Codice Penale art. 496 - False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (1).False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri (1). [I]. Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato sulla identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell'altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale [357], o a persona incaricata di un pubblico servizio [358], nell'esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. (1) Articolo sostituito dall'art. 1 del d.l. 23 maggio 2008, n. 92, conv., con modif., dalla legge 24 luglio 2008, n. 125. Il testo precedente recitava: «[I]. Chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli precedenti, interrogato sulla identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell'altrui persona, fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale, o a persona incaricata di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 516 euro». competenza: Trib. monocratico arresto: facoltativo fermo: non consentito custodia cautelare in carcere: consentita altre misure cautelari personali: consentite procedibilità: d'ufficio InquadramentoLa falsa dichiarazione sulla identità o su qualità personali proprie o di altri è un reato sussidiario che ricorre solo quando il fatto non costituisce uno dei delitti contemplati dagli artt. 494 e 495 e si consuma quando un soggetto viene interrogato su alcune condizioni che concorrono a determinare la certezza dell'identificazione personale, quali l'identità, lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona, ed in risposta rende delle dichiarazioni mendaci a un pubblico ufficiale o a persona incaricata di un pubblico servizio, che gli rivolge le domande nell'esercizio delle funzioni o del servizio. La norma è stata oggetto di alcune modifiche normative concernenti il trattamento sanzionatorio, che è stato inasprito. L'ultimo intervento legislativo (l. 24 luglio 2008, n. 125), inoltre, ha inciso sui rapporti tra la fattispecie de qua e quella disciplinata dall'art. 495 perché eliminando in quest'ultima la necessità che la dichiarazione o l'attestazione falsa sia riversata in atto pubblico, o sia destinata ad essere ivi riprodotta, ne ha ampliato l'ambito applicativo, riducendo, di conseguenza, quello del delitto in esame. Bene giuridicoL'orientamento dottrinario maggioritari hanno criticato la collocazione della fattispecie di cui all'art. 496 tra i reati posti a tutela della fede pubblica e reputano che tuteli, invece, l'interesse della pubblica amministrazione al corretto accertamento dell'identità di tutte le persone presenti sul territorio nazionale (Antolisei, 2008, 159). La Cassazione ha, invece, ha individuato il bene tutelato nella fede pubblica e ha precisato che il giudizio di rilevanza della falsità, ai fini dell'offensività della condotta, deve essere commisurato non solo alla finalità di identificazione, ma anche a quelle ulteriori, di interesse, oltre che per il pubblico ufficiale richiedente, anche per altri destinatari della dichiarazione (Cass. V, n. 23352/2022). Per ulteriori approfondimenti v. Cfr. sub art. 495. SoggettiSoggetto attivo Si tratta di reato comune, che può essere commesso da “chiunque” sia chiamato dal pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio a rendere dichiarazioni sull'identità o sulle qualità personali proprie o di altri, rilevanti ai fini dell'attività che il soggetto investito della pubblica funzione o servizio sta svolgendo. Soggetto passivo La giurisprudenza in un caso particolare ha asserito che deve ritenersi soggetto passivo anche il “controllore” di un'azienda di trasporto urbano, poiché questi riveste la funzione di incaricato di pubblico servizio (Cass. V, n. 45524/2016; Cass. V, n. 31391/2008). CondottaLa condotta tipica consiste nel rilasciare una dichiarazione sull'identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell'altrui persona con un contenuto falso al pubblico ufficiale o all'incaricato di un pubblico servizio che rivolge all'agente delle domande nell'esercizio delle funzioni o del servizio. Nello specifico, infatti, sono penalmente rilevanti solo le mendaci dichiarazioni rese in risposta a un'interrogazione (Cristiani, 1965, 109). Di conseguenza non integra il reato ex art. 496 il soggetto che le fornisce spontaneamente o che ne rende ulteriori, rispetto a quelle oggetto di specifica richiesta (Manzini, 1004), o che ne rivolga una non lesiva di un interesse giuridicamente o socialmente rilevante (ad es. la dichiarazione di una donna che, per civetteria, afferma di avere un'età inferiore (Fiandaca, Musco, 2012, 612; Pagliaro, 651). L'interrogazione può svolgersi verbalmente o ponendo domande scritte contenute in questionari o moduli a stampa già predisposti dall'ufficio pubblico competente per agevolare il servizio amministrativo (Cass. V, 26 maggio 1983) o attraverso l'esibizione di un documento falso o appartenente a terzi (Cass. VI, n. 645/2016). In merito alla configurabilità o meno della reticenza quale condotta tipica Cfr. sub art. 495.Secondo un orientamento basterebbe ad integrare il reato anche la sostituzione di una sola lettera del cognome (Cass. V, 23 