Codice Penale art. 476 - Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.

Francesca Romana Fulvi

Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.

[I]. Il pubblico ufficiale [357], che, nell'esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni [491 1].

[II]. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso [2699, 2700 c.c.], la reclusione è da tre a dieci anni [482, 490, 492, 493].

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.)

arresto: facoltativo

fermo: non consentito (primo comma); consentito (secondo comma)

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Secondo l'orientamento dottrinario più recente il falso materiale, che interviene sulla documentazione dell'atto, aggredisce i requisiti formali di validità del documento e rivela, pertanto, una violazione già in astratto della legittimazione all'esercizio del potere documentale (Mezzetti, 277; Ramacci, 1966, 141). L’impostazione metodologica seguita da tale indirizzo incentra l’analisi sul diverso tipo di infedeltà del pubblico ufficiale ai pubblici doveri di certificazione. Di conseguenza si ha falsità materiale tutte quelle volte in cui risulta violato il dovere che impone di astenersi dall'uso di poteri documentali in assenza di condizioni che ne legittimano l'esercizio, e falsità ideologica quando, per cattivo uso dei poteri documentali che il pubblico ufficiale possiede, risulta violato il dovere di corrispondenza dell'atto allo scopo istituzionale (cioè l'attestazione del vero) che gli è proprio (Ramacci, 1966, 130).

Bene giuridico

La dottrina prevalente individua l'interesse tutelato nel bene di categoria fede pubblica, definita come la fiducia che la collettività ripone nella genuinità e veridicità di determinati segni o documenti indispensabili nel normale svolgimento dei rapporti sociali e giuridici ed ai quali l'ordinamento giuridico riconosce certezza e valore probatorio per la particolare funzione economica che svolgono nelle relazioni giuridiche pubbliche e private (il c.d. traffico economico e giuridico) (Fiandaca, Musco, 2012 540).

Un'altra impostazione dottrinaria, invece, ritiene che i delitti di falsità in atti disciplinati dal Capo I sono plurioffensivi, lesivi, cioè, non solo dei «beni-intermedi», riconducibili al genus del bene «categoriale» della «fede pubblica», ma anche dei beni finali.

Recentemente la Cassazione (Cass. S.U., n. 46982/2007) ha affermato la natura plurioffensiva dei delitti contro la fede pubblica in quanto la norma incriminatrice non sarebbe preordinata solo alla tutela di interessi pubblici, ma anche di quelli del privato, nella cui sfera giuridica l'atto viziato è destinato ad incidere concretamente.

Soggetti

Soggetto attivo

La falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici è un reato proprio, che può essere commesso solo dal pubblico ufficiale (per la nozione cfr. sub art. 357).

L'espressione «nell'esercizio delle proprie funzioni» è interpretata diversamente da dottrina e giurisprudenza. L'orientamento dottrinario maggioritario ravvisa l'esercizio delle proprie funzioni quando l'atto falsificato rientra nella competenza funzionale del pubblico ufficiale. Secondo un altro indirizzo è necessario che per il verificarsi del reato ricorra anche l'elemento ulteriore dell'assenza delle condizioni che legittimano l'uso attuale dei poteri documentali, e, quindi, l'abuso di tali poteri.

La giurisprudenza ha affermato che l'espressione «nell'esercizio delle proprie funzioni» non deve essere interpretata in senso strettamente tecnico e gli si deve attribuire il significato più generico di ambito delle funzioni esercitate dal pubblico ufficiale (Cass. V, n. 47508/2016): l'alterazione o contraffazione devono realizzarsi nell'ambito di tale esercizio e l'atto alterato o contraffatto deve essere compiuto in occasione dell'esercizio delle proprie funzioni e si deve inserire, per sua stessa natura, nella competenza funzionale del pubblico ufficiale, essendo ininfluente il momento nel quale l'alterazione o la contraffazione si è realizzata (Cass. V, 29 maggio 1992).

Non è sufficiente, quindi, che il soggetto rivesta una posizione pubblicistica, ma è necessario che, nel concreto svolgimento dei suoi compiti, egli esplichi un'attività pubblicistica di sua pertinenza.

La punibilità è estesa al privato e al pubblico ufficiale fuori dall'esercizio delle sue funzioni in base all'art. 482, e al pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio nell'esercizio delle sue attribuzioni ex art. 493 o fuori da tale esercizio ex art. 482. 

Soggetto passivo

La dottrina prevalente, sostenitrice della natura monoffensiva della fattispecie, ha individuato come persona offesa solo lo Stato.

La giurisprudenza maggioritaria ha per lungo tempo condiviso questa impostazione fino fino alla sentenza della Cass. S.U. n. 46982/2007, che ha dichiarato la natura plurilesiva dei reati di falso. Di conseguenza è considerato soggetto passivo anche il privato.

Elemento oggettivo

Oggetto materiale

Oggetto materiale del reato sono gli atti pubblici.

