secondo un criterio oggettivo.

La privatizzazione di alcuni enti pubblici ha, inoltre, posto la questione se si può ravvisare continuità dell'illecito a seguito della trasformazione di un «ente pubblico» in «società per azioni».

In merito parte della giurisprudenza ha sostenuto che il reato di cui all'art. 468 persiste per i fatti anteriormente commessi perché ha interpretato il termine «ente pubblico» oggettivamente (Cass. V, n. 44015/2005; Cass. V, n. 1593/1997); altra parte ha ritenuto che è intervenuta un'abolitio criminis, stante il carattere puramente privatistico assunto in tal modo l'ente. Di conseguenza per questo orientamento viene meno anche l'interesse «pubblicistico» alla difesa dei segni distintivi dell'ufficio statale (Cass. V, n. 6690/1998).

Gli altri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione di cui all'art. 468 comma 2 sono tutti quei mezzi meccanici, diversi dai sigilli, destinati ad autenticazione o certificazione, tutelati in quanto destinati all'esercizio di una determinata attività pubblicistica  quali, in via esemplificativa, i timbri degli uffici postali, i bolli degli uffici del registro, i marchi a fuoco e i punzoni per l’oro e gli altri metalli preziosi (Cass. V, n. 1977/1997). A differenza dei sigilli sono individuati secondo un criterio oggettivo: non si fa riferimento, cioè, alla qualifica soggettiva propria dell'ente o ufficio, ma all'esercizio di una specifica funzione eminentemente pubblicistica.

Il termine “certificazione” è adoperato in modo ampio e improprio (ovvero nel senso di accertamento dell’origine genuina di una cosa proveniente dalla P.A.), mentre con “autenticazione” si intende l’atto di certezza pubblica rappresentativo della provenienza del documento (ovvero l’attestazione simbolica o non, con cui l'autorità assicura il compimento di un atto o accerta la qualità o lo stato di una cosa) (Nappi, 2). Le autenticazioni e certificazioni pubbliche possono essere fatte o con la semplice apposizione dell'impronta sulla cosa, o, per quanto attiene al compimento di atti, con documenti che debbono essere integrati mediante l'apposizione di un segno simbolico.

Una parte della dottrina ha evidenziato che per individuare concretamente questi strumenti è indispensabile far riferimento alla legislazione speciale (così Manzini, 621).

Al riguardo la Cassazione ha affermato che la costruzione dei punzoni recanti i titoli dei metalli preziosi è sottoposta ad una rigorosa regolamentazione, che riguarda sia i soggetti legittimati a fare uso di tali strumenti sia le caratteristiche strutturali di essi. La certificazione compiuta attraverso i summenzionati strumenti ha carattere pubblico perché tale regolamentazione è volta a garantire la sincerità e la genuinità dei segni impressi sui preziosi, a tutela degli acquirenti (Cass. V, 1 ottobre 1980).

Inoltre non è sufficiente che il contrassegno, originariamente creato per un'attività privata o comunque non recante alcun elemento di riferimento alla funzione di pubblica autenticazione o certificazione, sia tuttavia utilizzato in concreto per tale funzione, ma occorre che lo strumento diverso dal sigillo dell'ente o dell'ufficio pubblico rechi all'origine nella stessa sua struttura e conformazione l'indicazione della citata funzione. È, infatti, proprio in tale indicazione che si concreta la destinazione dello strumento di cui all'art. 468 comma 2, poiché si tratta di destinazione che deve provenire ab intus ed essere connaturata e presente nel sigillo fin dal momento della sua creazione, e che non può identificarsi nell'impiego pratico che di volta in volta se ne faccia (Cass. V, 18 maggio 1989).

Condotta

L'art. 468 delinea una disposizione a più norme, poiché individua due autonome fattispecie incriminatici. Le condotte sanzionate sono le seguenti:

a) la contraffazione di un sigillo di un ente pubblico o di un pubblico ufficio realizzata dal falsificatore;

b) l'uso del mero spenditore del sigillo di un ente pubblico o di un pubblico ufficio contraffatto;

c) la contraffazione di altri strumenti destinati alla pubblica autenticazione o certificazione realizzata dal falsificatore;

d) l'uso del mero spenditore di altri strumenti destinati alla pubblica autenticazione o certificazione contraffatti.

