Codice Penale art. 479 - Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.

Francesca Romana Fulvi

Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici.

[I]. Il pubblico ufficiale [357], che, ricevendo o formando un atto nell'esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell'articolo 476 [487, 493; 1127 c. nav.].

competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.)

arresto: facoltativo

fermo: consentito (in relazione all'art. 4762)

custodia cautelare in carcere: consentita

altre misure cautelari personali: consentite

procedibilità: d'ufficio

Inquadramento

Secondo l'orientamento dottrinario più recente il falso ideologico, ricadendo sull' “oggetto” della rappresentazione documentale, insiste sul contenuto narrativo dell'atto, e si sostanzia allora in una violazione in concreto del potere documentale che si realizza in un abuso della «funzione di garanzia» del pubblico ufficiale rispetto all'obbligo giuridico di attestare documentalmente in modo esatto quanto avvenuto e regolarmente percepito (Mezzetti, 277; Ramacci, 1966, 141). L'impostazione metodologica seguita da tale indirizzo dottrinario incentra l'analisi sul diverso tipo di infedeltà ai pubblici doveri di certificazione del pubblico ufficiale. Di conseguenza si ha falsità materiale tutte quelle volte in cui risulta violato il dovere che impone di astenersi dall'uso di poteri documentali in assenza di condizioni che ne legittimano l'esercizio, e falsità ideologica quando, per cattivo uso dei poteri documentali che il pubblico ufficiale possiede, risulta violato il dovere di corrispondenza dell'atto allo scopo istituzionale (cioè l'attestazione del vero) che gli è proprio (Ramacci, 1966, 130).

Bene giuridico

Cfr. sub art. 476In relazione al falso ideologico la Cassazione ha evidenziato che il bene tutelato è quello dell'affidamento nella corrispondenza al vero della informazione che l'atto contiene, secondo il significato comunemente dato alle espressioni utilizzate in quel contesto. Non è necessaria, ai fini della rilevanza penale del fatto, la determinazione di un danno ulteriore per l'amministrazione ovvero di un pregiudizio dell'interesse probatorio connesso all'oggetto materiale della condotta di falsificazione (Cass. V, 25922/2021).

Soggetti

Soggetto attivo

Si tratta di un reato proprio, che può essere commesso solo dal pubblico ufficiale (per la nozione cfr. sub art. 357) e, ai sensi dell'art. 493, da un pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio (per la nozione cfr. sub art. 358), che agiscano nell'esercizio rispettivamente delle proprie funzioni e attribuzioni (per la nozione di “esercizio delle proprie funzioni” cfr. sub art. 476). Non opera, invece, l'estensione soggettiva disposta dall'art. 482, relativa alle sole ipotesi di falsità materiali espressamente individuate.

Soggetto passivo

Cfr. sub art. 476.

Elemento oggettivo

Oggetto materiale

Oggetto materiale del reato sono gli atti pubblici. Per la nozione cfr. subart. 476, per quella di documento informatico pubblico cfr. subart. 491-bis.

 Rientrano nell'ambito di applicazione della norma anche gli atti pubblici facenti fede fino a querela di falso, in forza del richiamo operato dall'art. 479 alle pene di cui all'art. 476 (Malinverni, 1958, 360). Secondo un orientamento tutti gli atti tutelati dall'art. 479 sarebbero sempre di fede privilegiata, quantomeno sotto il profilo della provenienza dell'atto dall'autore apparente. Si sottolinea che se ciò non fosse, non si potrebbe più distinguere tale ipotesi di falsità ideologica da quella materiale (Ramacci, 1966, 81).

La Cassazione ha chiarito che ai fini dell'integrazione del reato rientrano nell'ambito di applicazione della norma gli atti interni, sia quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, sia quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale, ponendosi come necessario presupposto di momenti procedurali successivi (Cass. V, n. 38455/2019; Cass. VI, n. 11425/2012). La distinzione tra atti per uso interno ed atti destinati a spiegare efficacia all'esterno, infatti, non rileva perché anche i primi possono avere valenza probatoria in relazione all'attività compiuta dal pubblico ufficiale (Cass. V, n. 9368/2013). La Cassazione ha anche precisato che sono ricompresi nel concetto di atto pubblico anche gli atti non redatti da pubblici ufficiali. Ciò in quanto tale nozione è, agli effetti penali, più ampia di quella desumibile dall'art. 2699 c.c. Tali atti, però, devono avere l'attitudine ad assumere rilevanza giuridica o valore probatorio interno alla pubblica amministrazione, a prescindere dal fatto che il loro contenuto sia integralmente trasfuso nell'atto finale del pubblico ufficiale o ne costituisca solo il presupposto implicito necessario (Cass. V, n. 17089/2022).