La nozione di atto pubblico non è contenuta all'interno del codice penale, ma si desume dai disposti degli artt. 2699 c.c. e 493 (che richiama le falsità compiute dai pubblici impiegati incaricati di un servizio pubblico): lo scritto, avente natura di documento (si definisce «documento» «qualsiasi oggetto idoneo a rappresentare un pensiero»: Malinverni, 1964, 624; Manzini, 676), formato da un pubblico ufficiale o da un impiegato incaricato di pubblico servizio per uno scopo inerente alle sue funzioni e compilato con le debite forme, anche se non espressamente previsto da determinate norme e indipendentemente dal fatto che si tratti di atti esterni o interni alla p.a., purché rientrante nell'ambito dell'attività e degli scopi dell'amministrazione (in giurisprudenza Cass. S.U., n. 15983/2006). Questa definizione deve essere integrata con quanto disposto dall'art. 491 e dall'art. 491-bis, che estende la punibilità anche al documento informatico  per la nozione cfr. sub art. 491-bis.

In dottrina (De Marsico, 575, Manzini, 716) si è distinto tra:

a) «atti formalmente e sostanzialmente pubblici»: documenti formati da un p.u., o da un soggetto equiparato, che hanno un contenuto di natura o rilevanza pubblica (ad es. gli atti c.d. «interni» della p.a., gli atti legislativi o del potere esecutivo);

b) «atti formalmente pubblici e sostanzialmente privati»: documenti formati da un p.u., o da un soggetto equiparato, ma assoggettati ad un regime giuridico di diritto privato (ad es. gli atti che la p.a. emana come soggetto di diritto privato o gli atti notarili ed equiparati).

Sulla distinzione tra atto pubblico e certificato amministrativo cfr. sub art. 477

La dottrina ha evidenziato che ai fini dell'applicabilità dell'art. 476 la destinazione probatoria dell'atto non costituisce un carattere normativamente indispensabile perché, a differenza della disciplina relativa al falso ideologico, la norma non richiede espressamente nel corpo del testo la destinazione dell'atto a provare la verità dei fatti in esso attestati (Ramacci, 1966, 183). Di conseguenza per la punibilità del falso materiale rileva qualsiasi atto pubblico, fidefacente o non e, inoltre, con destinazione probatoria o meno.

L'ordinamento penale distingue tra atti facenti fede sino a querela di falso, e quelli che invece fanno fede solo sino a prova contraria, che sono sottoposti al libero apprezzamento del giudice, senza vincoli di forma.

Gli atti pubblici di fede privilegiata sono quelli che soddisfano il duplice requisito della soggettività e dello scopo descritti dall'art. 2699 c.c., che devono sussistere simultaneamente. Nella formazione di tali atti, il pubblico ufficiale (e non il pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio, che non è legittimato a redigere questi documenti) esplica i suoi poteri certificatori con lo scopo precipuo di attribuire all'atto la pubblica fede sui contenuti indicati dall'art. 2700 c.c. (Ramacci, 1966, 77), ovvero quanto da lui fatto e rilevato o avvenuto in sua presenza (Cass. III, n. 15764/2017) la caratteristica principale degli atti pubblici fidefacenti fino a querela di falso è data, pertanto, dal collegamento alla speciale funzione di pubblica certificazione, ovvero alla maggiore forza probante attribuita dalla legge agli stessi. Il potere di certificazione, infatti, si estrinseca in tutti gli atti che il pubblico ufficiale redige ex art. 357, tuttavia per alcuni atti la legge legittima un potere-dovere più intenso e specifico. La fidefacienza è stata qualificata dalla dottrina come una qualità della funzione esercitata (funzione intesa nel senso di attività registratrice) la cui consistenza socio-giuridica è data da una provenienza particolare come attività privilegiata del pubblico ufficiale e che si estrinseca in detta funzione registratrice dello Stato o di altri enti pubblici nella categoria degli atti c.d. «probanti», che fanno fede fino ad impugnazione di falso.

Secondo la dottrina sono atti fidefacenti soltanto quegli atti di certezza legale che, in virtù di una specifica previsione normativa, impongono di ritenere i fatti in essi rappresentati certi, salva l'introduzione del particolare procedimento di verificazione costituito dalla querela di falso (Nappi, 1999, 63).

La giurisprudenza definisce “atto pubblico di fede privilegiata” quello redatto da un pubblico ufficiale fornito di una speciale potestà documentatrice, attribuita da una legge o da norme regolamentari anche interne, ovvero desumibili dal sistema, in forza della quale il documento assume una presunzione di verità assoluta, ossia di massima certezza eliminabile solo con l'accoglimento della querela di falso o con sentenza penale (Cass. V, n. 28047/2019; Cass. VI, n. 35219/2017).  Recentemente la Cassazione ha affermato che si considerano dotati di fede privilegiata quei documenti che, essendo emessi da pubblico ufficiale autorizzato dalla legge, da regolamenti oppure dall'ordinamento interno della p.a., sono destinati ad attribuire all'atto pubblica fede e presentano i requisiti dell'attestazione da parte del pubblico ufficiale, de visu o de auditu, di fatti giuridicamente rilevanti e della formazione dell'atto nell'esercizio del potere di pubblica certificazione. Perché l'atto faccia fede fino a querela di falso, dunque, deve non solo provenire da un pubblico ufficiale, ma deve avere un suo particolare contenuto concernente l'opera propria di quest'ultimo, ovvero quanto dallo stesso attestato come fatto, rilevato od avvenuto in sua presenza (Cass. V, n. 8358/2016).