Dottrina e giurisprudenza hanno chiarito che l'uso del sigillo contraffatto (o degli altri strumenti destinati alla pubblica autenticazione o certificazione contraffatti) costituisce un'autonoma ipotesi delittuosa rispetto al delitto di contraffazione dello stesso (o degli stessi) soltanto nel caso in cui il soggetto che realizza detto uso non sia responsabile anche a titolo di concorso nella contraffazione (Cass. V, n. 6037/1998). Diversamente la condotta di uso sarà assorbita nel precedente fatto punibile (Manzini, 625).

Pertanto se il soggetto concorre nella contraffazione o l’ha realizzata risponderà solo della prima condotta, trattandosi di reato progressivo, mentre se l'agente è concorso in una contraffazione grossolana, innocua o per lui penalmente irrilevante (perché commessa sotto minaccia) e poi fa uso del sigillo così contraffatto, risponderà per la condotta di uso (Marini, 673).

La contraffazione (cfr. sub art. 453) consiste nella fabbricazione idonea a trarre in inganno il pubblico e posta in essere con qualunque mezzo ovvero nella formazione di un sigillo (o degli altri strumenti destinati alla pubblica autenticazione o certificazione contraffatti) capace di imprimere un'impronta che abbia lo stesso significato del contrassegno originale. Tale formazione deve essere realizzata da chi non sia legittimato, in astratto, da una specifica norma di legge, o, in concreto, perché mancano i presupposti per l’esercizio del potere.

Il reato di cui all’art. 468 si concretizza non solo nei casi in cui la contraffazione renda il sigillo o altro strumento di pubblica autenticazione o certificazione identico a quello originale, ma anche quando la contraffazione abbia un grado di somiglianza tale da trarre in inganno persone non eccezionalmente ignoranti o negligenti (Cass. V, 1 marzo 1990; Cass. II, 11 novembre 1988; Cass. V, 21 marzo 1986).

L'art. 468 non indica l'alterazione tra le condotte penalmente rilevanti.

Un orientamento dottrinario minoritario ha ravvisato una lacuna del codice e ha cercato di colmarla riconducendo l'alterazione nel genus della contraffazione in senso lato ogni qual volta determinava una vera e propria trasformazione di un sigillo in un altro (Manzini, 625; Antolisei, 147). L’impostazione prevalente, però, non è favorevole ad una interpretazione estensiva della lettera della legge, perché quando il legislatore ha voluto punire l’alterazione (ad es., agli artt. 453, 454, 459, 462) lo ha fatto menzionandola espressamente (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit: Fiandaca, Musco, 562; Marini, 671). Secondo questo indirizzo, non solo la trasformazione rientra nel concetto di contraffazione, ma la previsione della condotta di alterazione non avrebbe senso perché la modificazione del sigillo o forma un nuovo strumento, capace di creare una nuova e diversa impronta, oppure, anche dopo la parziale modifica, esso continua ad essere l'impronta originaria. Di conseguenza non è idoneo a formare un segno che abbia una diversa rilevanza giuridica rispetto a quello originario (Nappi, 1999, 88).

La dottrina ritiene che la contraffazione di impronte realizzata mediante il ricorso a programmi informatici idonei alla produzione, in serie, dei contrassegni rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 468, e non dell’art. 469, nella parte in cui punisce la contraffazione degli altri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione. L'art. 468, infatti, non sanziona la creazione di sigilli o di altri strumenti che siano una imitazione esteriore di quelli legittimamente formati, ma di strumenti in grado, come i sigilli, di produrre una serie indeterminata di impronte. Di conseguenza la realizzazione di un programma informatico, presentando questa attitudine, si deve considerare una contraffazione di «altri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione» e non, invece, un mezzo diverso cui fa riferimento l'art. 469 (Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, 168).