La giurisprudenza ha anche precisato che la falsità ideologica è configurabile in riferimento agli atti dispositivi, cioè quei documenti che consistono in una manifestazione di volontà e non in una rappresentazione di fatti, limitatamente alla parte descrittiva in esso contenuta. Specificamente la falsità può investire anche le attestazioni, sia pur implicite, contenute nell'atto e i presupposti di fatto giuridicamente rilevanti ai fini della parte dispositiva dell'atto medesimo, che concernano fatti compiuti o conosciuti direttamente dal pubblico ufficiale, ovvero altri fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità (Cass. S.U., n. 35488/2007).

Invece nel caso in cui il pubblico ufficiale, chiamato ad esprimere un giudizio, sia libero anche nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto (Cass. V, n. 38774/2017). Diversamente, se l'atto da compiere fa riferimento anche implicito a previsioni normative che dettano criteri di valutazione si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati. Di conseguenza l'atto potrà risultare falso se detto giudizio di conformità non sarà rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato (Cass. III, n. 30025/2017; Cass. n. 39843/2015).

Condotta

Secondo la dottrina costituiscono presupposti della condotta la ricezione e la formazione dell'atto, nell'esercizio delle funzioni pubbliche. Specificamente il ricevere si riferisce alle dichiarazioni di volontà o alle attestazioni di verità fatte da altri al pubblico ufficiale o impiegato, che egli deve documentare come sono esposte. La ricezione (rogazione, verbalizzazione, ecc.), inoltre, può riferirsi ad un atto sia pubblico che privato (Nappi, 1989, 4). La formazione consiste nella documentazione di fatti compiuti dal pubblico ufficiale o impiegato, o avvenuti in sua presenza, o di altri fatti diversi dalle dichiarazioni suddette o attestazioni altrui, e comprende tanto il caso in cui l'atto sia scritto materialmente dal pubblico ufficiale o impiegato, quanto quello in cui sia materialmente scritto da altri, ma firmato o altrimenti individuato da lui (Manzini, 870; Ramacci, 1966, 136).

Il delitto è stato definito a fattispecie multipla, in quanto le condotte tipiche che lo integrano possono essere suddivise secondo quattro differenti e tassative modalità:

a) falsa attestazione del pubblico ufficiale di fatti compiuti o avvenuti in sua presenza: la falsità concerne atti di accertamento, relazioni di ispezione o certificazioni in senso improprio, verbalizzazioni, rogazioni o altre attività di documentazione simili.

L'attestazione consiste in una proposizione la cui corrispondenza ai fatti non viene affermata in forza di un ragionamento, ma a seguito di una constatazione o percezione diretta del soggetto (Cass. VI, n. 23978/2008; Cass. V, n. 45295/2005).

Ai fini della consumazione del reato è necessario che sia riscontrato il requisito della presenza del pubblico agente al momento della verificazione dei fatti documentati.

Secondo un orientamento dottrinario tale requisito deve essere inteso in senso lato, per cui l'espressione ricomprende ogni ipotesi in cui l'agente abbia attestato di aver direttamente percepito il fatto di cui si tratta (Manzini, 872).

