Codice Penale art. 472 - Uso o detenzione di misure o pesi con falsa impronta.

Francesca Romana Fulvi

Uso o detenzione di misure o pesi con falsa impronta.

[I]. Chiunque fa uso, a danno altrui, di misure o di pesi con l'impronta legale contraffatta o alterata, o comunque alterati, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 516 euro.

[II]. La stessa pena si applica a chi nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, detiene misure o pesi con l'impronta legale contraffatta o alterata, ovvero comunque alterati.

[III]. Agli effetti della legge penale, nella denominazione di misure o di pesi è compreso qualsiasi strumento per misurare o pesare [692].

competenza: Trib. monocratico

arresto: non consentito

fermo: non consentito

custodia cautelare in carcere: non consentita

altre misure cautelari personali: non consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

La previsione della norma incriminatrice contenuta dall’art. 472 è giustificata dall'uso di un sistema metrico nei traffici commerciali, reso obbligatorio dallo Stato e sottoposto ad una particolare disciplina. La ratio della norma è, quindi, quella di impedire sia l'uso abusivo (cioè illegittimo) di sigilli o strumenti prodotti in modo assolutamente legittimo sia le conseguenti frodi negli scambi.

Bene giuridico

Il bene giuridico tutelato è la pubblica fede documentale. La presenza dell'impronta sullo strumento per misurare o pesare, infatti, indica sia che è stata svolta l'attività di prima verifica o di controllo periodico, sia l'esito conforme della stessa. Poiché si tratta di un'attività pubblicistica la contraffazione o l'alterazione dell'impronta si traducono nella rappresentazione di una documentazione pubblica che non poteva esserci.

Soggetti

Soggetto attivo

La norma prevede due diverse ipotesi. La prima è un reato comune, poiché la condotta di uso a danno altrui può essere realizzata da chiunque. Nel caso di vendita potrebbe essere lo stesso acquirente a lamentare una discrepanza tra misurazione reale ed effettiva, facendo uso di uno strumento contraffatto (ad es. il compratore, che nell'acquistare della stoffa, fa uso del proprio metro contraffatto per contestare la misurazione del negoziante).

In merito alla seconda (la detenzione nell'esercizio di un'attività commerciale ovvero in uno spaccio aperto al pubblico) parte della dottrina ritiene che costituisce un reato proprio, perché soggetto attivo può essere solo colui che svolge, a qualsiasi titolo (titolare, institore, rappresentante, commesso) un'attività commerciale — in forma fissa o ambulante, all'ingrosso o al minuto — purché professionale (cfr. Marini, 679). Per questa impostazione, soggetto che esercita il commercio non è solo il titolare dell'attività, ma anche chi lavora alle sue dipendenze o su suo incarico. Il dipendente può avere sia una responsabilità diretta ed autonoma, sia rispondere a titolo di concorso con il titolare dell'attività.

Altra parte, invece, evidenzia che si tratta di un reato comune perché la previsione della commissione del fatto in uno spaccio aperto al pubblico fa venire meno il requisito della necessaria professionalità dell'esercizio dell'attività commerciale. La norma, infatti, prevede una condotta solo eventualmente abituale (Cadoppi, Canestri, Manna, Papa, 211).

Elemento oggettivo

Oggetto materiale

Oggetto materiale del reato sono le «misure e i pesi», i quali devono presentare l'impronta legale alterata o contraffatta, oppure essere comunque alterati (per la nozione di impronta cfr. sub art. 469; per quella di contraffazione — la creazione ex novo di un'impronta — cfr. sub art. 468 e sub art. 469; per quella di alterazione — l'attribuzione ad un'impronta genuina già esistente di un nuovo e diverso significato — cfr. sub art. 468 e sub art. 469).

Le misure e i pesi sono, ai sensi dell'art. 472 comma 3, tutti gli strumenti per misurare o pesare creati sotto il controllo dello Stato, per cui la loro conformità all'unità di misura ufficiale è assicurata da un'impronta legale (Fiandaca, Musco, 2012, I, 564) che garantisce la loro idoneità ad essere utilizzati nelle negoziazioni commerciali. La norma definitoria contenuta nell'art. 472 comma 3 non descrive in modo chiaro quali sono gli strumenti legali per misurare o pesare tutelati. Pertanto per individuare l'oggetto materiale del reato e per comprendere qual è l'attività che si certifica esser stata svolta con l'impronta validamente apposta, è necessario leggere l'art. 472 comma 3 congiuntamente con la normativa speciale (r.d. 23 agosto 1890, n. 7088 “Approvazione del t.u. delle leggi sui pesi e sulle misure nel Regno d'Italia del 20 luglio 1890, n. 6991” e le modifiche introdotte dal d.m. 28 marzo 2000 n. 182 “Regolamento recante modifica ed integrazione della disciplina della verificazione periodica degli strumenti metrici in materia di commercio e di camere di commercio”). Lo Stato interviene disciplinando tutti gli strumenti di misura (lineare, di superficie, di peso, di capacità e di solidità) determinandone il sistema legale e garantendo la corrispondenza di ogni singolo strumento all'unità di raffronto ufficiale. Tale corrispondenza è assicurata con l'impressione, su ciascuno strumento, di un contrassegno rappresentativo di un atto di certezza pubblica che ne attesta la conformità all'unità di raffronto.