La giurisprudenza, invece, in una isolata pronuncia ha asserito che la riproduzione, mediante un programma informatico, dell'impronta impressa dall'ufficio postale attestante l'avvenuto pagamento di bollettini di conto corrente integra gli estremi del delitto di cui all'art. 469 (Cass. V, n. 43369/2005; diff. Cass. V, n. 42621/2009).

L'uso (sub art. 464) consiste nell'utilizzo del sigillo o dello strumento conforme alla sua destinazione tipica, ossia l'uso volto ad imprimere l'impronta e, quindi, a creare il contrassegno (Nappi, 1999, 151). Come sopra esposto il presupposto per la rilevanza di questa condotta s'individua nel non aver realizzato o non essere concorso nella contraffazione del sigillo o di altro strumento destinato all'autenticazione o certificazione.

L'uso costituisce una condotta di falsificazione perché il falso non consiste nella contrarietà al vero, ma in un'apparenza che non doveva essere creata. L'uso del sigillo contraffatto, non è solo un post factum rispetto alla falsità dello strumento (Manzini, 625) ma è, a sua volta, condotta di falsificazione, perché crea un contrassegno che non doveva essere apposto (De Martino, 304).

Dal dettato normativo dell'art. 468 si evince, inoltre, la non punibilità della mera detenzione di sigilli contraffatti da parte di chi non è concorso nella contraffazione (Manzini, 624).

Il falso grossolano

La dottrina ha chiarito che affinché si realizzi la condotta di cui all'art. 468 non basta una contraffazione palesemente grossolana, ma è necessaria una somiglianza tale da trarre in inganno un certo numero di persone di comune discernimento (Manzini, 624).

Nel caso dell'uso la riconoscibilità deve essere valutata con riferimento alla capacità di discernimento dei destinatari dell'atto sul quale il sigillo è apposto (Cass. V, 1 marzo 1990). In merito al grado di somiglianza, si ritiene che non occorre una perfetta identità tra l'impronta apponibile con il sigillo contraffatto (o con l'altro strumento di cui all'art. 468, comma 2) e l'impronta genuina.

Il falso innocuo

La contraffazione innocua, come quella dell'incisore o del disegnatore che contraffanno sigilli per mera esercitazione o ioci causa, è penalmente irrilevante perché inidonea ad offendere l'interesse tutelato dalla norma (Marini, 676). L'uso innocuo, come quello del collezionista che inserisce un sigillo contraffatto nella propria collezione di falsi, non è punibile.

Elemento psicologico

Il dolo

Il reato è punito a titolo di dolo generico.

La dottrina prevalente assegna rilevanza non solo al dolo intenzionale, ma anche a quello eventuale (Marini, 676; Nappi, 1999, 3). In merito alla condotta di uso è, inoltre, necessario che il soggetto abbia consapevolezza che il sigillo che utilizza è stato da altri contraffatto.

Consumazione e tentativo

Consumazione

Se è stata posta in essere una condotta di contraffazione il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui il sigillo (o altri strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione) viene contraffatto, non essendo necessario anche il suo uso (Cass. V, n. 30743/2021; Cass. V, 16 novembre 1981), mentre se è stata realizzata quella di uso nel momento del suo primo utilizzo, sempre che l'uso non sia posto in essere dal contraffattore.

Tentativo

La dottrina dominante ammette il tentativo nelle fattispecie previste dall'art. 468 (Manzini, 626; Marini, 676). Un altro orientamento, invece, è di avviso contrario: il tentativo di contraffazione non sarebbe configurabile perché trattandosi di un reato di pericolo la sua punibilità renderebbe penalmente rilevante il pericolo di un pericolo, con un'eccessiva anticipazione della tutela. Il tentativo d'uso, invece, non sarebbe possibile perché il delitto può ritenersi consumato già con il primo atto di esecuzione (Cristiani, 1957, 22).