Gli atti pubblici facenti fede solo fino a prova contraria sono, invece, quelli formati dai pubblici ufficiali o dagli impiegati incaricati di un pubblico servizio, sempre nella sfera della loro competenza, ma non nell'esercizio e per lo scopo della speciale funzione pubblica di certificazione descritta dall'art. 2699 c.c., o altrimenti sono quelli assoggettati espressamente dalla legge alla prova contraria

La giurisprudenza ha chiarito che sono riconducibili all'art. 476 anche gli atti pubblici che hanno una rilevanza meramente interna alla pubblica amministrazione di provenienza, pur se non tassativamente previsti dalla legge. Tali atti interni devono rientrare nell'ambito delle funzioni genericamente attribuite al pubblico ufficiale e devono essere destinati ad inserirsi con un contributo di conoscenza o di determinazione all'interno di un procedimento amministrativo, sempre che assumano funzione probatoria di determinate attività o della regolarità di alcuni adempimenti (Cass. V, n. 14486/2011; Cass. V, n. 43512/2010). Non rileva, infatti, la circostanza che questi atti non spieghino efficacia nei confronti dei terzi perché l'interesse giuridico alla tutela della pubblica fede è leso anche nei casi in cui la falsità riguardi gli atti che hanno valenza probatoria verso la sola p.a. Tra gli atti pubblici interni sono ricompresi: gli ordini di servizio, le note d'ufficio, le note di missione, i protocolli delle corrispondenze degli uffici, le proposte di delibere dei consigli comunali, le relazioni d'inchieste, le ispezioni, i pareri consultivi e decisivi, ed ogni atto simile a questi documenti. In riferimento agli non redatti da pubblici ufficiali che costituiscono comunque atti pubblici cfr. infrasub art. 479 (Cass. V, n. 17089/2022).

Dottrina e giurisprudenza, inoltre, distinguono tra atti pubblici originari e derivativi. I primi sono coevi o contestuali al fatto che comprovano, il quale, se il documento non fosse formato, non avrebbe altro modo di essere provato. I secondi, invece, sono successivi non solo al verificarsi del fatto, ma anche al suo fissarsi in altri atti che valgono a provarlo, che, quindi, sono riprodotti in modo completo e fedele (copie) o in sintesi (certificati e attestati) (De Marsico, 1967, 575; Nappi 1984, 284; Cass. V, 10 febbraio 1984).

L'atto pubblico previsto dall'art. 476 (e dall'art. 479) è originario (o di primo grado) in quanto volto a rappresentare direttamente un fatto giuridico consacrandone gli effetti giuridici; i certificati, gli attestati e le copie di cui agli artt. 477 e 478 sono, invece, tipici documenti derivativi in quanto ricollegano le loro forza probante al contenuto di atti preesistenti.

La giurisprudenza individua, inoltre, una terza categoria di documenti che, formalmente derivativi perché riproducono fatti giuridici che emergono da altri documenti, hanno anche il carattere sostanziale di atti originari in quanto i fatti in essi rappresentati costituiscono un nuovo fatto giuridico o una nuova situazione, con una propria autonomia e propri effetti giuridici (De Marsico, 1967, 576; Cass. V, 9 dicembre 1987). Rientrano in quest'ultima categoria ad esempio: la scheda del casellario, i registri contabili di un ente pubblico, i registri generali dei procedimenti penali e quelli della carriera scolastica universitaria.

Condotta

Il fatto descritto dall'art. 476 consiste nella formazione (in tutto o in parte) di un atto falso, ovvero nell'alterazione di un atto vero:

a) la contraffazione: consiste nella creazione di un atto, o di una sua parte, prima inesistente. È totale se si forma un documento interamente falso, è, invece, parziale se ad una parte genuina di un atto se ne aggiunge un'altra falsa. Il documento è materialmente falso perché il pubblico ufficiale che lo redige dovrebbe astenersene, mancando i presupposti che ne giustificano l'emanazione (De Flammineis, 379; Ramacci, 1966, 132). Quindi, poiché il pubblico ufficiale agisce in assenza dei presupposti che legittimano i suoi poteri documentali, la contraffazione si realizza quando il documento è posto in essere da persona diversa dall'autore apparente, ovvero quando viene indicata una data o un luogo diversi da quelli reali (Nappi, 1989, 3). Il mezzo utilizzato dal falsario per porre in essere la condotta di falsificazione è irrilevante, egli può avvalersi materialmente degli strumenti più vari, ivi compresa la formazione di una falsa copia (Cass. S.U., n. 35814/2019. In merito cfr. art. 482 par.10)..