L'accertamento circa la falsità del contenuto della attestazione non ha ad oggetto solo la formulazione espressa, ma anche i suoi presupposti necessari, e cioè le c.d. attestazioni implicite, quando una determinata attività del soggetto attivo, non menzionata esplicitamente nell'atto, costituisce indefettibile presupposto di fatto o condizione normativa dell'attestazione stessa. In tali ipotesi occorre far riferimento al contenuto o tenore implicito necessario dell'atto stesso (in giurisprudenza Cass. V, n. 28594/2018 ).

b) falsa attestazione del pubblico ufficiale di aver ricevuto dichiarazioni in realtà a lui non rese: l'atto che contiene la falsa attestazione non è destinato a provare la verità delle dichiarazioni contenute per cui è indifferente che il loro contenuto sia in se stesso vero o falso, quando tali dichiarazioni non siano state fatte (Manzini, 872). Tale ipotesi sussiste anche quando il pubblico ufficiale ha provocato una serie di falsità ideologiche, documentando dichiarazioni che egli finge di aver ricevuto da altri, avendole, invece, lui stesso create a mezzo di un'altra persona.

c) omissione o alterazione di dichiarazioni ricevute dal pubblico ufficiale: ai fini dell'integrazione della fattispecie deve trattarsi di dichiarazione altrui, ed è indifferente che quest'ultima sia in sé stessa vera o falsa. L'individuazione della falsità per omissione risulta problematica. La norma si riferisce ad ipotesi in cui il pubblico ufficiale è destinatario di un obbligo giuridico di riprodurre nell'atto pubblico le dichiarazioni che gli vengono rese (c.d. obbligo di attestazione), in quanto altrimenti l'omissione non avrebbe il significato di negazione del fatto (Nappi, 1999, 120). Quest'obbligo non si identifica con quello generico di dire la verità, che la dottrina esclude sussista in capo al pubblico ufficiale quale requisito implicito delle falsità ideologiche (Ramacci, 1966, 193). Inoltre l'omissione può essere sia totale sia parziale, l'importante è che la parte omessa abbia giuridica rilevanza, cioè deve trattarsi di dati essenziali ai fini della destinazione probatoria dell'atto e non deve esserci una semplice violazione di un obbligo formale di fedeltà e correttezza. Secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza il falso per omissione si concretizza nell'omessa attestazione di dichiarazioni ricevute dal pubblico ufficiale. L'omissione della documentazione di altri fatti, anche rilevanti, diversi da tali dichiarazioni è sanzionabile eventualmente solo ex art. 328 (Malinverni, 1962, 205). Secondo altra parte è punibile qualunque omessa attestazione di fatti o situazioni purché incidenti sul significato descrittivo (o probatorio lato sensu) dell'atto (Nappi, 1999, 121).

La giurisprudenza ha precisato che si realizza un falso per omissione ai sensi dell'art. 479 quando l'attestazione incompleta, perché priva dell'informazione su un determinato fatto, attribuisca al tenore dell'atto un senso diverso, così che l'enunciato descrittivo venga ad assumere nel suo complesso un significato contrario al vero o negativo dell’esistenza di dati rilevanti (Cass. V, n. 20815/2018). L'informazione è insufficiente, e, quindi, integra il reato nella forma omissiva, quando incide negativamente, sotto il profilo della completezza narrativa, sulla funzione probatoria del documento (Cass. V, n. 35104/2013). L'omissione, infine, è punibile solo in quanto sia illegittima, cioè in quanto il pubblico ufficiale non sia obbligato o autorizzato, da un'espressa norma giuridica, a rifiutarsi di ricevere una dichiarazione falsa o altrimenti contraria al diritto. La falsità per alterazione consiste nel documentare la dichiarazione in modo difforme, totalmente o parzialmente, dal suo contenuto. L'alterazione di fatti, e non di dichiarazioni, è ricompresa nella condotta di falsa attestazione degli stessi.