Forme di manifestazione

Circostanze

Parte della dottrina ritiene applicabile la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 2 e quella attenuante prevista dall'art. 62, n. 4 (diff. Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, 165) e l'aggravante di cui all'art. 61 n. 9.

Concorso di persone

La giurisprudenza ha affermato che se un soggetto commissiona ad una terza persona una patente falsa per l'abilitazione alla guida risponde, a titolo di concorso, anche del reato d'uso di sigilli contraffatti, uso materialmente fatto dal terzo per la falsificazione. Nel concorso di persone nel reato, infatti, il compartecipe risponde, oltre che del reato voluto e concordato, anche di eventuale ulteriore reato posto in essere da uno dei concorrenti purché tale reato sia connesso, in rapporto di causa ad effetto, con quello voluto e sia attuato nei limiti della progettata attività criminosa (Cass. V, 10 aprile 1991, Cass. I, 06 maggio 1981).

Unità o pluralità di reati

La contraffazione e l'uso sono previste come condotte alternative e non possono concorrere. Il reato di cui all'art. 468, infatti, si consuma nel momento e nel luogo in cui lo strumento contraffatto viene creato ad opera del suo autore, o di chi per lui, senza che occorra, ai fini della perfezione del reato stesso, che di tale strumento venga fatto uso. L'uso (eventuale) o anche continuato dello strumento, da parte dell'autore della contraffazione, costituisce, pertanto, un post factum non punibile (Cass. V, n. 30743/2021; Cass. V, n. 6037/1998), suscettivo di essere considerato ai fini della commisurazione della pena ai sensi dell'art. 133.

Secondo la dottrina, infatti, si realizza la figura del reato progressivo, in cui sono realizzate offese di crescente gravità ad un medesimo bene giuridico tali rappresentare momenti di un unico progetto criminoso (Manzini, 625).

Rapporti con altri reati

Contraffazione del sigillo dello Stato e uso del sigillo contraffatto

L'art. 467 descrive il medesimo fatto previsto dall'art. 468, ma le due fattispecie hanno oggetti materiali diversi (Cass. V, n. 1977/1997).

Contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione o certificazione

Cfr. sub art. 469.

Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

La giurisprudenza ha sottolineato che la disposizione dell'art. 468 comma 2 si differenzia da quella prevista dall'art. 517, poiché richiede la contraffazione di strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione, mentre l'art. 51 postula la mera imitazione di marchi o segni distintivi nei prodotti messi in vendita. Ciò determina che il delitto di cui all'art. 517, che ha evidentemente carattere sussidiario, sussiste in quanto manchi una condotta di contraffazione (Cass. V, 1 ottobre 1980).

Concorso di reati

Delitti di falso documentale

La dottrina ha asserito che i delitti di contraffazione di pubblici sigilli e di impronte di pubblica autenticazione e certificazione possono concorrere con altri reati di falso documentale. I beni tutelati e le condotte punite sono diversi: i delitti di contraffazione tutelano direttamente la fede pubblica, in relazione ai mezzi dei quali si serve la P.A. per attestare la provenienza di un atto, a prescindere dalla sussistenza del falso documentale, e si perfezionano al momento della creazione del falso strumento che è destinato alla produzione di una serie indefinita di atti falsi; nel caso di falso documentale, gli illeciti pur diretti alla tutela della fede pubblica, si riferiscono alle attestazioni di verità di fatti giuridicamente rilevanti, come evidenziati nel falso documento (Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa, 174 e in giurisprudenza Cass. V, n. 7553/1999). Qualora la condotta criminosa di contraffazione di pubblici sigilli si fondi su un elemento diverso o ulteriore, che non possa essere ricompreso nella lettera dell'art. 468, si determina, di regola, un concorso con i reati di falsità in atti (ad es. quando un sigillo contraffatto viene adoperato per falsificare un documento) (Nappi, 1999, 207).