b) l'alterazione: presuppone un documento già definitivamente formato e redatto dall'autore apparente, e consiste in qualsiasi modificazione che può essere apportata successivamente al documento stesso (aggiunte, cancellature, sostituzioni ecc.), anche dallo stesso autore dell'atto senza essere autorizzato da chi ne aveva diritto (Antolisei, 2008, 112). La distinzione tra alterazione e contraffazione s'individua nella preesistenza di un documento valido e definito (ovvero non più suscettibile di legittimi interventi dell'autore o di terzi) (Mezzetti, 290; Cass. V, n. 35167/2005). A differenza della contraffazione, che può essere totale o parziale, l'alterazione può essere solo parziale, nonostante tra le due tipologie di condotte non vi sia un diverso regime giuridico (Nappi, 1989, 4). Deve essere idonea ad incidere sul significato del documento e sulla sua interpretazione (Nappi, 1999, 81).

In dottrina si discute se la correzione degli errori di un documento rientra nell'ambito della falsificazione. Un orientamento distingue tra errori materiali ed errori concettuali e ammette la correzione nel primo caso poiché si tratta di un semplice perfezionamento dell'atto (c.d. falso innocuo), mentre la esclude nel secondo (De Marsico, 1989, 581). Un altro indirizzo ritiene ammissibile anche la correzione degli errori non materiali, se finalizzata a rendere il documento più conforme alla verità. In giurispudenza v. Cass. V, n. 9956/2019.

La giurisprudenza, invece, considera riconducibile all'alterazione penalmente rilevante, fuori dai casi di correzione dei meri errori materiali, ogni modifica apportata all'atto pubblico dopo che lo stesso si sia perfezionato (in particolare, la soppressione di una parte della dichiarazione contenuta nel documento, la sostituzione di una diversa dichiarazione a quella preesistente e l'aggiunta di una nuova) anche nell'ipotesi in cui il soggetto abbia agito per stabilire la verità effettuale del documento. In tali casi, infatti, si determina pur sempre una modificazione della verità documentale poiché l'atto viene ad esprimere fatti diversi da quelli che rappresentava nel suo tenore originario (Cass. V, n. 35167/2005).

La giurisprudenza ha precisato che le modifiche o le aggiunte in un atto pubblico, già regolarmente e definitivamente formato, integrano un falso punibile anche qualora il soggetto abbia agito per stabilire la verità effettuale del documento. Ai fini della punibilità è necessario che le aggiunte successive non si identifichino in mere correzioni e integrazioni che, lungi dal modificare l'elemento contenutistico dell'atto, già formalmente perfetto, siano invece dirette a completamento essenziale del relativo procedimento di formazione (Cass. V, n. 9840/2013).

In dottrina generalmente si ammette l'ipotesi del reato continuato nel caso di successive falsificazioni dello stesso documento, ovvero di distinte ancorché contemporanee falsificazioni, a patto che ricorrano gli estremi costitutivi indicati dalla figura di cui all'art. 81 cpv. (Manzini, 836).

Evento

Il delitto di cui all'art. 476 è un reato di pericolo, per cui non occorre il verificarsi in concreto di un danno (Cristiani, 1957, 13).

Pertanto, ai fini del perfezionamento della fattispecie non occorre che l'alterazione della verità abbia determinato un pubblico o privato nocumento essendo sufficiente il mero pericolo che dalla contraffazione o dall'alterazione possa derivare alla pubblica fede (Cass. V, 19 ottobre 1992).

Il falso grossolano ed innocuo

La punibilità è esclusa per inidoneità dell'azione ai sensi dell'art. 49 cpv. quando la falsità appare evidente ictu oculi secondo un giudizio ex ante e si presenta come immediatamente riconoscibile, e quando, secondo un giudizio ex post, è verificabile che l'uso del documento abbia sorpreso la buona fede del destinatario (Cass. VI, n. 2456/1990) ovvero che l'infedele attestazione o alterazione siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto non esplicando effetto alcuno sulla sua funzione documentale (Cass. V, n. 47601/2014; Cass. V, n. 2809/2013; Cass. III, n. 34901/2011; Cass. V, n. 35076/2010). Il falso innocuo si configura solo in caso di inesistenza dell'oggetto tipico della falsità, in modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria, quale un documento inesistente o assolutamente nullo (Cass. VI, n. 57521/2017). Più specificamente sussiste quando l'infedele attestazione (nel falso ideologico) o la compiuta alterazione (nel falso materiale) sono del tutto irrilevanti ai fini del significato dell'atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplicano effetti sulla sua funzione documentale, con la conseguenza che l'innocuità deve essere valutata non con riferimento all'uso che dell'atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all'idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede pubblica (Cass. V, n. 36184/2022). La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà priva di una delle molteplici sottoscrizioni degli apparenti dichiaranti non integra una ipotesi di falso innocuo o grossolano, posto che la mancanza di una firma, pur incidendo sulla completezza strutturale dell'atto, non lo rende inidoneo al raggiungimento dello scopo e non elimina il pericolo di lesione dell'interesse protetto dalla norma (Cass. V, n. 51166/2013).