d) falsa attestazione del pubblico ufficiale di fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità. Secondo la dottrina tale ultima disposizione costituisce la «valvola di sicurezza» predisposta dal legislatore affinché «nulla possa sfuggire all'applicazione dell'art. 479» (Manzini, 876). L'espressione “fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità” qualifica gli atti oggetto di tutela penale nel senso della necessaria pre-costituzione e destinazione alla prova. In merito al significato della locuzione vi sono due orientamenti: secondo il primo l'ipotesi descritta si riferisce a fatti diversi rispetto a quelli elencati in precedenza; per il secondo, invece, l'espressione è solo riassuntiva e comprende anche fatti diversi. Per quanto attiene all'area di rilevanza del falso secondo un indirizzo dottrinario sarebbe limitata alle sole ipotesi in cui le attestazioni di fatti debba avvenire in virtù di un'apposita norma di legge, ovvero soltanto quando chi li attesta ha l'obbligo giuridico di esporli veridicamente. Al riguardo la giurisprudenza ha affermato che l'atto pubblico è destinato a provare la verità dei fatti in esso attestati solo quando l'autore dell'attestazione abbia l'obbligo giuridico, cioè gli sia imposto in modo certo, esplicitamente o implicitamente, di esporli nella loro effettiva realtà. In mancanza di una norma specifica, dunque, che fissi tale dovere, non si realizzerebbe il fatto tipico descritto nell'ultima parte dell'art. 479. Per un'altra impostazione, invece, la rilevanza della falsa attestazione è fondata sul parametro dell'essenzialità del fatto da esporre, che non deve essere superfluo o inutile in relazione alla destinazione probatoria dell'atto.

Il falso grossolano

La giurisprudenza ha chiarito che nei reati di falso la valutazione dell'inidoneità assoluta dell'azione, che dà luogo al reato impossibile, dev'essere fatta ex ante, cioè sulla base delle circostanze di fatto conosciute al momento in cui l'azione viene posta in essere, indipendentemente dai risultati, e non ex post. Questo principio si applica sia quando il falso è stato scoperto e si discute se lo stesso fosse così grossolano da dover essere riconoscibile ictu oculi per la generalità delle persone, e sia quando è stato scoperto per effetto di particolari cognizioni o per la diligenza di determinati soggetti. Non viene in rilevo, invece, nelle ipotesi in cui il falso non è stato scoperto e ha, pertanto, prodotto l'effetto di trarre in inganno, nelle quali, quindi, la realizzazione dell'evento giuridico esclude in radice l'impossibilità dell'evento dannoso o pericoloso di cui all'art. 49 (Cass. II, n. 36631/2013). Cfr. sub art. 476.

Non ricorre la figura del reato impossibile, inoltre, quando la falsità dell'attestazione non emerge dal documento stesso in cui è trasfusa, ma “ab extra”, per effetto di enunciati descrittivi o valutativi di segno contrario incorporati in altri documenti (Cass. V, n. 20815/2018).

Elemento psicologico

Il dolo

Il reato è punito a titolo di dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di immutare il vero mediante la falsa rappresentazione della realtà, oltre che della ricezione o formazione del documento pubblico (Cass. V, n. 41172/2014; Cass. V, n. 35548/2013). Non occorre alcun animus nocendi o decipiendi, in quanto la falsità può essere compiuta senza l'intenzione di nuocere, e potrebbe realizzarsi anche qualora fosse accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun risultato (Cass. V, n. 17929/2020). Secondo un diverso orientamento è necessaria la consapevolezza di ledere o porre in pericolo lo specifico valore probatorio che l'ordinamento ricollega al documento in cui riposa la falsa attestazione.

L'elemento soggettivo deve essere sempre rigorosamente provato per evitare che il percorso di accertamento del dolo si riduca alla constatazione che «dolus inest in re ipsa» (Cass. V, 16 dicembre1986). È, pertanto, necessario verificare se la falsità non sia dovuta a leggerezza o a negligenza dell'agente (Cass. III, n. 30862/2015; Cass. V, n. 29764/2010), o a imperizia e a colposa incapacità professionale (Cass. V, n. 32856/2011) o ad una incompleta conoscenza e/o errata interpretazione di disposizioni normative, o, ancora, alla negligente applicazione di una prassi amministrativa

Per quanto attiene alla questione relativa ad errore determinato da altrui inganno se il pubblico ufficiale ha adottato un provvedimento, a contenuto descrittivo o dispositivo, dando atto in premessa, anche implicitamente, dell’esistenza delle condizioni richieste per la sua adozione, desunte da atti o attestazioni non veri prodotti dal privato, il provvedimento del p.u. è ideologicamente falso in quanto posto in essere sulla base di un presupposto inesistente. Non risponde del falso il p.u. tratto in inganno, ma il soggetto che lo ha indotto in errore (Cass. V, n. 24301/2015). Il privato, invece, non risponde dell'atto ideologicamente falso del pubblico ufficiale, il quale attesti una certa qualificazione in base a quanto sottopostogli dal privato medesimo, se quest'ultimo si sia limitato esclusivamente ad allegare documentazione generica ed informale a corredo della propria istanza: si sostiene che il privato può ritenersi autore mediato del delitto solo a condizione che abbia dolosamente indotto in equivoco (eludendone le possibilità di controllo) il pubblico ufficiale, al quale, comunque, spetta il potere-dovere di verificare la corrispondenza tra la rappresentazione data dal richiedente e il piano regolatore dell'area (Cass. V, n. 40827/2004).