L'espressione «comunque alterati» si riferisce a tutte quelle alterazioni che non attengono all'impronta legale, ma comunque idonee a trarre in inganno il pubblico (Antolisei, 150). Sono, pertanto, “comunque alterati” gli strumenti metrici dotati di impronta genuina, ma non veridici quanto al risultato della misurazione, perché sono stati modificati nella loro consistenza materiale in modo tale da renderli non conformi, per dimensione e per peso, a quanto rappresentato nel contrassegno (ad esempio se l'agente ha manipolato la bilancia oppure ha diminuito la portata di un peso sottraendogli metallo). L'alterazione, quindi, fa venire meno la conformità dello strumento con quanto rappresentato dal contrassegno. Essa, inoltre, può essere precaria e momentanea, riguardare anche un solo atto di commercio (Catelani, 85) ed essere opera dell'uomo (in tal caso sarà autore il proprietario dello strumento, il titolare dell'esercizio o anche colui che lo usa o lo detiene) o il risultato della naturale usura dello strumento, di cui l'utente deve essere naturalmente a conoscenza.

Condotta

L'art. 472 contempla una norma a più fattispecie:

a) uso a danno altrui, di misure o pesi recanti l'impronta contraffatta o alterata, o comunque alterati;

b) detenzione degli stessi strumenti, nell'esercizio di un'attività commerciale ovvero in uno spaccio aperto al pubblico.

Le due condotte sono sottoposte entrambe alla medesima pena e non possono concorrere: la prima è più ampia con riferimento all'ambito soggettivo di applicazione, perché si applica a chiunque; la seconda, invece, richiede che la condotta sia posta in essere nell'esercizio del commercio ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, e anticipa la punibilità alla sola detenzione.

Presupposto del reato è che l'impronta sia stata contraffatta o alterata, o gli strumenti per misurare o pesare siano stati comunque alterati. La dottrina ha chiarito che la falsificazione non comporta, necessariamente, che lo strumento per misurare e pesare non sia conforme all'unità di raffronto ufficiale. La misura effettiva può corrispondere a quella indicata (Nappi, 1989, 3) perché il fatto presupposto di falsificazione consiste nel far apparire eseguita l'attività di certificazione dello strumento di misurazione, senza che il soggetto che l'ha eseguita fosse a ciò legittimato.

L'uso a danno altrui (per la nozione cfr. sub art. 468 e sub art. 469) consiste nel servirsi dello strumento secondo la sua naturale destinazione, da parte di chi lo detiene normalmente, ovvero, da parte di colui a cui il detentore l'ha reso disponibile, purché questi sia consapevole della falsità dell'impronta.

In merito al profilo concernente la direzione della condotta «a danno altrui» (cfr. sub art. 471), parte della dottrina interpreta la norma nel senso che richiede, come necessaria, la verificazione dell'evento di danno (Catelani, 85); altra parte che la fattispecie prevede l'obiettiva idoneità della condotta alla causazione del danno.

La direzione degli atti verso il danno ad altri esclude la rilevanza penale di quelle condotte di uso di strumenti che hanno l'impronta contraffatta o alterata ma sono giusti nella misurazione, perché non si traducono in un difetto di rilevamento e non producono, pertanto, una possibilità di danno.

La detenzione (per la nozione cfr. sub art. 453) è il rapporto di fatto tra la cosa ed il soggetto e costituisce un'anticipazione della tutela, motivata dalla circostanza che riguarda una cerchia circoscritta di soggetti per i quali l'uso si presenta come altamente probabile. Ai fini della sua realizzazione è sufficiente che le misure o pesi si trovino nella sfera di disponibilità dell'agente anche temporaneamente e non è necessario né il possesso né una relazione giuridicamente qualificata. Tale profilo giustifica l'estensione della fattispecie anche ai commessi, i preposti e quanti, di fatto, nell'esercizio dell'attività commerciale o nello spaccio aperto al pubblico, abbiano una relazione con la cosa.

Con l'espressione “nell'esercizio di una attività commerciale” la legge richiede che si tratti di un soggetto che abitualmente opera ponendo in essere atti diretti allo scambio di beni in qualsiasi luogo, anche nel domicilio.

Per “spaccio aperto al pubblico” si intende qualunque luogo, sia all'aperto che al chiuso, nel quale le persone possono accedere allo scopo di compravendita (Manzini, 1986, 651).

Dalla interpretazione congiunta delle due locuzione si deduce che rientrano nell'ambito di applicazione della norma anche le ipotesi di attività occasionale. Quest'ultima non deve necessariamente qualificarsi in termini di professionalità, perché quello che rileva è il nesso funzionale tra detenzione e attività svolta. Ciò che occorre è, infatti, che il soggetto tenga una condotta di offerta al pubblico di merce la cui individuazione deve avvenire mediante l'uso degli strumenti falsificati, non essendo necessario l'effettivo compimento di atti di commercio.