Falso in atti invalidi

La giurisprudenza distingue tra atto giuridicamente «inesistente», e atto «nullo» o «annullabile».  Nel primo caso non ritiene sussistente il falso documentale in quanto non è possibile identificare alcuna fattispecie negoziale, mancando gli elementi necessari perché si possa avere una figura esteriore di negozio giuridico. Nel secondo, invece, evidenzia che la nullità o annullabilità, per carenza di un requisito, non esclude l'affidamento, sia pure provvisorio, della pubblica fede. La norma penale, infatti, tutela il documento non per la sua validità intrinseca, ma per la sua funzione attestativa (Cass. V, n.11714/1997). Successivamente la Cassazione ha precisato che il criterio della invalidità o dell'inesistenza giuridica dell'atto è inidoneo - quantomeno per le cause di invalidità o di inesistenza determinate dalla falsità stessa - a determinare la rilevanza o meno del falso materiale in atto pubblico, e in particolare delle ipotesi di formazione di un atto pubblico falso da parte di un privato, poichè la carenza assoluta di potere del privato, causa di inesistenza giuridica dell'atto, è elemento dello stesso reato, che diversamente non sarebbe mai configurabile (Cass. S.U., n. 35814/2019 Cass. V, n. 12091/1987).

Ha, altresì, specificato che la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, salvo che la copia assuma l'apparenza di un atto originale.

La dottrina, invece, ritiene di dover prescindere dal grado di invalidità dell'atto e considera decisiva l'attitudine di quello invalido a trarre verosimilmente in inganno la generalità dei consociati (Malinverni, 276).

Elemento psicologico

Il dolo

Il reato è punito a titolo di dolo generico, consistente nella coscienza e volontà dell'immutatio veri (Cass. V, n. 29764/2010) ed è irrilevante la finalità ultima perseguita dall'agente attraverso la condotta criminosa. In particolare, la Cassazione sostiene che non sia richiesto, ai fini dell'esistenza dell'elemento soggettivo, né un animus nocendiuno decipiendi, per cui il delitto è perfetto anche quando la falsità sia compiuta non solo senza l'intenzione di nuocere, ma anche con la convinzione di non produrre alcun danno (o di non procurarsi un profitto). Il dolo deve essere rigorosamente provato, dovendosi escludere il reato quando risulti che il falso deriva da una semplice leggerezza ovvero da una negligenza dell'agente, poiché il sistema vigente non incrimina il falso documentale colposo (Cass. I, n. 27230/2020; Cass. III, n. 30862/2015).

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui si realizza la contraffazione o l'alterazione. Si tratta di un reato istantaneo ed il suo perfezionamento prescinde dall'uso dell'atto falsificato. Non è richiesto, inoltre, il verificarsi di un danno concreto essendo il danno alla fede pubblica presunto nella falsificazione. Poiché si tratta di un reato eventualmente progressivo, qualora il falsario abbia fatto uso del documento da lui falsificato, il delitto si consuma nel momento in cui si verifica l'uso.

Secondo la giurisprudenza, inoltre, l'evento (di pericolo) non può considerarsi realizzato, e quindi il reato non si è consumato, finché l'atto falsificato rimane nell'ambito della facoltà di disposizione dell'agente e non è stato immesso nel mondo esteriore per conseguire i suoi effetti tipici (Cass. V, 22 ottobre 1992).

Tentativo

Secondo un orientamento dottrinario il tentativo non è ammesso perché si tratta di un reato di pericolo per il quale ai fini della consumazione sarebbe sufficiente l'editio falsi e gli atti prodromici alla commissione del falso non presentano alcun serio pericolo per il bene giuridico della fede pubblica (Manzini, 836; Cass. V, 22 ottobre 1992). Per un'altra impostazione il tentativo è configurabile perché la consumazione si realizza solo quando è portata a termine la contraffazione o alterazione giuridicamente rilevante (Antolisei, 118, che fa l'esempio di un soggetto che è sorpreso mentre con la scolorina sta per cancellare una frase di un atto notarile). La condotta di contraffazione o alterazione, infatti, si può scomporre in più atti, di cui alcuni costituiscono solo la necessaria premessa, se pur già penalmente rilevante, di una più compiuta azione di falsificazione dell'atto, anche al fine di scongiurare la possibilità di punire a titolo di consumazione ciò che, invece, appare solo come un fatto tentato.

Forme di manifestazione

Circostanze speciali

Secondo l'indirizzo dottrinario prevalente l'art. 476 comma 2 non costituisce un'ipotesi autonoma di reato (Grande, 58), ma prevede una circostanza aggravante speciale ai sensi della quale è inflitta una pena più grave se il falso materiale concerne un atto pubblico di fede privilegiata (Manzini, 841).