Consumazione e tentativo

Consumazione

Il delitto si consuma al momento e nel luogo della sottoscrizione del documento, in quanto l'immutatio veri che consiste nella falsa attestazione è contestuale all'apposizione della firma, essendo sufficiente per il perfezionarsi del reato il mero pericolo che dalla condotta deriva al bene giuridico tutelato. Sono, pertanto, estranee al reato le nozioni di danno e profitto, e ai fini della consumazione del reato non assume alcuna rilevanza, inoltre, l'uso del documento falsificato.

Tentativo

Secondo parte della dottrina il tentativo non è ammissibile perché la qualificazione come reato di pericolo determina l'irrilevanza delle false attestazioni antecedenti alla formazione e sottoscrizione dell'atto. Il falso ideologico è reato «unico actu perficitur», per cui prima che l'atto sia formato la dichiarazione mendace non è in alcun modo idonea ad offendere il bene protetto (Cristiani, 1991, 194). Secondo un altro indirizzo il tentativo è configurabile in quanto la formazione dell'atto può svolgersi in più atti esecutivi e la consumazione del reato si ha solo con la definitiva formazione dell'atto.

La giurisprudenza ritiene inammissibile il tentativo e, di conseguenza, gli atti anteriori alla c.d. editio falsi non hanno rilevanza giuridica e non possono avere incidenza sulla pubblica fede. I comportamenti che precedono la formazione dell'atto pubblico non integrano ipotesi di falso punibile. Pertanto, quando autore della falsità è lo stesso soggetto che deve formare l'atto, non c'è falso punibile fino a quando l'atto rimane nella disponibilità dell'agente, che può apportarvi modificazioni o aggiunte e può anche rinunciare a compierlo (Cass. V, 22 ottobre 1992).

Forme di manifestazione

Circostanze speciali

La circostanza aggravante speciale prevista dall'art. 476 comma 2 si applica anche al falso ideologico punito dall'art. 479. Cfr. sub art. 476.

Circostanze comuni

La giurisprudenza ha escluso l'applicabilità dell'aggravante prevista dall'art. 61 n. 9, essendo già assorbita dal reato-base (in senso contrario Cass. II, n. 22972/2018)  e non ha ritenuto applicabili le circostanze previste dall'art. 61 n. 7 e dall'art. 62 n. 4, perché i reati di falsità in atti pubblici offendono esclusivamente il bene giuridico della fede pubblica (Cass. II, 14 febbraio 1989). A seguito, però, della l. 7 febbraio 1990, n. 19 è mutato l'indirizzo interpretativo in considerazione del fatto che l'art. 62 n. 4 contempla anche i delitti determinati da motivi di lucro. Si ritiene, infine, applicabile alla fattispecie di cui all'art. 479 l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 esclusivamente con riguardo alla seconda ipotesi, ovvero se il soggetto si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.

Concorso di persone

Secondo i principi generali, è sempre possibile il concorso nel delitto del soggetto privo della qualifica pubblicistica (attraverso gli artt. 48 e 110 e 117) (Cass. V, n. 5322/1997; Cass. V, 15 novembre 1983).

Rapporti con altri reati

Falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico

Cfr. sub art. 483 .c.p.

Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri

Cfr. sub art. 495.

Art. 1 l. 19 aprile 1925, n. 475

Nell'ipotesi di presentazione da parte di un candidato in un pubblico concorso di un elaborato altrui, presentato come proprio, si configura il solo reato speciale contemplato dall'art. 1 l. 19 aprile 1925, n. 475 e non quello previsto dall'art. 479 (Cass. V, n. 3871/2016; Cass. V, 2 dicembre 1980).