Non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 472 l'uso o la detenzione di strumenti sprovvisti di impronta legale, sia perché essa manchi ab origine sia perché la stessa sia stata soppressa.

Elemento psicologico

Il dolo

Il reato è punito a titolo di dolo generico, e consiste nella coscienza e volontà di utilizzare o di detenere nell'esercizio di un'attività commerciale o in uno spaccio aperto al pubblico gli strumenti di misura. È, altresì, necessaria la consapevolezza che l'impronta è stata contraffatta o alterata ovvero che i pesi e le misure sono state alterati. La dottrina ammette, per la fattispecie di detenzione, il dolo eventuale (Marini, 679).

Consumazione e tentativo

Consumazione

In merito alla condotta di uso parte della dottrina sostiene che il delitto si consuma al momento dell'utilizzazione di misure o pesi con l'impronta legale contraffatta o alterata, o comunque alterati; altra parte, invece, al momento di verificazione del danno, in quanto quest'ultimo è un elemento costitutivo del fatto (Marini, 679). In riferimento alla condotta di detenzione, invece, il reato si perfeziona quando il soggetto stabilisce la relazione di fatto con il bene nell'esercizio dell'attività ovvero nello spaccio e si consuma con la cessazione della condotta di detenzione. In dottrina è stato osservato che mentre l’uso è una condotta che integra un reato istantaneo, la detenzione, invece, realizza un reato permanente.

Tentativo

Per quanto riguarda la condotta di uso a danno altrui è controversa la configurabilità del tentativo: secondo una parte della dottrina il tentativo è ammissibile quando all'uso non segua, per qualsivoglia ragione, il danno (Marini, 680). Per un'altra, secondo la quale la norma prevede l'obiettiva idoneità della condotta alla causazione del danno, invece, non è configurabile (Manzini, 618). In merito alla detenzione per un indirizzo il tentativo è escluso, a prescindere dalla frazionabilità della condotta, perché si tratta di un reato a consumazione anticipata. Per un'altra impostazione, invece, è ammesso ogni qual volta vi sia stata la previa alterazione degli strumenti di misurazione Marini, 680).

Unità o pluralità di reati

Non si realizza concorso fra i reati di uso degli strumenti metrici previsti dall'art. 427 comma 1 e di detenzione sanzionata all'art. 427 comma 2 in quanto la prima fattispecie assorbe la seconda.

Rapporti con altri reati

Contraffazione delle impronte di una pubblica autenticazione o certificazione

Per un'impostazione, nel caso in cui l'agente, oltre a detenere pesi e misure, prima li abbia contraffatti, si applica l'art. 469 perché si tratta di una progressione criminosa e perché il legislatore punisce autonomamente l'uso di un falso solo se posto in essere da un soggetto che non è anche l'autore materiale (Manzini, 625). Per un altro indirizzo, invece, l'ipotesi è punita ai sensi dell'art. 472 perché tale disposizione si pone in rapporto di specialità rispetto a quella contemplata dall'art. 469 (Marino, 680).

Detenzione di misure e pesi illegali

I rapporti strutturali tra le fattispecie di cui agli artt. 472 e 692 sono rimasti inalterati anche a seguito della depenalizzazione di quest'ultima operata dall'art. 55 d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507 perchè il fatto previsto dall'art. 692 è rimasto lo stesso. L'ambito applicativo e la condotta di detenzione sono i medesimi, mentre l'elemento differenziale s'individua sia nelle qualità che devono presentare gli strumenti per misurare o pesare (l'art. 692 ha ad oggetto strumenti diversi da quelli previsti dalla legge) sia nella utilizzazione di strumenti legali o misure senza rispettare le prescrizioni di legge (che nel caso di cui all'art. 692 non sono stati sottoposti alla prima verifica o a verifica periodica) (De Martino, 339).

Casistica

Integra gli estremi delle fattispecie di cui all'art. 472 l'attività di collocare un pezzo di cartone sotto il piatto di una bilancia destinata a ricevere la cosa da pesare.

Profili processuali

Gli istituti

 Si tratta di reato procedibile d'ufficio e di competenza del tribunale in composizione monocratica.

Per l'uso o detenzione di misure o pesi con falsa impronta:

a) l'azione penale deve essere esercitata nelle forme della citazione diretta ai sensi dell'art. 550 c.p.p.;

b) non sono consentiti il fermo e l'arresto in flagranza;

c) non è consentita l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

In caso di condanna lo strumento metrico detenuto o usato è oggetto di confisca obbligatoria.

L’interesse ad impugnare

Cfr. sub art. 467.

Bibliografia

De Martino, Uso o detenzione di misure o pesi con falsa l’impronta, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, Reati contro la fede pubblica, vol. X, Milano, 2013; v. anche subart. 467.

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