La giurisprudenza aderisce a questa impostazione e qualifica la disposizione di cui all'art. 476 comma 2 come circostanza aggravante del fatto-base contenuto nel primo comma (Cass. III, 25 giugno 1984). La circostanza ha carattere obiettivo e si comunica agli eventuali compartecipi ex art. 118. In base ai richiami effettuati dalle successive norme incriminatrici, in particolare dagli artt. 479 e 482, quest'aggravante si applica anche in ipotesi diverse da quella descritta dall'art. 476.

Circostanze comuni

La giurisprudenza ha escluso l'applicabilità:

a) della circostanza aggravante di cui all'art. 61 n.7 e di quella attenuante di cui all'art. 62 n. 4, sul presupposto che il danno non è previsto, neppure in via sussidiaria, nella fattispecie incriminatrice (Cass. V, 11 dicembre 1981) e che il delitto non rientra tra quelli che offendono il patrimonio, ma lede esclusivamente la fede pubblica, nonostante possa sussistere un motivo di lucro in concreto (Cass. II, 14 febbraio 1989).

Tuttavia la nuova formulazione dell'art. 62 n. 4 potrebbe consentire, secondo dottrina e giurisprudenza, l'applicazione dell'attenuante ai delitti determinati in concreto da fini di lucro (Nappi, 1999, 195). Inoltre, secondo una parte della dottrina, tale impostazione andrebbe rivisitata in ragione del recente orientamento giurisprudenziale che sostiene la plurioffensività dei reati di falso;

b) dell'attenuante della riparazione del danno, se pur compatibile in astratto con i reati di falso in atto pubblico (ad es. quando la falsificazione concerna la ricevuta di versamento della tassa automobilistica, posto che il suo ritardato pagamento non soddisfa l'integralità del risarcimento, né può farsi rientrare nell'ambito dell'obbligazione risarcitoria il pagamento della soprattassa dovuta per il mancato pagamento: Cass. V, 15 giugno 1988.

Concorso di persone

Si osservano le norme generali relative al concorso di persone nel reato, compreso l'art. 117 nell'ipotesi di concorso dell'extraneus nel delitto del pubblico ufficiale, qualora con la propria attività abbia cooperato ad offendere il bene giuridico protetto (Cass. V, n. 3552/1999). L'art. 476 è applicabile anche al soggetto privato (salva la facoltà del giudice di diminuire la pena fino ad un terzo) quando ha preso parte in qualsiasi modo alla falsificazione, senza essere stato semplicemente una longa manus, non imputabile o non punibile del pubblico ufficiale (Cass. I, n. 7329/2004). Può essere anche l'autore materiale del reato, essendo sufficiente che la partecipazione dell'intraneus sia determinata dalla particolare qualifica. Poiché ai fini della configurazione del concorso morale è sufficiente l'incidenza dell'opera dell'istigatore sul determinismo psicologico dell'autore materiale, anche solo rinsaldando il proposito criminoso di quest'ultimo, quando si tratti di reato di falso in atto pubblico, rispondono dell'attività di falsificazione, a titolo di concorso, coloro che abbiano agito per il medesimo fine, sia intervenendo con qualsiasi contributo materiale a detta attività, sia istigando il pubblico ufficiale o rafforzandone il proposito criminoso (per cui, ad es., risponde a titolo di concorso morale colui che abbia istigato il pubblico ufficiale all'inserimento di dati falsi nell'archivio informatico dell'Inps al fine di ottenere una pensione di importo superiore e decorrente prima del tempo: Cass. V, n. 47052/2014).

Rapporti con altri reati

La giurisprudenza ha escluso il concorso tra falso materiale ed ideologico, nel caso di dichiarazioni provenienti da persona diversa da quella che figura averle rese e sottoscritte, essendo in tal caso integrata solo la prima figura di reato (Cass. V, n. 3667/1999) e nel caso in cui la falsità riguardi il medesimo documento atteso che, trattandosi di un atto alterato o contraffatto, è irrilevante che lo stesso sia veridico o meno (Cass. V, n. 12400/2015).

Abuso d'ufficio

Non ricorre la consunzione del delitto di abuso d'ufficio nei delitti di falso (materiale o ideologico) se la fattispecie che concreta il reato di abuso non è sussumibile negli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice del delitto più grave (Cass. V, n. 38338/2008). Non sussiste il concorso formale tra il delitto di abuso d'ufficio e quello più grave di falso materiale in atto pubblico quando la condotta addebitata all'imputato si esaurisce nella mera commissione della falsità, perchè la clausola di riserva di cui all'art. 323, con riguardo ad un unico fatto, impone di applicare esclusivamente la sanzione prevista per la fattispecie più grave, ancorché quest'ultima abbia ad oggetto la tutela di un bene giuridico diverso da quello tutelato dalla disposizione con pena meno severa (Cass. VI, n. 13849/2017).