maggio 1984). Per i concetti di identità, stato e qualità personali Cfr. sub art. 495. Le mendaci dichiarazioni possono essere effettuate in svariati modi (Cass. VI, n. 645/2016). Recentemente la Cassazione ha asserito che il reato si configura anche in presenza di dichiarazioni implicite, specificamente quando il possesso di determinate qualità personali costituisce il presupposto necessario ed indefettibile della dichiarazione espressa resa al pubblico ufficiale (Cass. III, n. 30862/2015). Elemento psicologicoIl dolo Il reato è punito a titolo di dolo generico, consistente sia nella coscienza e volontà dell'agente di rendere dichiarazioni difformi dal vero, sia nella consapevolezza di rispondere a un soggetto che agisce nell'esercizio di pubbliche funzioni o di un pubblico incarico. Non è necessario, infatti, che la condotta sia posta in essere al fine di trarre in inganno il destinatario della dichiarazione o altri soggetti (Cass. 24 marzo 1980) né rilevano i motivi che hanno indotto l'agente a fornire tali dichiarazioni mendaci. Il dolo è escluso, inoltre, nel caso il cui il reo incorra in un errore sulla legge extrapenale che regola l'esercizio delle funzioni o del servizio (Pagliaro, 657) o relativo alla qualifica soggettiva del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio (Pagliaro, 651). Per ulteriori approfondimenti Cfr. sub art. 495. Consumazione e tentativoConsumazione Il reato si consuma nel momento in cui l'interrogato fornisce false dichiarazioni sull'identità, sullo stato o su altre qualità della propria o dell'altrui persona al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio richiedente. Secondo parte della dottrina sebbene la formulazione della norma non richieda l'effettiva induzione in errore, non si può prescindere dalla concreta attitudine delle dichiarazioni a trarre in inganno l'interrogante. Il reato, inoltre, non sussisterebbe, per difetto della lesione del bene protetto, nel caso in cui la falsa dichiarazione non offendesse nessun interesse socialmente rilevante (Manzini, 1006). La giurisprudenza è di avviso diverso e ha sostenuto che per il perfezionamento del delitto è sufficiente che siano rese false dichiarazioni all'interrogante, non rilevando che questi possa o meno essere tratto in inganno da quelle dichiarazioni né l’eventuale ritrattazione successiva (Cass. V, n. 23352/2022). Ha, inoltre, escluso la configurabilità del reato impossibile, in quanto la lesione del bene della fede pubblica si realizza per il solo fatto di aver dichiarato il falso e indipendentemente dalla circostanza che il pubblico ufficiale sia consapevole o meno della falsità delle dichiarazioni medesime (Cass. V, n. 49788/2013; Cass. IV, n. 5822/1988). Forme di manifestazioneCircostanze Parte della dottrina ritiene applicabile al reato in esame l'attenuante comune prevista dall'art. 62 n. 1 (ad esempio nel caso di false generalità declinate dall'agente per non essere riconosciuto come protagonista di un notorio e gravissimo fatto di sangue: Pagliaro, 651), mentre la giurisprudenza ha manifestato sul punto un orientamento di segno opposto (Lei, 708). Unità o pluralità di reatiCfr. sub art. 495. Rapporti con altri reatiLa falsa dichiarazione sulla identità o su qualità personali proprie o di altri è un reato sussidiario perché si applica solo «fuori dei casi indicati negli articoli precedenti». Di conseguenza, se sussistono gli elementi previsti nei delitti di cui agli artt. 495 e 496, si configurerà esclusivamente una di queste due fattispecie. Secondo la giurisprudenza e la dottrina (Antolisei, 2008, 159), prima delle modifiche apportate nel 2008, la fattispecie di cui all'art. 496 si distingueva da quella di cui all'art. 495 in quanto in essa: a) il mendacio non deve avere alcuna attinenza con la formazione di un atto pubblico ( Cass. V, n. 4414/2009; Cass. V, n. 4420/2007; Cass. V, n. 11808/1997); b) la falsa dichiarazione deve essere resa a seguito di interrogatorio; c) destinatario della falsa dichiarazione può anche essere un incaricato di un pubblico servizio. Dopo l'intervento normativo del 2008 la giurisprudenza ha affermato che il disvalore del delitto di cui all'art. 495 continuerebbe ad incentrarsi sulla condotta di falsa attestazione (Cass. V, n. 35447/2009). Il verbo “attesta” (seguito dall'avverbio “falsamente”) previsto solo dall'art. 495, infatti costituirebbe l'elemento discriminante le due fattispecie. Quest’ultimo, insieme al mantenimento delle due aggravanti già contemplate nel comma 2 del citato articolo e al più grave trattamento sanzionatorio, indurrebbe a ritenere integrato il reato di cui all’art. 495, in luogo della fattispecie prevista dall’art. 496, ove l’agente rendesse false dichiarazioni attestanti (e cioè tese a garantire) il proprio stato o altre qualità della propria o altrui persona destinate, quindi, ad essere riprodotte in un atto fidefaciente idoneo a documentarle (Cass. IV, n. 4054/2019; Cass. V, n. 25649/2018; Cass. V, n. 3042/2010). Configurerebbe, invece, il reato di cui all'art. 496 la condotta di colui che nel corso di un normale controllo effettuato dai carabinieri, rendesse false dichiarazioni in ordine al