Art. 90 comma 4 d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570

La condotta del pubblico ufficiale che autentichi falsamente le sottoscrizioni di elettori di una lista di candidati integra il delitto previsto dall'art. 90 comma 2 d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, nel testo modificato dalla l. 2 marzo 2004, n. 61, e non quello di cui all'art. 479 (Cass. V, n. 12547/2018; Cass. V, n. 14342/2014).

Concorso di reati

Abuso d'ufficio

Secondo la giurisprudenza nel caso in cui in cui l'abuso venga realizzato attraverso un falso in atto pubblico, si configura solo il reato previsto dall'art. 479, stante la maggiore gravità di quest'ultimo e, inoltre, la clausola di riserva contenuta nell'art. 323 (Cass. II, 11 ottobre 2012, n. 1417; Cass. 21 ottobre 1998). Diversamente si ha concorso materiale tra il reato di falso ideologico in atto pubblico e quello di abuso d'ufficio (Cass. II, n. 5546/2013) nel caso in cui la condotta di abuso non si esaurisce nella falsificazione, e la falsità in atti è strumentale alla realizzazione del reato di cui all'art. 323, cui costituisce una parte della più ampia condotta (Cass. V, n. 13250/2021; Cass. V, n. 3515/2019).

Truffa

Cfr. Cass. V, n. 23623/2008.

Art. 1 d.l. 9 settembre 2002, n. 195

La presentazione di una falsa dichiarazione di legalizzazione del lavoro irregolare con un cittadino extracomunitario integra il reato di cui all'art. 1, comma 9,  d.l. 9 settembre 2002, n. 195 (conv. in l. 9 ottobre 2002, n. 222), che concorre con il delitto di falso ideologico in atto pubblico commesso per indurre la p.a. a rilasciare falsi permessi di soggiorno fondati sulla ricorrenza di presupposti non conformi al vero (Cass. V, n. 45504/2014).

Casistica

Integra il delitto di falsità ideologica: la falsa autocertificazione di un reddito minore in una dichiarazione sostitutiva di certificazione (Cass. V, n. 33218/2012); la falsificazione, da parte del titolare di una scuola guida, del registro delle presenze dei frequentanti e dell'attestato finale di frequenza dei corsi per il recupero dei punti della patente a seguito di infrazioni del codice della strada (Cass. V, n. 13069/2011); le attestazioni la condotta dell'ufficiale della riscossione che dia atto della presenza del debitore contrariamente al vero (Cass. V, n. 6478/2011); le attestazioni di regolarità di pagamento formate dal dipendente di una Asl senza procedere al preventivo controllo sull'effettività delle prestazioni fatturate (Cass. VI, n. 39010/2013); la condotta del notaio che, in sede di rogito, non impedisca la falsa dichiarazione del venditore in ordine alla proprietà del bene (Cass. V, n. 24972/2012) o la sua dichiarazione di avere raggiunto la certezza in ordine all'identità della persona comparsa, in assenza di una compiuta attività di controllo degli elementi di riscontro di tale identità (Cass. V, n. 55873/2018); la condotta degli agenti di polizia che attestino false circostanze in sede di verbale di arresto in flagranza (Cass. V, n. 18396/2022; Cass. V, n. 41848/2018; Cass. V, n. 38085/2012);  la falsificazione dei verbali di preavviso di accertamento di violazione del codice della strada (Cass. V, n. 35341/2013); la falsa attestazione operata dal segretario comunale mentre sta rogando un atto di donazione della presenza, al momento della sottoscrizione dell'atto, dei testimoni e delle parti e della lettura dell'atto medesimo alla presenza dei predetti (Cass. V, n. 8200/2018); il rilascio di un «visto» nulla osta della Soprintendenza ai beni culturali per un progetto diverso da quello per il quale la concessione edilizia era stata adottata (Cass. I, n. 37081/2011); la condotta del sindaco che, nell'adottare un provvedimento di affidamento di un dipendente comunale ad un determinato settore, attesta la sussistenza di esigenze di servizio, in realtà inesistenti, a giustificazione della decisione assunta (Cass. V, n. 39360/2011); la falsa attestazione del medico convenzionato di medicina generale di avere eseguito visite domiciliari mai effettuate negli elenchi mensili riepilogativi trasmessi alla Asl (Cass. V, n. 47630/2014); la condotta del medico che attesti falsamente di avere sottoposto a visita medica un minore prima dell'assunzione al lavoro (Cass. V, n. 7538/2012e quella che attesti in moduli per prescrizioni del Servizio Sanitario Nazionale e in un certificato medico di aver visitato un paziente in data antecedente a quella effettiva (ciò in quanto la datazione della certificazione diagnostica ha  valore fidefacente della accertata sussistenza della patologia in un determinato momento Cass. V, n. 7591/2021); la falsa attestazione, da parte del medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale, della sussistenza di turbe comportamentali e psichiche tali da richiedere un trattamento sanitario obbligatorio (Cass. V, n. 16368/2011).