Falsificazione di biglietti di pubbliche imprese di trasporto

La Cassazione ha precisato che le matrici dei biglietti ferroviari e le conseguenti registrazioni contabili rientrano nella categoria degli atti pubblici, in quanto direttamente riferentisi all'aspetto documentativo e, quindi, amministrativo, della gestione di un pubblico servizio. Di conseguenza la loro falsificazione rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 476, e non in quello di cui all'art. 462 (Cass. V, 3 ottobre 1980).

Concorso di reati

Contraffazione delle impronte di pubblica autenticazione e certificazione

È ammesso il concorso con il reato di contraffazione delle impronte di una P.A. in ragione del diverso bene giuridico tutelato dalle due fattispecie, che, per la prima, deve essere individuato nella fede pubblica documentale e, per la seconda, nella fiducia attribuita ai mezzi simbolici di autenticazione pubblica (Cass. IV, n. 27973/2008). Secondo un orientamento giurisprudenziale si realizza, invece, il concorso apparente di norme tra le disposizioni degli artt. 469 e 476 nel caso in cui la falsificazione concerna un atto notarile. La fattispecie di cui all'art. 476, avendo carattere più generale, coinvolge quella di cui all'art. 469 che ha per oggetto solo un aspetto del documento falsificato e cioè l'impronta del sigillo notarile (Cass. V, n. 13299/1999).

Truffa

Cfr. Cass. V, n. 45965/2013.

Riciclaggio

Cfr. Cass. II, n. 2074 /2012.

Casistica

Atto pubblico

La giurisprudenza definisce “atto pubblico” il documento redatto da pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni costitutive di diritti per la p.a. o per i privati che vi entrano in contatto oppure finalizzato a provare il compimento di un'attività posta in essere dallo stesso p.u. o da un terzo alla sua presenza (Cass. V, n. 1098/1997). Rientrano in tale definizione: i c.d. «atti interni» della p.a. (Cass. VI, n. 11425/2012); il cartellino orario e la scheda magnetica (Cass. V, n. 2898/1999); la cartella clinica (o anche il referto) redatta da un medico di un ospedale pubblico (Cass. V, n. 16857/2011); la scheda di dimissione ospedaliera (Cass. V, n. 35104/2013); la dichiarazione di idoneità al lavoro del minore da parte del medico (Cass. V, n. 7538/2012); il bilancio di un istituto scolastico di istruzione superiore (Cass. VI, n. 11425/2012); la denuncia di successione (Cass. VI, n. 3002/1996); l'elaborato scritto redatto in occasione di una prova di esame universitario (Cass. V, n. 32789/2013); il registro di classe (Cass. V, n. 13769/2012); la distinta delle notifiche effettuate dall'ufficiale giudiziario (Cass. V, n. 6824/1998); il piano regolatore (Cass. I, n. 1431/1998); i d.a.s. (documento di accompagnamento semplificato) utilizzato per la circolazione di prodotti assoggettati ad accisa (Cass. V, n. 44023/2010); il certificato di proprietà di un veicolo (Cass. II, n. 25042/2017).

Atti pubblici di fede privilegiata

La giurisprudenza definisce atti pubblici di fede privilegiata: il provvedimento giurisdizionale (Cass., n. 10671/2021); l'atto di autentica notarile (Cass. V, 7 ottobre 1983); il bilancio di previsione e quello consuntivo dell'ente pubblico territoriale (Cass. V, n. 33843/2018); il modello di pagamento F24 (Cass. V, n. 50569/2013); la ricevuta di versamento in conto corrente postale (Cass. V, n. 11105/2015); il verbale della prova di guida (Cass. V, n. 2288/2014); il registro cronologico per i protesti cambiari (Cass. V, 5 marzo 1982); le «relazioni di servizio» degli ufficiali e degli agenti di Polizia giudiziaria (Cass., V, n. 50082/2017; Cass. VI, n. 5907/2013); il verbale attestante l'intervenuta effettuazione delle operazioni di revisione di un veicolo (Cass. V, n. 22786/2021); il verbale di costatazione e di inizio di servizio, redatto dal dirigente di un comune, in ordine al rinvenimento e alla verifica di attrezzature previste dal contratto di appalto per la raccolta e la gestione dei rifiuti urbani (Cass. V, n. 48738/2014); il provvedimento di sgravio fiscale emesso dall'Agenzia delle Entrate (Cass. v, n. 34912/2016); le bolle attestanti la consegna di prodotti agricoli eccedentari presso i centri di raccolta gestiti dall'Aima e destinate a certificare la quantità e la qualità del prodotto (Cass. I, n. 49086/2012); il libretto universitario, limitatamente alle attestazioni relative alla frequenza dello studente alle lezioni (Cass. V, n. 44022/2014); la cartella clinica redatta dal medico di una struttura sanitaria pubblica con riferimento alla sua provenienza dal pubblico ufficiale e ai fatti da questi attestati come avvenuti in sua presenza (Cass. V, n. 12132/2011); il referto medico (Cass. VI, n. 12401/2010); la scheda operatoria redatta da un medico ospedaliero (Cass. V, n. 23255/2011); il registro tenuto presso il reparto di pronto soccorso dei pubblici ospedali (Cass. VI, n. 15953/2012); la scheda di accettazione presso il pronto soccorso dei pubblici ospedali (Cass. V, n. 599/2013); il registro di protocollo di un ufficio della P.A. (Cass. V, n. 8684/2004); il verbale di visita medica per la concessione della pensione (Cass. V, n. 25570/2013).