In particolare la dottrina e la giurisprudenza ammettono il concorso con il delitto di falsità materiale in atto pubblico (art. 476) e con quello di falsità materiale in autorizzazione (art. 477), poiché queste fattispecie incriminatrici si possono perfezionare anche senza il ricorso alla contraffazione dei pubblici sigilli (Cass. V, 13 ottobre 1980).

Casistica

Integra la condotta di contraffazione ai sensi dell'art. 468:

a) la contraffazione di un timbro, recante la dicitura «revisione regolare» e «il funzionario M.C.T.C.», perché, anche se nel timbro non figura anche il sigillo dello Stato, si presume che lo strumento è idoneo a rilasciare una timbratura che in apparenza sembra provenire dall'ufficio pubblico competente e attestare il compimento delle procedure ad esso demandate (Cass. V, n. 42030/2007);

b) la contraffazione dei sigilli delle Casse di risparmio, perché a quest'ultime è riconosciuta la natura di enti pubblici e, di conseguenza, i loro sigilli rientrano tra quelli pubblici tutelati dall' art. 468 (Cass. V, 4 marzo 1981);

c) la contraffazione dei punzoni impiegati per imprimere il titolo dell'oro o dell'argento su oggetti destinati alla vendita, in quanto strumenti preposti per una certificazione di carattere pubblico (Cass. V, 01 ottobre 1980);

d) la riproduzione del sigillo mediante un unico strumento precedentemente preparato ovvero attraverso l'adozione del sistema cosiddetto off-set, che si concretizza nella predisposizione di un cliché fotografico, atto ad una illimitata riproduzione della impronta medesima. In tale ipotesi è l'uso del negativo, che costituisce lo strumento precedentemente preparato, che rende possibile una riproduzione illimitata dell'impronta (Cass. V, 26 aprile 1989).

Integra la condotta di uso ai sensi dell'art. 468:

a) l'utilizzazione di una matrice allestita mediante computer, con l'illecito inserimento, nella memoria dell'hard disk, di codici non corrispondenti a quelli assegnati ai funzionari della Motorizzazione civile, ai fini della certificazione di superamento della prova di revisione di un autoveicolo commerciale (Cass. V, n. 32573/2007);

b) l'uso di un sigillo contraffatto riproducente la dicitura “regolare revisione” apposta sulle carte di circolazione di determinati automezzi (Cass. V, n. 42621/2009);

c) l'uso di sigilli esteri contraffatti, ovvero visti e timbri contraffatti della Confederazione elvetica, destinati ad essere utilizzati anche nel territorio dello Stato italiano per il transito ed il soggiorno di cittadini extracomunitari nel territorio svizzero e degli altri Paesi europei (Cass. VI, n. 35915/2009);

Rientra nell'ambito degli strumenti di pubblica autenticazione o certificazione di cui all'art. 468 comma 2, il sigillo recante la dicitura «C.I. Carni Italiane», adottato per certificare la provenienza nazionale della carne macellata (Cass. V, n. 6815 /2005).

Non integra il delitto ex art. 468, ma dell'illecito di cui all'art. 4 comma 4 lett. a) d.lgs. n. 7/2016 (falsità in scrittura privata), la condotta di colui che apponga su un elaborato, depositato all'Ufficio del Genio Civile, il timbro dell'Ordine degli Architetti apparentemente riferito ad un professionista iscritto a detto Ordine, poiché il suddetto timbro non può essere definito sigillo (Cass. V, n. 27900/2008).

Profili processuali

Gli istituti

Si tratta di un reato procedibile d'ufficio e di competenza del tribunale in composizione monocratica.

Per la contraffazione di altri pubblici sigilli o strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione e uso di tali sigilli e strumenti contraffatti:

a) è prevista l'udienza preliminare;

b) non è consentito il fermo e l'arresto in flagranza è facoltativo;

c) sono consentite l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

L’interesse ad impugnare

Cfr. sub art. 467. 

Bibliografia

De Martino, Contraffazione di altri pubblici sigilli o strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione e uso di tali sigilli e strumenti contraffatti, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, Reati contro la fede pubblica, vol. X, Milano, 2013; v. anche subart. 467.

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