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno stabilito che il cartellino segnatempo e, in generale, i fogli di presenza dei pubblici dipendenti non possono essere qualificati come atto pubblico e, di conseguenza, la mancata timbratura del cartellino da parte del pubblico dipendente, in occasione di brevi allontanamenti dal luogo di lavoro, non integra il delitto di cui all'art. 479. Le annotazioni contenute nei i fogli di presenza non costituiscono manifestazioni dichiarative, di attestazione o di volontà riferibili alla pubblica amministrazione. Se, però, le attestazioni del pubblico dipendente siano utilizzate o recepite in atti della pubblica amministrazione, a loro volta attestativi, dichiarativi o di volontà della stessa, si configura l'ipotesi criminosa del falso per induzione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 48 e 479 (Cass. V, n. 23623/2008; Cass. S.U., n. 15983/2006).

Integra il reato di falso per induzione:

a) la condotta di chi, simulando disturbi di rilevanza psichiatrica, induce il sanitario a redigere certificazione relativa ad una malattia inesistente per finalità non contenziose (Cass. VI, n. 896/2014);

b) la condotta di colui che, presentandosi al punto di pronto soccorso di un ospedale, rende dichiarazioni non veritiere, idonee a trarre in inganno i sanitari, che, confidando nella verità di quanto loro esposto, redigono certificati medici falsi (Cass. V, n. 32759/2014);

c) la condotta di colui che ottenga la iscrizione nelle liste anagrafiche comunali dichiarando falsamente, prima, in allegato alla richiesta indirizzata agli uffici dello stato civile di aver trasferito la propria residenza nel comune in questione, e, successivamente, in sede di verifica da parte dei vigili urbani, di abitare insieme alla propria famiglia nel luogo indicato (Cass. V, n. 15651/2014);

d) la condotta di chi induce il personale dell'ufficio delle dogane al rilascio di un falso certificato di circolazione delle merci — Modello Eur 1 —, a nulla rilevando che il documento sia emesso all'esito di una procedura di controllo automatizzato, e che venga successivamente rettificato a seguito della successiva ispezione dei beni (Cass. V, n. 46471/2014);

e) l'esibizione ad un funzionario doganale di una dichiarazione d'intento non veritiera, tale da indurlo a formare una bolletta doganale ideologicamente falsa (Cass. III, n. 8096/2011);

f) la presentazione alla conservatoria dell'Agenzia del Territorio di falsi atti giudiziari di trasferimento delle proprietà di beni immobili, determinando in tal modo il funzionario delegato alla relativa trascrizione nei pubblici registri, ai sensi degli artt. 2657 e ss. c.c. (Cass. V, n. 38381/2017).

Profili processuali

Gli istituti

Si tratta di un reato procedibile d'ufficio e di competenza del tribunale in composizione monocratica.

Per la falsità ideologica in atti pubblici commessa dal pubblico ufficiale:

a) è prevista l'udienza preliminare;

b) il fermo non è consentito in relazione all'ipotesi di cui all'art. 476 comma 1, mentre è consentito in riferimento a quella di cui all'art. 476 comma 2 e l'arresto in flagranza è facoltativo;

c) sono consentite l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali.

L'interesse ad impugnare

Cfr. sub art. 476.

Bibliografia

De Flammineis, Falsità ideologica in atti pubblici commessa dal pubblico ufficiale, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, Reati contro la fede pubblica, vol. X, Milano, 2013; V. anche sub art. 476.

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