Profili processuali

Gli istituti

 Si tratta di un reato procedibile d'ufficio e di competenza del tribunale in composizione monocratica.

Per la falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici:

a) è prevista l'udienza preliminare;

b) il fermo non è consentito in relazione all'ipotesi di cui all'art. 476 comma 1 mentre è consentito in riferimento a quella di cui all'art. 476 comma 2 e l'arresto in flagranza è facoltativo;

c) sono consentite l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

L'interesse ad impugnare

La Cassazione (Cass. S.U., n. 46982/2007) ha di recente riconosciuto al privato la qualità di persona offesa dei reati di falso e, in quanto tale, la legittimazione a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione.

Acquisizione dell'atto falso al fascicolo del dibattimento

Per la condanna per il delitto di cui all'art. 476 non è indispensabile che l'atto falso sia acquisito al fascicolo per il dibattimento o che la falsità accertata sia dichiarata in dispositivo, perché l'omissione dell'adempimento prescritto dall'art. 537 c.p.p. non incide sull'esistenza giuridica del delitto (Cass. II, n. 46273/2011).

Contestazione dell'aggravante

La Cassazione (Cass. S.U., n.24906/2019) recentemente ha preso posizione sulla questione se può essere ritenuta in sentenza dal giudice la fattispecie aggravata del reato di falso in atto pubblico, qualora la natura fidefacente dell'atto considerato falso non sia stata esplicitamente contestata ed esposta nel capo di imputazione. Per un primo orientamento la contestazione meramente in fatto dell'aggravante ex art. 476 comma 2 non è consentita, perché tale addebito deve risultare nell'imputazione dall'indicazione specifica della violazione dell'art. 476 comma 2 o, in mancanza di quest'ultima, dall'uso di sinonimi o di formule linguistiche equivalenti al contenuto della previsione normativa (Cass. III, n. 6809/2014; Cass. V, n. 12213/2014) o chiaramente evocative dell'efficacia fidefacente dell'atto ritenuto falso. Ciò in quanto diversamente il diritto di difesa dell'imputato verrebbe violato irrimediabilmente dovendo egli essere tempestivamente informato non solo dei fatti materiali posti a suo carico, ma anche della qualificazione giuridica ad essi attribuita. Secondo l'indirizzo opposto, invece, la contestazione in fatto dell'aggravante è ammissibile nei casi in cui nel capo d'imputazione sia indicato l'atto (ovvero la tipologia di atto) in relazione al quale la condotta di falso è contestata. Ciò, infatti, consente all'imputato di conoscere gli elementi fattuali della circostanza in oggetto e, di conseguenza, di esercitare correttamente i suoi diritti di difesa (Cass. V, n. 2712/2016). Le Sezioni unite hanno condiviso il primo orientamento asserendo che la contestazione in fatto non è ammissibile in riferimento alle circostanze aggravanti nelle quali la previsione normativa include componenti valutative in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi. In tali casi le modalità della condotta integrano l'ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative (come la qualificazione dell'atto come facente fede fino a querela di falso), che devono essere valutate prima dal pubblico ministero e, poi, verificate dal giudice. Se il risultato di questa valutazione non è esplicitato nell'imputazione, con la precisazione della ritenuta esistenza delle predette connotazioni, la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale.

 

Bibliografia

Carnelutti, Teoria del falso, Padova, 1935; Catelani, I delitti di falso, Milano, 1989; Catenacci, Criteri «ontologici» e criteri «normativi» nella distinzione fra falso materiale e falso ideologico: cenni storico-sistematici, in Le falsità documentali, Padova, 2001; De Flammineis, Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, Reati contro la fede pubblica, vol. X, Milano, 2013; Dinacci, Profili sistematici del falso documentale, Napoli, 1987; De Marsico, Falsità in atti, in Enc. dir., Milano, 1967, XVI; Grande, Falsità in atti, in Dig. pen., Torino, 1991; Malinverni, Documento, in Enc. dir., Milano, 1964; Malinverni, Teoria del falso documentale, Milano, 1958; Mezzetti, La condotta nelle fattispecie pertinenti al falso documentale, in Le falsità documentali, Padova, 2001; Nappi, Falsità in atti, in Enc. giur., Roma, 1989; Nappi, Falso e legge penale, Milano, 1999; Ramacci, La falsità ideologica nel sistema del falso documentale, Napoli, 1966.

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