proprio luogo di nascita, in quanto, in tal caso le false dichiarazioni non hanno alcuna attinenza, né diretta né indiretta, con la formazione di un atto pubblico (Cass. V, n. 41135/2010). Di diverso avviso parte della dottrina secondo la quale ciò che distingue le due fattispecie, dopo la riforma del 2008, è esclusivamente l'interrogazione rivolta dal pubblico ufficiale o dall'incaricato di un pubblico servizio prevista solo nell'art. 496. Di conseguenza quest'ultimo reato sarebbe configurabile ove le dichiarazioni fossero rilasciate su richiesta del pubblico ufficiale, mentre si realizzerebbe il reato di cui all'art. 495 nel caso in cui la falsa dichiarazione fosse resa a prescindere da una interrogazione, come nell'ipotesi di dichiarazioni spontanee (Cadoppi-Canestrari-Manna-Papa, 587). In ogni caso, si afferma, continuerebbe ad essere penalmente irrilevante la falsa dichiarazione spontanea resa all'incaricato di un pubblico servizio. Questa ricostruzione, però, determinerebbe conseguenze inaccettabili sul piano sanzionatorio perché colui che rendesse false dichiarazioni spontanee al pubblico ufficiale sarebbe sanzionabile più gravemente di colui che rilasciasse le stesse dichiarazioni su specifica richiesta del soggetto pubblico. In altri termini, l'art. 496 tipizzerebbe, seguendo il citato indirizzo interpretativo, un comportamento che sebbene connotato da maggior disvalore sarebbe, di fatto, punito in misura più lieve rispetto all'ipotesi generale di cui all'art. 495. Concorso di reatiCalunnia La giurisprudenza ha affermato che integra anche il delitto di calunnia la condotta dell'agente che dichiara generalità proprie di altra persona se tale assunzione comporta la possibilità che si instauri un procedimento penale a carico di quest'ultima (Cass. I, 7 luglio 1989). Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative L'orientamento costante della Cassazione ammette il concorso tra il reato di cui all'art. 496 e quello di cui all'art. 477 poiché la materialità dei due fatti e i beni giuridici lesi sono del tutto indipendenti (ad es. nel caso in cui un soggetto declini false generalità a un pubblico ufficiale dopo avergli esibito una patente di guida contraffatta: Cass. II, 27 aprile 1989; Cass. VI, 5 giugno 1986; Cass. V, 4 luglio 1983). CasisticaLa nozione di qualità personale In merito per approfondimenti v. sub art. 495. In tema di false attestazioni di qualità personale integrano gli estremi del delitto sanzionato dall'art. 496 le condotte del soggetto che: a) dichiara falsamente all'autorità interrogante di non essere sottoposto a misura di prevenzione di pubblica sicurezza (Cass. V, 5 novembre 1985) o che non sussistono a suo carico precedenti penali (Cass. V, n. 26575/2018; ad es. per ottenere il rilascio del passaporto: Cass. V, n. 35447/2009). b) dichiara falsamente la propria situazione patrimoniale (Cass. V, 16 gennaio 1985; Cass. V, 26 maggio 1983); c) riporta falsamente qualità personali sulla domanda di ammissione all'esame per conseguire la patente di guida, in quanto fornita in risposta ad una interrogazione scritta del pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni (Cass. V, 16 maggio 1985); d) allega, ad una domanda rivolta ad un Ente pubblico, un curriculum vitae contenente false dichiarazioni circa le proprie esperienze lavorative (Cass. V, n. 26600/2013); e) fornisce false indicazioni sulla propria residenza dopo essere stato fermato dai carabinieri ad un posto di controllo (Cass. V, n. 26073/2005). Non rientrano, invece, nell'ambito di applicazione della norma: a) la dichiarazione falsa del conducente di un autoveicolo rivolta agli agenti di polizia giudiziaria di essere abilitato alla guida e di avere dimenticato la relativa patente, in realtà sospesa con provvedimento prefettizio (Cass. V, 19 novembre 1980); b) la falsa dichiarazione di un'insegnante nella domanda di supplenza, relativa al proprio inserimento nelle graduatorie degli abilitati (Cass. V, 9 ottobre 1980); c) le richieste rivolte dall'autorità aventi ad oggetto qualità personali e non giustificate, in alcun modo, da esigenze di identificazione (Cass. V, 25 maggio 1984); d) l'autocertificazione di non avere subito condanne incidenti sulla propria affidabilità morale e professionale riportata in un modulo prestampato fornito dall'ente appaltante allegato alla domanda di ammissione per l'aggiudicazione di un appalto pubblico anche se destinatario di sentenza di applicazione della pena, ex art. 444 c.p.p., risalente ad oltre cinque anni (Cass. V, n. 11596/2008). Profili processualiGli istituti Si tratta di reato procedibile d'ufficio e di competenza del tribunale in composizione monocratica. Per la falsa dichiarazione sulla identità o su qualità personali proprie o di altri: a) non è consentita la citazione diretta ai sensi dell'art. 550 c.p.p.; b) non è consentito il fermo e l'arresto in flagranza è facoltativo; c) sono consentite l'applicazione della custodia in carcere e delle altre misure cautelari personali. BibliografiaLei, False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, Reati contro la fede pubblica, vol. X, Milano, 2013; v. anche sub art. 494 |